","Migliaia di persone in fuga dalla battaglia di Aleppo","post",1454953511,[64,65,66,67,68,69,70,71,72],"http://radioblackout.org/tag/accordi-turchia-unione-europea/","http://radioblackout.org/tag/aleppo/","http://radioblackout.org/tag/angela-merkel/","http://radioblackout.org/tag/bombardamenti/","http://radioblackout.org/tag/campo-profughi/","http://radioblackout.org/tag/confine/","http://radioblackout.org/tag/profughi/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[74,75,76,77,78,79,80,15,18],"accordi Turchia-Unione Europea","Aleppo","Angela Merkel","bombardamenti","campo profughi","confine","profughi",{"post_content":82,"post_title":86,"tags":89},{"matched_tokens":83,"snippet":84,"value":85},[75],"in fuga dalla battaglia di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark> che si ammassano al confine","Da giorni sono migliaia le persone in fuga dalla battaglia di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark> che si ammassano al confine con la Turchia. I raid della coalizione che sostiene Assad sta bombardando la città siriana e quasi 70.000 persone sono arrivate nelle ultime 72 ore al confine turco, vicino a Kilis, o si trovano accampati al valico di Bab al-Salam, sperando di poter passare dall’altra parte.\r\n\r\nLa Turchia mantiene invece le frontiere chiuse e dice di aver già fatto molto per l'accoglienza di 30.000 profughi in poche ore tra venerdì e sabato scorso. Proprio oggi Angela Merkel è volata in Turchia per ricordare a Erdogan e al primo ministro Davutoglu gli accordi presi a fine novembre tra Bruxelles e Ankara per ridurre il flusso di migranti diretti in Europa.\r\n\r\nAbbiamo parlato di questa emergenza sul confine turco-siriano e della situazione di Cizre con Murat. Ascolta il contributo:\r\n\r\nUnknown",{"matched_tokens":87,"snippet":88,"value":88},[75],"Migliaia di persone in fuga dalla battaglia di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>",[90,92,95,97,99,101,103,105,107],{"matched_tokens":91,"snippet":74},[],{"matched_tokens":93,"snippet":94},[75],"\u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>",{"matched_tokens":96,"snippet":76},[],{"matched_tokens":98,"snippet":77},[],{"matched_tokens":100,"snippet":78},[],{"matched_tokens":102,"snippet":79},[],{"matched_tokens":104,"snippet":80},[],{"matched_tokens":106,"snippet":15},[],{"matched_tokens":108,"snippet":18},[],[110,116,119],{"field":38,"indices":111,"matched_tokens":113,"snippets":115},[112],1,[114],[75],[94],{"field":117,"matched_tokens":118,"snippet":88,"value":88},"post_title",[75],{"field":120,"matched_tokens":121,"snippet":84,"value":85},"post_content",[75],578730123365712000,{"best_field_score":124,"best_field_weight":125,"fields_matched":23,"num_tokens_dropped":50,"score":126,"tokens_matched":112,"typo_prefix_score":50},"1108091339008",13,"578730123365711979",{"document":128,"highlight":142,"highlights":150,"text_match":155,"text_match_info":156},{"cat_link":129,"category":130,"comment_count":50,"id":131,"is_sticky":50,"permalink":132,"post_author":53,"post_content":133,"post_date":134,"post_excerpt":56,"post_id":131,"post_modified":135,"post_thumbnail":136,"post_thumbnail_html":137,"post_title":138,"post_type":61,"sort_by_date":139,"tag_links":140,"tags":141},[47],[49],"39419","http://radioblackout.org/2016/12/siria-la-conquista-di-aleppo-e-imminente/","Da più di 5 anni Aleppo è teatro di scontri tra le truppe governative e i ribelli, che dal 2012 controllavano la parte est della città. Negli ultimi giorni la parte della città in cui erano asserragliati i ribelli è stata riconquistata dal regime di Assad e i suoi alleati. Anche se nelle ultime ore sono ricominciati violenti scontri e raid aerei nella città siriana, nonostante il cessate il fuoco entrato in vigore alle 17 del 14 dicembre (ora locale), ora più che mai sembra che la caduta di Aleppo sia sempre più vicina. Nel frattempo le vittime fin dall'inizio di questi scontri continuano ad essere i civili. Finora sembra che siano 80mila i civili che sono riusciti a uscire da Aleppo est molti di cui uccisi dai cecchini dei ribelli. Quelli che invece sono riusciti a scappare indenni sono finiti nelle mani delle truppe governative e non hanno avuto sorti migliori. Rapporti Onu denunciano l'uccisione di 82 civili in quattro diversi quartieri di Aleppo assediati dalle forze governative. Inoltre, la notizia della riconquista ormai imminente di Aleppo, la “capitale” del nord del Paese, giunge nelle stesse ore in cui gli uomini di Assad sono stati costretti a ritirarsi da Palmira (a est). L’antica città siriana infatti, “liberata” lo scorso marzo, è ritornata ieri nelle mani dei jihadisti dello Stato Islamico (Is). Causa da attribuirsi probabilmente alla recente riconquista ad opera dell'offensiva anti-Is dell’irachena Mosul e che ha visto un conseguente spostamento dei miliziani di Daesh nuovamente a Palmira.\r\n\r\nPer capire i possibili scenari che si aprono in Siria a seguito della riconquista di Aleppo abbiamo avuto in diretta telefonica Lorenzo Marinoni caporedattore area Medio Oriente di East Journal.\r\nsiria_1412","14 Dicembre 2016","2016-12-16 17:33:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/12/310x0_1481692612960.Mideast_Syria_rain-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/12/310x0_1481692612960.Mideast_Syria_rain-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/12/310x0_1481692612960.Mideast_Syria_rain-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/12/310x0_1481692612960.Mideast_Syria_rain.jpg 310w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Siria. 