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A parte il disinteresse dei media italiani per la Kisan Long March, questa massa che rappresenta un'enorme fetta della popolazione attiva indiana al di fuori del caos urbano, oltre a contare sull asolidarietà locale, ha bucato gli schermi di mezzo mondo, anche perché si tratta della prima dirompente protesta contro lo strapotere del leader nazionalista Narendra Modi.\r\n\r\nPer questo motivo risulta interessante approfondire i motivi che hanno spinto il mondo rurale a invadere pacificamente la popolosa capitale economica per mostrare la propria difficoltà a sostenere le riforme modernizzatrici del governo centrale in materia economica (negli ultimi anni l'incidenza dei suicidi tra gli agricoltori è stata davvero elevata, in particolare dopo la demonetizzazione di qualche mese fa), mentre le tecnologie di coltivazione sono rimaste molto arretrate. A questo scopo abbiamo pensato che tornasse utile porre la questione all'unico estensore di un articolo comparso al proposito nel panorama italiano, e questa è stata l'occasione per Matteo Miavaldi di dischiuderci una serie di panorami relativi alla situazione indiana, passando dal dettaglio dell'evento alla realtà generale nella prospettiva elettorale del 2019, che vedrà la probabile conferma dello strapotere del corrotto Bjp, che va incarnando il sistema India in assenza di valide alternative e sull'onda del populismo nazionalista hindu. Anche se localmente alleanze, come quella che si è affermata nelel elezioni supplettive di questo mese in Uthar Pradesh (lo stato più popoloso), potrebbero battere l'islamofobo premier.\r\n\r\nLe richieste riguardano essenzialmente la cancellazione dei debiti degli agricoltori colpiti da eventi climatici siccitosi, la possibilità di accedere alla proprietà delle terre (attualmente i campi sono molto piccoli per ciascun coltivatore, spesso braccianti non proprietari, e questo impedisce economie di scala che consentano la sopravvivenza e l'accesso al credito), l’deguamento del sistema di irrigazione e l’aumento del prezzo dei prodotti agricoli (ora a chi lavora la terra rimane il 10% del prezzo al consumo), ma sullo sfondo si intravede la delusione per le promesse del 2014, al momento dell'avvento di Modi al potere, che nel comparto agricolo sono state disattese; anzi, il mondo contadino – che rappresenta il 50-70% delle famiglie indiane – ha subito vari provvedimenti che hanno affossato il potere d'acquisto degli addetti di un settore ora ridotto al 17% del pil (ma nel 1970 rappresentava la metà dei profitti del Paese), che è il settore di maggiore instabilità per la nazione con le previsioni di sviluppo maggiore per il 2018.\r\n\r\n \r\n\r\nIn coda all'intervento abbiamo chiesto a Matteo qualche informazione in più rispetto alla condizione dei Rohingya e se ci fosse stato realmente qualche cambiamento rispetto alla repressione e al rientro dal Bangla Desh dopo la trattativa e gli accordi con il Myanmar... ma il rapporto di Amnesty non lascia spazio all'ottimismo.\r\n\r\nIndia: marce contadine e potere nazionalista; epurazione roinghya\r\n\r\n ","19 Marzo 2018","","2018-03-20 18:24:00","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/2013-03-16_marahashtra-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"158\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/2013-03-16_marahashtra-300x158.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/2013-03-16_marahashtra-300x158.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/2013-03-16_marahashtra-768x403.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/2013-03-16_marahashtra-1024x538.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/2013-03-16_marahashtra.jpg 1200w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Maharashtra: la lunga marcia contadina",1521462911,[108,109,110,111,112,113,114],"http://radioblackout.org/tag/bjp/","http://radioblackout.org/tag/contadini/","http://radioblackout.org/tag/india-nazionalista-di-modi/","http://radioblackout.org/tag/kisan-long-march/","http://radioblackout.org/tag/maharashtra/","http://radioblackout.org/tag/narendra-modi/","http://radioblackout.org/tag/rohingya/",[15,21,116,31,25,29,19],"India nazionalista di Modi",{"post_content":118},{"matched_tokens":119,"snippet":121,"value":122},[71,120],"Desh","repressione e al rientro dal \u003Cmark>Bangla\u003C/mark> \u003Cmark>Desh\u003C/mark> dopo la trattativa e gli","Imponente, come ogni avvenimento nel subcontinente indiano, e sorprendente per il carattere pacifico, fatto piuttosto raro per le dimostrazioni di protesta in India, si è svolta la scorsa settimana una lunga marcia di 6 giorni a piedi nudi lungo 180 chilometri nella regione del Maharashtra, partecipata da una marea di cinquantamila (ma alcuni hanno parlato di un numero doppio) contadini confluiti su Mumbai, convocati da Akhil Bharatiya Kisan Sabha, il collettivo di contadini affiliato al Partito comunista indiano. 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A questo scopo abbiamo pensato che tornasse utile porre la questione all'unico estensore di un articolo comparso al proposito nel panorama italiano, e questa è stata l'occasione per Matteo Miavaldi di dischiuderci una serie di panorami relativi alla situazione indiana, passando dal dettaglio dell'evento alla realtà generale nella prospettiva elettorale del 2019, che vedrà la probabile conferma dello strapotere del corrotto Bjp, che va incarnando il sistema India in assenza di valide alternative e sull'onda del populismo nazionalista hindu. 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da questo primo spunto si è sviluppata una disamina che ha coinvolto il Pakistan, con il quale l'Arabia Saudita ha stipulato un accordo di reciproco supporto in caso di aggressione, la centralità della spianata nei livelli di provocazione dell'entità ebraica, il dilettantismo trumpiano, finendo con rievocare la distruzione di vestigia e tradizioni culturali perpetrate dall'esercito americano nel recente passato, con lo stesso spregio coloniale e supponente dell'Idf, partendo dal presupposto di detenere il monopolio della cultura di riferimento.