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Fu esattamente alla fine di luglio del 2012 che a Pechino si tenne il 5° Forum di Cooperazione Cina-Africa, ribattezzato poi dagli analisti geopolitici “Conferenza di Pechino” per la sua importanza strategica. In quell'occasione la Cina annunciò investimenti in Africa per 20 miliardi nei tre anni successivi, un tassello nel mosaico di investimenti partiti nel 2010 nel continente africano per un ammontare di 101 miliardi, 90 dei quali legati direttamente a costruzioni e risorse naturali, fra cui 7,5 miliardi di progetti minerari con Sud Africa e Zambia.\r\n\r\nOltreconfine il gigante asiatico si è mosso con passo felpato. Non ha vincolato la propria assistenza ad aut aut ideologici di americana memoria e ha invece conquistato consensi strappando assegni e portando progresso “con caratteristiche cinesi”: strade, ferrovie e scuole in cambio di petrolio, rame, cobalto e un mercato di sbocco per i propri prodotti. Al contempo, si è fatta largo nei palazzi del potere promuovendo la ricetta economica con cui in soli trent’anni ha scalato i gironi alti della geopolitica. Non si impone con la forza, dunque, persuade con la lingua degli affari.\r\n\r\nSono state, ad esempio, la migliore qualità e l'offerta di competenze tecniche a far sì che il settore della vendita delle armi abbia avuto un crescendo inarrestabile fino ad arrivare a oggi, con due terzi dei Paesi africani che hanno ormai in dotazione armi esportate da Pechino. Ma se apparentemente l'interesse cinese per il mercato delle armi, uno dei più remunerativi al mondo, non sembra nascondere la volontà di una penetrazione militare cinese nel territorio africano, non si può nascondere che la Cina si sia mossa per garantirsi postazioni di interesse economico-militare in Africa. Ne è un esempio la stretta collaborazione tra la Cina e lo Stato di Djibouti, sancita con l'installazione della prima base militare permanente cinese fuori dal proprio territorio e poi con il progetto di un'area di libero scambio con la Cina, una “Free trade zone” di esclusivo appannaggio della China’s Merchants Holdings Company, l’azienda statale cinese di trasporti marittimi che garantirà così l’assoluta leadership nel settore commerciale della zona.\r\n\r\nPer cercare di meglio interpretare questa complessa situazione abbiamo contattato Andrea Spinelli Barrile, giornalista freelance.\r\n\r\nAscolta la diretta\r\n\r\nsinafrica1\r\n\r\nsinafrica2\r\n\r\n \r\n\r\nArticoli correlati\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/2019/01/2049-la-nuova-via-della-seta-parte-dalla-cina/","26 Gennaio 2019","2019-01-28 01:20:06","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/01/cinafrica_2-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"146\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/01/cinafrica_2-300x146.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/01/cinafrica_2-300x146.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/01/cinafrica_2.jpg 703w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Le mani di Pechino sull'Africa",1548519072,[124,65,125,126],"http://radioblackout.org/tag/africa/","http://radioblackout.org/tag/investimenti-cinesi-in-africa/","http://radioblackout.org/tag/vendita-armi/",[128,15,129,130],"Africa","investimenti cinesi in africa","vendita armi",{"post_content":132,"post_title":136},{"matched_tokens":133,"snippet":134,"value":135},[77],"luglio del 2012 che a \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> si tenne il 5° Forum","Proseguendo nei nostri approfondimenti sul colosso cinese e le sue mire espansionistiche siamo andati a vedere quel che accade nel continente africano dove da quasi dieci anni è in atto una sorta di \"colonizzazione\" made in China, salutata con soddisfazione dai governi locali. 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Sono stati i dazi di Trump ad avvicinare i leader di India e Cina? Abbiamo fatto questa e altre domande a Sabrina Moles, di China Files. Ascolta o scarica l'approfondimento.\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/paratapechino.mp3\"][/audio]","8 Settembre 2025","2025-09-08 20:27:12","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"185\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3-300x185.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3-300x185.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3-1024x632.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3-768x474.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3-1536x948.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/World_leaders_attending_the_2025_China_Victory_Day_Parade_3.jpg 1880w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Xi Jinping promuove una nuova visione globale affiancato dai leader di India e Russia",1757363096,[65,191,192,193,194,195,71],"http://radioblackout.org/tag/gasdotto/","http://radioblackout.org/tag/india/","http://radioblackout.org/tag/multipolarismo/","http://radioblackout.org/tag/putin/","http://radioblackout.org/tag/russia/",[15,197,198,199,200,201,18],"gasdotto","india","multipolarismo","putin","russia",{"post_content":203},{"matched_tokens":204,"snippet":205,"value":206},[77],"Mercoledì 3 settembre a \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> il presidente cinese Xi Jinping,","Mercoledì 3 settembre a \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> il presidente cinese Xi Jinping, il presidente russo Vladimir Putin e il leader nordcoreano Kim Jong Un hanno partecipato a una grande parata militare insieme a una ventina di leader di tutto il mondo per commemorare l’80esimo anniversario della fine della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione giapponese della Cina.\r\nDue giorni prima, lunedì, Xi ha ospitato nella città portuale cinese di Tianjin il vertice della SCO, l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, un'iniziativa sostenuta dalla Cina che ha ricevuto nuovo impulso dalla presenza del presidente russo Vladimir Putin e del primo ministro indiano Narendra Modi.\r\n\r\nIn un'immagine pensata per trasmettere un senso di solidarietà, Putin e Modi sono stati mostrati mentre si tenevano per mano mentre camminavano allegramente verso Xi prima dell'apertura del vertice. 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Invece la riunione del Consiglio centrale – espressione ridotta del Consiglio nazionale palestinese (il parlamento dell’Olp) – segna una nuova rottura, forse irrecuperabile, tra Abu Mazen e Hamas nel momento più difficile per Gaza e i palestinesi. Abu Mazen ha chiamato Hamas \"figli di cani\" e poi gli ha ordinato di cedere il controllo di Gaza e deporre le armi (come chiede Israele). «Hamas deve affidare all’Anp le responsabilità sulla Striscia, rinunciare alle armi e trasformarsi in un partito politico» . A tanti palestinesi, almeno a giudicare dai post sui social, non è piaciuto l’attacco frontale ad Hamas, inclusi simpatizzanti e militanti di Fatah, il partito del presidente , le finalità del Consiglio centrale sono altre, come hanno sottolineato alcune formazioni palestinesi, tra cui il Fronte Popolare (Fplp, sinistra). Ponendo un’ombra sulla legittimità della sessione, il Fplp ha parlato di «un passo parziale» privo dei presupposti richiesti dal dialogo. Abu Mazen ha anche indicato il suo successore come vicepresidente si tratta di Hussein Sheikh, già segretario del Comitato esecutivo dell’Olp, molto vicino ad Abu Mazen e gradito agli Usa e all’Europa. E anche alle autorità israeliane, con cui Sheikh ha avuto rapporti quotidiani per aver svolto, per anni, l’incarico di responsabile dell’Anp per gli affari civili. Nel luglio 2024 a Pechino le organizzazioni palestinesi avevano concordato di raggiungere un’unità nazionale che includesse tutte le forze e organizzazioni palestinesi nel quadro dell’OLP impegnandosi per la creazione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale, in conformità con le risoluzioni delle Nazioni Unite, e per garantire il diritto al ritorno dei profughi palestinesi in conformità con la risoluzione ONU 194 ,ma questa prospettiva sembra allontanarsi sempre di più così come l'unità dei palestinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Bassam Saleh attivista palestinese in Italia dal 1970.