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La guerra in Siria si era progressivamente \"congelata\" e aveva visto fino ad ora il paese diviso in diverse zone: la zona centrale, incluse le grandi città di Aleppo e Damasco, occupata dalle forze dell'esercito di Assad, la zona del nord-est - il Rojava - controllata dalle Forze Siriane Democratiche (a maggioranza curda) che avevano sconfitto l'ISIS nel 2019, e la zona del nord-ovest in mano alle milizie di HTS. Le varie potenze regionali hanno ultimamente esteso la loro influenza sui vari attori, con la Russia, l'Iran ed Hezbollah schierati a favore del regime di Assad e la Turchia a sostegno, invece, di HTS e dell'Esercito Nazionale Siriano, una ulteriore coalizione di mercenari che Erdogan utilizza principalmente contro il Rojava curdo.\r\n\r\nNon è un caso che questa avanzata delle forze di HTS arrivi in un momento in cui il sostegno per il regime di Assad traballa, con la Russia concentrata sul fronte ucraino, mentre Iran ed Hezbollah sono impegnati nella dura guerra di logoramento con Israele. Di queste difficoltà ha approfittato la Turchia, finanziando e armando HTS e l'Esercito Nazionale Siriano: da un lato, quest'operazione è riuscita a mettere in crisi la tenuta delle forze regolari siriane e potrebbe rappresentare un serio problema per il governo di Bashar al-Assad, dall'altra l'avanzata delle forze islamiste rappresenta un pericolo per il Rojava che si vede minacciato sempre più da presso dai mercenari foraggiati dalla Turchia. Di questa complicata situazione e dei possibili sviluppi futuri abbiamo tracciato un quadro con Marco Magnano, giornalista indipendente di base a Damasco.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/12/Marco-Magnano.mp3\"][/audio]","4 Dicembre 2024","2024-12-04 14:22:15","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/12/cq5dam.thumbnail.cropped.750.422-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/12/cq5dam.thumbnail.cropped.750.422-300x169.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/12/cq5dam.thumbnail.cropped.750.422-300x169.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/12/cq5dam.thumbnail.cropped.750.422.jpeg 750w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Si riaccende lo scontro in Siria, un altro fronte della guerra globale",1733322135,[174,175,176],"http://radioblackout.org/tag/bashar-al-assad/","http://radioblackout.org/tag/conflitto-siriano/","http://radioblackout.org/tag/curdi/",[178,179,180],"bashar al-assad","conflitto siriano","curdi",{"post_content":182},{"matched_tokens":183,"snippet":184,"value":185},[75],"di Assad la città di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark> e stanno avanzando a Sud","In concomitanza con il cessate il fuoco in Libano si è aperto un nuovo fronte nella guerra in Siria, con un'avanzata travolgente delle milizie islamiste di \"Hayat Tahrir Al-Sham\" (\"Organizzazione per la liberazione del Levante\") che hanno riconquistato dalle forze del regime di Assad la città di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark> e stanno avanzando a Sud in direzione della città di Hama. 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Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan","Il grande gioco per il controllo dei territori e delle risorse tra Russia, Turchia e Stati Uniti a cavallo tra Siria e Iraq in queste settimane ha avuto un’accelerazione dopo l’attacco turco all’area del confederalismo democratico nel nord della Siria.\r\nLa morte di Baghdadi, celebrata con grande enfasi e plastica inventiva da “The Donald”, mette in mano al presidente statunitense una carta importante in vista delle elezioni negli States.\r\nSia il New York Times sia il Guardian hanno dato messo in dubbio la versione del Paperone della Casa Bianca.\r\nCome già Osama bin Laden, anche Al Baghdadi, non è stato catturato vivo. Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. 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Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. 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Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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A Efrin, uno dei cantoni del Rojava, si sperimenta il confederalismo democratico.\r\nDopo aver sferrato durissimi colpi ai sostenitori dell’HDP, il partito filocurdo, che si ispira alle teorie del fondatore del PKK, Abdullah Ocalan, Erdogan punta alla Siria.\r\n\r\nDopo la pressoché totale liquidazione dell’ISIS, con l’apporto decisivo delle unità di protezione del popolo del Rojava, le carte tornano sul tavolo e il quadro delle alleanze muta in fretta.\r\nAnkara è decisa a regolare i conti con i curdi siriani, divenuti simbolo materiale della capacità di autogoverno nell’area. Indebolirli e, se possibile, spazzarli via, è indispensabile ad Erdogan per garantire il controllo delle aree curdofone della Turchia, pacificate con estrema violenza due anni fa.\r\nIl Rojava è una spina nel fianco molto dolorosa per il governo Erdogan, che pur fortissimo dopo il dubbio referendum costituzionale, potrebbe trovarsi in difficoltà.\r\n\r\nLe epurazioni di massa nella scuola, nell’esercito, nella magistratura e, più in generale, nella pubblica amministrazione, gli arresti di migliaia di oppositori politici, la distruzione di tante città curde, il bavaglio imposto alla stampa, la violenta gentrificazione, l’islamizzazione forzata, portano ad un allargamento della forbice sociale, al moltiplicarsi delle tensioni politiche, sociali e culturali non facili da reggere nel lungo periodo.\r\n\r\nIl ritiro delle truppe russe da Efrin ha sgomberato il terreno all’azione delle truppe turche, jihaidiste e dell’esercito siriano libero. Gli interessi russi in Turchia sono molto più importanti di questa piccola enclave curdofona nel nord della Siria. Il gasdotto in costruzione – lo stesso contro cui si battono i No Tap del Salento – ha importanza strategica per gli interessi russi.\r\nD’altra parte pare difficile che la Russia tolleri una completa invasione dell’area sotto la propria tutela militare. Siamo nel governatorato di Aleppo, dove la Russia ha ben due basi militari. Non solo. Lo stesso governo siriano potrebbe avere scarso interesse a concedere parti del territorio dello Stato siriano ai maggiori sponsor delle milizie jihaidiste nell’area.