\r\nPer contiguità con la regione mediorientale abbiamo proseguito nella carrellata di conflitti che costellano il pianeta, attraversando Bab-al Mandab, ed è toccato a Matteo Palamidesse accompagnarci tra le divisioni armate dell'Africa orientale, dove l'attivazione della diga etiope Gerd sul Nilo Azzurro funge da pretesto per alimentare le divisioni etniche, le rivendicazioni di indipendenza e i campi contrapposti appoggiati da potenze straniere, coinvolgendo il territorio del Corno d'Africa ed estendendosi fino all'assedio di stampo medievale attuato dalle Rsf di Dagalo su Al Fashir nell'Est del Sudan, dove si consumano stragi quotidiane, l'ultima delle quali è avvenuta con un drone su una moschea che ha causato 75 morti poche ore dopo il racconto di Matteo ai nostri microfoni.\r\nL'elenco di conflitti, proteste e insurrezioni è poi proseguito in Sudest asiatico con Emanuele Giordana, che ci ha illustrato gli intrighi, collegati agli interessi delle scam city e del mondo dell'azzardo per quel che riguarda le scaramucce tra Thailandia e Cambogia e che hanno portato a un rivolgimento politico rischioso per la tradizionale suscettibilità dei militari thai, sempre pronti a sciogliere la conduzione democratica del paese, ora in mano a una nuova coalizione anodina condotta da Anutin Charnvirakul con l'appoggio esterno del Partito popolare (ex Move Forward), dopo la destituzione della famiglia Shinawatra; sempre con il reporter esperto delle questioni estremo orientali abbiamo poi raggiunto il Nepal dove si è assistito a un nuovo episodio delle rivolte della macroarea nell'ultimo anno (dopo Bangla Desh e Sri Lanka) che hanno portato alla destituzione del governo corrotto filocinese; senza tralasciare il pugno di ferro di Prabowo che riprende la tradizione repressiva dell'Indonesia.\r\nLa lunga puntata si è conclusa in Latinamerica con Andrea Cegna inseguendo altri venti di guerra, anche questi scatenati dall'Impero americano in declino: le War on Drugs di nixoniana memoria, ripristinate dall'amministrazione Trump come pretesto per colpire i nemici del cortile di casa; così si è parlato di quale sia il significato ancora del regime bolivariano in Venezuela, ma anche del contrasto in Caribe e quale ruolo svolga il Mexico di Scheinbaum, riservandoci di affrontare tra un mese le alterne fortune del neoliberismo nel mondo latinoamericano, in particolare quello incarnato da Milei che ha subito sì una sonora sconfitta a Buenos Aires, ma in ottobre per le elezioni del Parlamento può ambire a un numero maggiore di rappresentanti eletti tra le sue file.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nOil non olet\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/3iOadt0OjeBCBS2wCkHYV6?si=2mNA3bJ4QpaubkOL24hdvg\r\n\r\nSi sono sprecati tutti gli aggettivi più vieti possibili per esprimere indignazione per l’efferatezza delle operazioni militari di Idf agli ordini politici del governo fascista di Netanyahu, sempre rispettando il diritto di Israele a perpetuare un genocidio in quanto popolo eletto, ma di fronte alla sorpresa per il bombardamento della delegazione riunita a valutare proposte di “pace” nel territorio sovrano del Qatar, una nazione filoamericana che ospita la più grossa base statunitense nel Sudovest asiatico e ha regalato l’aereo presidenziale come omaggio al nuovo imperatore, sono venute meno le inani riprovazioni e i vicini sauditi si sono rivolti al Pakistan in cerca di ombrello nucleare e protezione. La credibilità dell’amministrazione Trump è scomparsa del tutto e il volto mascherato di sangue dello Stato ebraico è apparso improvvisamente con i suoi veri connotati al mondo arabo, che ha sempre abbandonato le genti di Palestina al loro destino sacrificale, in cambio di affari.\r\nIl raid israeliano a Doha ha superato il perimetro del conflitto con Hamas: ha squassato regole non scritte, infranto la logica del territorio mediatore, e messo in discussione l’intero schema di alleanze della diplomazia araba, quella stessa che ha permesso al Mossad le peggiori turpitudini e fornito appoggio per operazioni nell'area contro gli avversari di Israele, che con il suo istinto da scorpione ha punto persino il proprio cavallo di Troia nella regione. Il Qatar, lungi dall’essere un bersaglio secondario, entra nella storia come simbolo della frattura tra potenza militare israeliana e coesione regionale arabo-americana, dando spazio a una alleanza di nuovo stampo con una potenza nucleare che fa parte della Belt Road cinese e si approvvigiona da Pechino per i suoi ordigni, come la filosionista India si è accorta nell'ultimo conflitto di pochi mesi fa.\r\nForse ora tutti si accorgeranno che la volontà di cancellazione di ogni traccia di vita e cultura araba dal territorio della Israele biblica coinvolge anche le vestigia e le tradizioni mondiali, ma questo risultato è stato possibile perché tutto ciò che stanno perpetrando i sionisti è già stato sperimentato dai governi di Washington, per esempio in Iraq, dove sono state ridotte in briciole dallo spregio dell’esercito americano testimonianze artistiche e culturali millenarie. Questo è reso possibile dalla presunzione che l’unica vera cultura sia quella ebraico-cristiana e tutti gli altri sono semplici colonizzati senza cultura propria.\r\nQuesti sono i prodromi perché quando gli invasati come Smotrich e Ben Gvir picconeranno la moschea di Gerusalemme, come già hanno cominciato a fare, Al-Aqsa sarà la soglia oltre alla quale la hybris ebraica renderà conto dei suoi abusi, perché la rivolta a quel punto non coinvolgerà solo i milioni di palestinesi, ma i miliardi di musulmani. E gli accordi finanziari, gli interessi per i resort progettati su una Striscia di concentramento e sterminio nulla potranno di fronte alla rivendicazione culturale delle masse oltraggiate dall’impunità israeliana.\r\nGià la trasferta di Rubio a Doha si è risolta in un fallimento: nonostante il giorno prima la riunione dei paesi coinvolti avesse balbettato, come una qualunque Unione europea, L’emiro Tamim ha chiesto i risarcimenti per i danni causati nel bombardamento israeliano su Doha, le scuse ufficiali e l’impegno di Netanyahu a non ripetere più la sua prepotenza e soprattutto di bloccare le uccisioni di innocenti a Gaza.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Oil-non-olet-in-Qatar.