","Democrazia criminale. La strage di piazza Fontana","post",1481656673,[61,62,63,64,65,66,67],"http://radioblackout.org/tag/12-dicembre-1969/","http://radioblackout.org/tag/giuseppe-pinelli/","http://radioblackout.org/tag/lotte-lavoratori/","http://radioblackout.org/tag/lotte-studenti/","http://radioblackout.org/tag/piazza-fontana/","http://radioblackout.org/tag/strage-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/strategia-della-tensione/",[21,19,28,69,15,17,34],"lotte studenti",{"post_content":71,"tags":77},{"matched_tokens":72,"snippet":75,"value":76},[73,74],"Giuseppe","Pinelli","in questura. Uno di loro, \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, attivo nella lotta alla repressione,","Ieri era il 47° anniversario della strage di piazza Fontana. Una bomba esplose nel salone centrale della Banca Nazionale dell'Agricoltura il 12 dicembre 1969. Il 1969 fu l’anno in cui lo scontro di classe fu il più intenso e radicale nella storia della Repubblica.\r\nLa bomba uccise 17 persone e ne ferì un altro centinaio. Fu il primo atto della \"strategia della tensione\", che negli anni successivi insanguinò l’Italia. Si va dalla strage di piazza della Loggia a Brescia, alla quella del treno Italicus, sino al 2 agosto del 1980 quando una bomba devastò la sala d’attesa di seconda classe nella stazione ferroviaria di Bologna.\r\nDopo la strage di Milano si scatenò una durissima repressione contro gli anarchici, indicati sin dalle prime ore come responsabili: centinaia di compagni furono fermati e trattenuti in questura. Uno di loro, \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, attivo nella lotta alla repressione, venne fermato la sera del 12 dicembre. Nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, dopo 3 giorni di estenuanti interrogatori, \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark> precipitò dal quarto piano della questura di Milano. La polizia liquidò la faccenda come suicidio, per coprire l'assassinio avvenuto tra le mura della Questura milanese, diretta da Marcello Guida, già a capo del Confino sull’isola di Ventotene, durante la dittatura fascista.\r\nQuando, anche attraverso le denunce di alcuni giornalisti non asserviti al potere, vennero a galla le numerose incongruenze della ricostruzione fatta dalla polizia politica milanese, un magistrato democratico e di sinistra come Gerardo D’Ambrosio mise la pietra tombale sulla vicenda inventando la formula atrocemente comica del “malore attivo”.\r\n\r\nSin dalle prime dopo la strage la campagna contro gli anarchici raggiunse toni parossistici. Pietro Valpreda, innocente, ma con un profilo che si prestava bene al ruolo che la questura cercò di fargli recitare nella tragedia di quei giorni, venne subito difeso dal movimento anarchico milanese, che seppe cogliere con estrema lucidità il senso degli eventi e, in una conferenza stampa dichiarò “la strage è di Stato, Valpreda è innocente, \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark> è stato assassinato”. Queste parole, che il Corriere della Sera definì deliranti, divennero l’asse portante di una campagna che fu fatta propria da ampi settori dell’opposizione politica e sociale. Tre anni dopo Valpreda verrà scarcerato. Le infinite vicende giudiziarie sulla strage finirono in nulla. La verità su quella vicenda, che spezzò per sempre qualsiasi illusione sulla Repubblica nata dalla Resistenza, è patrimonio della memoria che i movimenti continuano tenacemente ad alimentare.\r\nIl golpe fu una possibilità concreta in quegli anni. I neofascisti furono lo strumento dei servizi segreti, gente cui poco importava il prezzo in vite umane, stampato sul cartellino.\r\nManodopera fascista fu messa a disposizione dei padroni e dei governanti dell’epoca, spaventati dalla primavera degli studenti, dall’autunno degli operai. Fu grazie alla forza di quei movimenti se non calò rapido l’inverno. Restano tuttavia, pesanti come macigni, i 17 morti della banca. Il 18°, il partigiano \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, scaraventato dal quarto piano della Questura, dove era la stanza del commissario Calabresi, è un monito per chi crede nella bontà della democrazia.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Cosimo Scarinzi, all’epoca giovane anarchico milanese, che ci ha offerto la sua testimonianza e la sua analisi.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-12-13-cosimo-stragepiazzafontana\r\n\r\n ",[78,80,83,85,87,89,91],{"matched_tokens":79,"snippet":21},[],{"matched_tokens":81,"snippet":82},[73,74],"\u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>",{"matched_tokens":84,"snippet":28},[],{"matched_tokens":86,"snippet":69},[],{"matched_tokens":88,"snippet":15},[],{"matched_tokens":90,"snippet":17},[],{"matched_tokens":92,"snippet":34},[],[94,99],{"field":35,"indices":95,"matched_tokens":96,"snippets":98},[23],[97],[73,74],[82],{"field":100,"matched_tokens":101,"snippet":75,"value":76},"post_content",[73,74],1157451471441625000,{"best_field_score":104,"best_field_weight":105,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":106,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":108,"highlight":125,"highlights":143,"text_match":102,"text_match_info":151},{"cat_link":109,"category":110,"comment_count":47,"id":111,"is_sticky":47,"permalink":112,"post_author":50,"post_content":113,"post_date":114,"post_excerpt":53,"post_id":111,"post_modified":115,"post_thumbnail":53,"post_thumbnail_html":53,"post_title":116,"post_type":58,"sort_by_date":117,"tag_links":118,"tags":123},[44],[46],"22355","http://radioblackout.org/2014/04/la-morte-di-dambrosio-un-malore-attivo/","Forse alla fine il giudice Gerardo D'Ambrosio, recentemente scomparso, sconterà la sentenza con cui prosciolse Calabresi e gli altri poliziotti della Questura di Milano dall'accusa di aver torturato ed ucciso l'anarchico Pinelli.