\r\nTiepida la reazione statunitense, che tuttavia non controlla Afrin, ma difficilmente permetterà alla Turchia di attaccare a fondo Kobane e Cisre.\r\nNel frattempo da Efrin è partito un appello alla mobilitazione per fronteggiare il tentativo di invasione. 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A Efrin, uno dei cantoni del Rojava, si sperimenta il confederalismo democratico.\r\nDopo aver sferrato durissimi colpi ai sostenitori dell’HDP, il partito filocurdo, che si ispira alle teorie del fondatore del PKK, Abdullah Ocalan, Erdogan punta alla Siria.\r\n\r\nDopo la pressoché totale liquidazione dell’ISIS, con l’apporto decisivo delle unità di protezione del popolo del Rojava, le carte tornano sul tavolo e il quadro delle alleanze muta in fretta.\r\nAnkara è decisa a regolare i conti con i curdi siriani, divenuti simbolo materiale della capacità di autogoverno nell’area. 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Gli interessi russi in Turchia sono molto più importanti di questa piccola enclave curdofona nel nord della Siria. Il gasdotto in costruzione – lo stesso contro cui si battono i No Tap del Salento – ha importanza strategica per gli interessi russi.\r\nD’altra parte pare difficile che la Russia tolleri una completa invasione dell’area sotto la propria tutela militare. Siamo nel governatorato di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>, dove la Russia ha ben due basi militari. Non solo. Lo stesso governo siriano potrebbe avere scarso interesse a concedere parti del territorio dello Stato siriano ai maggiori sponsor delle milizie jihaidiste nell’area.\r\nTiepida la reazione statunitense, che tuttavia non controlla Afrin, ma difficilmente permetterà alla Turchia di attaccare a fondo Kobane e Cisre.\r\nNel frattempo da Efrin è partito un appello alla mobilitazione per fronteggiare il tentativo di invasione. Gli internazionali che combattono in Siria stanno accorrendo nel cantone, per contribuire alla resistenza.\r\n\r\nLo scorso fine settimana un corteo spontaneo ha attraversato Roma diretto all’ambasciata russa. Diverse altre manifestazioni di solidarietà si sono svolte i questi scorsi nel nostro paese: altre sono in programma in settimana.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo – Pachino – Andolina, anarchico e squatter torinese, nonché ex combattente nell’antifa Tabur in Siria.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 01 23 pachino afrin",[293],{"field":120,"matched_tokens":294,"snippet":290,"value":291},[75],{"best_field_score":157,"best_field_weight":190,"fields_matched":112,"num_tokens_dropped":50,"score":191,"tokens_matched":112,"typo_prefix_score":50},6646,{"collection_name":61,"first_q":75,"per_page":298,"q":75},6,5,{"facet_counts":301,"found":23,"hits":334,"out_of":413,"page":112,"request_params":414,"search_cutoff":39,"search_time_ms":415},[302,310],{"counts":303,"field_name":308,"sampled":39,"stats":309},[304,306],{"count":28,"highlighted":305,"value":305},"defendkurdistan",{"count":112,"highlighted":307,"value":307},"anarres","podcastfilter",{"total_values":28},{"counts":311,"field_name":38,"sampled":39,"stats":332},[312,314,316,318,320,322,324,326,328,330],{"count":112,"highlighted":313,"value":313},"rom",{"count":112,"highlighted":315,"value":315},"pogrom",{"count":112,"highlighted":317,"value":317},"porrajmos",{"count":112,"highlighted":319,"value":319},"casa pound",{"count":112,"highlighted":321,"value":321},"forza nuova",{"count":112,"highlighted":323,"value":323},"baraccopoli",{"count":112,"highlighted":325,"value":325},"via germagnano",{"count":112,"highlighted":327,"value":327},"piazza san calo",{"count":112,"highlighted":329,"value":329},"polizia violenta",{"count":112,"highlighted":331,"value":331},"la guerra in casa",{"total_values":333},11,[335,359,380],{"document":336,"highlight":350,"highlights":355,"text_match":155,"text_match_info":358},{"comment_count":50,"id":337,"is_sticky":50,"permalink":338,"podcastfilter":339,"post_author":340,"post_content":341,"post_date":342,"post_excerpt":56,"post_id":337,"post_modified":343,"post_thumbnail":344,"post_title":345,"post_type":346,"sort_by_date":347,"tag_links":348,"tags":349},"97098","http://radioblackout.org/podcast/aggiornamenti-dalla-campagna-defend-rojava-cosa-succede-in-siria/",[305],"Alessandro","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/04/podcast-DR12.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[Download]\r\n\r\nAhmed Al Shara, presidente ad interim della Siria ha nominato il nuovo governo dopo la presentazione della costituzione provvisoria. Si tratta di un gabinetto composto da 23 membri, di cui 4 facenti parte di gruppi minoritari. Continuano però le preoccupazioni su questo governo e sul processo, ben poco democratico, che ha portato a questa formazione. L'amministrazione autonoma della Siria del Nord Est ha rilasciato a proposito un comunicato in cui sottolinea come il governo di Damasco abbia costantemente escluso diversi segmenti e gruppi etnici del popolo siriano dai processi politici e come abbia perseguito un approccio di governance unilaterale.\r\n\r\nSi legge nel comunicato:\r\n\r\n\"Qualsiasi governo che non rifletta la struttura multiculturale e polifonica della Siria non può governare il paese in modo sano e non può offrire una via d'uscita dall'attuale crisi. Al contrario, tali governi aggravano la crisi e creano nuove situazioni di stallo invece di risolvere le cause profonde del problema. Pertanto, non abbiamo alcun obbligo di attuare le decisioni di tali governi. Ripetere gli errori del passato danneggerà solo il popolo siriano e non aprirà mai la strada a una soluzione politica globale\".