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAltri temi inerenti all'aggressione colonialista israeliana degli ultimi 80 anni si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\nIrresolubili contrasti che trovano nell'acqua del Nilo pretesti per perpetuarsi\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/dalla-diga-sul-nilo-all-assedio-di-al-fashir-conflitti-in-africa-orientale--67835929\r\n\r\nFinalmente a inizio settembre si è inaugurata Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro voluta da Ahmed e che non solo approvvigionerebbe Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti di energia elettrica, ma coprirebbe il 20% dei consumi dell’Africa orientale. In questo anno in cui il bacino idrico si è andato riempiendo i dati dimostrano che questo non è avvenuto a detrimento dei paesi a valle, eppure i motivi di attrito con l’Egitto non scemano e anzi si dispiegano truppe del Cairo in Somalia, evidenziando alleanze e divisioni legate ad altri dossier, quali lo sbocco al mare in Somaliland (proprio la regione che per essere riconosciuta da Usa e Israele è disposta a ospitare i gazawi deportati) per Addis Abeba, o gli scontri interetnici sia a Nord in Puntland, che nel Jubbaland a Sud. Matteo Palamidesse ci aiuta a districarci ancora una volta in mezzo a queste dispute, ma ci apre anche una finestra sull’orrore attorno ad Al Fashir, città nel Sudan occidentale con 300.000 abitanti assediati dalle milizie delle Forze di intervento rapido di Hemedti; le sue parole a questo proposito vengono registrate qualche ora prima che un attacco contro una moschea proprio nei dintorni della città del Darfur ai confini con il Ciad il 19 settembre producesse 75 morti.\r\nNon poteva mancare anche uno sguardo al Sud Sudan nel giorno in cui è stato reso noto il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, frutto di due anni di indagini e analisi indipendenti che hanno evidenziato il Saccheggio di una nazione, come riporta il titolo del dossier stesso.\r\n\r\n \r\n\r\nIl dossier africano che racchiude i podcast precedenti si trova qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Infiniti-squilibri-distopici-in-Africa-orientale.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nIl capillare cambio di paradigma sistemico in Sudest asiatico\r\n\r\nCon Emanuele Giordana parliamo dei venti di rivolta giovanile che stanno scuotendo alcuni paesi asiatici, un'onda lunga partita dalle rivolte in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024 che hanno defenestrato le dinastie al potere reclamando un cambiamento sostanziale . Le cause delle crisi che stanno attraversando alcuni paesi asiatici hanno le loro radici in un sistema di potere autoritario che nega le legittime aspirazioni delle nuove generazioni a una partecipazione concreta alle scelte che condizionano il loro futuro. La crisi economica, le distorsioni nello sviluppo eredità del colonialismo, l'iniqua distribuzione delle risorse, la corruzione imperante, le smodate ricchezze esibite da élite predatorie, l'ingombrante presenza dei militari nella vita politica ed economica, la disoccupazione giovanile e la mancanza di prospettive sono tratti comuni in paesi come la Thailandia, l'Indonesia e con caratteristiche più peculiari il Nepal. Sono paesi dove i giovani sono la maggioranza ma le loro richieste di cambiamento sono state compresse e represse per molto tempo e dove hanno trovato uno sbocco elettorale come in Thailandia i poteri conservatori e legati alla monarchia hanno invalidato l'esito elettorale. La chiamano la generazione \"z\" ma a prescindere dalle definizioni queste rivolte sono il sintomo di una forte richiesta di cambiamento del modello di accumulazione che ha contraddistinto la tumultuosa crescita dei paesi asiatici. Questa spinta generazionale ancora non riesce a trasformarsi in un articolato progetto politico ma sta mettendo in discussione fortemente un modello di società che ormai non garantisce né crescita né uguaglianza, le rivolte si stanno espandendo e chissà che dall'Asia arrivi anche in Europa questo virus benefico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/i-giovani-scuotono-l-asia-dalla-crisi-politica-thai-alle-rivolte-in-nepal-ed-indonesia--67824026\r\n\r\nAltri temi inerenti alla geopolitica estremorientale si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-GIORDANA-18092025.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nTrump ringhia contro il Venezuela agitando lo spettro della guerra alla droga.\r\n\r\nTrump si rivolge verso il \" patio trasero\" yankee con molta più frequenza ed aggressività delle precedenti amministrazioni anche repubblicane. L'impero declinante ha perso importanti posizioni in America Latina nel confronto con il competitor cinese e quindi ora Washington si atteggia a \" terminator\" nella strategia della lotta antidroga ,alibi per eccellenza fin dai tempi di Nixon per mascherare le ingerenze nordamericane. Il target è il Venezuela, irriducibilmente chavista nonostante Maduro, comunque eccezione pur con le sue contraddizioni a causa di un modello economico redistributivo verso il basso che non trova più seguaci nella regione . Rimasto prigioniero delle logiche di capitalismo estrattivo il Venezuela di Maduro resiste anche per l'inefficacia di un'opposizione poco credibile ed asservita agli interessi statunitensi, preda ambita per le sue riserve petrolifere.\r\nIl narcotraffico costituisce la copertura per l'interventismo nordamericano che ricorda la versione 2.0 della dottrina Monroe, ma il destino manifesto è duro da affermare in un continente sempre più autonomo dai legami con l'ingombrante vicino e legato ad interessi economici ed investimenti cinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Andrea Cegna, giornalista e conoscitore dell'America Latina\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-ringhia-contro-il-venezuela-agitando-lo-spettro-della-guerra-alla-droga--67855661\r\n\r\nPer ripercorrere i sentieri fin qui percorsi con i popoli latinos, si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-18092025-CEGNA.mp3\"][/audio]","20 Settembre 2025","2025-09-22 23:43:33","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 18/09/2025 - LA SVOLTA DELL'ATTACCO SIONISTA A DOHA; RIVOLTE E INTRIGHI NELLA CONTORTA ESTATE IN SUDEST ASIATICO; IL GERD ETIOPE, ALLEANZE IN CORNO D'AFRICA E L'ASSEDIO MEDIEVALE SUDANESE; WAR ON DRUGS CONTRO CARACAS, CARIBE E MEXICO","podcast",1758374559,[166,167],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/","http://radioblackout.org/tag/bastioniorione/",[147,149],{"post_content":170},{"matched_tokens":171,"snippet":172,"value":173},[71,120],"della macroarea nell'ultimo anno (dopo \u003Cmark>Bangla\u003C/mark> \u003Cmark>Desh\u003C/mark> e Sri Lanka) che hanno","Nel 43esimo anniversario di Sabra e Chatila iniziamo la trasmissione con Laura Silvia Battaglia per analizzare quali strade si aprono al mondo arabo e in particolare ai paesi del Golfo dopo il proditorio attacco del fascistissimo governo israeliano contro la delegazione di Hamas chiamata a Doha a valutare le proposte di tregua; da questo primo spunto si è sviluppata una disamina che ha coinvolto il Pakistan, con il quale l'Arabia Saudita ha stipulato un accordo di reciproco supporto in caso di aggressione, la centralità della spianata nei livelli di provocazione dell'entità ebraica, il dilettantismo trumpiano, finendo con rievocare la distruzione di vestigia e tradizioni culturali perpetrate dall'esercito americano nel recente passato, con lo stesso spregio coloniale e supponente dell'Idf, partendo dal presupposto di detenere il monopolio della cultura di riferimento.