Maternità, gestazione o produzione di bambini?
Scritto dainfosu 23 Marzo 2016
Nelle settimane scorse in seguito alla discussione del ddl Cirinnà si è cominciato a parlare in Italia di gestazione per altri peggio detta “maternità surrogata”. E’ significativo il fatto che nel ddl non si accennasse nemmeno alla gpa eppure il tema, declinato subito e non a caso in “utero in affitto”, ha ben presto occupato lo spazio mediatico e il dibattito pubblico. E’ successo che una certa destra, cattolica o opportunista, e una certa sinistra cattolica hanno saputo raccontare il ddl come un “cavallo di troia” avente la funzione di aprire la strada alla gpa anche nel nostro Paese. In realtà il ddl cercava, anche debolmente rispetto ai proclami, di normare le responsabilità giuridiche e i diritti di coppie non sposate oltre che la possibilità da parte di una persona fisica di adottare il figlio del partner. E’ chiaro che la questione riguardava principalmente le coppie omosessuali. Il tema si è quindi imposto all’attenzione pubblica semplicemente perché si parlava di diritti delle coppie omosessuali e della possibilità attraverso la stepchild adoption (poi stralciata) o attraverso la gpa (mai discussa). Non se n’è parlato insomma riguardo alla pratica in sé ma rispetto ai possibili fruitori e qui c’è già una grande rimozione, perlomeno dal dibattito italiano.
Gli argomenti che possono essere sottoposti a dibattito sono davvero molti e non possono essere sintetizzati in queste poche righe. Abbiamo espunto in maniera arbitraria ma ragionevole quelli che attengono all’idoneità o meno degli omosessuali ad adottare, quelli che attengono alla violazione della presunta naturalità della genitorialità, della famiglia e simili.
Peraltro non siamo di fronte a una pratica che può essere bollata come un prodotto degenerato del relativismo come soprattutto da parte cattolica si è voluto asserire. A proposito ci pare illuminante un racconto che ci viene dalla storia romana, perché getta luce su un’epoca in cui questa pratica non era affatto sconosciuta né vergognosa né aveva a che fare con un mercimonio ma a gestirla erano naturalmente gli uomini. E’ il caso di Catone il Giovane che secondo Appiano (la storia è raccontata nel “Bellum Civile”, siamo quindi alla fine della Repubblica) prestò la moglie ad un amico che non poteva avere figli per poi riprenderla tranquillamente in casa con sé (ci dice lo stesso Appiano). Nulla sappiamo del consenso della giovane donna che si chiamava Marzia, sappiamo però che Catone chiese il consenso al padre di lei, tanto per essere chiari.
Nei podcast della trasmissione che seguono l’articolo sentirete le voci dei redattori e di due redattrici che sono intervenute ad hoc sul tema. Ma sentirete soprattutto le voci di Carlotta del collettivo Ambrosia di Milano che prova a riportarci i termini di un dibattito svoltosi l’8 marzo a Milano dal significativo titolo: “GPA e maternità surrogata: mercificazione dei corpi o autodeterminazione?”; Antonio, delle Famiglie Arcobaleno, che si è rivolto alla GPA in California; l’intervento, scritto, di Silvia Federici, storica femminista e operaista; Marina Terragni che introduce un’intervista a Daniela Danna autrice del libro “Contract children” alla Libreria della donne di Milano; la bioeticista Chiara Lalli. L’intenzione della redazione, nell’impossibilità di trovare una sintesi, è di mettere in luce se in questa pratica, già molto diffusa nel mondo e ascrivibile alle coppie omosessuali per una percentuale risibile, sia prevalente l’aspetto di autodeterminazione e libertà per la donna di scegliere se sottoporsi in maniera altruistica o retribuita a una “maternità per conto terzi” o se sia superiore l’assoggettamento che il mercato compie sul corpo della donna povera che non è libera, innanzitutto dal bisogno, nel momento in cui decide di prestare il proprio corpo. Diciamo innanzitutto che non c’è nulla da immaginare ed è già dura realtà un grande mercato di occidentali e non, più o meno facoltosi, che vanno di fatto a comperarsi un figlio da donne che vivono in condizioni di povertà, magari assoggettate a forme di sfruttamento (con tutta probabilità gestite da maschi), per cui le gestanti percepiscono una piccola parte del compenso pagato. Esistono poi molte altre implicazioni. Il bambino, in questa pratica, soffre? Riporta traumi seri? Molti scienziati sostengono di sì. In ogni caso: vale la pena correre questo rischio? Ha senso contrattualizzare un aspetto tanto intimo dell’umano? Cosa succede quando la donna non se la sente, in definitiva, di abbandonare il proprio figlio? Cosa succede dei bambini “difettosi” prodotti da queste cliniche che sfornano bambini? I committenti li rifiutano e spesso la madre naturale (a maggior ragione se non genetica) non li vuole avendoli prodotti per altri.
L’impressione nostra [a scrivere sono i redattori del mercoledì mattina] è che solo accettando un passaggio ulteriore di reificazione dell’umano si possano ignorare simili problematiche. Non ci convince in particolare l’idea di seguire la tecnica in tutto ciò che essa rende possibile a prescindere dalle relazioni di potere che la producono e della struttura economico-sociale che la innerva.
Ascolta il podcast della trasmissione a cura della redazione informativa di Radio Blackout