\r\n\r\nL'amministrazione autonoma si rivolge direttamente al governo quindi, facendo presente che o nel concreto si avvia un processo democratico interno al Paese, oppure l'amministrazione non riterrà legittime le decisioni del governo centrale. Ciò succede dopo che il governo centrale e le SDF, le forze militari dell'amministrazione autonoma, hanno firmato un accordo in otto punti, di cui abbiamo parlato nella puntata dedicata a Lorenzo Orsetti, che di fatto rappresenta il primo passo verso l’integrazione delle istituzioni civili e militari della Siria del Nord-Est nel governo siriano.\r\n\r\nA ciò si aggiunge la notizia che i quartieri a maggioranza curda Sheikh Maqsoud e Ashrafiyah di Aleppo, città che si trova fuori dall'amministrazione autonoma della Siria del nord est, hanno raggiunto un'accordo con il governo centrale siriano. 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Rendendosi conto della realtà della situazione, il popolo della rivoluzione, il popolo di Rêber Apo, si è prontamente ribellato e si è mosso verso la diga di Tişirin per protestare contro gli attacchi immotivati dello stato turco e per dimostrare il proprio sostegno ai combattenti delle SDF che resistevano in prima linea (a circa 3 km dalla diga).\r\n\r\n\r\n\r\nSotto lo spirito della guerra popolare rivoluzionaria, i popoli del Rojava hanno formato veri e propri scudi umani per difendere la diga, provenienti da ogni gruppo etnico e da ogni parte della Siria nord-orientale [...] Il coraggio, la potenza in ciò è semplicemente inspiegabile. Mentre le persone fuggono dalle bombe, ce ne sono altre che corrono l'una verso l'altra per proteggere i loro compagni dalla loro parte, sapendo che questa potrebbe essere la loro ultima mossa. Mentre le bombe cadevano intorno a noi, gli slogan di resistenza aumentavano, il morale si elevava a ogni suono di esplosione.\r\n\r\n\r\n\r\n[...] assistere alla resistenza popolare sulla diga ha avuto un impatto enorme tra i combattenti. Hanno visto le loro coraggiose donne e uomini anziani come le loro madri e padri lì per loro e, motivati da questo spirito di guerra popolare rivoluzionaria, sono andati ad affrontare il nemico e ondata dopo ondata di attacchi mercenari sono stati sconfitti dalle SDF. Sì, i compagni sono caduti martiri, gli amici non hanno potuto muovere i loro corpi per giorni a causa del volo costante dei droni turchi sulle nostre teste, abbiamo ferito degli amici, ma questa è la realtà della guerra. Il vero volto di questa resistenza non risiede nelle vittorie militari sul campo di battaglia. La vera resistenza risiede in ognuna di queste giovani donne e uomini che hanno capito nel profondo perché stiamo combattendo.\r\n\r\n\r\n\r\n[...] Lo spirito è forte e il significato della nostra vita quotidiana ha raggiunto un livello diverso dal sacrificio delle persone alla diga dei martiri. In questo momento gli scontri sono meno frequenti, gli attacchi dell'SNA sono concentrati sull'uso di armi pesanti e con il supporto dei droni e degli aerei da guerra dello stato turco, molto simili alla resistenza sulle montagne libere del Kurdistan. Siamo entrati in un nuovo momento per il Kurdistan e per la Rivoluzione, c'è ancora molto da accadere e molto da chiarire. Tuttavia, qui in prima linea alla diga di Tişrîn, il nostro obiettivo e il nostro lavoro sono chiari come l'acqua della diga che difendiamo. Siamo pronti, motivati e impazienti. Non ci arrenderemo e sotto lo spirito della guerra popolare rivoluzionaria prevarremo ancora una volta contro questo barbaro nemico fascista. Lunga vita alla resistenza a Tişirin Lunga vita al popolo Vittoria o vittoria!”\r\n\r\n\r\n\r\nMarzo 2025\r\n\r\n\r\nIl 4 aprile è stato il giorno internazionale del libro di Ocalan e in tutto il mondo, compresa Torino, si sono tenute iniziative di dibattito e letture dei testi di Abdullah Ocalan, filosofo e rivoluzionario in carcere da 26 anni nell'isola - prigione di Imrali. I suoi testi, in particolare quelli scritti in carcere, hanno ispirato la rivoluzione del Rojava e continuano ad ispirare in tutto il mondo la lotta politica di tantissime persone. La campagna per la liberazione fisica di Ocalan continua, con ancora più forza dopo i recenti sviluppi seguiti alle visite che ha ricevuto da parte di esponenti del partito DEM turco e dopo l'appello alla pace e alla società democratica, di cui potete trovare un commento nei podcast pubblicati sul sito.","10 Aprile 2025","2025-04-10 16:02:39","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/AGGIORNAMENTI-DALLA-CAMPAGNA-DEFEND-ROJAVA-2-1-e1744293681399-200x110.png","Aggiornamenti dalla campagna Defend Rojava! Cosa succede in Siria.","podcast",1744300959,[],[],{"post_content":351},{"matched_tokens":352,"snippet":353,"value":354},[75],"Sheikh Maqsoud e Ashrafiyah di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>, città che si trova fuori","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/04/podcast-DR12.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[Download]\r\n\r\nAhmed Al Shara, presidente ad interim della Siria ha nominato il nuovo governo dopo la presentazione della costituzione provvisoria. 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Oltre alla documentazione delle mattanze di civili, sono arrivate notizie anche di una imponente carovana composta da membri del Fronte al-Nusra, di al-Qaeda, dell'ISIS e dell'SNA dirette nelle aree dove sono maggiormente concentrare le comunità di fede nusayri-alawita.\r\n\r\nI massacri continuano anche ora mentre stiamo registrando, nella sera del nove marzo, e l'Osservatorio Siriano per i diritti umani conta ormai centinaia di civili alawiti uccisi nella regione costiera dalle cosìddette forze di sicurezza e dai gruppi alleati tramite esecuzioni seguite da saccheggi e distruzione delle proprietà. L'accusa che pare muovere queste operazioni è quella di presunta fedeltà al regime caduto di Assad, le cui tecniche di guerra vengono ora replicate dalle milizie di HTS che lanciano indiscriminatamente esplosivi dagli elicotteri, come le forze di Bashar Assad facevano a inizio della guerra.