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/04/INFO-28042025-BASSAM.mp3\"][/audio]","28 Aprile 2025","Abu Mazen sceglie il suo successore. 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A tanti palestinesi, almeno a giudicare dai post sui social, non è piaciuto l’attacco frontale ad Hamas, inclusi simpatizzanti e militanti di Fatah, il partito del presidente , le finalità del Consiglio centrale sono altre, come hanno sottolineato alcune formazioni palestinesi, tra cui il Fronte Popolare (Fplp, sinistra). Ponendo un’ombra sulla legittimità della sessione, il Fplp ha parlato di «un passo parziale» privo dei presupposti richiesti dal dialogo. Abu Mazen ha anche indicato il suo successore come vicepresidente si tratta di Hussein Sheikh, già segretario del Comitato esecutivo dell’Olp, molto vicino ad Abu Mazen e gradito agli Usa e all’Europa. E anche alle autorità israeliane, con cui Sheikh ha avuto rapporti quotidiani per aver svolto, per anni, l’incarico di responsabile dell’Anp per gli affari civili. Nel luglio 2024 a \u003Cmark>Pechino \u003C/mark> le organizzazioni palestinesi avevano concordato di raggiungere un’unità nazionale che includesse tutte le forze e organizzazioni palestinesi nel quadro dell’OLP impegnandosi per la creazione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale, in conformità con le risoluzioni delle Nazioni Unite, e per garantire il diritto al ritorno dei profughi palestinesi in conformità con la risoluzione ONU 194 ,ma questa prospettiva sembra allontanarsi sempre di più così come l'unità dei palestinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Bassam Saleh attivista palestinese in Italia dal 1970.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/04/INFO-28042025-BASSAM.mp3\"][/audio]",[248],{"field":144,"matched_tokens":249,"snippet":245,"value":246},[244],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},{"document":252,"highlight":270,"highlights":275,"text_match":146,"text_match_info":278},{"cat_link":253,"category":254,"comment_count":50,"id":255,"is_sticky":50,"permalink":256,"post_author":53,"post_content":257,"post_date":258,"post_excerpt":56,"post_id":255,"post_modified":259,"post_thumbnail":260,"post_thumbnail_html":261,"post_title":262,"post_type":61,"sort_by_date":263,"tag_links":264,"tags":268},[47],[49],"90556","http://radioblackout.org/2024/06/manovre-militari-intorno-a-taiwan/","La Cina ha lanciato importanti esercitazioni militari intorno a Taiwan, simulando un attacco su vasta scala sull’isola, tre giorni dopo il discorso di insediamento del nuovo presidente Lai Ching-te.\r\nSecondo gli organi di informazione ufficiali, le manovre sono state lanciate “con l’intento di punire le forze secessioniste” e per inviare un avvertimento “alle forze esterne belligeranti, in seguito al discorso separatista del leader regionale di Taiwan, Lai Ching-te”. Taiwan, da parte sua, ha condannato le esercitazioni, definendole “provocazioni irrazionali” che minacciano la democrazia e la libertà di Taiwan, nonché la pace e la stabilità regionale.\r\nGli Stati Uniti mantengono legami ufficiali con Pechino e lo riconoscono come l’unico governo cinese nell’ambito della “politica della Cina unica”, ma rimangono anche il più significativo sostenitore internazionale di Taiwan.\r\n\r\nTaiwan è, inoltre, il più grande produttore mondiale di chip, componenti essenziali di innumerevoli prodotti elettronici che vengono utilizzati quotidianamente nelle nostre vite.\r\n\r\nLe elezioni, le esercitazioni, questi avvenimenti di natura politica, hanno delle conseguenze sul ruolo di Taiwan come produttore di semiconduttori. Pechino ha investito 50 miliardi di dollari nella produzione di chip, sperando di arrivare a soddisfare il 70 per cento della domanda interna entro il 2025, tuttavia la minaccia di ridurre le importazioni da Taiwan potrebbe non essere così credibile. Contemporaneamente, Taiwan sta cercando di sottrarsi alle pressioni di Pechino, rafforzando i legami economici e commerciali con gli Stati Uniti, che a loro volta impongono restrizioni alla vendita delle tecnologie avanzate del settore, come i processori, sottoponendole a una rigida regolamentazione.\r\n\r\nAbbiamo chiesto a Sabrina Moles, redattrice di China-files, di aggiornarci sulla situazione politica taiwanese dopo le elezioni. 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Di questa situazione ingarbugliata abbiamo parlato prima con Antonella De Biasi a partire dalla condizione del popolo curdo e armeno; e successivamente ci è sembrato utile approfondire con Murat Cinar la situazione interna, di crisi economica e repressione di ogni opposizione, e il peso della strategia geopolitica di Ankara. Da ultimo uno sguardo alla Cina con Sabrina Moles dopo l’evento estivo dello Sco e la successiva esibizione muscolare a Pechino, ma anche il multilateralismo teorizzato da Xi e le dichiarazioni ambientaliste contrapposte a quelle del rivale americano nella stessa sede newyorkese del Palazzo di Vetro. \n\n\n\nNecropolitica e narcostato ecuadoriano\n\n\n\n\nhttps://www.spreaker.com/episode/ecuador-en-paro-contra-noboa-y-fmi--67915787\n\n\n\n\nAbbiamo parlato della situazione in Ecuador con Eduardo Meneses ricercatore politico, attivista, reporter alternativo .\n\n\n\nNegli ultimi giorni l’Ecuador è scosso da un’ondata di proteste esplose dopo la decisione del presidente Daniel Noboa di abolire il sussidio sul diesel, in vigore dal 1974. La misura, che ha fatto impennare il prezzo del carburante da 1,80 a 2,80 dollari al gallone, ha innescato il conflitto sociale con manifestazioni che attraversano il Paese, dalle grandi città alle province rurali. Contadini, trasportatori, pescatori, studenti e comunità indigene denunciano un provvedimento che incide pesantemente sul costo della vita e lo considerano l’ennesima espressione di un modello neoliberista responsabile di profonde disuguaglianze. A guidare la risposta è la CONAIE, la storica Confederazione delle Nazionalità Indigene, che ha proclamato uno sciopero nazionale a oltranza.Il tema dei sussidi per il diesel è una problema storico ogni volta che si è tentato di cancellare i sussidi sul diesel c’è stata una risposta popolare .Non è una protesta isolata ma storica ci sono state proteste popolari ne 2019 e nel 2022 ,l’economia del paese è dollarizzata e non sostenibile ,al governo è costato trovare le risorse per pagare gli stipendi pubblici ,per questo sta ricorrendo al FMI che impone tagli ai sussidi e allo stato sociale. 