\r\nLa sua condanna sarà quella damnatio memoriae che sempre colpisce i servitori troppo zelanti.\r\nTramontata mani pulite, tramontata l'epoca delle \"toghe rosse\", di Gerardo S'Ambrosio resterà solo l'incredibile acrobazia giuridica con cui metterà la pietra tombale definitiva sulla morte di Giuseppe Pinelli. Dopo la strage di piazza Fontana, centinaia di anarchici vennero fermati ed interrogati da una polizia già chiaramente orientata nell'addossare loro la responsabilità della strage. Giuseppe Pinelli era uno dei tanti: venne detenuto e interrogato illegalmente per tre giorni, assassinato e gettato dalla finestra del quarto piano per mettere in scena un suicidio. Una scena così male allestita che presto rivelerà mille crepe.\r\nOccorreva mettere una pezza, salvare i poliziotti, senza ripetere l'insostenibile menzogna del suicidio.\r\nCosì nacque la tesi del \"malore attivo\".\r\nNé suicidio, né omicidio. Pinelli morì per malore.\r\nQuesto, in sostanza, il succo della sentenza con cui il giudice D’Ambrosio scrisse la parola “fine” alle indagini della magistratura sul caso Pinelli. Era il 1975, erano passati quasi 6 anni da quella notte del 15 dicembre ’69.\r\n“Un malore per il compromesso storico” titolava così il redazionale di commento a quella sentenza uscito sul numero 43 della rivista “A” 43 (dicembre ’75/gennaio ’76).\r\nUna sentenza che sancì la “verità di Stato” sulla morte del ferroviere anarchico, sindacalista dell'USI, attivo nella solidarietà alle vittime della repressione, Giuseppe Pinelli.\r\nLo stato non poteva condannare i suoi fedeli servitori, non poteva incolpare se stesso. Come previsto, li assolse in istruttoria, autoassolvendosi.\r\nD'Ambrosio resterà nella memoria come il becchino che gettò l'ultima palata di terra sulla tomba di Pino.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, da 43 anni redattore di A, compagno ed amico di Giuseppe Pinelli.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nd'ambrosio","3 Aprile 2014","2014-04-09 12:40:22","La morte di D'Ambrosio. 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Fedez gira in Lamborghini a caccia di “cinque poveri” cui regalare uno dei cinquemila euro, che dichiara di aver raccolto tra gli amici.\r\nÉ un’immagine iconica dei tempi che viviamo, lo specchio delle politiche del governo, che elargisce elemosine per garantirsi la pace sociale, fa girare la giostra del consumo a palla, prima di richiudere le strade, quando l’orgia dello shopping natalizio si sarà esaurita.\r\nNon solo. Conte cii vuole complici nel riconoscere che è colpa dei cattivi bambini se tutti sono stati messi in castigo a Natale.\r\nSullo sfondo resta la città reale, quella dove in pieno dicembre i poveri che nella cartolina di Fedez non potrebbero mai trovare posto, vengono cacciati da due baracchine di lamiera, che davano riparo dal freddo ad una decina di persone.\r\nÉ la cifra dei tempi: non esiste povertà incolpevole e quindi le ruspe moralizzatrici possono agire nell’indifferenza dei più, tra il plauso dei tanti.\r\nIn questo clima, dove il luccichio delle vetrine, non nasconde la paura sorda di chi, ogni giorno, è obbligato a lavorare per campare la vita, si sono dipanate le tante iniziative per tenere viva la memoria dell’anarchico Giuseppe Pinelli, assassinato nei locali della Questura nella notte tra il 15 e il 16 dicembre del 1969, tre giorni dopo la strage di piazza Fontana.\r\nNon un esercizio di retorica ma di concreta condivisione di lotte e percorsi. Nella serata del 14, di fronte allo spazio Micene e poi alla casa da dove Pino Pinelli uscì per non tornare mai più, si è tenuto un presidio.\r\nIl filo della criminalità del potere, si è dipanato sino ai giorni nostri. I 14 detenuti ammazzati durante la rivolta carceraria di marzo, i morti nel Mediterraneo, la stessa pandemia sono alcuni dei tasselli che compongono il mosaico.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto, un compagno di Milano\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/2020-12-15-fedez-pinelli-alb.mp3\"][/audio]","15 Dicembre 2020","2020-12-15 16:01:42","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"190\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-300x190.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-300x190.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-1024x648.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-768x486.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-1536x971.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/15-dicembre-2048x1295.