Dio, Scienza, Mamma e Papà (sulla piazza del Family Day)

Scritto dasu 4 Febbraio 2016

La piazza che sabato ha tentato (senza riuscirsi) di riempire il Circo Massimo a Roma sembra riassumere il peggio del riduzionismo moralista di cui sono capaci questi tempi infausti. Epoca in cui a dominare sono le passioni tristi di un senso comune di massa perennemente tentato da interpretazioni complottiste, mentalità da bunker, ansia d’invasioni barbariche alle porte e forsennata ricerca di punti di riferimento certi.

Tra chi si interroga sul chi saprà interpretare lo spazio politico aperto da questa nuova maggioranza (?) rumorosa di destra (Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera) e vecchi tromboni di sinistra che assicurano che le istanze di sabato non ricalcano la storica contrappozizione che ha scandito il Novecento (Vacca: “non sono reazionari, sulle adozioni hanno ragione”), il fenomeno ci ripropone l’emergenza pulviscolare di ampi strati di società refrattari ad aspetti di modernità che spesso si pensano acquisiti una volta per tutti ma che invece permangono come elementi di divisione che non di rado si sovrappongono su alcune linee di classe.

Una buona lettura della composizione di quella piazza nella sua dimensione antropologica e psicologica-collettiva è quella che abbiamo letto sul blog https://beizauberei.wordpress.com

«questi più che cattolici sono piccoli borghesi che scivolano in basso, alle soglie del proletariato, riuscendosi a tenere agli spigoli che meglio conoscono ma rimanendo terrorizzati dalla voragine. Sono estranei alle consapevolezze della vecchia sinistra, sono ideologicamente figli di padri che non hanno alcuna scuola politica, niente sindacato di fabbrica, niente vita di sezione, ma neanche nessuna lettura di tradizione liberale, il Corsera è carta per la lettiera dei gattini e persino il dibattito grillino li sorpassa – che ce ne vole. Sono in un certo senso deliziosamente naif e asciugano tutte le questioni che li minacciano e bruciano – l’incerto futuro dei figli, la crisi che travolge quella piccola imprenditoria che deve essere stata l’eden della loro infanzia, intorno all’unico totem di cui hanno una distinta memoria, il babbo e la mamma. In questo modo ci regalano quella forma di regressione sociale che più che ricordare le evoluzioni del Cristianesimo e del mondo Cattolico, sembra invocare la distopia disegnata da Houllebque. Questi sono i nostri islamici immaginifici altro che Fratelli Mussulmani. Quella parte delle nostre donne che non sono mai state capaci di voler dare alla progenie nient’altro che pane latte e nomi di fiori, che avvertono la libertà solo come stanchezza, e che a fronte della loro inadeguatezza vaneggiano un patriarcato disneyano. Quella parte di nostri uomini che come caporali senza esercito, fanti a cui la fine della guerra ha tolto la carriera e la possibilità di medaglie, incapaci di tenere le armi in mano nella New Economy, propongono l’anacronistico sogno di dirigere un fienile, e una tribù di femmine e fantesche».

 

Sul tema, da un’altra prospettiva, abbiamo fatto una chiacchierata con Franco Barbero, prete scomunicato nel 2003 da Papa Woityla (ordinato sacerdote nel 1965), attivo nel movimento delle comunità cristiane di base, critico della dottrina e delle gerarchie ecclesiastiche, compagno di strada del movimento glbtq e delle cmpagne per i diritti di tutt*.

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