\r\n\r\nGià dalla prima mattina si sono tenute proteste di parte della popolazione delle principali aree costiere, in particolare in prossimità delle basi russe ancora presenti sul territorio, per chiedere l'intervento dell'esercito contro le bande assassine di al Jolani e dello stato fascista turco che hanno ripreso questi massacri. non si tratta tuttavia di una risposta limitata alla situazione di queste notti, perchè già nei giorni precedenti in diverse aree della Siria si erano formate proteste simili contro il governo di transizione e l'attuale processo costituente.\r\n\r\nE' inoltre delle ultime ore di questa giornata la notizia che le forze fedeli all'amministrazione di Damasco hanno attaccato il checkpoint nel quartiere Shex Meqsoud di Aleppo, che è fin ora autoamministrato e protetto dalle forza di difesa democratiche, le SDF. L'azione ha lasciato feriti diversi membri dell'ordine pubblico e alcuni cittadini, senza tuttavia avere altre conseguenze.\r\n\r\nAnche nella regione di Zap, nel Basur, il Kurdistan iracheno, i bombardamenti sulle montagne della guerrilla che riportavamo la scorsa settimana ancora continuano ed è importante sottolineare come questo accada anche nonostante la dichiarazione di cessate il fuoco del PKK, che chiaramente deve mantenere la possibilità di autodifesa in caso di attacchi.\r\n\r\n“Salutiamo tutte le donne che hanno resistito a ogni tipo di molestia, tortura e violenza fin dall'inizio della storia, che con la loro resistenza si sono guadagnate un posto nella memoria sociale e che sono motivo di orgoglio.\" - Inizia così il messaggio del Comando Generale delle YPJ per la Giornata Internazionale della donna lavoratrice. \" \r\n\r\nSi ricordano le martiri cadute resistendo, si riportano vivi i nomi delle antenate che con le loro vite hanno contribuito a tessere la storia della libertà, con un discorso che ancora una volta tiene insieme il presente di guerra, la tensione al futuro libero e il passato come elemento che, come cosa viva, può infondere la propria linfa nutriente alle donne che lottano in questi nostri giorni. \r\n\r\nSi legge: \"La cultura della resistenza dell'8 marzo continua ancora oggi nella Siria settentrionale e orientale sotto la guida delle YPJ. Le donne difendono se stesse e le loro società con sacrificio, eroismo e resilienza senza precedenti in tutti gli ambiti della vita. Migliaia di belle anime combatterono eroicamente in queste terre e furono martirizzate nella lotta per la libertà. Donne provenienti da tutto il mondo e dal Kurdistan si sono riversate nella rivoluzione e hanno scritto poemi epici con il loro coraggio. (...) Ancora una volta, persone di tutte le fedi, gruppi etnici e colori si abbracciarono e furono testimoni di questa lotta storica. Questa lotta sarà coronata dalla vittoria con la fede, la conoscenza, la volontà e il potere delle donne.\"\r\n\r\n Riguardo all'appello del leader Apo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana le compagne riportano il grande entusiasmo che ha suscitato nel popolo e in particolare nelle donne, che ne hanno tratto forza rinnovata anche per affrontare un otto marzo di celebrazioni e lotta. \"Riteniamo - scrivono - che la chiamata di Leader APO sia significativa e preziosa. Seguiamo da vicino le discussioni odierne sulla soluzione del problema curdo. Oggi lo Stato turco mostra il suo atteggiamento nei confronti del processo con i suoi intensi attacchi alla diga di Tishrin e al ponte Qereqozax. \r\n\r\nLa Siria ha vissuto grandi dolori e sofferenze negli ultimi 14 anni. Questi dolori sociali non possono essere risolti da HTS e dal suo leader al Jolani. Il governo stabilito a Damasco non può risolvere i problemi con la mentalità jihadista e salafita, Non può eliminare 14 anni di distruzione e dolore. Gli oppositori di questa amministrazione sono oggi sottoposti ad attacchi sistematici, violenze e genocidi in tutta la Siria. I drusi sono soggetti a oppressione e attacchi, gli aleviti sono soggetti a genocidio, il popolo curdo viene negato. Anche il popolo arabo rimane senza volontà e opzioni. Una mentalità che costringa tutti a tacere e a sottomettersi all'oppressione non può risolvere i problemi o salvarsi dalla sorte toccata al regime di Baath. Pertanto, coloro che adottano lo stesso percorso e metodo, finiranno come la fine del regime di Baath.\"\r\n\r\n \r\n\r\n La rivoluzione del Rojava è prima di tutto la rivoluzione delle donne, una rivoluzione della società. L'8 marzo, Giornata Internazionale della Donna è una data che per sua stessa storia è una data socialista: nel 1917, l'8 marzo apriva le porte alla rivoluzione russa, con le donne scese in strada per protestare per le istanze più semplici eppure più radicali: il pane e la pace. Anche a Torino nell'agosto del 1917 saranno le donne a scendere in piazza per prime contro la guerra e non è un caso che siano proprio le donne a sentire con più forza l'urgenza del momento, in quanto storicamente incarnano il lavoro riproduttivo e sono coloro che permettono a tutta la vita della società di scorrere e di intrecciarsi. Questo anche la rivoluzione del Rojava lo sa ed è infatti in occasione delle celebrazioni dell'otto marzo del 1998 che il leader Ocalan ha invitato le compagne a teorizzare e rendere strategia rivoluzionaria l'ideologia di liberazione della donna. Dove tutti i socialismi precedenti hanno fallito, lì le donne del Rojava hanno posto le basi profonde per una vita libera in primis dal patriarcato, unendo alla lotta di classe quella di genere. \r\n\r\nL'auto-organizzazione delle donne era iniziata nella guerriglia nel 1993, ma è dal congresso del 1995 che anche per il PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, il cui presidente è tutt'ora Abdullah Ocalan, diventa una necessità