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Fedez, le ruspe e Pino Pinelli",1608048102,[166,167,168,169,170,171],"http://radioblackout.org/tag/fedez/","http://radioblackout.org/tag/milano/","http://radioblackout.org/tag/pino-pinelli/","http://radioblackout.org/tag/rivolta-carceraria/","http://radioblackout.org/tag/sgombero-baracche/","http://radioblackout.org/tag/strage-du-stato/",[173,174,175,176,177,178],"fedez","milano","pino pinelli","rivolta carceraria","sgombero baracche","strage du stato",{"post_content":180,"post_title":184,"tags":187},{"matched_tokens":181,"snippet":182,"value":183},[73,74],"tenere viva la memoria dell’anarchico \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, assassinato nei locali della Questura","Milano 15 dicembre. 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Uno di loro, Giuseppe Pinelli, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di Pinelli, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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Uno di loro, \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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Era stato arrestato mentre partecipava a una manifestazione antifascista nel corso della quale si erano verificati scontri tra chi protestava e le forze dell’ordine.\r\n\r\nFranco aveva poco più di 20 anni, faceva parte del Gruppo Anarchico “Giuseppe Pinelli” di Pisa e partecipava insieme a tanti compagne e compagni alle numerose iniziative che si svolgevano a Pisa in quegli anni di grande attivismo politico che aveva coinvolto un' intera generazione di giovani. Franco lottava contro gli esecutori fascisti e i mandanti governativi della Strage di Stato (Piazza Fontana, 1969), l'assassinio di Giuseppe Pinelli e l'ingiusta detenzione di Pietro Valpreda e compagni, accusati della strage da una macchinazione poliziesca.\r\n\r\nDella morte di Franco Serantini non è certo responsabile un triste destino personale, come banalmente troppe volte si è detto, ma la violenza e la repressione di governo e polizia. I governi dell'epoca prima vollero fermare le lotte operaie con la strategia della tensione e con la strage di Piazza Fontana, a Milano, il 12 dicembre del 1969, poi vollero mettere a tacere le proteste per l'assassinio di Pinelli e l'ingiusta detenzione degli anarchici impedendo manifestazioni di piazza nell'anniversario della strage, nel 1970 (assassinio di Saverio Saltarelli) e nel 1971.\r\n\r\nIn quegli anni il fascismo era dilagante: la Spagna era sotto il tallone di Franco dal 1939, in Grecia un colpo di Stato favorito dalla NATO aveva portato al governo la sanguinaria giunta dei colonnelli, mentre un'altra dittatura militare appoggiata sempre dalla NATO opprimeva la Turchia. Anche in Francia il gollismo era ancora al potere, conquistato con un colpo di Stato nel 1958. In Italia il presidente della Repubblica era stato eletto col voto dei fascisti.\r\n\r\nL'11 marzo del 1972, in occasione di una manifestazione della cosiddetta \"Maggioranza Silenziosa\", organizzata da caporioni fascisti implicati nelle trame nere, molte forze politiche che avevano dato vita alla campagna di controinformazione sulla Strage di Stato decise di riprendersi la piazza a Milano ad ogni costo. La concentrazione antifascista sarà ripetutamente aggredita dalla polizia e dai carabinieri, ma difenderà fino a sera il proprio diritto di manifestare. Quella giornata spinse alcuni gruppi extraparlamentari e alcuni gruppi e individualità del movimento anarchico ad approfittare della campagna elettorale in corso per contestare i comizi fascisti e denunciare le connivenze tra fascisti ed apparato statale. 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Perché nel 2022, come nel 1972, Franco è ancora con noi.","10 Maggio 2022","2022-05-10 14:44:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"141\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882-300x141.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882-300x141.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882-1024x481.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882-768x361.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882-1536x722.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/280057755_5061095873967633_8740651682420516001_n-e1652186643882.jpg 1600w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Serantini. 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Il film di Giordana santifica la figura di quello che in quegli anni si guadagnò il soprannome di 'commissario finestra', cela il contesto politico di quegli anni e promuove un'immagine gloriosa del centrismo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone delle lotte di quegli anni.\r\n\r\n[audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/massimo_giordana.mp3\"]\r\n\r\nScarica il podcast","28 Marzo 2012","2025-09-24 22:01:10","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/gpinelli-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"208\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/gpinelli-208x300.