Sorveglianza di massa: eccellenza italiana tra trojan di stato e business anti-terrorista

Scritto dasu 3 Febbraio 2016

È soltanto dopo numerose proteste che il governo aveva deciso di stralciare dal decreto anti-terrorismo l’autorizzazione a installare programmi spia nei terminali durante le indagini di polizia (i cosiddetti trojan). Una norma a dir poco controversa che è rispuntata qualche giorno fa sotto forma di disegno di legge proposto dalla deputata del Pd, Maria Gaetano Greco.

Di soppiatto si cerca quindi di far rientrare dalla finestra uno strumento che donerebbe dei poteri spropositati agli investigatori e aprirebbe la porta a numerosi abusi. In effetti i trojan possono prendere il controllo di pc, tablet e smartphone non solo per attivare registrazioni e telecamere, copiare file o bucare conversazioni criptate ma anche per manipolare i dati del computer e inserire, ad esempio, prove false nell’ambito di un’indagine. Uno strumento di dubbia legittimità giuridica, contro cui si sono pronunciati i maggiori esperti di sicurezza informatica come Bruce Schneier e che in Italia troverebbe un’applicazione assolutamente indiscriminata. Avranno diritto al loro cavallo di troia non soltanto gli appartenenti a clan mafiosi o alla fumosa categoria dei “terroristi” ma chiunque sia intercettato dalle forze dell’ordine per le ragioni più diverse, comprese la semplice diffamazione.

Proprio l’Italia ospita una vera e propria industria delle sorveglianza che opera nella più totale opacità, offrendo senza tanti problemi i propri servizi ai dittatori di mezzo mondo, spesse volte per reprimere il dissenso all’interno dei rispettivi stati. L’estate scorsa la società italiana di sicurezza informatica Hacking team era stata a sua volta hackerata e le mail della compagnia, rese pubbliche, avevano rivelato numerosi legami con capi di stato ben poco democratici.

Se l’introduzione di nuove misure di sorveglianza di massa sembra una tendenza generale nel contesto dell’isteria anti-terrorismo, in tanti paesi Europei l’introduzione di misure liberticide è almeno accompagnata da forti critiche. In Italia, invece, il dibattito pubblico sta completando ignorando questi ennesimi inasprimenti legislativi che, se hanno già ampiamente dimostrato la propria inefficacia nel prevenire stragi e attentati, hanno già dato luogo a numerosi abusi.

Ne abbiamo parlato con Stefania Maurizi, collaboratrice de l’Espresso e autrice di numerose inchieste su cyber-sicurezza e diritti digitali:

stefania maurizi_r


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