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Ma attualmente al-Jolani – come si faceva chiamare il tagliagole ora chiamato al-Shara, quando Antonella nel 2022 ne aveva tracciato la figura nel suo libro Astana e i 7 mari – è il padrone di quella che era buona parte della nazione governata fino a un anno fa dalla famiglia Assad, e probabilmente in questi giorni la volubilità di Trump sembra attribuire a Erdoğan il protettorato su una Siria governata da una sua creatura, in virtù delle promesse di stabilità profuse dal presidente turco, un’investitura conferita nonostante le milizie di modello ottomano: predoni che imperversano lungo le coste del Mediterraneo orientale. \n\n\n\nSpaesamento e impotenza armena: revisionismo entitàPoi si è affrontata la diversa strategia dei curdi siriani rispetto all’apertura di Ocalan, che ha invitato il Pkk a deporre le armi, come altra situazione è ancora quella dei curdi iraniani. Ma la problematicità insita nell’egemonia turca su quell’area travolge anche e maggiormente la comunità armena alla mercé dei fratelli azeri dei turchi; e furono le prime vittime di un genocidio del Secolo breve. Ora gli armeni hanno ancor meno alleati e sostenitori del solito, visto che il gas di Baku fa gola a tutti; e gli viene sottratta pezzo per pezzo identità, terra, riferimenti culturali. Oltre alla diaspora. La speranza di accoglienza europea è a metà con l’alleanza con i russi, disattesa da Putin, ma ancora valida. E Pashinyan non ha alcuna idea o autorevolezza per rappresentare gli armeni. \n\n\n\nRelazioni tra Israele e TurchiaUn’ipotesi di Al-Jazeera vede la Turchia nel mirino israeliano per assicurare l’impunità di Netanyahu che si fonda sul costante stato di guerra, ma anche perché è l’ultima potenza regionale non ancora ridimensionata dall’aggressività sionista. Peraltro la rivalità risale a decenni fa e in questo periodo di Global Sudum Flottilla si ricorda la Mavi Marmara assaltata dai pirati del Mossad uccidendo 10 persone a bordo, mentre cercava di forzare il blocco navale di Gaza. Fino a che punto può essere credibile una guerra scatenata da Israele contro la Turchia? Secondo Antonella De Biasi è difficile che possa avvenire, non solo perché Erdoğan è più abile di Netanyahu (al rientro da Tianjin ha chiesto a Trump gli F-35, dimenticando i sistemi antiaerei comprati da Mosca), ma perché gli affari anche di ordigni militari non si sono mai interrotti, inoltre a livello regionale l’alleanza con Al-Thani dovrebbe mettere al riparo la Turchia da attacchi sconsiderati e senza pretesti validi… certo, con il terrore di Netanyahu non si può mai sapere. \n\n\n\nCosa rimane del sistema di Astana?Facile interpretare la presenza a Tianjin dei leader che erano soliti incontrarsi sotto l’ombrello di Astana come confluenza di interessi, meno semplice capire fino a che punto ciascuno di loro e gli altri protagonisti del Shangai cooperation organization siano posizionati in più o meno consolidate alleanze. Sentiamo Antonella De Biasi e sugli stessi argomenti poi anche Murat Cinar in questo spreaker che abbiamo registrato subito dopo aver sentito Antonella: Trump incontra Erdoğan.\n\n\n\n\n\n\n\nL’Internazionale nera passa anche da Ankara\n\n\n\n\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-incontra-erdogan-lui-ha-bisogno-di-cose-io-di-altre-ci-mettiamo-d-accordo--67923007\n\n\n\n\nPiù la situazione risulta nebulosa, intricata e sul bordo del precipizio bellico e maggiore è il potere in mano a Erdoğan\n\n\n\nLo scollamento giovanile (da Gezi Park), la censura (Murat Cinar ci ha proposto l’ultima in ordine di tempo delle proibizioni musicali in Turchia), l’asservimento e la concentrazione dei poteri (gli interventi della magistratura a ingabbiare l’opposizione con pretesti), le centrali mediatiche ridotte a megafono del potere… tutti aspetti che caratterizzano il ventennio del Sultano al potere, ma se si guarda bene all’involuzione del paesaggio globale, si nota che la cancellazione dello Stato di diritto non è una prerogativa turca, ma riduce Ankara a una delle tappe dell’Internazionale nera che parte da Washington, passa per Roma, Tel Aviv, Budapest…L’economia in crisi, tranne la produzione bellica in mano alla famiglia che per il resto saccheggia la finanza statale da 20 anni a questa parte e ora la condiscendenza alle richieste di Trump dissangueranno ulteriormente il bilancio, già falcidiato dal 90% di inflazione, con svalutazione della Lira dal 2008 in poi e con una disoccupazione altissima. 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Da ultimo uno sguardo alla Cina con Sabrina Moles dopo l’evento estivo dello Sco e la successiva esibizione muscolare a \u003Cmark>Pechino\u003C/mark>, ma anche il multilateralismo teorizzato da Xi e le dichiarazioni ambientaliste contrapposte a quelle del rivale americano nella stessa sede newyorkese del Palazzo di Vetro. \n\n\n\nNecropolitica e narcostato ecuadoriano\n\n\n\n\nhttps://www.spreaker.com/episode/ecuador-en-paro-contra-noboa-y-fmi--67915787\n\n\n\n\nAbbiamo parlato della situazione in Ecuador con Eduardo Meneses ricercatore politico, attivista, reporter alternativo .\n\n\n\nNegli ultimi giorni l’Ecuador è scosso da un’ondata di proteste esplose dopo la decisione del presidente Daniel Noboa di abolire il sussidio sul diesel, in vigore dal 1974. La misura, che ha fatto impennare il prezzo del carburante da 1,80 a 2,80 dollari al gallone, ha innescato il conflitto sociale con manifestazioni che attraversano il Paese, dalle grandi città alle province rurali. Contadini, trasportatori, pescatori, studenti e comunità indigene denunciano un provvedimento che incide pesantemente sul costo della vita e lo considerano l’ennesima espressione di un modello neoliberista responsabile di profonde disuguaglianze. A guidare la risposta è la CONAIE, la storica Confederazione delle Nazionalità Indigene, che ha proclamato uno sciopero nazionale a oltranza.Il tema dei sussidi per il diesel è una problema storico ogni volta che si è tentato di cancellare i sussidi sul diesel c’è stata una risposta popolare .Non è una protesta isolata ma storica ci sono state proteste popolari ne 2019 e nel 2022 ,l’economia del paese è dollarizzata e non sostenibile ,al governo è costato trovare le risorse per pagare gli stipendi pubblici ,per questo sta ricorrendo al FMI che impone tagli ai sussidi e allo stato sociale. Di fronte a questa situazione economica la soluzione di Noboa è un regime autoritario per controllare il malcontento , una narco economia in cui il neoliberalismo si trasforma in una gestione della morte e questo nuovo modello si sta sviluppando ,e la gente si sta organizzando per dire no a questo processo che costituirebbe un arretramento dal punto vista sociale ed economico .\n\n\n\n\n\n\n\nTrump spariglia e la sfiducia serpeggia anche in Medio Oriente\n\n\n\n\nhttps://www.spreaker.com/episode/la-sfiducia-negli-imperi-technomedievali-provocata-da-personaggi-distopici--67932142\n\n\n\n\nI curdi possono sperare di essere tra i pochi che traggono qualche vantaggio dalla feroce rimappatura violenta del Sudovest asiatico che sta andando in scena sul palcoscenico del Palazzo di Vetro newyorkese? \n\n\n\n Vigilanza curda: diversa per ciascun paese della loro frammentazioneA partire da questa domanda Antonella De Biasi, giornalista ed esperta della regione mediorientale, ha restituito un disegno del Sudovest asiatico a partire dal Federalismo democratico del Rojava come unica realtà di rispetto dei diritti e di un’amministrazione aperta a tutte le comunità che abitano il territorio; all’interno di Israele ci sono stati molteplici sostegni alla lotta curda (anche in funzione antiturca). Ma attualmente al-Jolani – come si faceva chiamare il tagliagole ora chiamato al-Shara, quando Antonella nel 2022 ne aveva tracciato la figura nel suo libro Astana e i 7 mari – è il padrone di quella che era buona parte della nazione governata fino a un anno fa dalla famiglia Assad, e probabilmente in questi giorni la volubilità di Trump sembra attribuire a Erdoğan il protettorato su una Siria governata da una sua creatura, in virtù delle promesse di stabilità profuse dal presidente turco, un’investitura conferita nonostante le milizie di modello ottomano: predoni che imperversano lungo le coste del Mediterraneo orientale. \n\n\n\nSpaesamento e impotenza armena: revisionismo entitàPoi si è affrontata la diversa strategia dei curdi siriani rispetto all’apertura di Ocalan, che ha invitato il Pkk a deporre le armi, come