Transfobia e gabbie di Stato: contro ogni confine tra territori e generi

Scritto dasu 31 Marzo 2017

Come tant* altr* migrant* illegalizzat* dallo Stato italiano, Adriana è stata rinchiusa in una di quella gabbie che oggi chiamano Cpr, ieri Cie. Cambia il nome, non la sostanza di queste istituzioni totali che sono grimaldello della guerra contro i/le migrant* recentemente rafforzata dalla stretta reazionaria e repressiva del nuovo Ministro della Sicurezza e della Paura, Marco Minniti. Dopo 17 anni di vita in Italia, Adriana è tornata ad essere semplicemente un “corpo deportatile” nel momento in cui ha perso il lavoro e, di conseguenza, come previsto dalla legge Bossi-Fini, la possibilità di rinnovare il proprio permesso di soggiorno. Come lei vivono una condizione di illegalizzazione e deportabilità anche tutt* coloro la cui condizione di migrant* pover* impedisce qualunque accesso ai mercati del lavoro formali, a causa della combinazione tra processi di informalizzazione economica e processi di irregolarizzazione amministrativa determinanti nella costruzione della “clandestinità”. Proprio in questi giorni sono in fase di conversione i decreti Minniti-Orlando su immigrazione e sicurezza urbana, intrisi di razzismo e classismo, che sanciscono chiaramente la criminalizzazione delle persone migranti e  sfruttate.

 

Al razzismo strutturale si interseca, nel caso delle soggettività migranti trans*, un’ulteriore oppressione specifica. All’interno di un ordine politico transfobico e sessista, i corpi trans* eccedenti la macchina sociale di produzione dell’identità vengono patologizzati e repressi. Se il lavoro formale risulta ulteriormente precluso a causa dello stigma sociale, alcune delle professioni a cui possono avere accesso sono oggetto di criminalizzazione. Maggiore, quindi, è il rischio di finire nelle gabbie dello Stato. A loro volta, istituzioni totali come i Cpr e le carceri riproducono la norma cis-sessista attraverso molteplici dispositivi. Tra questi, la negazione della percezione del genere vissuta dalle persone trans* che non abbiano effettuato la transizione attraverso la “demolizione chirurgica”, che in Italia resta un processo di forte patologizzazione ed è perno della Legge 164/82 relativa alla possibilità di “rettificazione anagrafica” (oggi messa in discussione da una storica sentenza della Corte Costituzionale nel 2015, ma in ogni caso irrilevante per chi è “senza documenti”). La negazione o l’estrema difficoltà di accesso ai trattamenti ormonali. La frequente detenzione in regime di isolamento, in una grottesca logica di “immunizzazione” dei corpi trans* rispetto al resto de* detenut*, laddove una delle principali minacce per l’incolumità delle persone trans* è rappresentata proprio dalle forze dell’ordine.

 

Dopo due mesi di detenzione nel Cpr di Brindisi, unicamente maschile, grazie allo sciopero della fame ed all’intervento del Mit (Movimento Identità Transessuale), Adriana era stata illusa di poter uscire dalla gabbia. Un’uscita temporanea e sospesa, come sospesa è l’esistenza di chi è in attesa che lo Stato decida sulla propria vita. Dopo due giorni, però, è stata nuovamente reclusa, questa volta nel Cpr di Caltanissetta, perchè per il solo fatto di non avere una fedina penale del tutto limpida è costretta ad aspettare in gabbia la decisione della Commissione Territoriale rispetto alla sua richiesta di asilo politico. Nuovamente reclusa in un Cpr unicamente maschile, Adriana si trova oggi isolata in un container nel cortile della struttura.

 

Questa mattina abbiamo parlato della transfobia di Stato con Roger delle Cagne Sciolte, che nei giorni scorsi hanno pubblicato un comunicato di solidarietà ad Adriana ed a tutte le persone recluse:

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