ineludibile dell'organizzazione rivoluzionaria. Successivamente, il primo Congresso di liberazione delle donne curde, avvenuto qualche mese dopo, e spesso definito come la “prima conferenza nazionale delle donne”, ha permesso alle donne di diverse aree di discutere i loro problemi, di criticare e autocriticarsi, di definire principi, stili organizzativi e meccanismi decisionali, creando anche la prima organizzazione femminile autonoma e separata. \r\n\r\nAnche per quanto riguarda l'esercito di difesa delle donne si sono fatte profonde analisi, decretando che dovesse essere qualcosa di radicalmente nuovo, di qualitativamente diverso dagli eserciti militaristi e colonialisti, così le donne guerrigliere hanno prodotto profonde ricerche sulla partecipazione femminile alle lotte socialiste e di liberazione nazionale in America Centrale e Latina, in Cina, in Vietnam, Algeria, Palestina, Germania, Irlanda e Paesi Baschi. Constatata, anche nelle più rosse lotte di liberazione nazionale, la mancanza di profonde analisi delle dinamiche del patriarcato e delle sue intersezioni - diremmo oggi - con le altre forme di oppressione, hanno compreso che per abolire sistemi di oppressione così complessi da ingabbiare tutte le sfere della vita, bisognava partire dalla forma più antica di violenza: il patriarcato.\r\n\r\n \r\n\r\nUccidere e trasformare la mascolinità dominante è il principio primario del socialismo nella prospettiva di Abdullah Ocalan e del movimento per la libertà, per cui conoscere le radici storiche che hanno reso la donna la prima colonia è essenziale per comprendere la radicalità del lavoro, anche in forma di autocritica, che è necessario fare per la rivoluzione. ed è anche di questo infatti che parla il messaggio arrivato questo sabato dal carcere di Imrali, un messaggio di speranza e di affetto rivolto alle compagne e alle donne in lotta firmato da Abdullah Ocalan.\r\n\r\nRipercorrendo la storia del patriarcato fino alle sue radici più lontane, risalenti a circa 5000 anni fa, Ocalan mette in luce in particolare da un lato il suo carattere sistemico, dall'altro il fatto che si tratti di una mentalità cresciuta insieme alla mentalità delle religioni monoteiste e alle prime forme di città-stato. Per opporsi a ciò, è dunque fondamentale che le donne abbiano consapevolezza d'essere il soggetto sociale che più ha possibilità di far vivere una vera e propria cultura della libertà e che il resto della società, e in particolare gli uomini socialisti, si questionino in maniera radicale su se e come sono in grado di rapportarsi democraticamente con le donne. Scrive infatti: \"Il socialismo può essere raggiunto solo attraverso la libertà delle donne. Senza la libertà delle donne non si può essere socialisti. Il socialismo non si può realizzare. Senza democrazia, non ci può essere socialismo. La mia prima prova di socialismo si è resa evidente nel modo in cui parlavo alle donne. Una persona che non sa come parlare a una donna non può essere un socialista. Per un uomo, diventare socialista dipende dal modo in cui si relaziona con le donne.\"\r\n\r\nOcalan continua \"La rinascita che avverrà è molto importante. Le donne non devono essere considerate solo biologicamente, ma anche socialmente, culturalmente e storicamente. Come dice Simone De Beauvoir, non si nasce donna, si diventa donna.\"\r\n\r\n e conclude con \"Il problema delle donne è ancora più profondo del problema curdo. Il problema delle donne è ancora più centrale del problema curdo. Abbiamo ottenuto solo piccoli miglioramenti in questo senso. La cultura della guerra e del conflitto è diretta principalmente contro le donne. La distruzione di questa cultura è la forza trainante della nostra lotta.\r\nLo spirito di questo periodo è la politica democratica e il linguaggio è quello della pace. L'Appello per la pace e la società democratica è allo stesso tempo un Rinascimento per le donne. Saluto le donne che credono nella vita comune e ascoltano il mio appello con l'amore di Mem e Zîn e Dervish Evde, e festeggio l'8 marzo, Giornata internazionale delle donne lavoratrici.\"\r\n\r\nLa nostra vendetta sarà la rivoluzione delle donne - è uno degli slogan che da questa rivoluzione ci giungono come invito e che sabato spiccava su alcuni cartelli anche nelle nostre piazze.\r\n\r\n \r\n\r\nQui la canzone utilizzata nel podcast!","11 Marzo 2025","2025-03-11 14:25:38","Otto marzo: giornata internazionale della donna lavoratrice. Aggiornamento dalla campagna Defend Rojava",1741703010,[],[],{"post_content":372},{"matched_tokens":373,"snippet":374,"value":375},[75],"nel quartiere Shex Meqsoud di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>, che è fin ora autoamministrato","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/podcast-dr-9-.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[Dawnload]\r\n\r\n È della notte tra il 6 e il 7 marzo la notizia del trasferimento di un imponente convoglio di mezzi militari turchi che dalla Turchia sono arrivati a Idlib, poi Manbij e infine verso Tishrin, dove sulla diga è ancora attiva la resistenza popolare, anche se i bombardamenti non cessano.\r\n\r\nSono state ore di pesanti massacri lungo le coste siriane ad opera di HTS i cui miliziani non mancano di documentare con foto e video l'uso di patch dell'ISIS sulle divise, intanto che operano violenza con la partecipazione di bande fondamentaliste di gruppi diversi. Oltre alla documentazione delle mattanze di civili, sono arrivate notizie anche di una imponente carovana composta da membri del Fronte al-Nusra, di al-Qaeda, dell'ISIS e dell'SNA dirette nelle aree dove sono maggiormente concentrare le comunità di fede nusayri-alawita.