altra situazione è ancora quella dei curdi iraniani. Ma la problematicità insita nell’egemonia turca su quell’area travolge anche e maggiormente la comunità armena alla mercé dei fratelli azeri dei turchi; e furono le prime vittime di un genocidio del Secolo breve. Ora gli armeni hanno ancor meno alleati e sostenitori del solito, visto che il gas di Baku fa gola a tutti; e gli viene sottratta pezzo per pezzo identità, terra, riferimenti culturali. Oltre alla diaspora. La speranza di accoglienza europea è a metà con l’alleanza con i russi, disattesa da Putin, ma ancora valida. E Pashinyan non ha alcuna idea o autorevolezza per rappresentare gli armeni. \n\n\n\nRelazioni tra Israele e TurchiaUn’ipotesi di Al-Jazeera vede la Turchia nel mirino israeliano per assicurare l’impunità di Netanyahu che si fonda sul costante stato di guerra, ma anche perché è l’ultima potenza regionale non ancora ridimensionata dall’aggressività sionista. Peraltro la rivalità risale a decenni fa e in questo periodo di Global Sudum Flottilla si ricorda la Mavi Marmara assaltata dai pirati del Mossad uccidendo 10 persone a bordo, mentre cercava di forzare il blocco navale di Gaza. Fino a che punto può essere credibile una guerra scatenata da Israele contro la Turchia? Secondo Antonella De Biasi è difficile che possa avvenire, non solo perché Erdoğan è più abile di Netanyahu (al rientro da Tianjin ha chiesto a Trump gli F-35, dimenticando i sistemi antiaerei comprati da Mosca), ma perché gli affari anche di ordigni militari non si sono mai interrotti, inoltre a livello regionale l’alleanza con Al-Thani dovrebbe mettere al riparo la Turchia da attacchi sconsiderati e senza pretesti validi… certo, con il terrore di Netanyahu non si può mai sapere. \n\n\n\nCosa rimane del sistema di Astana?Facile interpretare la presenza a Tianjin dei leader che erano soliti incontrarsi sotto l’ombrello di Astana come confluenza di interessi, meno semplice capire fino a che punto ciascuno di loro e gli altri protagonisti del Shangai cooperation organization siano posizionati in più o meno consolidate alleanze. Sentiamo Antonella De Biasi e sugli stessi argomenti poi anche Murat Cinar in questo spreaker che abbiamo registrato subito dopo aver sentito Antonella: Trump incontra Erdoğan.\n\n\n\n\n\n\n\nL’Internazionale nera passa anche da Ankara\n\n\n\n\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-incontra-erdogan-lui-ha-bisogno-di-cose-io-di-altre-ci-mettiamo-d-accordo--67923007\n\n\n\n\nPiù la situazione risulta nebulosa, intricata e sul bordo del precipizio bellico e maggiore è il potere in mano a Erdoğan\n\n\n\nLo scollamento giovanile (da Gezi Park), la censura (Murat Cinar ci ha proposto l’ultima in ordine di tempo delle proibizioni musicali in Turchia), l’asservimento e la concentrazione dei poteri (gli interventi della magistratura a ingabbiare l’opposizione con pretesti), le centrali mediatiche ridotte a megafono del potere… tutti aspetti che caratterizzano il ventennio del Sultano al potere, ma se si guarda bene all’involuzione del paesaggio globale, si nota che la cancellazione dello Stato di diritto non è una prerogativa turca, ma riduce Ankara a una delle tappe dell’Internazionale nera che parte da Washington, passa per Roma, Tel Aviv, Budapest…L’economia in crisi, tranne la produzione bellica in mano alla famiglia che per il resto saccheggia la finanza statale da 20 anni a questa parte e ora la condiscendenza alle richieste di Trump dissangueranno ulteriormente il bilancio, già falcidiato dal 90% di inflazione, con svalutazione della Lira dal 2008 in poi e con una disoccupazione altissima. Ma anche a livello internazionale la diplomazia turca è agevolata dalla sua collocazione ambigua, dai suoi affari agevolati dagli errori europei, dal suo mantenersi all’interno della Nato ma sempre partecipe di ogni centro di potere: uditore della centralità multilaterale di Tianjin con il Sud del mondo e contemporaneamente presente alla riunione con paesi arabi sul piano di pace per Gaza alla corte di Trump, che vede in Erdoğan un potenziale risolutore a cui delegare la questione ucraina, perché «unico leader apprezzato da Zelensky e da Putin»; mentre il fantasma degli Accordi di Astana potrebbe sembrare confluire nello Sco, dove c’erano tutt’e tre i protagonisti, in realtà Murat ritiene chiuso il percorso degli Astana Files, perché la Turchia non fa effettivamente parte di Shangai Files. Piuttosto va approfondito il discorso di Astana sulla Siria e lo stallo attuale di tutte le potenze che ne controllavano il territorio prima della dirompente dissoluzione dello stato di Assad: alcune del tutto esautorate, come Iran e Russia, e altre che si contrappongono: Turchia, Qatar e Israele… e probabilmente per gli americani è più accettabile che sia controllato da Erdoğan. Ma questo non significa che la repubblica turca sia contraria a Tel Aviv: infatti Murat ci spiega come ci siano manifestazioni propal che vengono pesantemente caricate dalla polizia indette da forze conservatrici della destra islamista, perché gli interessi dell’industria bellica sono tutti a favore di Israele e gli affari vedono la famiglia del presidente tra i beneficiari degli scambi e dell’uso di armi a Gaza; anche il Chp organizza proteste",[378],{"field":144,"matched_tokens":379,"snippet":375,"value":376},[77],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},{"document":382,"highlight":397,"highlights":402,"text_match":146,"text_match_info":405},{"comment_count":50,"id":383,"is_sticky":50,"permalink":384,"podcastfilter":385,"post_author":182,"post_content":386,"post_date":387,"post_excerpt":56,"post_id":383,"post_modified":388,"post_thumbnail":389,"post_title":390,"post_type":333,"sort_by_date":391,"tag_links":392,"tags":395},"99949","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-18-09-2025-la-svolta-dellattacco-sionista-a-doha-rivolte-e-intrighi-nella-contorta-estate-in-sudest-asiatico-il-gerd-etiope-alleanze-in-corno-dafrica-e-lassedio-medievale/",[287],"Nel 43esimo anniversario di Sabra e Chatila iniziamo la trasmissione con Laura Silvia Battaglia per analizzare quali strade si aprono al mondo arabo e in particolare ai paesi del Golfo dopo il proditorio attacco del fascistissimo governo israeliano contro la delegazione di Hamas chiamata a Doha a valutare le proposte di tregua; da questo primo spunto si è sviluppata una disamina che ha coinvolto il Pakistan, con il quale l'Arabia Saudita ha stipulato un accordo di reciproco supporto in caso di aggressione, la centralità della spianata nei livelli di provocazione dell'entità ebraica, il dilettantismo trumpiano, finendo con rievocare la distruzione di vestigia e tradizioni culturali perpetrate dall'esercito americano nel recente passato, con lo stesso spregio coloniale e supponente dell'Idf, partendo dal presupposto di detenere il monopolio della cultura di riferimento.\r\nPer contiguità con la regione mediorientale abbiamo proseguito nella carrellata di conflitti che costellano il pianeta, attraversando Bab-al Mandab, ed è toccato a Matteo Palamidesse accompagnarci tra le divisioni armate dell'Africa orientale, dove l'attivazione della diga etiope Gerd sul Nilo Azzurro funge da pretesto per alimentare le divisioni etniche, le rivendicazioni di indipendenza e i campi contrapposti appoggiati da potenze straniere, coinvolgendo il territorio del Corno d'Africa ed estendendosi fino all'assedio di stampo medievale attuato dalle Rsf di Dagalo su Al Fashir nell'Est del Sudan, dove si consumano stragi quotidiane, l'ultima delle quali è avvenuta con un drone su una moschea che ha causato 75 morti poche ore dopo il racconto di Matteo ai nostri microfoni.