Piattaforme virtuali, capitalismo reale

Scritto dasu 27 Febbraio 2017

«È la media company bellezza, e tu non puoi farci niente»

 

Un po’ per scantonare da questo bogartiano detournement che diventa cinico e nichilista da idealista e propositivo che era, un po’ per verificare quali spazi rimangono ancora a disposizione per contrastare il mondo regolato da “app”, “servizi” erogati attraverso smartphone, Weltanschauungen rese possibili soltanto attraverso il filtro del canale digitale – ma ormai da 40 anni si sa che il media è il messaggio –, è stato programmato da Euronomade e Macao a Milano il 3 e 4 marzo prossimi un convegno che potrebbe prospettarsi come una sorta di antidoto alla dittatura soft della Piattaforma, conciliante e suadente propositrice di aspetti individualmente apprezzabili e rassicuranti (sulla scorta dei dati “acquisiti”) che tendono a creare monadi blindate, atte ad acquisire gli input provenienti dalla Piattaforma. Salvo poi sciogliere l’individuo nell’acido del gruppo, solo aspetto che può costruirgli una dimensione tracciabile e riconoscibile dal canale stesso che gli conferisce un’esistenza come target, per quanto virtuale, ma che poi gli conferisce possibilità di parola solo come componente di un gruppo. E forse per questo uno dei nostri interlocutori, tra gli organizzatori del convegno, ci ha confessato in diretta di aver percepito il mittente di quella lettera Urbi et orbi di papa Zuckerberg come inviata da vero governante del mondo reale.

 

Come diceva Demichelis ormai quasi un anno fa: «Se andiamo alle analisi di Michel Foucault sulla nascita del potere moderno come evoluzione del potere pastorale delle prime comunità cristiane; se (ancora Foucault) analizziamo i meccanismi psicologici e pedagogici insiti nelle discipline e poi nelle forme biopolitiche di potere e di governo (la governamentalità) degli uomini; se, ancora, guardiamo alle società di massa del Novecento, alle forme totalitarie di potere, al concetto di ideologia – ebbene, abbiamo la conferma di quanto le forme religiose siano ben presenti anche oggi, in tempi di apparente secolarizzazione ma soprattutto di mercato globale e di rete», una chiesa che «lega, connette, struttura ogni fedele in un sistema integrato, coerente e incessantemente replicato, fatto di discorsi, di narrazioni e di simboli, di riti e di miti che agiscono per produrre e ri-produrre nel tempo comportamenti, atteggiamenti, motivazioni, senso della vita. Dando un ordine generale e un senso unitario e omologante, quindi rassicurante, davanti all’incertezza della vita, facendo apparire come vera (e come il solo vero possibile) quella dottrina che deve essere praticata e che diventa verità normale, normata e indiscutibile»… un uomo nuovo voluto dal neoliberalsmo: «Un uomo di mercato, confuso con un mercato e una rete che sono disciplina e biopolitica/bioeconomia/biotecnica insieme (andando appunto a governare la vita intera dell’uomo, spogliandolo della sua individualità vera e della sua possibile autonomia)».

 

E sempre a Foucault fa riferimento Tiziana Terranova in un articolo che, prendendo spunto da considerazioni a latere della lettera programmatica di Zuckerberg (che si propone  come portabandiera della tradizione liberale americana – chiudendo con Lincoln, che era un presidente espresso dal partito repubblicano), può essere considerato summa dei temi che si discuteranno al convegno milanese: rischio della polarizzazione (con conseguente “riduzione della diversità informativa” – un aspetto che come radio ci tocca da vicino); algoritmi che vengono incontro al bisogno di pluralismo informativo di quell’individuo-massa (un aggiornamento dell’intuizione del Massa e potere di Elias Canetti di infiniti decenni fa?) che diventa protagonista del proprio annullamento nel “gruppo”;  la differenziazione delle norme culturali, eterogenee rispetto ai riferimenti locali e ricondotte a un processo di valorizzazione globale, riproducendo la normazione foucaultiana su scala digitale planetaria, che si presenta come unica alternativa ai populismi localisti, proprio perché i social traggono vantaggio da “un mondo più aperto e connesso”, che identifica in terrorismo e cambiamento climatico le emergenze critiche.

