Arresti del 3 giugno. Genealogia di un’operazione repressiva

Scritto dasu 11 Giugno 2014

resistere agli sfrattiAd una settimana dall’operazione repressiva del 3 giugno, vale la pena tentare un’analisi che vada al di là delle puntuali cronache proposte in questi giorni.
L’operazione del 3 giugno è il coronamento di un lungo attacco al movimento per la casa a Torino.
Rinaudo e Pedrotta si sono astenuti dal proporre un reato associativo, consapevoli della concreta possibilità che cadesse in sede di Cassazione, come è accaduto per la mega inchiesta contro gli antirazzisti per il ciclo di lotte tra il 2008 e il 2009.
La Procura guidata da Spataro pare agire in perfetta continuità con l’azione dell’ex procuratore capo Giancarlo Caselli: torsione delle norme esistenti per ottenere arresti e processi incentrati su reati gravi, come sequestro di persona, estorsione, violenza a pubblico ufficiale.
Reati, che nella comune percezione rimandano a ben altre condotte rispetto ad lotta sociale, fatta con picchetti antisfratto per ottenere proroghe, cortei spontanei e proteste alla sede degli ufficiali giudiziari.
La violenza a pubblico ufficiale viene imputata nonostante i funzionari incaricati degli sfratti non siano mai stati toccati: per la Procura è sufficiente il condizionamento psicologico per determinare la violenza.
Torino è una polveriera sociale: ogni anno in città vengono eseguiti 4000 sfratti, che coinvolgono in media 10.000 donne uomini bambini. Il governo teme che un forte movimento di lotta per la casa, un estendersi delle lotte nei settori della logistica e della grande distribuzione, una saldatura con le lotte ambientali e contro la predazione delle risorse possano fornire la scintilla per un’esplosione sociale dagli esiti difficilmente prevedibili.
La vittoria netta del partito democratico alle elezioni europee e la secca affermazione di Chiamparino alla guida della Regione Piemonte hanno dato al governo la forza di pigiare sul pedale dell’azione disciplinare contro i movimenti.

In questi anni abbiamo assistito al progressivo incrudirsi della repressione, senza neppure la necessità di fare leggi speciali: è stato sufficiente usare in modo speciale quelle che ci sono.
Chi disapprova le scelte del governo, delle istituzioni locali, delle organizzazioni padronali e dei sindacati di Stato rischia sempre più di incappare nelle maglie della magistratura, perché le tutele formali e materiali che davano qualche spazio al dire e al fare, sono state poco a poco annullate.
Reati da tempi di guerra come “devastazione e saccheggio”, l’utilizzo di fattispecie come “associazione sovversiva”, “violenza privata”, “associazione a delinquere”, “resistenza a pubblico ufficiale”, “vilipendio” della sacralità delle istituzioni sono le leve potenti utilizzate per colpire chi agisce per costruire relazioni all’insegna della partecipazione, dell’eguaglianza, della libertà.
Non si contano più le operazioni della magistratura nei confronti dell’opposizione politica e sociale. Hanno tentato più volte, ma con scarso successo i reati associativi, per loro natura intrinsecamente politici. Le varie forme della famigerata famiglia 170, sono costruite per colpire chi si raggruppa per sovvertire l’ordine vigente, ma sfuggono ad una definizione chiara, e difficilmente sono applicabili e chi non si costituisce formalmente in associazione sovversiva o armata.
Hanno giocato la carta dell’associazione a delinquere applicata alle proteste sociali, ma non hanno portato a casa il risultato né a Torino né a Bologna.
A Torino – da sempre laboratorio di repressione – hanno messo in campo processi contro decine di attivisti antirazzisti, nonostante la caduta del reato associativo.
Questo modello che ha portato all’apertura di due mega processi agli antirazzisti, in cui, senza alcun collante formale, hanno messo insieme tanti e diversi momenti di lotta, è il modello adottato da due PM, che non per caso, sono gli stessi di questa nuova inchiesta.
Maggior successo hanno avuto le operazioni costruite intorno a reati come devastazione e saccheggio, fallite a Torino ma riuscite a Genova e Milano, dove semplici danneggiamenti si sono trasformati in un reato da tempi di guerra con condanne sino a 15 anni di reclusione.
La crudezza di queste operazioni giudiziarie ci da la chiara misura della democrazia nel suo funzionamento reale, un sistema che non ammette opposizione al di là della mera testimonianza al di là del mugugno al bar.

Sabato 14 si svolgerà un corteo di solidarietà a Torino.
Di seguito alcuni stralci dall’appello per la giornata.
“Quella che viene colpita in questa inchiesta è la lotta per la casa. Una lotta che si sta affermando in tutta Italia e che si esprime attraverso contestazioni, picchetti e occupazioni. (…) L’intento della procura torinese è quello di intimidire proprio coloro che non sono disposti ad accettare supinamente di essere cacciati dalla propria casa e si ostinano a resistere (…). In un periodo storico come questo, dove chi governa, il PD, non lascia margini di contrattazione, l’opposizione concreta e diretta è l’unico mezzo a disposizione di chi lotta.
(…) oggi con questi arresti si vuole intimidire chiunque intenda bloccare le decisioni prese dall’alto. Non solo chi lotta contro gli sfratti ma anche chi con il picchetto interrompe i lavori di un cantiere, di un mercato generale o la circolazione nelle strade di una città.”

L’appuntamento è sabato 14 maggio alle 15 in piazza Crispi

Ne abbiamo parlato con Gabrio, uno degli attivisti ai domiciliari dal 3 giugno.

Ascolta la diretta:

inchiesta_sfratti


Radio Blackout 105.25

One station against the nation

Current track
TITLE
ARTIST