\r\nL'elenco di conflitti, proteste e insurrezioni è poi proseguito in Sudest asiatico con Emanuele Giordana, che ci ha illustrato gli intrighi, collegati agli interessi delle scam city e del mondo dell'azzardo per quel che riguarda le scaramucce tra Thailandia e Cambogia e che hanno portato a un rivolgimento politico rischioso per la tradizionale suscettibilità dei militari thai, sempre pronti a sciogliere la conduzione democratica del paese, ora in mano a una nuova coalizione anodina condotta da Anutin Charnvirakul con l'appoggio esterno del Partito popolare (ex Move Forward), dopo la destituzione della famiglia Shinawatra; sempre con il reporter esperto delle questioni estremo orientali abbiamo poi raggiunto il Nepal dove si è assistito a un nuovo episodio delle rivolte della macroarea nell'ultimo anno (dopo Bangla Desh e Sri Lanka) che hanno portato alla destituzione del governo corrotto filocinese; senza tralasciare il pugno di ferro di Prabowo che riprende la tradizione repressiva dell'Indonesia.\r\nLa lunga puntata si è conclusa in Latinamerica con Andrea Cegna inseguendo altri venti di guerra, anche questi scatenati dall'Impero americano in declino: le War on Drugs di nixoniana memoria, ripristinate dall'amministrazione Trump come pretesto per colpire i nemici del cortile di casa; così si è parlato di quale sia il significato ancora del regime bolivariano in Venezuela, ma anche del contrasto in Caribe e quale ruolo svolga il Mexico di Scheinbaum, riservandoci di affrontare tra un mese le alterne fortune del neoliberismo nel mondo latinoamericano, in particolare quello incarnato da Milei che ha subito sì una sonora sconfitta a Buenos Aires, ma in ottobre per le elezioni del Parlamento può ambire a un numero maggiore di rappresentanti eletti tra le sue file.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nOil non olet\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/3iOadt0OjeBCBS2wCkHYV6?si=2mNA3bJ4QpaubkOL24hdvg\r\n\r\nSi sono sprecati tutti gli aggettivi più vieti possibili per esprimere indignazione per l’efferatezza delle operazioni militari di Idf agli ordini politici del governo fascista di Netanyahu, sempre rispettando il diritto di Israele a perpetuare un genocidio in quanto popolo eletto, ma di fronte alla sorpresa per il bombardamento della delegazione riunita a valutare proposte di “pace” nel territorio sovrano del Qatar, una nazione filoamericana che ospita la più grossa base statunitense nel Sudovest asiatico e ha regalato l’aereo presidenziale come omaggio al nuovo imperatore, sono venute meno le inani riprovazioni e i vicini sauditi si sono rivolti al Pakistan in cerca di ombrello nucleare e protezione. La credibilità dell’amministrazione Trump è scomparsa del tutto e il volto mascherato di sangue dello Stato ebraico è apparso improvvisamente con i suoi veri connotati al mondo arabo, che ha sempre abbandonato le genti di Palestina al loro destino sacrificale, in cambio di affari.\r\nIl raid israeliano a Doha ha superato il perimetro del conflitto con Hamas: ha squassato regole non scritte, infranto la logica del territorio mediatore, e messo in discussione l’intero schema di alleanze della diplomazia araba, quella stessa che ha permesso al Mossad le peggiori turpitudini e fornito appoggio per operazioni nell'area contro gli avversari di Israele, che con il suo istinto da scorpione ha punto persino il proprio cavallo di Troia nella regione. Il Qatar, lungi dall’essere un bersaglio secondario, entra nella storia come simbolo della frattura tra potenza militare israeliana e coesione regionale arabo-americana, dando spazio a una alleanza di nuovo stampo con una potenza nucleare che fa parte della Belt Road cinese e si approvvigiona da Pechino per i suoi ordigni, come la filosionista India si è accorta nell'ultimo conflitto di pochi mesi fa.\r\nForse ora tutti si accorgeranno che la volontà di cancellazione di ogni traccia di vita e cultura araba dal territorio della Israele biblica coinvolge anche le vestigia e le tradizioni mondiali, ma questo risultato è stato possibile perché tutto ciò che stanno perpetrando i sionisti è già stato sperimentato dai governi di Washington, per esempio in Iraq, dove sono state ridotte in briciole dallo spregio dell’esercito americano testimonianze artistiche e culturali millenarie. Questo è reso possibile dalla presunzione che l’unica vera cultura sia quella ebraico-cristiana e tutti gli altri sono semplici colonizzati senza cultura propria.\r\nQuesti sono i prodromi perché quando gli invasati come Smotrich e Ben Gvir picconeranno la moschea di Gerusalemme, come già hanno cominciato a fare, Al-Aqsa sarà la soglia oltre alla quale la hybris ebraica renderà conto dei suoi abusi, perché la rivolta a quel punto non coinvolgerà solo i milioni di palestinesi, ma i miliardi di musulmani. E gli accordi finanziari, gli interessi per i resort progettati su una Striscia di concentramento e sterminio nulla potranno di fronte alla rivendicazione culturale delle masse oltraggiate dall’impunità israeliana.\r\nGià la trasferta di Rubio a Doha si è risolta in un fallimento: nonostante il giorno prima la riunione dei paesi coinvolti avesse balbettato, come una qualunque Unione europea, L’emiro Tamim ha chiesto i risarcimenti per i danni causati nel bombardamento israeliano su Doha, le scuse ufficiali e l’impegno di Netanyahu a non ripetere più la sua prepotenza e soprattutto di bloccare le uccisioni di innocenti a Gaza.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Oil-non-olet-in-Qatar.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAltri temi inerenti all'aggressione colonialista israeliana degli ultimi 80 anni si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\nIrresolubili contrasti che trovano nell'acqua del Nilo pretesti per perpetuarsi\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/dalla-diga-sul-nilo-all-assedio-di-al-fashir-conflitti-in-africa-orientale--67835929\r\n\r\nFinalmente a inizio settembre si è inaugurata Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro voluta da Ahmed e che non solo approvvigionerebbe Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti di energia elettrica, ma coprirebbe il 20% dei consumi dell’Africa orientale. In questo anno in cui il bacino idrico si è andato riempiendo i dati dimostrano che questo non è avvenuto a detrimento dei paesi a valle, eppure i motivi di attrito con l’Egitto non scemano e anzi si dispiegano truppe del Cairo in Somalia, evidenziando alleanze e divisioni legate ad altri dossier, quali lo sbocco al mare in Somaliland (proprio la regione che per essere riconosciuta da Usa e Israele è disposta a ospitare i gazawi deportati) per Addis Abeba, o gli scontri interetnici sia a Nord in Puntland, che nel Jubbaland a Sud. Matteo Palamidesse ci aiuta a districarci ancora una volta in mezzo a queste dispute, ma ci apre anche una finestra sull’orrore attorno ad Al Fashir, città nel Sudan occidentale con 300.000 abitanti assediati dalle milizie delle Forze di intervento rapido di Hemedti; le sue parole a questo proposito vengono registrate qualche ora prima che un attacco contro una moschea proprio nei dintorni della città del Darfur ai confini con il Ciad il 19 settembre producesse 75 morti.\r\nNon poteva mancare anche uno sguardo al Sud Sudan nel giorno in cui è stato reso noto il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, frutto di due anni di indagini e analisi indipendenti che hanno evidenziato il Saccheggio di una nazione, come riporta il titolo del dossier stesso.\r\n\r\n \r\n\r\nIl dossier africano che racchiude i podcast precedenti si trova qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Infiniti-squilibri-distopici-in-Africa-orientale.