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/gpinelli-208x300.jpg 208w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/gpinelli.jpg 300w\" sizes=\"auto, (max-width: 208px) 100vw, 208px\" />","La strage della memoria nel film di Giordana",1332936870,[],[],{"post_content":341},{"matched_tokens":342,"snippet":343,"value":344},[73,74],"diciottesima vittima, il ferroviere anarchico \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, venne assassinato la notte del","È stato presentato lunedì in anteprima il film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage, dedicato alla strage di Piazza Fontana dove morirono 17 persone. 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La sua morte fece esplodere le tensioni politiche e sociali nel paese. Oggi il suo assassino è libero, i movimenti sono sotto attacco. La solidarietà, oggi come allora, è urgente. \r\n\r\nLa strage di piazza Fontana e l'assassinio di Giuseppe Pinelli. La ferita resta aperta. Un articolo di Massimo Varengo, sul revisionismo di “sinistra” a 50 dalla strage e dalla montatura contro gli anarchici. \r\nMassimo è testimone e protagonista di quei giorni. \r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nVenerdì 13 dicembre\r\nore 16 in piazza Castello (Regione)\r\nContro la (sacra) famiglia!\r\nPresidio anarcofemminista\r\norganizza Wild C.A.T.\r\n\r\nLunedì 16 dicembre\r\nStrage di Stato. 50 anni dopo\r\nNe parliamo con Massimo Varengo, testimone e partecipe di un'epoca\r\nore 21 alla FAT in corso Palermo 46\r\n\r\nVenerdì 20 dicembre\r\ncena antinatalizia\r\nmenù eretico ed esposizione spettacolare del pres-empio autogestito. \r\nBenefit lotte sociali\r\nQuanto costa? 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Figure di funzionari di alto grado venuti da Roma, che \"prendono la situazione in mano\", come dirà uno di loro. Figure che fanno indagini di cui relazionano solo il ministro dell'Interno e il capo della Polizia, non i magistrati inquirenti. I loro nomi: Catenacci, Russomanno, Alduzzi e altri meno noti, spuntano qua e la tra le carte che sulla strage di Piazza Fontana si sono accumulate. Ma è solo nel 1996, 26 anni dopo quel tragico 15 dicembre 1969, che saranno chiamati a deporre di fronte ai magistrati ed anche allora nessuna domanda verrà posta loro su ciò che accadde quella notte nella questura di Milano, quando Pinelli morì. Dal 1996 le loro deposizioni resteranno chiuse negli armadi dei tribunali. Solo da poco ne sono uscite ed è di queste, dei documenti che le accompagnano, dell'ambigua e oscura presenza in quei giorni e in quella notte di personaggi che comandano, ma che si definiscono \"riservati\", che si parla e si documenta in queste pagine.\r\n\r\nAncora una volta questo breve testo non porta ad una verità definitiva: ma aggiunge elementi che fino ad oggi non erano noti, o erano stati trascurati. Ci è sembrato giusto raccogliere il testimone dai tanti che si sono avvicinati alla figura di Pinelli, certi di trovare altri disposti a farsi carico del seguito di questa ricerca, fino a che il fumo di quella stanza non sarà davvero diradato.","29 Marzo 2013","2018-10-17 23:00:10","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/03/3-Baj_-I-Funerali-dellanarchico-Pinelli-foto-di-Andrea-Scuratti-200x110.jpg","e' a finestra c'è la morti. 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A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.\r\nTre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti.\r\nUno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nDopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano. Napolitano, come il suo collega Violante, che equiparò i partigiani ai fascisti di Salò, riscrive la storia.\r\nNel 2009 cercò di mettere una pietra tombale sulle vicende di quegli anni invitando alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino.\r\nPoi è arrivato Cucchiarelli con il suo libro di fantasie spacciate per verità. Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio.\r\nAl centro la tesi folle che nello stesso giorno nella medesima banca qualcuno avesse piazzato due bombe, una più debole, fatta mettere da settori dello Stato che volevano un irrigidimento della morsa disciplinare sui movimenti, l’altra, cattiva ed assassina, fatta sistemare dalla NATO per provocare il golpe in Italia. Prove? Nessuna! Lo scopo? Chiarissimo! Inventarsi la tesi degli opposti stragismi, uno anarchico, l’altro fascista, entrambi burattini manovrati nel buio di trame oscure.\r\nNel romanzo di Giordana ci sono due santi e martiri, che ci lasceranno la pelle ma salveranno lo Stato. Nell’improbabile ruolo, il commissario Luigi Calabresi e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro.\r\nAldo Moro, tra i protagonisti dell’attacco ai movimenti sociali, che stavano mettendo in seria discussione un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’autoritarismo, la violenza di Stato, si trasforma in un mistico con la premonizione del martirio, antesignano di quel compromesso storico tra democrazia cristiana e partito comunista, dove oggi il PD, riconosce le proprie radici. Peccato che del suo ruolo di salvatore della democrazia non vi sia alcuna traccia né nei documenti né nelle testimonianze. Una delle tante libertà letterarie di Giordana.\r\nCalabresi era un noto persecutore di anarchici: fu lui a puntare il dito contro gli anarchici milanesi, sin dai tempi delle bombe del 25 aprile alla Fiera Campionaria di Milano.