\r\n\r\nI massacri continuano anche ora mentre stiamo registrando, nella sera del nove marzo, e l'Osservatorio Siriano per i diritti umani conta ormai centinaia di civili alawiti uccisi nella regione costiera dalle cosìddette forze di sicurezza e dai gruppi alleati tramite esecuzioni seguite da saccheggi e distruzione delle proprietà. L'accusa che pare muovere queste operazioni è quella di presunta fedeltà al regime caduto di Assad, le cui tecniche di guerra vengono ora replicate dalle milizie di HTS che lanciano indiscriminatamente esplosivi dagli elicotteri, come le forze di Bashar Assad facevano a inizio della guerra.\r\n\r\nGià dalla prima mattina si sono tenute proteste di parte della popolazione delle principali aree costiere, in particolare in prossimità delle basi russe ancora presenti sul territorio, per chiedere l'intervento dell'esercito contro le bande assassine di al Jolani e dello stato fascista turco che hanno ripreso questi massacri. non si tratta tuttavia di una risposta limitata alla situazione di queste notti, perchè già nei giorni precedenti in diverse aree della Siria si erano formate proteste simili contro il governo di transizione e l'attuale processo costituente.\r\n\r\nE' inoltre delle ultime ore di questa giornata la notizia che le forze fedeli all'amministrazione di Damasco hanno attaccato il checkpoint nel quartiere Shex Meqsoud di \u003Cmark>Aleppo\u003C/mark>, che è fin ora autoamministrato e protetto dalle forza di difesa democratiche, le SDF. L'azione ha lasciato feriti diversi membri dell'ordine pubblico e alcuni cittadini, senza tuttavia avere altre conseguenze.\r\n\r\nAnche nella regione di Zap, nel Basur, il Kurdistan iracheno, i bombardamenti sulle montagne della guerrilla che riportavamo la scorsa settimana ancora continuano ed è importante sottolineare come questo accada anche nonostante la dichiarazione di cessate il fuoco del PKK, che chiaramente deve mantenere la possibilità di autodifesa in caso di attacchi.\r\n\r\n“Salutiamo tutte le donne che hanno resistito a ogni tipo di molestia, tortura e violenza fin dall'inizio della storia, che con la loro resistenza si sono guadagnate un posto nella memoria sociale e che sono motivo di orgoglio.\" - Inizia così il messaggio del Comando Generale delle YPJ per la Giornata Internazionale della donna lavoratrice. \" \r\n\r\nSi ricordano le martiri cadute resistendo, si riportano vivi i nomi delle antenate che con le loro vite hanno contribuito a tessere la storia della libertà, con un discorso che ancora una volta tiene insieme il presente di guerra, la tensione al futuro libero e il passato come elemento che, come cosa viva, può infondere la propria linfa nutriente alle donne che lottano in questi nostri giorni. \r\n\r\nSi legge: \"La cultura della resistenza dell'8 marzo continua ancora oggi nella Siria settentrionale e orientale sotto la guida delle YPJ. Le donne difendono se stesse e le loro società con sacrificio, eroismo e resilienza senza precedenti in tutti gli ambiti della vita. Migliaia di belle anime combatterono eroicamente in queste terre e furono martirizzate nella lotta per la libertà. Donne provenienti da tutto il mondo e dal Kurdistan si sono riversate nella rivoluzione e hanno scritto poemi epici con il loro coraggio. (...) Ancora una volta, persone di tutte le fedi, gruppi etnici e colori si abbracciarono e furono testimoni di questa lotta storica. Questa lotta sarà coronata dalla vittoria con la fede, la conoscenza, la volontà e il potere delle donne.\"\r\n\r\n Riguardo all'appello del leader Apo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana le compagne riportano il grande entusiasmo che ha suscitato nel popolo e in particolare nelle donne, che ne hanno tratto forza rinnovata anche per affrontare un otto marzo di celebrazioni e lotta. \"Riteniamo - scrivono - che la chiamata di Leader APO sia significativa e preziosa. Seguiamo da vicino le discussioni odierne sulla soluzione del problema curdo. Oggi lo Stato turco mostra il suo atteggiamento nei confronti del processo con i suoi intensi attacchi alla diga di Tishrin e al ponte Qereqozax. \r\n\r\nLa Siria ha vissuto grandi dolori e sofferenze negli ultimi 14 anni. Questi dolori sociali non possono essere risolti da HTS e dal suo leader al Jolani. Il governo stabilito a Damasco non può risolvere i problemi con la mentalità jihadista e salafita, Non può eliminare 14 anni di distruzione e dolore. Gli oppositori di questa amministrazione sono oggi sottoposti ad attacchi sistematici, violenze e genocidi in tutta la Siria. I drusi sono soggetti a oppressione e attacchi, gli aleviti sono soggetti a genocidio, il popolo curdo viene negato. Anche il popolo arabo rimane senza volontà e opzioni. Una mentalità che costringa tutti a tacere e a sottomettersi all'oppressione non può risolvere i problemi o salvarsi dalla sorte toccata al regime di Baath. Pertanto, coloro che adottano lo stesso percorso e metodo, finiranno come la fine del regime di Baath.\"\r\n\r\n \r\n\r\n La rivoluzione del Rojava è prima di tutto la rivoluzione delle donne, una rivoluzione della società. L'8 marzo, Giornata Internazionale della Donna è una data che per sua stessa storia è una data socialista: nel 1917, l'8 marzo apriva le porte alla rivoluzione russa, con le donne scese in strada per protestare per le istanze più semplici eppure più radicali: il pane e la pace. Anche a Torino nell'agosto del 1917 saranno le donne a scendere in piazza per prime contro la guerra e non è un caso che siano proprio le donne a sentire con più forza l'urgenza del momento, in quanto storicamente incarnano il lavoro riproduttivo e sono coloro che permettono a tutta la vita della società di scorrere e di intrecciarsi. Questo anche la rivoluzione del Rojava lo sa ed è infatti in occasione delle celebrazioni dell'otto marzo del 1998 che il leader Ocalan ha invitato le compagne a teorizzare e rendere strategia rivoluzionaria l'ideologia di liberazione della donna. Dove tutti i socialismi precedenti hanno fallito, lì le donne del Rojava hanno posto le basi profonde per una vita libera in primis dal patriarcato, unendo