\r\nPer contiguità con la regione mediorientale abbiamo proseguito nella carrellata di conflitti che costellano il pianeta, attraversando Bab-al Mandab, ed è toccato a Matteo Palamidesse accompagnarci tra le divisioni armate dell'Africa orientale, dove l'attivazione della diga etiope Gerd sul Nilo Azzurro funge da pretesto per alimentare le divisioni etniche, le rivendicazioni di indipendenza e i campi contrapposti appoggiati da potenze straniere, coinvolgendo il territorio del Corno d'Africa ed estendendosi fino all'assedio di stampo medievale attuato dalle Rsf di Dagalo su Al Fashir nell'Est del Sudan, dove si consumano stragi quotidiane, l'ultima delle quali è avvenuta con un drone su una moschea che ha causato 75 morti poche ore dopo il racconto di Matteo ai nostri microfoni.\r\nL'elenco di conflitti, proteste e insurrezioni è poi proseguito in Sudest asiatico con Emanuele Giordana, che ci ha illustrato gli intrighi, collegati agli interessi delle scam city e del mondo dell'azzardo per quel che riguarda le scaramucce tra Thailandia e Cambogia e che hanno portato a un rivolgimento politico rischioso per la tradizionale suscettibilità dei militari thai, sempre pronti a sciogliere la conduzione democratica del paese, ora in mano a una nuova coalizione anodina condotta da Anutin Charnvirakul con l'appoggio esterno del Partito popolare (ex Move Forward), dopo la destituzione della famiglia Shinawatra; sempre con il reporter esperto delle questioni estremo orientali abbiamo poi raggiunto il Nepal dove si è assistito a un nuovo episodio delle rivolte della macroarea nell'ultimo anno (dopo \u003Cmark>Bangla\u003C/mark> \u003Cmark>Desh\u003C/mark> e Sri Lanka) che hanno portato alla destituzione del governo corrotto filocinese; senza tralasciare il pugno di ferro di Prabowo che riprende la tradizione repressiva dell'Indonesia.\r\nLa lunga puntata si è conclusa in Latinamerica con Andrea Cegna inseguendo altri venti di guerra, anche questi scatenati dall'Impero americano in declino: le War on Drugs di nixoniana memoria, ripristinate dall'amministrazione Trump come pretesto per colpire i nemici del cortile di casa; così si è parlato di quale sia il significato ancora del regime bolivariano in Venezuela, ma anche del contrasto in Caribe e quale ruolo svolga il Mexico di Scheinbaum, riservandoci di affrontare tra un mese le alterne fortune del neoliberismo nel mondo latinoamericano, in particolare quello incarnato da Milei che ha subito sì una sonora sconfitta a Buenos Aires, ma in ottobre per le elezioni del Parlamento può ambire a un numero maggiore di rappresentanti eletti tra le sue file.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nOil non olet\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/3iOadt0OjeBCBS2wCkHYV6?si=2mNA3bJ4QpaubkOL24hdvg\r\n\r\nSi sono sprecati tutti gli aggettivi più vieti possibili per esprimere indignazione per l’efferatezza delle operazioni militari di Idf agli ordini politici del governo fascista di Netanyahu, sempre rispettando il diritto di Israele a perpetuare un genocidio in quanto popolo eletto, ma di fronte alla sorpresa per il bombardamento della delegazione riunita a valutare proposte di “pace” nel territorio sovrano del Qatar, una nazione filoamericana che ospita la più grossa base statunitense nel Sudovest asiatico e ha regalato l’aereo presidenziale come omaggio al nuovo imperatore, sono venute meno le inani riprovazioni e i vicini sauditi si sono rivolti al Pakistan in cerca di ombrello nucleare e protezione. La credibilità dell’amministrazione Trump è scomparsa del tutto e il volto mascherato di sangue dello Stato ebraico è apparso improvvisamente con i suoi veri connotati al mondo arabo, che ha sempre abbandonato le genti di Palestina al loro destino sacrificale, in cambio di affari.\r\nIl raid israeliano a Doha ha superato il perimetro del conflitto con Hamas: ha squassato regole non scritte, infranto la logica del territorio mediatore, e messo in discussione l’intero schema di alleanze della diplomazia araba, quella stessa che ha permesso al Mossad le peggiori turpitudini e fornito appoggio per operazioni nell'area contro gli avversari di Israele, che con il suo istinto da scorpione ha punto persino il proprio cavallo di Troia nella regione. Il Qatar, lungi dall’essere un bersaglio secondario, entra nella storia come simbolo della frattura tra potenza militare israeliana e coesione regionale arabo-americana, dando spazio a una alleanza di nuovo stampo con una potenza nucleare che fa parte della Belt Road cinese e si approvvigiona da Pechino per i suoi ordigni, come la filosionista India si è accorta nell'ultimo conflitto di pochi mesi fa.\r\nForse ora tutti si accorgeranno che la volontà di cancellazione di ogni traccia di vita e cultura araba dal territorio della Israele biblica coinvolge anche le vestigia e le tradizioni mondiali, ma questo risultato è stato possibile perché tutto ciò che stanno perpetrando i sionisti è già stato sperimentato dai governi di Washington, per esempio in Iraq, dove sono state ridotte in briciole dallo spregio dell’esercito americano testimonianze artistiche e culturali millenarie. Questo è reso possibile dalla presunzione che l’unica vera cultura sia quella ebraico-cristiana e tutti gli altri sono semplici colonizzati senza cultura propria.\r\nQuesti sono i prodromi perché quando gli invasati come Smotrich e Ben Gvir picconeranno la moschea di Gerusalemme, come già hanno cominciato a fare, Al-Aqsa sarà la soglia oltre alla quale la hybris ebraica renderà conto dei suoi abusi, perché la rivolta a quel punto non coinvolgerà solo i milioni di palestinesi, ma i miliardi di musulmani. E gli accordi finanziari, gli interessi per i resort progettati su una Striscia di concentramento e sterminio nulla potranno di fronte alla rivendicazione culturale delle masse oltraggiate dall’impunità israeliana.