\r\nGiuseppe Pinelli, interrogato per tre giorni e tre notti, quando i termini legali del fermo erano ormai scaduti, venne gettato dalla finestra della stanza di Calabresi. Forse era già morto per le botte ricevute, forse morì dopo. Calabresi, Guida, il questore di Milano già a capo del confino di Ventotene, e gli altri poliziotti e carabinieri sostennero che si era ammazzato.\r\nLo fecero tanto male, che Gerardo D’ambrosio, allora giovane PM, oggi senatore PD, chiuderà l’inchiesta sostenendo che Pinelli era morto per “un malore attivo”. Tesi edulcorata e ridicola che Giordana riprende nel suo film.\r\nI giudici “perbene” sono i comprimari nella classifica dei buoni. Peccato che dopo 43 anni dalle aule di tribunale non sia uscito nulla. E nulla poteva uscire, perché lo Stato non condanna se stesso.\r\n\r\nQuesto film è uno dei tanti tasselli di un revisionismo di “sinistra” che ha tentato di riscrivere quegli anni all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile.\r\nUno dei tanti modi di liquidare un’intera epoca di lotte e passioni civili, trasformando gli anarchici in macchiette, un po’ sciocchi, utili idioti magari un po’ criminali.\r\nIl grande essente, volutamente rimosso, cancellato, nascosto è il 1969.\r\nIl grande freddo del mese della strage, seguiva l’autunno caldissimo di quell’anno. Di quell’autunno di lotte operaie oggi resta ben poco. L’articolo 18 è l’ultimo frammento rimasto: PD e PDL, uniti contro chi vive di lavoro, lo stanno cancellando.\r\nNoi, tenaci, ricordiamo: se in Italia non ci fu il golpe, se il disegno dei Calabresi, Guida, Rumor non funzionò fu grazie ad un paese, dove le menzogne di Stato avevano le gambe corte, fu grazie ai movimenti sociali che riempirono le piazze per gridare una verità, allora evidente a tutti.\r\n“La strage è di Stato, Valpreda è innocente. Pinelli è stato assassinato e Calabresi è uno dei suoi assassini.”\r\nIl destino dei vinti non è solo la sconfitta ma anche l’oblio. Quell’oblio al quale Giordana, Cucchiarelli e il partito del Presidente Napolitano vogliono consegnare quegli anni.\r\nQuella di Giordana è una vera strage della memoria.\r\nA noi tutti il compito di mantenerla viva. Finché gli sfruttati e gli oppressi di questo paese sapranno ricordare la loro Storia, non saranno ancora sconfitti. Finché gli sfruttati e gli oppressi sapranno alzare la testa, lottare per una società di liberi ed eguali, senza Stati, giudici, poliziotti, la strada sarà ancora aperta.\r\nOgni anno, ogni giorno, ogni momento può essere una nuova stagione delle ciliegie. Cogliamole e facciamone dono a chi verrà dopo.","17 Aprile 2012","Nel dicembre del 1969 Paolo aveva appena compiuto diciottanni. \r\nDopo la strage alla banca dell’Agricoltura – 17 morti e 88 feriti - fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.\r\nLui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.\r\n\r\nVenerdì 20 aprile ore 21\r\nnella sede della federazione anarchica torinese\r\nin corso Palermo 46\r\nIncontro con Paolo Finzi\r\n\r\nPrima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri \r\n“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli” \r\ncon Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.\r\n\r\nTestimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita. \r\n\r\nAscolta la chiacchierata con Paolo a radio Blackout ","2018-10-17 22:11:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/pinelli_anarchiac-200x110.jpg","La strage della memoria. 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A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark> venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.\r\nTre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti.\r\nUno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di \u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark> furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nDopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano. Napolitano, come il suo collega Violante, che equiparò i partigiani ai fascisti di Salò, riscrive la storia.\r\nNel 2009 cercò di mettere una pietra tombale sulle vicende di quegli anni invitando alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino.\r\nPoi è arrivato Cucchiarelli con il suo libro di fantasie spacciate per verità. Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio.\r\nAl centro la tesi folle che nello stesso giorno nella medesima banca qualcuno avesse piazzato due bombe, una più debole, fatta mettere da settori dello Stato che volevano un irrigidimento della morsa disciplinare sui movimenti, l’altra, cattiva ed assassina, fatta sistemare dalla NATO per provocare il golpe in Italia. Prove? Nessuna! Lo scopo? Chiarissimo! Inventarsi la tesi degli opposti stragismi, uno anarchico, l’altro fascista, entrambi burattini manovrati nel buio di trame oscure.\r\nNel romanzo di Giordana ci sono due santi e martiri, che ci lasceranno la pelle ma salveranno lo Stato. Nell’improbabile ruolo, il commissario Luigi Calabresi e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro.\r\nAldo Moro, tra i protagonisti dell’attacco ai movimenti sociali, che stavano mettendo in seria discussione un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’autoritarismo, la violenza di Stato, si trasforma in un mistico con la premonizione del martirio, antesignano di quel compromesso storico tra democrazia cristiana e partito comunista, dove oggi il PD, riconosce le proprie radici. Peccato che del suo ruolo di salvatore della democrazia non vi sia alcuna traccia né nei documenti né nelle testimonianze. Una delle tante libertà letterarie di Giordana.\r\nCalabresi era un noto persecutore di anarchici: fu lui a puntare il dito contro gli anarchici milanesi, sin dai tempi delle bombe del 25 aprile alla Fiera Campionaria di Milano.\r\n\u003Cmark>Giuseppe\u003C/mark> \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark>, interrogato per tre giorni e tre notti, quando i termini legali del fermo erano ormai scaduti, venne gettato dalla finestra della stanza di Calabresi. Forse era già morto per le botte ricevute, forse morì dopo. Calabresi, Guida, il questore di Milano già a capo del confino di Ventotene, e gli altri poliziotti e carabinieri sostennero che si era ammazzato.\r\nLo fecero tanto male, che Gerardo D’ambrosio, allora giovane PM, oggi senatore PD, chiuderà l’inchiesta sostenendo che \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark> era morto per “un malore attivo”. Tesi edulcorata e ridicola che Giordana riprende nel suo film.\r\nI giudici “perbene” sono i comprimari nella classifica dei buoni. Peccato che dopo 43 anni dalle aule di tribunale non sia uscito nulla. E nulla poteva uscire, perché lo Stato non condanna se stesso.\r\n\r\nQuesto film è uno dei tanti tasselli di un revisionismo di “sinistra” che ha tentato di riscrivere quegli anni all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile.\r\nUno dei tanti modi di liquidare un’intera epoca di lotte e passioni civili, trasformando gli anarchici in macchiette, un po’ sciocchi, utili idioti magari un po’ criminali.\r\nIl grande essente, volutamente rimosso, cancellato, nascosto è il 1969.\r\nIl grande freddo del mese della strage, seguiva l’autunno caldissimo di quell’anno. Di quell’autunno di lotte operaie oggi resta ben poco. L’articolo 18 è l’ultimo frammento rimasto: PD e PDL, uniti contro chi vive di lavoro, lo stanno cancellando.\r\nNoi, tenaci, ricordiamo: se in Italia non ci fu il golpe, se il disegno dei Calabresi, Guida, Rumor non funzionò fu grazie ad un paese, dove le menzogne di Stato avevano le gambe corte, fu grazie ai movimenti sociali che riempirono le piazze per gridare una verità, allora evidente a tutti.\r\n“La strage è di Stato, Valpreda è innocente. \u003Cmark>Pinelli\u003C/mark> è stato assassinato e Calabresi è uno dei suoi assassini.”\r\nIl destino dei vinti non è solo la sconfitta ma anche l’oblio. Quell’oblio al quale Giordana, Cucchiarelli e il partito del Presidente Napolitano vogliono consegnare quegli anni.\r\nQuella di Giordana è una vera strage della memoria.\r\nA noi tutti il compito di mantenerla viva. Finché gli sfruttati e gli oppressi di questo paese sapranno ricordare la loro Storia, non saranno ancora sconfitti. 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Dal 2009 sono 14 gli attivisti uccisi dalla polizia. \r\n\r\n \r\n\r\nSabato 13 gennaio\r\nore 10,30 / 14\r\nPunto info antimilitarista al Balon\r\ncon vin brulè, cibo e the caldo\r\n benefit assemblea antimilitarista\r\n\r\n \r\n\r\nVenerdì 26 gennaio\r\nore 21 \r\nalla Fat in corso Palermo 46\r\nI fascisti del \"secondo millennio\"\r\nCon Pietro Stara, autore de \"L’identità escludente, La Nuova Destra tra piccole patrie e Europa nazione\"\r\n\r\nPer chi fosse interessato ai percorsi della Federazione Anarchica Torinese\r\nriunioni ogni giovedì alle 21\r\ncorso Palermo 46 – a destra nel cortile -\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","16 Dicembre 2017","2018-10-17 22:58:43","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/12/baj-pinelli-200x110.png","Anarres del 15 dicembre. La strage di Stato dopo 48 anni. Scuole libertarie, conflitto e percorsi decisionali. Le seduzioni elettoraliste della siniostra “radicale”. Notizie dal fronte: truppe italiane in Niger? 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Delle seduzioni elettoraliste della sinistra \"radicale”. Con Lorenzo Coniglione\r\n\r\nUn po’ di notizie dal fronte.\r\nIl Ministero della Difesa e quello del Lavoro e dell’Istruzione, Università e Ricerca hanno firmato il protocollo per fare l’alternanza scuola lavoro nelle forze armate.\r\n\r\n \r\n\r\nI militari a scuola di repressione interna\r\n\r\nLa prossima campagna d’Africa dell’esercito italiano sarà nel sahel, in Niger. Sulla carta una missione contro il terrorismo nel cuore della Franc’Afrique. Nei fatti porre le basi per la costruzione di campi di prigionia per migranti sud della Libia.\r\n\r\nProssimi appuntamenti:\r\n\r\n\r\nSabato 16 dicembre\r\nore 20 alla FAT in corso Palermo 46\r\nCena antinatalizia \r\nAnche quest’anno ti aspettiamo alla cena che ammazza li preti\r\nMenù eretico veg vegan e ed esposizione spettacolare del Pres-Empio autogestito:\r\n ciascuno porti la sua statuetta, decorazione, disegno per arricchirlo.