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nIl capillare cambio di paradigma sistemico in Sudest asiatico\r\n\r\nCon Emanuele Giordana parliamo dei venti di rivolta giovanile che stanno scuotendo alcuni paesi asiatici, un'onda lunga partita dalle rivolte in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024 che hanno defenestrato le dinastie al potere reclamando un cambiamento sostanziale . Le cause delle crisi che stanno attraversando alcuni paesi asiatici hanno le loro radici in un sistema di potere autoritario che nega le legittime aspirazioni delle nuove generazioni a una partecipazione concreta alle scelte che condizionano il loro futuro. La crisi economica, le distorsioni nello sviluppo eredità del colonialismo, l'iniqua distribuzione delle risorse, la corruzione imperante, le smodate ricchezze esibite da élite predatorie, l'ingombrante presenza dei militari nella vita politica ed economica, la disoccupazione giovanile e la mancanza di prospettive sono tratti comuni in paesi come la Thailandia, l'Indonesia e con caratteristiche più peculiari il Nepal. Sono paesi dove i giovani sono la maggioranza ma le loro richieste di cambiamento sono state compresse e represse per molto tempo e dove hanno trovato uno sbocco elettorale come in Thailandia i poteri conservatori e legati alla monarchia hanno invalidato l'esito elettorale. La chiamano la generazione \"z\" ma a prescindere dalle definizioni queste rivolte sono il sintomo di una forte richiesta di cambiamento del modello di accumulazione che ha contraddistinto la tumultuosa crescita dei paesi asiatici. Questa spinta generazionale ancora non riesce a trasformarsi in un articolato progetto politico ma sta mettendo in discussione fortemente un modello di società che ormai non garantisce né crescita né uguaglianza, le rivolte si stanno espandendo e chissà che dall'Asia arrivi anche in Europa questo virus benefico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/i-giovani-scuotono-l-asia-dalla-crisi-politica-thai-alle-rivolte-in-nepal-ed-indonesia--67824026\r\n\r\nAltri temi inerenti alla geopolitica estremorientale si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-GIORDANA-18092025.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nTrump ringhia contro il Venezuela agitando lo spettro della guerra alla droga.\r\n\r\nTrump si rivolge verso il \" patio trasero\" yankee con molta più frequenza ed aggressività delle precedenti amministrazioni anche repubblicane. L'impero declinante ha perso importanti posizioni in America Latina nel confronto con il competitor cinese e quindi ora Washington si atteggia a \" terminator\" nella strategia della lotta antidroga ,alibi per eccellenza fin dai tempi di Nixon per mascherare le ingerenze nordamericane. Il target è il Venezuela, irriducibilmente chavista nonostante Maduro, comunque eccezione pur con le sue contraddizioni a causa di un modello economico redistributivo verso il basso che non trova più seguaci nella regione . Rimasto prigioniero delle logiche di capitalismo estrattivo il Venezuela di Maduro resiste anche per l'inefficacia di un'opposizione poco credibile ed asservita agli interessi statunitensi, preda ambita per le sue riserve petrolifere.\r\nIl narcotraffico costituisce la copertura per l'interventismo nordamericano che ricorda la versione 2.0 della dottrina Monroe, ma il destino manifesto è duro da affermare in un continente sempre più autonomo dai legami con l'ingombrante vicino e legato ad interessi economici ed investimenti cinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Andrea Cegna, giornalista e conoscitore dell'America Latina\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-ringhia-contro-il-venezuela-agitando-lo-spettro-della-guerra-alla-droga--67855661\r\n\r\nPer ripercorrere i sentieri fin qui percorsi con i popoli latinos, si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-18092025-CEGNA.mp3\"][/audio]","20 Settembre 2025","2025-09-22 23:43:33","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 18/09/2025 - LA SVOLTA DELL'ATTACCO SIONISTA A DOHA; 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Il Qatar, lungi dall’essere un bersaglio secondario, entra nella storia come simbolo della frattura tra potenza militare israeliana e coesione regionale arabo-americana, dando spazio a una alleanza di nuovo stampo con una potenza nucleare che fa parte della Belt Road cinese e si approvvigiona da \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> per i suoi ordigni, come la filosionista India si è accorta nell'ultimo conflitto di pochi mesi fa.\r\nForse ora tutti si accorgeranno che la volontà di cancellazione di ogni traccia di vita e cultura araba dal territorio della Israele biblica coinvolge anche le vestigia e le tradizioni mondiali, ma questo risultato è stato possibile perché tutto ciò che stanno perpetrando i sionisti è già stato sperimentato dai governi di Washington, per esempio in Iraq, dove sono state ridotte in briciole dallo spregio dell’esercito americano testimonianze artistiche e culturali millenarie. Questo è reso possibile dalla presunzione che l’unica vera cultura sia quella ebraico-cristiana e tutti gli altri sono semplici colonizzati senza cultura propria.\r\nQuesti sono i prodromi perché quando gli invasati come Smotrich e Ben Gvir picconeranno la moschea di Gerusalemme, come già hanno cominciato a fare, Al-Aqsa sarà la soglia oltre alla quale la hybris ebraica renderà conto dei suoi abusi, perché la rivolta a quel punto non coinvolgerà solo i milioni di palestinesi, ma i miliardi di musulmani. E gli accordi finanziari, gli interessi per i resort progettati su una Striscia di concentramento e sterminio nulla potranno di fronte alla rivendicazione culturale delle masse oltraggiate dall’impunità israeliana.\r\nGià la trasferta di Rubio a Doha si è risolta in un fallimento: nonostante il giorno prima la riunione dei paesi coinvolti avesse balbettato, come una qualunque Unione europea, L’emiro Tamim ha chiesto i risarcimenti per i danni causati nel bombardamento israeliano su Doha, le scuse ufficiali e l’impegno di Netanyahu a non ripetere più la sua prepotenza e soprattutto di bloccare le uccisioni di innocenti a Gaza.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Oil-non-olet-in-Qatar.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAltri temi inerenti all'aggressione colonialista israeliana degli ultimi 80 anni si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\nIrresolubili contrasti che trovano nell'acqua del Nilo pretesti per perpetuarsi\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/dalla-diga-sul-nilo-all-assedio-di-al-fashir-conflitti-in-africa-orientale--67835929\r\n\r\nFinalmente a inizio settembre si è inaugurata Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro voluta da Ahmed e che non solo approvvigionerebbe Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti di energia elettrica, ma coprirebbe il 20% dei consumi dell’Africa orientale. In questo anno in cui il bacino idrico si è andato riempiendo i dati dimostrano che questo non è avvenuto a detrimento dei paesi a valle, eppure i motivi di attrito con l’Egitto non scemano e anzi si dispiegano truppe del Cairo in Somalia, evidenziando alleanze e divisioni legate ad altri dossier, quali lo sbocco al mare in Somaliland (proprio la regione che per essere riconosciuta da Usa e Israele è disposta a ospitare i gazawi deportati) per Addis Abeba, o gli scontri interetnici sia a Nord in Puntland, che nel Jubbaland a Sud. Matteo Palamidesse ci aiuta a districarci ancora una volta in mezzo a queste dispute, ma ci apre anche una finestra sull’orrore attorno ad Al Fashir, città nel Sudan occidentale con 300.000 abitanti assediati dalle milizie delle Forze di intervento rapido di Hemedti; le sue parole a questo proposito vengono registrate qualche ora prima che un attacco contro una moschea proprio nei dintorni della città del Darfur ai confini con il Ciad il 19 settembre producesse 75 morti.