\r\nGià la trasferta di Rubio a Doha si è risolta in un fallimento: nonostante il giorno prima la riunione dei paesi coinvolti avesse balbettato, come una qualunque Unione europea, L’emiro Tamim ha chiesto i risarcimenti per i danni causati nel bombardamento israeliano su Doha, le scuse ufficiali e l’impegno di Netanyahu a non ripetere più la sua prepotenza e soprattutto di bloccare le uccisioni di innocenti a Gaza.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Oil-non-olet-in-Qatar.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAltri temi inerenti all'aggressione colonialista israeliana degli ultimi 80 anni si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\nIrresolubili contrasti che trovano nell'acqua del Nilo pretesti per perpetuarsi\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/dalla-diga-sul-nilo-all-assedio-di-al-fashir-conflitti-in-africa-orientale--67835929\r\n\r\nFinalmente a inizio settembre si è inaugurata Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro voluta da Ahmed e che non solo approvvigionerebbe Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti di energia elettrica, ma coprirebbe il 20% dei consumi dell’Africa orientale. In questo anno in cui il bacino idrico si è andato riempiendo i dati dimostrano che questo non è avvenuto a detrimento dei paesi a valle, eppure i motivi di attrito con l’Egitto non scemano e anzi si dispiegano truppe del Cairo in Somalia, evidenziando alleanze e divisioni legate ad altri dossier, quali lo sbocco al mare in Somaliland (proprio la regione che per essere riconosciuta da Usa e Israele è disposta a ospitare i gazawi deportati) per Addis Abeba, o gli scontri interetnici sia a Nord in Puntland, che nel Jubbaland a Sud. Matteo Palamidesse ci aiuta a districarci ancora una volta in mezzo a queste dispute, ma ci apre anche una finestra sull’orrore attorno ad Al Fashir, città nel Sudan occidentale con 300.000 abitanti assediati dalle milizie delle Forze di intervento rapido di Hemedti; le sue parole a questo proposito vengono registrate qualche ora prima che un attacco contro una moschea proprio nei dintorni della città del Darfur ai confini con il Ciad il 19 settembre producesse 75 morti.\r\nNon poteva mancare anche uno sguardo al Sud Sudan nel giorno in cui è stato reso noto il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, frutto di due anni di indagini e analisi indipendenti che hanno evidenziato il Saccheggio di una nazione, come riporta il titolo del dossier stesso.\r\n\r\n \r\n\r\nIl dossier africano che racchiude i podcast precedenti si trova qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Infiniti-squilibri-distopici-in-Africa-orientale.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nIl capillare cambio di paradigma sistemico in Sudest asiatico\r\n\r\nCon Emanuele Giordana parliamo dei venti di rivolta giovanile che stanno scuotendo alcuni paesi asiatici, un'onda lunga partita dalle rivolte in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024 che hanno defenestrato le dinastie al potere reclamando un cambiamento sostanziale . Le cause delle crisi che stanno attraversando alcuni paesi asiatici hanno le loro radici in un sistema di potere autoritario che nega le legittime aspirazioni delle nuove generazioni a una partecipazione concreta alle scelte che condizionano il loro futuro. La crisi economica, le distorsioni nello sviluppo eredità del colonialismo, l'iniqua distribuzione delle risorse, la corruzione imperante, le smodate ricchezze esibite da élite predatorie, l'ingombrante presenza dei militari nella vita politica ed economica, la disoccupazione giovanile e la mancanza di prospettive sono tratti comuni in paesi come la Thailandia, l'Indonesia e con caratteristiche più peculiari il Nepal. Sono paesi dove i giovani sono la maggioranza ma le loro richieste di cambiamento sono state compresse e represse per molto tempo e dove hanno trovato uno sbocco elettorale come in Thailandia i poteri conservatori e legati alla monarchia hanno invalidato l'esito elettorale. La chiamano la generazione \"z\" ma a prescindere dalle definizioni queste rivolte sono il sintomo di una forte richiesta di cambiamento del modello di accumulazione che ha contraddistinto la tumultuosa crescita dei paesi asiatici. Questa spinta generazionale ancora non riesce a trasformarsi in un articolato progetto politico ma sta mettendo in discussione fortemente un modello di società che ormai non garantisce né crescita né uguaglianza, le rivolte si stanno espandendo e chissà che dall'Asia arrivi anche in Europa questo virus benefico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/i-giovani-scuotono-l-asia-dalla-crisi-politica-thai-alle-rivolte-in-nepal-ed-indonesia--67824026\r\n\r\nAltri temi inerenti alla geopolitica estremorientale si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-GIORDANA-18092025.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nTrump ringhia contro il Venezuela agitando lo spettro della guerra alla droga.\r\n\r\nTrump si rivolge verso il \" patio trasero\" yankee con molta più frequenza ed aggressività delle precedenti amministrazioni anche repubblicane. L'impero declinante ha perso importanti posizioni in America Latina nel confronto con il competitor cinese e quindi ora Washington si atteggia a \" terminator\" nella strategia della lotta antidroga ,alibi per eccellenza fin dai tempi di Nixon per mascherare le ingerenze nordamericane. Il target è il Venezuela, irriducibilmente chavista nonostante Maduro, comunque eccezione pur con le sue contraddizioni a causa di un modello economico redistributivo verso il basso che non trova più seguaci nella regione . Rimasto prigioniero delle logiche di capitalismo estrattivo il Venezuela di Maduro resiste anche per l'inefficacia di un'opposizione poco credibile ed asservita agli interessi statunitensi, preda ambita per le sue riserve petrolifere.