Emilia Romagna. Un urbanistica al servizio delle imprese?

Scritto dasu 22 Novembre 2016

casepopolariE’ in discussione in Emilia Romagna la nuova legge regionale sull’urbanistica. La maggioranza PD vorrebbe un’approvazione rapida, senza approfondimenti, di una norma che potrebbe fare scuola nel resto del paese, spalancando le porte alla speculazione, al consumo di suolo, agli interessi dei privati che potrebbero operare senza dover sottostare alla maggior parte dei vincoli previsti ora.

La proposta di legge si fonda sulla scelta politica di ridurre quanto più possibile i poteri dell’amministrazione pubblica nel governo delle trasformazioni intensive del territorio, promuovendo gli interessi privati come esclusivi motori del cambiamento. Interessi che corrispondono a quelli delle imprese di costruzioni e di altre società che già possiedono aree periferiche non edificate o immobili da riqualificare e vi hanno programmato iniziative immobiliari.
Il presupposto teorico è la deregolamentazione, spacciata per semplificazione, nell’effettuare trasformazioni intensive risponda alle esigenze di sviluppo economico. Che le esigenze della lobby del cemento del tondino e del mattone coincidano con quelle delle persone che vivono nella città e nei paesi dell’Emilia e della Romagna, è permesso dubitare.
Nei fatti semplificare significa abolire la disciplina urbanistica, intesa come determinazione preventiva delle trasformazioni ammissibili sul territorio secondo principi di pubblico interesse, fondata sull’accertamento sistematico della loro sostenibilità e sul preordinamento delle condizioni di fattibilità e dei requisiti quantitativi e qualitativi, sia per nuovi insediamenti che per interventi di rigenerazione e qualificazione urbana.
Va da se che ogni programmazione può comunque corrispondere ad un modello di città e di sviluppo che può a sua volta entrare in rotta di collisione con la qualità della vita e dell’abitare delle persone. Comporta tuttavia l’adeguamento a criteri di tutela sociale e ambientale, che verrebbero spazzati via dalla proposta di legge in discussione alla Regione.
Una proposta che prevede che le indicazioni di carattere progettuale e localizzativo che la “strategia per la qualità urbana ed ecologico ambientale ha facoltà di disporre possono essere modificate in sede di accordo operativo senza che ciò costituisca variante al Piano urbanistico generale”. Nelle parti di territorio urbanizzato soggette alla formazione di accordi operativi è addirittura vietato al PUG “stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale”.

Sinteticamente le trasformazioni intensive della città sono predisposte e attuate attraverso accordi operativi nei quali la parte privata beneficia:

– totale derogabilità degli standard regionali e nazionali per le trasformazioni intensive ricadenti in territorio urbanizzato (che possono includere grandi complessi dismessi, e aree inedificate anche ampie);

– incentivi volumetrici e rilevantissimi sgravi economico-fiscali per l’attuazione delle trasformazioni intensive;

– capacità di iniziativa attribuita esclusivamente ai privati, i soli titolati a proporre arbitrariamente progetti di ambiti di espansione e di riqualificazione; progetti di cui i comuni possono solo valutare la conformità a una disciplina urbanistica che ai comuni è vietato disporre, o che è comunque liberamente modificabile, nel termine perentorio di sessanta giorni, che li priva di effettiva capacità negoziale;

– azzeramento di ogni obbligo a carico dei privati in materia di edilizia residenziale sociale, la cui fattibilità ed entità sono rimesse alla negoziazione degli accordi operativi.

Questo implica per le trasformazioni intensive del territorio (sia nuovi insediamenti che ristrutturazioni urbanistiche) l’esautoramento dei comuni nelle politiche del territorio e abitative, rendendo impossibili o estremamente limitati e condizionati. Se persino le istituzioni locali non avranno più voce in capitolo sulle scelte urbanistiche fatte dai costruttori, gli abitanti dei territori investiti, se non metteranno in campo forme di resistenza e azione diretta alle scelte non condivise, non ne avranno nessuna.
L’annunciata semplificazione della disciplina urbanistica del territorio urbanizzato, che coinvolge il 90% delle attuali trasformazioni edilizie, quelle minute, dei privati cittadini, non è invece contemplata dalla nuova legge.

Il cittadino che vuole fare una ristrutturazione del proprio alloggio, sarà ancora obbligato a infinite trafile burocratiche, i palazzinari avranno invece mano libera nel costruire come e dove vorranno.
In materia ambientale secondo i promotori della legge si dovrebbe ridurre il consumo di suolo, ma in realtà è improbabile che ciò avvenga.
Secondo i dati presentati dall’assessore, gli insediamenti urbani occupano nel territorio regionale 2.280 chilometri quadrati, e i piani urbanistici consentono un’ulteriore espansione di 250. Limitando a un massimo del 3% la crescita del territorio urbanizzato l’espansione ulteriore sarebbe, secondo l’assessore, contenuta in 70 Kmq.
Già un incremento del 3% in sé non è poco: in un medio capoluogo delle province emiliane può corrispondere a un chilometro quadrato e mezzo o due, sufficiente ad accogliere ventimila abitanti.

Nella cornice dello Sbocca Italia renziano, questa legge, se passerà, ha tutte le caratteristiche, del via libera a speculazioni indiscriminate.

Ne abbiamo parlato con un urbanista emiliano, l’architetto Simone Ruini.

Ascolta la diretta:

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