Nuove tecnologie, vecchie censure

Scritto dasu 1 Aprile 2014

banksy1Dopo aver ricevuto la benedizione di Michael Barnier, commissario dell’Unione Europea responsabile per il mercato unico – che qualche tempo fa aveva parlato di norme “conformi al quadro legislativo europeo”, il regolamento per il diritto d’autore su internet stilato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) è entrato ufficialmente in vigore il 31 marzo. Le disposizioni contenute nel testo  hanno scatenato durissime e motivate critiche. Perché il provvedimento contiene una serie di punti inaccettabili, soprattutto in merito alle definizioni di “opera digitale” e “gestori” e a tempi e modalità per la rimozione dei contenuti illegali. Inoltre, l’entrata in vigore della nuova normativa configura una situazione giuridica piuttosto bizzarra: un organismo dello Stato (l’Agcom) regolamenta in via amministrativa e senza le dovute garanzie del caso, una serie di illeciti, scavalcando d’emblée politica e magistratura ordinaria.

Nelle intenzioni dei legislatori, il “Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica”dovrebbe proteggere i detentori del copyright e promuovere “lo sviluppo dell’offerta legale di opere digitali e la corretta fruizione delle stesse”. Cosa si intende, esattamente, per “opera digitale”? Al Capo I del testo si legge che un’opera digitale è “un’opera [sic] o parti di essa, di carattere sonoro, audiovisivo, fotografico, videoludico, editoriale e letterario, inclusi i programmi applicativi e i sistemi operativi per elaboratore, tutelata dalla Legge sul diritto d’autore e diffusa su reti di comunicazione elettronica”. Una definizione dentro la quale vanno a finire praticamente tutti i contenuti della rete.

E’ sin troppo facile immaginare i livelli strumentali a cui si presta un simile ginepraio, dalla tacitazione di voci scomode all’eliminazione di piccoli concorrenti sul mercato da parte di gruppi più grossi in una svariata serie di ambiti.

Di fronte alla denuncia di violazione si aprono sostanzialmente due strade: i gestori possono procedere all’“adeguamento spontaneo” dei contenuti oppure rispondere alla notifica, il tutto entro cinque giorni dalla ricezione della comunicazione (in questo caso la procedura viene sospesa). Se questo non accade, l’Agcom si rivolge ai gestori di servizi di hosting e agli internet service provider – indicati come“prestatori di servizi” nel testo – e richiede la rimozione selettiva del contenuto se il portale si trova in Italia. In caso di violazioni di“carattere massivo”, l’agenzia può anche richiedere ladisabilitazione completa dell’accesso, provvedimento invece previsto sempre per portali con sede all’estero. Il tutto entro trentacinque giorni dalla ricezione dell’istanza originaria. La legislazione prevede inoltre un procedimento abbreviato a dodici giorni per casi speciali che “configurino un’ipotesi di grave lesione dei diritti di sfruttamento economico di un’opera digitale”“un’ipotesi di violazione di carattere massivo. Qui di massivo in realtà c’è soprattutto l’intervento preventivo che l’Authority è in grado di attuare sulla libertà in rete.

Un provvedimento affatto anacronistico che rischia di avere ricadute gravissime e che immagina una proprietà privata dei diritti intellettuali che di fatto non è mai esistita e che la rete rende del tutto impalpabile e in definitiva inafferrabile. L’operazione non potendo realizzarsi in una regolamentazione vera e propria che sarebbe impossibile, finirà con l’essere uno strumento attentamente selettivo di eliminazione di realtàscomode a chi è in grado di far partire la macchina della censura.

Ne abbiamo parlato con l’avvocato Fulvio Sarzana che da diversi anni si occupa di diritti digitali.

Sarzana

 

 

 


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