\r\nNon poteva mancare anche uno sguardo al Sud Sudan nel giorno in cui è stato reso noto il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, frutto di due anni di indagini e analisi indipendenti che hanno evidenziato il Saccheggio di una nazione, come riporta il titolo del dossier stesso.\r\n\r\n \r\n\r\nIl dossier africano che racchiude i podcast precedenti si trova qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Infiniti-squilibri-distopici-in-Africa-orientale.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nIl capillare cambio di paradigma sistemico in Sudest asiatico\r\n\r\nCon Emanuele Giordana parliamo dei venti di rivolta giovanile che stanno scuotendo alcuni paesi asiatici, un'onda lunga partita dalle rivolte in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024 che hanno defenestrato le dinastie al potere reclamando un cambiamento sostanziale . Le cause delle crisi che stanno attraversando alcuni paesi asiatici hanno le loro radici in un sistema di potere autoritario che nega le legittime aspirazioni delle nuove generazioni a una partecipazione concreta alle scelte che condizionano il loro futuro. La crisi economica, le distorsioni nello sviluppo eredità del colonialismo, l'iniqua distribuzione delle risorse, la corruzione imperante, le smodate ricchezze esibite da élite predatorie, l'ingombrante presenza dei militari nella vita politica ed economica, la disoccupazione giovanile e la mancanza di prospettive sono tratti comuni in paesi come la Thailandia, l'Indonesia e con caratteristiche più peculiari il Nepal. Sono paesi dove i giovani sono la maggioranza ma le loro richieste di cambiamento sono state compresse e represse per molto tempo e dove hanno trovato uno sbocco elettorale come in Thailandia i poteri conservatori e legati alla monarchia hanno invalidato l'esito elettorale. La chiamano la generazione \"z\" ma a prescindere dalle definizioni queste rivolte sono il sintomo di una forte richiesta di cambiamento del modello di accumulazione che ha contraddistinto la tumultuosa crescita dei paesi asiatici. Questa spinta generazionale ancora non riesce a trasformarsi in un articolato progetto politico ma sta mettendo in discussione fortemente un modello di società che ormai non garantisce né crescita né uguaglianza, le rivolte si stanno espandendo e chissà che dall'Asia arrivi anche in Europa questo virus benefico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/i-giovani-scuotono-l-asia-dalla-crisi-politica-thai-alle-rivolte-in-nepal-ed-indonesia--67824026\r\n\r\nAltri temi inerenti alla geopolitica estremorientale si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-GIORDANA-18092025.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nTrump ringhia contro il Venezuela agitando lo spettro della guerra alla droga.\r\n\r\nTrump si rivolge verso il \" patio trasero\" yankee con molta più frequenza ed aggressività delle precedenti amministrazioni anche repubblicane. L'impero declinante ha perso importanti posizioni in America Latina nel confronto con il competitor cinese e quindi ora Washington si atteggia a \" terminator\" nella strategia della lotta antidroga ,alibi per eccellenza fin dai tempi di Nixon per mascherare le ingerenze nordamericane. Il target è il Venezuela, irriducibilmente chavista nonostante Maduro, comunque eccezione pur con le sue contraddizioni a causa di un modello economico redistributivo verso il basso che non trova più seguaci nella regione . Rimasto prigioniero delle logiche di capitalismo estrattivo il Venezuela di Maduro resiste anche per l'inefficacia di un'opposizione poco credibile ed asservita agli interessi statunitensi, preda ambita per le sue riserve petrolifere.\r\nIl narcotraffico costituisce la copertura per l'interventismo nordamericano che ricorda la versione 2.0 della dottrina Monroe, ma il destino manifesto è duro da affermare in un continente sempre più autonomo dai legami con l'ingombrante vicino e legato ad interessi economici ed investimenti cinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Andrea Cegna, giornalista e conoscitore dell'America Latina\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-ringhia-contro-il-venezuela-agitando-lo-spettro-della-guerra-alla-droga--67855661\r\n\r\nPer ripercorrere i sentieri fin qui percorsi con i popoli latinos, si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-18092025-CEGNA.mp3\"][/audio]",[403],{"field":144,"matched_tokens":404,"snippet":400,"value":401},[77],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},{"document":407,"highlight":419,"highlights":424,"text_match":146,"text_match_info":427},{"comment_count":50,"id":408,"is_sticky":50,"permalink":409,"podcastfilter":410,"post_author":53,"post_content":411,"post_date":412,"post_excerpt":56,"post_id":408,"post_modified":413,"post_thumbnail":414,"post_title":415,"post_type":333,"sort_by_date":416,"tag_links":417,"tags":418},"98810","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-26-06-2025-cosa-centra-il-corridoio-di-lobito-con-la-tregua-in-kivu-firmata-a-washington-e-cosa-centra-il-corridoio-di-abramo-con-il-nucleare-iraniano/",[287],"Può apparire strano, ma la risposta alla domanda del titolo è Qatar. Può apparire forzata o arzigogolata e viene contestualizzato più facilmente l'apporto della petromonarchia nel discorso sviluppato da Laura Silvia Battaglia, perché il territorio che ospitava la base americana bombardata per scherzo telefonato dai pasdaran era ospitata nel sultanato di Al-Thani, e non solo perché l'argomento era adiacente alla analisi della messinscena tra grandi potenze per far accettare al resto del mondo il nuovo assetto del Sudovest asiatico voluto dagli Accordi di Abramo, escludendo l'Iran e i suoi proxy e la Turchia per creare una supply chain alternativa alla Belt Road Initiative; però anche in ambito centrafricano – come ci racconta Massimo Zaurrini – Doha ha ospitato i negoziati tra Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Alleanza del fiume Congo (Afc-M23), ed è il terminale delle transazioni finanziarie derivanti dallo sfruttamento delle risorse dei Grandi Laghi, che ora vedranno gli Usa di Trump ergersi a gestori diretti delle miniere di cobalto e terre rare, che prima erano rubate alla lontana Kinshasa solo da Kagame, alleato delle potenze occidentali, attraverso le sue milizie antihutu. Peraltro anche Tsishekedi è un fiancheggiatore e grande amico di Israele, i cui imprenditori più spregiudicati hanno già operato in Rdc. Insomma affari tra autocrati, piazzisti, teocrati e fascisti in genere che pagano le popolazioni malauguratamente abitanti territori contesi tra potenti.\r\nQuindi ci troviamo di fronte a due Corridoi di merci, il cui progetto faraonico intende variare l'asse commerciale impostato da decenni, spostando i flussi che tagliano l'Africa a metà, congiungendo il porto angolano di Lobito con Beira in Mozambico o Dar es Salaam in Tanzania, Oceano Atlantico con Oceano Indiano; ma anche spostando le direttrici commerciali tra Oriente e Mediterraneo all'interno della Penisola arabica aggirando i flussi impostati un po' più a nord da Pechino e inserendo i territori controllati da Israele. A tanto ci ha portato aprire il vaso di Pandora della Guerra dei 12 giorni da un lato e la sbandierata tregua (supposta) tra Congo e Ruanda...