Dalle fabbriche del Bangladesh ai magazzini di Stradella: la filiera dello sfruttamento nell’industria globale dell’abbigliamento

Scritto dasu 4 Novembre 2016

stradella

“Un giorno ti alzi alle 2 del mattino per arrivare al lavoro alle 4. Altre volte entri alle 6. Non sai ancora se alle 11 ti diranno di andare a casa o se andrai avanti fino al pomeriggio. Il giorno dopo magari fai il turno di notte: entri a mezzanotte per uscire alle sei del mattino, ma forse anche a mezzogiorno.”

Inizia così il reportage di Marina Forti sulle condizioni delle lavoratrici dello stabilimento XpoLogistics, un’azienda del polo logistico di Stradella, in provincia di Pavia, un insieme di capannoni in posizione strategica proprio accanto all’uscita dell’autostrada Piacenza-Torino. Qui si gestisce il commercio online per H&M che commissiona a XpoLogistics la distribuzione just in time dei suoi prodotti.  XpoLogistics è una delle maggiori aziende della logistica internazionale e offre supporto logistico per ogni attività che implichi “movimentare” merci. Le lavoratrici non sono però assunte neanche da XpoLogistics ma dalla cooperativa Easy Coop che si impegna a fornire manodopera, anch’essa just in time, per i magazzini di Stradella. Ed è proprio nel meccanismo di commissioni che è possibile trovare il punto di somiglianza tra lo sfruttamento produttivo in zone come il Bangladesh ( come non ricordare la tragedia del Rana Plaza, l’edificio di otto piani crollato il 24 aprile del 2013, sede di numerose aziende di abbigliamento tra cui H&M che ha sepolto sotto le macerie quasi 1200 lavoratori, per lo più donne ) e i capannoni dello smistamento merci del pavese: deresponsabilizzazione totale del marchio committente, scaricamento dei costi e dei rischi sui lavoratori, compressione dei salari e iperflessibilità sono solo alcuni aspetti che accomunano i due poli dell’industria globale dell’abbigliamento.

Il motore di tutto sta nel concetto di competitività; nel suo nome si delocalizza, si esternalizza, si appalta e si sfrutta. E se le lavoratrici quest’estate hanno incrociato le braccia stanche, letteralmente, dei turni massacranti, degli orari flessibili e del preavviso minimo, la loro lotta ha evidenziato come alcuni aspetti delle condizioni di lavoro non possano in alcun modo essere cambiati. Infatti le lavoratrici sono riuscite a ottenere modifiche contrattuali, un migliore inquadramento e i ticket mensa. Quello che invece non riusciranno ad ottenere sono i miglioramenti legati al modo di lavorare, i turni, gli orari, perché strutturalmente sono questi aspetti a rendere più o meno competitiva un’azienda all’interno del comparto logistico. Se XpoLogistics si è quindi resa disponibile, nonostante le lavoratrici non siano sue dipendenti, a intervenire sui contratti, nulla può di fronte all’esigenza di fornire al committente un servizio il più veloce ed economico possibile, pena la perdita della commessa stessa.

Una logica spietata che costringe sempre più lavoratori anche in Italia a sottostare a livelli di sfruttamento altissimi e a una flessibilità totale senza riuscire a migliorare significativamente la qualità della propria vita ma anzi sopravvivere appena.

E se ad essa si aggiunge la tendenza all’investire nell’automazione di certe parti degli snodi logistici, quali ad esempio i magazzini, lo scenario che si prospetta risulta decisamente cupo con la possibilità, che si sta già facendo reale in alcune parti di mondo, della perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Ne abbiamo parlato direttamente con Marina, autrice del reportage pubblicato sul sito “Internazionale”.

Ascolta la diretta:

 

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