Cosa cambia dopo il referendum?

Scritto dasu 20 Ottobre 2016

no-sign-610x350La  domanda non è oziosa. L’abbiamo posta a Luigi Ferrajoli, uno dei personaggi più illustri tra i tanti giuristi e non scesi in campo contro il premier che ha voluto fare della consultazione referendaria un plebiscito sul suo mandato, dichiarando solennemente: “Se perdo, lascio”. Salvo ritrattare tutto quando ha capito, con un certo ritardo, che non si trovava di fronte a una facile vittoria e che molta sinistra si sarebbe mobilitata per spiegare le ragioni del no. Non siamo certo appassionati di costituzionalismo né ci impressionano molto che si paventino le svolte autoritarie e le dittature dei mercati. Troviamo che sia quella una realtà già consolidata o comunque l’esito di processi che avanzano inesorabilmente da quasi un trentennio. Eppure qualcosa di sostanziale sta accadendo se l’establishment politico ed economico internazionale è tanto risoluto nell’appoggiare il premier in questa sua crociata contro la costituzione. Contemporaneamente comprendiamo che lo svuotamento delle democrazie e la contestuale subalternità della politica ai mercati finanziari e ai potentati economici non possano essere un problema  risolto da un referendum. Eppure esistono dispositivi e cambiamenti politico-istituzionali in grado di favorire e accelerare cambiamenti epocali e appare certo che l’Italia presenta ancora delle rigidità che infastidiscono poteri transnazionali e nazionali (Francia, Germania, Usa). Mettere in difficoltà Renzi e il renzismo e scontentare agenzie di rating e potenti di mezzo mondo è sicuramente un obiettivo che vale la pena perseguire.

Ascolta il contributo telefonico registrato questa mattina con il professor Luigi Ferrajoli, professore ordinario alla Sapienza nonché nome illustre del giurismo italian e internazionale.

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