\r\nIl nostro menù: antipastini diabolici / chiodi della croce al ragù veg / palle di natale / giostra infernale / dolci tentazioni / angolo di-vino / acqua santa e… tanti scherzi da prete!\r\nLa cena è benefit lotte sociali.\r\nChiediamo tanti soldi a chi li ha, meno a chi ne ha meno, anche niente a chi non ne ha.\r\nPrenotazioni\r\nMail: fai_to@inrete.it - Telefono: 327 13 42 350\r\nAscolta lo spot\r\n\r\n\r\nVenerdì 22 dicembre\r\nore 17 \r\npresidio\r\n al negozio Benetton di via Roma 121\r\n Le maglie Benetton sono sporche di sangue\r\nIl governo argentino ha deciso di regolare i conti con le comunità resistenti dei mapuche, che hanno recuperato, occupandole, alcune terre di insediamento tradizionale delle popolazioni indigene, che non avevano e non intendono adottare la proprietà privata. 930.000 ettari di quelle terre, vendute dallo Stato alle multinazionali inglesi per l’industria estrattiva nell’Ottocento, dagli anni Novanta del secolo scorso sono passate al colosso manifatturiero Benetton, che le utilizza per farvi pascolare le proprie pecore da lana. \r\nBenetton è complice della repressione durissima, costata la vita a Santiago Maldonado in agosto e cl’uccisione di Rafael Nahuel, il ferimento di altre due persone, la scomparsa di diverse altre alla fine di novembre. Dal 2009 sono 14 gli attivisti uccisi dalla polizia. \r\n\r\n \r\n\r\nSabato 13 gennaio\r\nore 10,30 / 14\r\nPunto info antimilitarista al Balon\r\ncon vin brulè, cibo e the caldo\r\n benefit assemblea antimilitarista\r\n\r\n \r\n\r\nVenerdì 26 gennaio\r\nore 21 \r\nalla Fat in corso Palermo 46\r\nI fascisti del \"secondo millennio\"\r\nCon Pietro Stara, autore de \"L’identità escludente, La Nuova Destra tra piccole patrie e Europa nazione\"\r\n\r\nPer chi fosse interessato ai percorsi della Federazione Anarchica Torinese\r\nriunioni ogni giovedì alle 21\r\ncorso Palermo 46 – a destra nel cortile -\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org",[556,558,560,562,564,566,568],{"matched_tokens":557,"snippet":359,"value":359},[],{"matched_tokens":559,"snippet":82,"value":82},[73,74],{"matched_tokens":561,"snippet":545,"value":545},[],{"matched_tokens":563,"snippet":546,"value":546},[],{"matched_tokens":565,"snippet":547,"value":547},[],{"matched_tokens":567,"snippet":548,"value":548},[],{"matched_tokens":569,"snippet":549,"value":549},[],[571,577],{"field":35,"indices":572,"matched_tokens":573,"snippets":575,"values":576},[23],[574],[73,74],[82],[82],{"field":100,"matched_tokens":578,"snippet":553,"value":554},[73,74],{"best_field_score":104,"best_field_weight":105,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":106,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},{"document":581,"highlight":597,"highlights":613,"text_match":102,"text_match_info":622},{"comment_count":47,"id":582,"is_sticky":47,"permalink":583,"podcastfilter":584,"post_author":359,"post_content":585,"post_date":586,"post_excerpt":53,"post_id":582,"post_modified":587,"post_thumbnail":588,"post_title":589,"post_type":393,"sort_by_date":590,"tag_links":591,"tags":594},"11970","http://radioblackout.org/podcast/stragi-fasciste-stragi-di-stato/",[359],"Torino, 18 dicembre 1922. Le squadracce fasciste al comando di Pietro Brandimarte, torturarono e assassinarono sindacalisti, anarchici, socialisti.\r\nMilano, 15 dicembre 1969. L’anarchico Pino Pinelli viene ucciso nei locali della questura di Milano e gettato dal quarto piano per simulare un suicidio. Tre giorni prima una strage di Stato, fatta da fascisti agli ordini del governo, aveva fatto 16 morti nella sede della banca dell’agricoltura in piazza Fontana.\r\n\r\nTorino, 18 dicembre 1922. Le squadracce fasciste al comando di Pietro Brandimarte, torturarono e assassinarono sindacalisti, anarchici, socialisti. Tra loro Pietro Ferrero, anarchico della UAI, segretario della FIOM, torturato ed ucciso barbaramente.\r\nEra l’epilogo di una storia cominciata con l’occupazione della fabbriche e terminata con la decisione imposta dai riformisti di abbandonare la lotta. Dopo i licenziamenti di massa, dopo la repressione, dopo la marcia su Roma le squadracce fasciste si presero la loro vendetta sugli operai torinesi, che avevano osato dichiarare guerra ai loro sfruttatori.\r\nIn piazza XVIII dicembre, di fronte alla vecchia stazione di Porta Susa, c’è una lapide che ricorda le vittime dello squadrismo fascista.\r\nQuello che pochi sanno è che nel dopoguerra Brandimarte venne reintegrato nei gradi e seppellito con gli onori militari. L’Italia democratica imprigiona i partigiani, libera e onora i fascisti.\r\nLa ricostruzione di Marco Revelli: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/revelli-occupazione-fabbr-morte-ferrero.mp3|titles=revelli occupazione fabbr morte ferrero]\r\nScarica l'audio\r\n\r\nMilano, 15 dicembre 1969. L’anarchico Pino Pinelli viene ucciso nei locali della questura di Milano e gettato dal quarto piano per simulare un suicidio. Tre giorni prima una strage di Stato, fatta da fascisti agli ordini del governo, aveva fatto 16 morti nella sede della banca dell’agricoltura in piazza Fontana. La caccia all’anarchico era scattata subito dopo la strage: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\nPietro Valpreda si farà tre anni di carcere prima che la pressione delle piazze porti alla sua liberazione.