Kenia. Sangue nel tempio della merce

Scritto dasu 25 Settembre 2013

Kenya-Attack-5Il violento attacco contro il centro commerciale Westgate ha portato la guerra nel centro di Nairobi, in un luogo simbolo dell’identità occidentale, che trova la propria sublimazione nei templi della merce.
La memoria torna agli attacchi dei guerriglieri ceceni nel cuore di Mosca, dei quaedisti nel centri di New York, Londra, Madrid. L’obiettivo è semplice e feroce: attaccare la popolazione civile, fare strage tra gente comune che si sente al sicuro. Seminare il terrore per cercare di piegare un nemico di cui non si riconosce l’umanità, che si colpisce in modo indiscriminato, perché l’unico discrimine che conta è tra fedeli e infedeli.
Gli shabaab, letteralmente “i giovani”, provengono dalla Somalia decomposta da decenni di guerra civile, frantumata dai postumi di un colonialismo che sino agli anni ottanta aveva il volto di Bettino Craxi. Il flusso di profughi da quella guerra infinita è continuo, anche se fuori dal cono di luce dei media.
In questa partita quel che colpisce è la paralisi degli Stati Uniti, alleati del Kenia attaccato dagli shabaab somali, parimenti alleato dell’Arabia Saudita, che da anni foraggia e sostiene le formazioni islamiche radicali sunnite. Sebbene l’islam somalo sia diverso dal wahabismo saudita, il sostegno della dinastia Saud alle Corti Islamiche prima e agli shabaab poi, si può ben cogliere nel salto di qualità militare dell’attacco al Westgate come nella probabile composizione “internazionale” del commando che ha colpito il mall.
Un ulteriore segno dell’incapacità statunitense – ben chiara nella recente rapida retromarcia sull’attacco alla Siria – di controllare i mostri che ha contribuito a creare sin dai tempi dell’invasione sovietica dell’Afganistan.
Non solo. Un segnale – se mai ce ne fosse stato bisogno – che la retorica sui diritti umani, la democrazia, la libertà non basta più a coprire un’afasia politica frutto di un imperialismo incapace di tessere rapporti di subordinazione collaborativa con i paesi dove impone la propria influenza.
L’orizzonte di senso – banale, feroce ma solido – che offre l’islam radicale riesce invece a permeare di se vaste aree del mondo. Nel sud povero, ma non solo. Lo dimostrano i tanti combattenti e kamikaze che abbandonano esistenze tranquille e borghesi in Inghilterra o in Italia, per ricomparire imbottiti di tritolo in mimemtica e kalashinikov in un centro commerciale del tutto simile a quelli di casa loro.

Ne abbiamo discusso con Stefano Capello.

Ascolta la diretta:

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