 

E centrale diventa il fatto che le comunità virtuali sono tali su piattaforma private, che gestiscono ed erogano ogni tipo di servizi (in questi giorni si è parlato a lungo dei differenti interessi contrapposti legati al servizio di trasporto che vede un’economia arcaica e potente in quanto lobby e una multinazionale digitale – con la nuova ferocia di sfruttamento “virtuale” che sta a monte di Uber –  fondata sul capitalismo di piattaforma, come Foodora), all’interno di un’economia di mercato globale che non mette mai in discussione rapporti di proprietà e accumulazione di capitale; quello che viene messo in discussione è l’effettiva esistenza se non si può accedere alla rete, se non si è rintracciabili in Facebook: la morte civile. Dall’altro lato le reti appaiono davvero nella realtà delle general sociality utili anche per contrapporsi allo stesso potere capitalista, o per interpretare le potenzialità della rete o affrontare cataclismi a livello di piattaforme mediatiche, percepite addirittura come ludiche, pur avendo in nuce la forma del controllo sociale futuro.

 

Come controllare un potere che non sembra un potere, che non si riesce a collocare fisicamente da qualche parte essendo una microfisica ovunque e in ogni luogo. Non solo per conoscere di cosa si dibatterà al convegno ma per avere qualche strumento per districarci nel groviglio di opinioni relative a tutto questo dibattito abbiamo interpellato Emauele Braga e Corrado Gemini per dipanare questo macrofenomeno che ha già integrato molte esistenze nell’ultimo decennio, che sono state modificate diventando”profili”, anziché individui, nella disponibilità di un piano pervasivo che disegna i ruoli – spesso interscambiati – di sfruttati dalle piattaforme e consumatori di servizi delle app; il problema è forse individuare fino a che punto vanno combattute queste piattaforme come nella precedente fase del capitalismo si è fatto contro i padroni e quanto invece sfruttare la loro parte virtuosa come occasione per ridistribuire ricchezza e miglioramento delle condizioni di vita in un modo più sano, selezionandola dal fardello di repressione e schiavitù di cui sono portatrici, accentrando capitale in modo proporzionale alla precarizzazione degli individui coinvolti.

Come ribaltare questo paradigma che si va vieppiù consolidando come capitalismo di piattaforma? quanto le filiere produttive, logistiche e distributive possono venire sfidate da piattaforme di stampo non prettamente capitalista nell’ottica di sfilarsi dal teorema del profitto derivante dallo sfruttamento? Si può tentare di decentrare questi enormi apparati globalizzanti, rendendoli a gestione aperta, arrivando a una forma coproprietaria delle piattaforme? O si tratta soltanto di tentare di applicare contro un padrone sfuggente e non identificabile (con cui non si può mai avere neppure un incontro diretto, celato dietro il paravento dell’automatismo regolativo) il passato – e sconfitto – modello di resistenza operato contro le forme di capitalismo moderno e premoderno? E all’opposto dietro questi algoritmi messi in campo dalle piattaforme si nascondono nuovi assetti che si stanno presentando come paradigma politico che interpreta il mondo nella sua interezza agendo sui gangli di tutto il mondo e non solo a livello locale o nazionale, riuscendo a organizzare la società globalmente e a esercitare un forte controllo su di essa?

Forse il 3 e 4 marzo al Macao di Milano non si riuscirà a elaborare una risposta a tutte queste domande, ma si cercherà di avviare il dibattito indispensabile per affrontarle. Intanto sentiamo le parole di Emanuele e Corrado:

Capitalismodipiattaforma


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