\r\nPer quella strage ancora oggi non ci sono colpevoli, l’omicidio di Pinelli venne archiviato come “malore attivo”. Lo Stato non processa se stesso.\r\nAnarres ne ha parlato Paolo Finzi, partecipe e testimone di quei giorni.\r\nAscolta il suo intervento: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/2012-12-14-finzi-pinelli-con-musica.mp3|titles=2012 12 14 finzi pinelli con musica]\r\nScarica l'audio\r\n\r\nTorino, 20 dicembre 2012. Entra nel vivo il processo contro quattro anarchici accusati di “furto aggravato” per aver strappato manifesti fascisti, affissi per l’anniversario della marcia su Roma.\r\nUn banale gesto di difesa della memoria dei tanti che morirono, dei tanti che patirono persecuzioni, esilio, botte ed umiliazioni. Siamo a Torino. L’antifascismo fa parte del DNA di una città che combatté metro per metro per cacciare fascisti e nazisti.\r\n“Furto aggravato” è reato che può costare da tre a dieci anni di reclusione.\r\nUna follia giuridica, una delle tante lucide follie che la Procura di Torino, utilizza per chiudere la bocca a all’opposizione politica e sociale.\r\n\r\nI fili della storia di ieri si intrecciano con quella di oggi, con un presente in cui i fascisti tornano ad aggredire e uccidere. Un anno fa a Firenze un fascista ha ammazzato due immigrati e ne ha feriti gravemente altri tre. Nella nostra città un corteo aperto dalla segretaria del PD Bragantini ha dato alle fiamme il campo rom della Continassa, volevano tutti morti perché una ragazzina aveva puntato il dito su due rom per uno stupro mai avvenuto.\r\n\r\nStiamo scivolando verso un baratro. 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A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi. Fu poi gettato dalla finestra per simulare un suicidio.\r\nLa caccia all’anarchico era scattata subito dopo la strage in banca: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\n\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\n\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\n\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Ancora oggi viene diffusa la favola dei “servizi segreti deviati”. Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, allora giovane anarchico, testimone e protagonista di quei giorni.\r\n\r\n“Conobbi Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico per meno di due anni – tra la primavera del ’68 (quando lo incontrai ad una conferenza pubblica alla Casa della Cultura di Milano, mentre volantinava) ed il tardo autunno dell’anno successivo (quando ci ritrovammo in questura, nell’ambito della retata antianarchica subito dopo la strage di piazza Fontana). Eppure quei 21 mesi, incastonati tra la primavera libertaria che sarebbe poi esplosa nel maggio ’68 e la strage di stato che ne é stata – dopo l’autunno caldo – la risposta istituzionale, hanno segnato la mia vita.\r\nGiovane staffetta partigiana durante la Resistenza, anarchico da sempre, sindacalista libertario promotore del rilancio a Milano dell’Unione Sindacale Italiana, esperantista, tra i fondatori della Croce Nera Anarchica per aiutare gli anarchici detenuti, anticlericale, attivo e ben conosciuto nella sinistra milanese, era un punto di riferimento per tanti.\r\nL’ho rivisto l’ultima volta nelle stanze dell’ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre ’69, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là “fermati”, più o meno “sospettati” dell’attentato alla banca dell’Agricoltura. Come quasi tutti i fermati, fui rilasciato la sera successiva.\r\nPino no.” (Paolo Finzi)\r\n\r\nAscolta l’intervista [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2011/12/2011-12-11-Strage-di-Stato-Paolo-Finzi.mp3|titles=2011 12 11 Strage di Stato Paolo Finzi]","13 Dicembre 2011","Sono passati 42 anni da quel dicembre a Milano. 40 anni dal giorno che una bomba di Stato uccise 17 persone nella banca dell’Agricoltura in piazza Fontana. \r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, allora giovane anarchico, testimone e protagonista di quei giorni.\r\nPino Pinelli \"L’ho rivisto l’ultima volta nelle stanze dell’ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre ’69, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là “fermati”, più o meno “sospettati” dell’attentato alla banca dell’Agricoltura. 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Eppure quei 21 mesi, incastonati tra la primavera libertaria che sarebbe poi esplosa nel maggio ’68 e la strage di stato che ne é stata – dopo l’autunno caldo – la risposta istituzionale, hanno segnato la mia vita.\r\nGiovane staffetta partigiana durante la Resistenza, anarchico da sempre, sindacalista libertario promotore del rilancio a Milano dell’Unione Sindacale Italiana, esperantista, tra i fondatori della Croce Nera Anarchica per aiutare gli anarchici detenuti, anticlericale, attivo e ben conosciuto nella sinistra milanese, era un punto di riferimento per tanti.\r\nL’ho rivisto l’ultima volta nelle stanze dell’ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre ’69, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là “fermati”, più o meno “sospettati” dell’attentato alla banca dell’Agricoltura. 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