\r\nIl narcotraffico costituisce la copertura per l'interventismo nordamericano che ricorda la versione 2.0 della dottrina Monroe, ma il destino manifesto è duro da affermare in un continente sempre più autonomo dai legami con l'ingombrante vicino e legato ad interessi economici ed investimenti cinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Andrea Cegna, giornalista e conoscitore dell'America Latina\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-ringhia-contro-il-venezuela-agitando-lo-spettro-della-guerra-alla-droga--67855661\r\n\r\nPer ripercorrere i sentieri fin qui percorsi con i popoli latinos, si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-18092025-CEGNA.mp3\"][/audio]",[175],{"field":125,"matched_tokens":176,"snippet":172,"value":173},[71,120],{"best_field_score":129,"best_field_weight":130,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":131,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},{"document":179,"highlight":191,"highlights":196,"text_match":127,"text_match_info":199},{"comment_count":46,"id":180,"is_sticky":46,"permalink":181,"podcastfilter":182,"post_author":49,"post_content":183,"post_date":184,"post_excerpt":101,"post_id":180,"post_modified":185,"post_thumbnail":186,"post_title":187,"post_type":163,"sort_by_date":188,"tag_links":189,"tags":190},"97709","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-08-05-2025-il-nuovo-asse-militare-parigi-berlino-varsavia-a-difesa-dagli-usa-di-trump-mentre-esplode-la-regione-indo-pakistana/",[141],"In questa puntata \"Bastioni di Orione\" torna a toccare vari punti dell'orbe terraqueo che sono in qualche modo collegati tra loro. Accendere un riflettore sui prepotenti primi cento giorni del mandato trumpiano alla Casa Bianca con uno storico come Gian Giacomo Migone significa anche comprendere quali strategie di contenimento del declino americano può permettersi l'amministrazione americana, scoperchiando l'evidenza della dissoluzione del ruolo di gendarme pure nell'ultimo focolaio di tensione che sfrutta il momento di vacanza imperiale per sondare quali sviluppi potrebbe avere lo scontro indo-pakistano sul contenzioso relativo al Kashmir (diviso nelle sue tre componenti etno-religiose) incancrenito nel postcolonialismo del subcontinente indiano. Ne abbiamo parlato con Matteo Miavaldi, con il quale avevamo preconizzato la potenziale esplosione innescata con l'attentato di Pahalgam. Ma anche il dinamismo polacco in materia militare e il conseguente avvicinamento delle due caserme Nato nell'Europa centrorientale: Germania e Polonia sono rivali per il primato militare in Europa e si alleano all'unica potenza nucleare del continente, sfruttando le paure scatenate da una Russia apparentemente aggressiva, anche se non avrebbe interesse a invadere Alessandro Ajres allude a una \"libido\" putiniana in un delirio di espansione imperiale, la paura del quale forse la società polacca ha introiettato in questi anni di destra estrema, alternati a centrodestra, che hanno sviluppato lo sviluppo economico per foraggiare l'industria bellica.\r\n\r\n\r\n\r\nNé India, né Pakistan trovano convenienza in uno scontro frontale ora sulla ottantennale \"questione del Kashmir\", eppure sta avvenendo ed è… esplosiva, nel senso che entrambe sono dotate di armamenti nucleari. L’India ha una preponderanza in ogni arma, ma quando si parla di nucleare e di dispute religioso-nazionaliste tra stati retti da fanatici difficilmente ne esce un vincitore vivo.\r\nCon Matteo Miavaldi percorriamo la china che ha portato a questa situazione pericolosa che ha già prodotto decine di morti dalla strage di Pahalgham del 22 aprile, quando un commando jihadista ha ucciso 26 indiani in Kashmir, evidenziando l’impreparazione dell’intelligence di Dehli e scatenando la reazione unitaria della nazione indiana che due settimane dopo ha prodotto una quarantina di morti con il bombardamento dell’Operazione Sindoor contro il Pakistan, i cui vertici negano ogni responsabilità nell’innesco della spirale. L’escalation muscolare è pari a quella propagandistica, tanto che è difficile accettare e prendere per buone quasi tutte le ricostruzioni che provengono da ciascuno dei contendenti.\r\nLa storia del Jammu-Kashmir è travagliata dal dopoguerra: in comune con le vicende israelo-palestinesi non c’è solo il 1947 come data del vulnus, ma anche lo sfruttamento di ogni periodo in cui la diplomazia internazionale va in panne, permettendo all’apparato militare di risolvere con i suoi metodi le dispute; e forse si può individuare nel 2019 con la revoca dello stato semiautonomo della regione indiana una svolta a cui non si possono ricondurre questi risultati ma fu un avvio di un processo che ne ha consentito il deflagrare del problema in questi termini, perché ha prodotto un cambio nella composizione delle credenze e nella maggiore presenza culturale hindu tra la popolazione delle regioni di confine. Le conseguenze non possono che essere le risposte reciproche più violente dalla creazione del Bangla Desh dal Pakistan Orientale.\r\nE a fronte di un evento di portata così storica le reazioni internazionali o i tentativi di interposizione per arrivare a una pacificazione dell’area sono risibili da parte di tutte le potenze globali, peraltro difficilmente potrebbero venire accettate dai rispettivi nazionalismi dei contendenti. La Cina si è offerte come mediatrice, appalesando un interesse precipuo alla composizione del conflitto, benché sia chiaro che l’interesse di Pechino è il mantenimento del territorio pakistano, storico alleato e indispensabile corridoio per la Belt Road Initiative; facendo da contrappeso all’immediato sostegno di Israele alla rappresaglia indiana, tanto assimilabile alla reazione assassina dell’entità sionista a Gaza.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/7IBzky3YF9FknUxHEN6yWV?si=bHv964OURDqoJY5k3qRDSA\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Innesco-e-propaganda-in-Kashmir_Miavaldi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast sull'Estremo oriente si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nTusk partecipa ai summit sul destino della guerra con Merz e Macron, a dimostrazione della sua potenza militare che sfida la preminenza europea dei due partner, esaltando il nazionalismo di matrice romantica mai realmente venuto meno al paese, che negli ultimi 2/3 decenni ha raddoppiato il pil e livellato i tassi di povertà delle componenti sociali. Sottoposto questo paesaggio ad Alessandro Ajres, ci ha fatto notare come questo sia potuto accadere in seguito all’alternanza al potere dei rappresentanti della sacca rurale retriva e conservatrice che vota l'estrema destra del PiS e di quelli del centro destra liberal-conservatore che trova i propri consensi nelle metropoli e nei bacini minerari e navali. La matrice militare e reazionaria – sempre meno sfumata in entrambi i campi dalla forza della chiesa cattolica, che ha disperso la potenza data dal fanatismo dei tempi wojtyliani – si fonda su una produzione industriale a basso costo, e l’importanza della posizione geografica, che la pone tra quegli stati europei a ridosso del confine con i territori controllati da Mosca che cavalcano le paure dell’orso russo e le fomentano per spostare capitali statali verso il settore bellico (che drena il 5 per cento del pil ormai da anni).