alla lotta di classe quella di genere. \r\n\r\nL'auto-organizzazione delle donne era iniziata nella guerriglia nel 1993, ma è dal congresso del 1995 che anche per il PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, il cui presidente è tutt'ora Abdullah Ocalan, diventa una necessità ineludibile dell'organizzazione rivoluzionaria. Successivamente, il primo Congresso di liberazione delle donne curde, avvenuto qualche mese dopo, e spesso definito come la “prima conferenza nazionale delle donne”, ha permesso alle donne di diverse aree di discutere i loro problemi, di criticare e autocriticarsi, di definire principi, stili organizzativi e meccanismi decisionali, creando anche la prima organizzazione femminile autonoma e separata. \r\n\r\nAnche per quanto riguarda l'esercito di difesa delle donne si sono fatte profonde analisi, decretando che dovesse essere qualcosa di radicalmente nuovo, di qualitativamente diverso dagli eserciti militaristi e colonialisti, così le donne guerrigliere hanno prodotto profonde ricerche sulla partecipazione femminile alle lotte socialiste e di liberazione nazionale in America Centrale e Latina, in Cina, in Vietnam, Algeria, Palestina, Germania, Irlanda e Paesi Baschi. Constatata, anche nelle più rosse lotte di liberazione nazionale, la mancanza di profonde analisi delle dinamiche del patriarcato e delle sue intersezioni - diremmo oggi - con le altre forme di oppressione, hanno compreso che per abolire sistemi di oppressione così complessi da ingabbiare tutte le sfere della vita, bisognava partire dalla forma più antica di violenza: il patriarcato.\r\n\r\n \r\n\r\nUccidere e trasformare la mascolinità dominante è il principio primario del socialismo nella prospettiva di Abdullah Ocalan e del movimento per la libertà, per cui conoscere le radici storiche che hanno reso la donna la prima colonia è essenziale per comprendere la radicalità del lavoro, anche in forma di autocritica, che è necessario fare per la rivoluzione. ed è anche di questo infatti che parla il messaggio arrivato questo sabato dal carcere di Imrali, un messaggio di speranza e di affetto rivolto alle compagne e alle donne in lotta firmato da Abdullah Ocalan.\r\n\r\nRipercorrendo la storia del patriarcato fino alle sue radici più lontane, risalenti a circa 5000 anni fa, Ocalan mette in luce in particolare da un lato il suo carattere sistemico, dall'altro il fatto che si tratti di una mentalità cresciuta insieme alla mentalità delle religioni monoteiste e alle prime forme di città-stato. Per opporsi a ciò, è dunque fondamentale che le donne abbiano consapevolezza d'essere il soggetto sociale che più ha possibilità di far vivere una vera e propria cultura della libertà e che il resto della società, e in particolare gli uomini socialisti, si questionino in maniera radicale su se e come sono in grado di rapportarsi democraticamente con le donne. Scrive infatti: \"Il socialismo può essere raggiunto solo attraverso la libertà delle donne. Senza la libertà delle donne non si può essere socialisti. Il socialismo non si può realizzare. Senza democrazia, non ci può essere socialismo. La mia prima prova di socialismo si è resa evidente nel modo in cui parlavo alle donne. Una persona che non sa come parlare a una donna non può essere un socialista. Per un uomo, diventare socialista dipende dal modo in cui si relaziona con le donne.\"\r\n\r\nOcalan continua \"La rinascita che avverrà è molto importante. Le donne non devono essere considerate solo biologicamente, ma anche socialmente, culturalmente e storicamente. Come dice Simone De Beauvoir, non si nasce donna, si diventa donna.\"\r\n\r\n e conclude con \"Il problema delle donne è ancora più profondo del problema curdo. Il problema delle donne è ancora più centrale del problema curdo. Abbiamo ottenuto solo piccoli miglioramenti in questo senso. La cultura della guerra e del conflitto è diretta principalmente contro le donne. La distruzione di questa cultura è la forza trainante della nostra lotta.\r\nLo spirito di questo periodo è la politica democratica e il linguaggio è quello della pace. L'Appello per la pace e la società democratica è allo stesso tempo un Rinascimento per le donne. Saluto le donne che credono nella vita comune e ascoltano il mio appello con l'amore di Mem e Zîn e Dervish Evde, e festeggio l'8 marzo, Giornata internazionale delle donne lavoratrici.\"\r\n\r\nLa nostra vendetta sarà la rivoluzione delle donne - è uno degli slogan che da questa rivoluzione ci giungono come invito e che sabato spiccava su alcuni cartelli anche nelle nostre piazze.\r\n\r\n \r\n\r\nQui la canzone utilizzata nel podcast!",[377],{"field":120,"matched_tokens":378,"snippet":374,"value":375},[75],{"best_field_score":157,"best_field_weight":190,"fields_matched":112,"num_tokens_dropped":50,"score":191,"tokens_matched":112,"typo_prefix_score":50},{"document":381,"highlight":404,"highlights":409,"text_match":155,"text_match_info":412},{"comment_count":50,"id":382,"is_sticky":50,"permalink":383,"podcastfilter":384,"post_author":307,"post_content":385,"post_date":386,"post_excerpt":56,"post_id":382,"post_modified":387,"post_thumbnail":388,"post_title":389,"post_type":346,"sort_by_date":390,"tag_links":391,"tags":403},"42536","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-16-giugno-normale-violenza-di-polizia-la-guerra-in-casa-aria-di-pogrom-porrajmos-casseruolata-contro-sgomberi-e-fascisti/",[307],"Come ogni venerdì, anche il 16 giugno, dalle 10,45 alle 12,45, sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout, siamo scesi con la nostra navicella su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\n \r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n2017 06 16 anarres1\r\n2017 06 16 anarres2\r\n2017 06 16 anarres3\r\n\r\n \r\n\r\nIn questa puntata:\r\n\r\n \r\nPestaggi, abusi e ricatti. 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