\r\nQuesta situazione pone la Polonia nella condizione di incalzare la potenza militare tedesca e la sua preminenza nel mettere a disposizione territorio e basi missilistiche al sistema di guerra occidentale; e questa spirale le consente inoltre di essere il faro della fazione degli impauriti baltici, inserendosi nella tradizione deel destre nazionaliste dell'Esteuropa. Ed è in questo contesto che diventa interessante vedere come anziché scontrarsi sembra che Polonia e Germania uniscano le loro forze per sostenere una politica europea a loro immagine.\r\nLa Polonia e i suoi fratelli comprende sia le repubbliche baltiche, sia gli altri stati ex sovietici, in cui la recrudescenza antirussa ha prodotto frange sempre più ampie di nostalgie fasciste che impastano un po' tutta la regione di nazionalismi fanatici, più che romantici.\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/gli-assi-di-potere-europei-inglobano-la-polonia--66032024\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/La-Polonia-e-i-suoi-fratelli_Ajres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare gli episodi precedenti relativi alla regione pannonica, balcanica e caucasica si trovano qui\r\n\r\nCon Giangiacomo Migone che fra le altre cose ha insegnato storia dell'America del nord all'università di Torino ,parliamo delle fratture all'interno della società americana e della crisi di egemonia di cui l'elezione di Trump è la conseguenza. Trump si è rivolto ad un altro elettorato ,la parte dei bianchi americani impoveriti dalla globalizzazione che ha mangiato i posti di lavoro che sono stati delocalizzati altrove .Trump prende atto che gli USA nonostante la potenza militare non sono più l'egemone e la sua visione incarna la nostalgia della grandezza americana che vorrebbe far rivivere nonostante la concorrenza della Cina che ha invece una percezione multipolare del mondo.\r\nNonostante la torsione autoritaria che è incarnata dalla politica trumpiana ci sono delle resistenze all'interno del tessuto sociale americano che si manifestano nelle università ,nell'opposizione dei tribunali ai decreti del presidente che non considera i contrappesi istituzionali e si concretizzano anche nelle affollate piazze che stanno seguendo il tour contro l'oligarchia del senatore Sanders e di Alexandra Ocasio Cortez. La politica di Trump è al servizio dell'1% più ricco e alimenta la guerra fra poveri delle classi medie impoverite bianche contro gli immigrati .\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-specchio-della-crisi-di-egemonia-degli-usa--66055851\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/BASTIONI-DI-ORIONE-08052025-MIGONE.mp3\"][/audio]\r\n\r\nSi è affrontata il sovranismo imperante dall'avvento del Trump Revenge qui\r\n\r\n ","11 Maggio 2025","2025-05-14 00:54:58","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 08/05/2025 - IL NUOVO ASSE MILITARE PARIGI BERLINO VARSAVIA A DIFESA DAGLI USA DI TRUMP MENTRE ESPLODE LA REGIONE INDO-PAKISTANA.",1746964824,[166],[147],{"post_content":192},{"matched_tokens":193,"snippet":194,"value":195},[71,120],"più violente dalla creazione del \u003Cmark>Bangla\u003C/mark> \u003Cmark>Desh\u003C/mark> dal Pakistan Orientale.\r\nE a","In questa puntata \"Bastioni di Orione\" torna a toccare vari punti dell'orbe terraqueo che sono in qualche modo collegati tra loro. Accendere un riflettore sui prepotenti primi cento giorni del mandato trumpiano alla Casa Bianca con uno storico come Gian Giacomo Migone significa anche comprendere quali strategie di contenimento del declino americano può permettersi l'amministrazione americana, scoperchiando l'evidenza della dissoluzione del ruolo di gendarme pure nell'ultimo focolaio di tensione che sfrutta il momento di vacanza imperiale per sondare quali sviluppi potrebbe avere lo scontro indo-pakistano sul contenzioso relativo al Kashmir (diviso nelle sue tre componenti etno-religiose) incancrenito nel postcolonialismo del subcontinente indiano. Ne abbiamo parlato con Matteo Miavaldi, con il quale avevamo preconizzato la potenziale esplosione innescata con l'attentato di Pahalgam. Ma anche il dinamismo polacco in materia militare e il conseguente avvicinamento delle due caserme Nato nell'Europa centrorientale: Germania e Polonia sono rivali per il primato militare in Europa e si alleano all'unica potenza nucleare del continente, sfruttando le paure scatenate da una Russia apparentemente aggressiva, anche se non avrebbe interesse a invadere Alessandro Ajres allude a una \"libido\" putiniana in un delirio di espansione imperiale, la paura del quale forse la società polacca ha introiettato in questi anni di destra estrema, alternati a centrodestra, che hanno sviluppato lo sviluppo economico per foraggiare l'industria bellica.\r\n\r\n\r\n\r\nNé India, né Pakistan trovano convenienza in uno scontro frontale ora sulla ottantennale \"questione del Kashmir\", eppure sta avvenendo ed è… esplosiva, nel senso che entrambe sono dotate di armamenti nucleari. L’India ha una preponderanza in ogni arma, ma quando si parla di nucleare e di dispute religioso-nazionaliste tra stati retti da fanatici difficilmente ne esce un vincitore vivo.\r\nCon Matteo Miavaldi percorriamo la china che ha portato a questa situazione pericolosa che ha già prodotto decine di morti dalla strage di Pahalgham del 22 aprile, quando un commando jihadista ha ucciso 26 indiani in Kashmir, evidenziando l’impreparazione dell’intelligence di Dehli e scatenando la reazione unitaria della nazione indiana che due settimane dopo ha prodotto una quarantina di morti con il bombardamento dell’Operazione Sindoor contro il Pakistan, i cui vertici negano ogni responsabilità nell’innesco della spirale. L’escalation muscolare è pari a quella propagandistica, tanto che è difficile accettare e prendere per buone quasi tutte le ricostruzioni che provengono da ciascuno dei contendenti.\r\nLa storia del Jammu-Kashmir è travagliata dal dopoguerra: in comune con le vicende israelo-palestinesi non c’è solo il 1947 come data del vulnus, ma anche lo sfruttamento di ogni periodo in cui la diplomazia internazionale va in panne, permettendo all’apparato militare di risolvere con i suoi metodi le dispute; e forse si può individuare nel 2019 con la revoca dello stato semiautonomo della regione indiana una svolta a cui non si possono ricondurre questi risultati ma fu un avvio di un processo che ne ha consentito il deflagrare del problema in questi termini, perché ha prodotto un cambio nella composizione delle credenze e nella maggiore presenza culturale hindu tra la popolazione delle regioni di confine. Le conseguenze non possono che essere le risposte reciproche più violente dalla creazione del \u003Cmark>Bangla\u003C/mark> \u003Cmark>Desh\u003C/mark> dal Pakistan Orientale.\r\nE a fronte di un evento di portata così storica le reazioni internazionali o i tentativi di interposizione per arrivare a una pacificazione dell’area sono risibili da parte di tutte le potenze globali, peraltro difficilmente potrebbero venire accettate dai rispettivi nazionalismi dei contendenti. La Cina si è offerte come mediatrice, appalesando un interesse precipuo alla composizione del conflitto, benché sia chiaro che l’interesse di Pechino è il mantenimento del territorio pakistano, storico alleato e indispensabile corridoio per la Belt Road Initiative; facendo da contrappeso all’immediato sostegno di Israele alla rappresaglia indiana, tanto assimilabile alla reazione assassina dell’entità sionista a Gaza.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/7IBzky3YF9FknUxHEN6yWV?si=bHv964OURDqoJY5k3qRDSA\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Innesco-e-propaganda-in-Kashmir_Miavaldi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast sull'Estremo oriente si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nTusk partecipa ai summit sul destino della guerra con Merz e Macron, a dimostrazione della sua potenza militare che sfida la preminenza europea dei due partner, esaltando il nazionalismo di matrice romantica mai realmente venuto meno al paese, che negli ultimi 2/3 decenni ha raddoppiato il pil e livellato i tassi di povertà delle componenti sociali. Sottoposto questo paesaggio ad Alessandro Ajres, ci ha fatto notare come questo sia potuto accadere in seguito all’alternanza al potere dei rappresentanti della sacca rurale retriva e conservatrice che vota l'estrema destra del PiS e di quelli del centro destra liberal-conservatore che trova i propri consensi nelle metropoli e nei bacini minerari e navali. La matrice militare e reazionaria – sempre meno sfumata in entrambi i campi dalla forza della chiesa cattolica, che ha disperso la potenza data dal fanatismo dei tempi wojtyliani – si fonda su una produzione industriale a basso costo, e l’importanza della posizione geografica, che la pone tra quegli stati europei a ridosso del confine con i territori controllati da Mosca che cavalcano le paure dell’orso russo e le fomentano per spostare capitali statali verso il settore bellico (che drena il 5 per cento del pil ormai da anni).\r\nQuesta situazione pone la Polonia nella condizione di incalzare la potenza militare tedesca e la sua preminenza nel mettere a disposizione territorio e basi missilistiche al sistema di guerra occidentale; e questa spirale le consente inoltre di essere il faro della fazione degli impauriti baltici, inserendosi nella tradizione deel destre nazionaliste dell'Esteuropa. Ed è in questo contesto che diventa interessante vedere come anziché scontrarsi sembra che Polonia e Germania uniscano le loro forze per sostenere una politica europea a loro immagine.\r\nLa Polonia e i suoi fratelli comprende sia le repubbliche baltiche, sia gli altri stati ex sovietici, in cui la recrudescenza antirussa ha prodotto frange sempre più ampie di nostalgie fasciste che impastano un po' tutta la regione di nazionalismi fanatici, più che romantici.\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/gli-assi-di-potere-europei-inglobano-la-polonia--66032024\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/La-Polonia-e-i-suoi-fratelli_Ajres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare gli episodi precedenti relativi alla regione pannonica, balcanica e caucasica si trovano qui\r\n\r\nCon Giangiacomo Migone che fra le altre cose ha insegnato storia dell'America del nord all'università di Torino ,parliamo delle fratture all'interno della società americana e della crisi di egemonia di cui l'elezione di Trump è la conseguenza. Trump si è rivolto ad un altro elettorato ,la parte dei bianchi americani impoveriti dalla globalizzazione che ha mangiato i posti di lavoro che sono stati delocalizzati altrove .Trump prende atto che gli USA nonostante la potenza militare non sono più l'egemone e la sua visione incarna la nostalgia della grandezza americana che vorrebbe far rivivere nonostante la concorrenza della Cina che ha invece una percezione multipolare del mondo.\r\nNonostante la torsione autoritaria che è incarnata dalla politica trumpiana ci sono delle resistenze all'interno del tessuto sociale americano che si manifestano nelle università ,nell'opposizione dei tribunali ai decreti del presidente che non considera i contrappesi istituzionali e si concretizzano anche nelle affollate piazze che stanno seguendo il tour contro l'oligarchia del senatore Sanders e di Alexandra Ocasio Cortez. La politica di Trump è al servizio dell'1% più ricco e alimenta la guerra fra poveri delle classi medie impoverite bianche contro gli immigrati .\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-specchio-della-crisi-di-egemonia-degli-usa--66055851\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/BASTIONI-DI-ORIONE-08052025-MIGONE.mp3\"][/audio]\r\n\r\nSi è affrontata il sovranismo imperante dall'avvento del Trump Revenge qui\r\n\r\n ",[197],{"field":125,"matched_tokens":198,"snippet":194,"value":195},[71,120],{"best_field_score":129,"best_field_weight":130,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":131,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},6637,{"collection_name":163,"first_q":27,"per_page":134,"q":27},5,["Reactive",204],{},["Set"],["ShallowReactive",207],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fD_HFbz5H_E-0s5A6Mn3fe03ZI2ED5ZnwFS6L4QPYSlU":-1},true,"/search?query=Bangla+desh"]