\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nA Laura Silvia Battaglia, voce di \"Radio3Mondo\" e raffinata esperta della cultura dei paesi del Sudovest asiatico, abbiamo chiesto di inquadrare nell’ottica dei Paesi del Golfo il giudizio sulla strategia che ispira il rivolgimento dell’equilibrio nell’area: l’escalation sionista mette in scena un superamento del Diritto internazionale e del concetto di democrazia per imporre una configurazione del Vicino Oriente e dei suoi corridoi commerciali alternativi alla Bri cinese come illustrato tempo fa dallo stesso Netanyahu: annientamento dei proxy iraniani e ridimensionamento della Repubblica islamica stessa a favore della penisola arabica, alleata e complice con gli accordi di Abramo, con regimi autoritari e in funzione anticinese. La causa scatenante – il nucleare iraniano – sembra poco o nulla interessante persino nei suoi risultati (basta la narrazione presidenziale attraverso Truth, che non può essere messa in discussione), perché forse l’obiettivo vero è probabilmente un altro (magari Teheran uscirà dalla non proliferazione nucleare e non ci saranno più controlli).\r\nIl primo elemento che salta agli occhi è la centralità del Qatar, per la sua vicinanza all’Iran, per il suo coinvolgimento in ogni trattativa mondiale (Afghanistan, Palestina… Kivu), Al-Thani sempre attivo diplomaticamente e con la potenza mediatica sul mondo arabo, eppure è stato emblematicamente il primo a essere colpito dalla rappresaglia teatrale dei Turbanti. Il Qatar dipende integralmente da acquisti dall’estero, non produce nulla e la chiusura dello Stretto di Ormuz lo avrebbe soffocato.\r\nIl regime change a Tehran è nei piani israeliani (non in quelli trumpiani), ma il piano di riportare la dinastia Pahlavi al potere non potrebbe essere accettata dalla nazione civile iraniana che vive in un mondo parallelo a quello del potere detenuto che fa giochi internazionali, il potere è detenuto dai pasdaran e le città centrali sono omogenee etnicamente, ma la nazione è estesa enormemente, con un’orografia che non permette di certo un’invasione di stampo iracheno, difficile anche la frammentazione su base etnico-religiosa. La sostituzione dell’attuale regime non si riesce a immaginare da chi possa essere incarnato, perciò è difficile creare un’entità artificiale che sostituisca l’attuale sistema persiano. Benché esista una fronda interna, che però forse non è controllabile dall’esterno, o non ha ancora i mezzi e la mentalità per mettere in atto una rivolta. Solo se le forze di sicurezza solidarizzano con i rivoltosi si potrà avere un successo per il cambiamento. La stretta repressiva svilupperà nuove proteste?\r\nForse in questa tabula rasa dei paesi nemici di Israele e antagonisti dei sauditi la Turchia si può affrancare perché è un paese Nato e per l’abilità a fungere da cerniera tra mondi, appartenendo sia al mondo Brics che alla Nato, proponendosi come mediatore e mantenendo relazioni con tutti i protagonisti.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/4PFSoUBf2ZZ8hb79FwbPk0?si=4fbc4626a1f247f9\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/TrumpShowStayTuneOnMiddleEast.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPrecedenti trasmissioni attinenti a questo argomento si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nCon Massimo Zaurrini, direttore di “Africa&Affari”, affrontiamo lo spostamento dell’asse commerciale dell’Africa centrale in seguito al nuovo interesse statunitense per le risorse africane in funzione anticinese.\r\nIn questo quadro si inserisce l’ennesima sceneggiata dell’amministrazione Trump che pretende di imporre una pace nel Nordest del Congo su basi e impegni uguali a quelli che da 20 anni sono divenuti carta straccia nel breve volgere di tempo, l’unica differenza è che Tshisekedi – molto legato alla finanza israeliana – ha “svenduto” il controllo delle risorse del territorio dei Grandi Laghi agli Usa in cambio della risoluzione della guerra con l’M23 e l’Alleanza del Fiume Congo, emanazione del Ruanda, alleato e partner degli anglo-americani. Quindi agli americani interessa in particolare poter sfruttare le miniere in qualche modo e dunque hanno scelto di mettere in sicurezza… i loro investimenti nella regione. Il Qatar è l'hub di arrivo delle merci e degli investimenti e per questo è coinvolto in questo quadro di tregua, essendo ormai Doha la capitale di qualunque accordo internazionale da quello siglato dal Trump.01 con i talebani.\r\nAttorno alla Repubblica democratica del Congo e alle sue ricchezze si sviluppano nuove infrastrutture utili alle nazioni africane che stano tentando di innescare uno sviluppo pieno di promesse e anche pericoli innanzitutto ambientali, ma quanto è l’interesse per gli affari occidentali? Salta all’occhio quel corridoio che, adoperando come terminal il porto angolano di Lobito, ambisce a tracciare supply chain che uniscono Oceano Indiano e Atlantico, fulcro della disputa Cina/Usa sulle merci africane, che il 26 giugno ha appena ricevuto 250 milioni ulteriori per la sua creazione da parte della UE, dopo il mezzo miliardo stanziato da Biden nel suo ultimo viaggio da presidente. Il corridoio di Lobito è bloccato dalla disputa nel Kivu migliaia di chilometri a nord del confine congoloese con lo Zambia, per cui si è operata una variante al progetto iniziale che coinvolgeva il Katanga.\r\nDella strategia fa parte anche il taglio agli USAid, alla Banca africana di sviluppo… il tutto per incentivare gli accordi bilaterali in cui Trump, il mercante, può ricattare, strappare il miglior prezzo, taglieggiare, smaramaldeggiare… gettare fumo negli occhi con la promessa di sviluppo attraverso la Dfc (U.S. Development Finance Corporation); e se si dovesse finalmente spuntare la possibilità di lavorare in loco i materiali grezzi, la devastazione ambientale sarebbe inevitabile.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/business-summit-il-mercato-africano-apprezza-le-trattative-senza-condizioni-etico-politiche-di-trump--66772324\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/Lobito-Katanga_corridoi-infrastrutturali-spostano-assi-regionali.mp3\"][/audio]\r\n\r\nI precedenti appuntamenti con la geopolitica africana si trovano qui","28 Giugno 2025","2025-06-28 17:52:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 26/06/2025 - COSA C’ENTRA IL CORRIDOIO DI LOBITO CON LA TREGUA IN KIVU FIRMATA A WASHINGTON E COSA C’ENTRA IL CORRIDOIO DI ABRAMO CON IL NUCLEARE IRANIANO?",1751129989,[393],[301],{"post_content":420},{"matched_tokens":421,"snippet":422,"value":423},[77],"po' più a nord da \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> e inserendo i territori controllati","Può apparire strano, ma la risposta alla domanda del titolo è Qatar. Può apparire forzata o arzigogolata e viene contestualizzato più facilmente l'apporto della petromonarchia nel discorso sviluppato da Laura Silvia Battaglia, perché il territorio che ospitava la base americana bombardata per scherzo telefonato dai pasdaran era ospitata nel sultanato di Al-Thani, e non solo perché l'argomento era adiacente alla analisi della messinscena tra grandi potenze per far accettare al resto del mondo il nuovo assetto del Sudovest asiatico voluto dagli Accordi di Abramo, escludendo l'Iran e i suoi proxy e la Turchia per creare una supply chain alternativa alla Belt Road Initiative; però anche in ambito centrafricano – come ci racconta Massimo Zaurrini – Doha ha ospitato i negoziati tra Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Alleanza del fiume Congo (Afc-M23), ed è il terminale delle transazioni finanziarie derivanti dallo sfruttamento delle risorse dei Grandi Laghi, che ora vedranno gli Usa di Trump ergersi a gestori diretti delle miniere di cobalto e terre rare, che prima erano rubate alla lontana Kinshasa solo da Kagame, alleato delle potenze occidentali, attraverso le sue milizie antihutu. Peraltro anche Tsishekedi è un fiancheggiatore e grande amico di Israele, i cui imprenditori più spregiudicati hanno già operato in Rdc. Insomma affari tra autocrati, piazzisti, teocrati e fascisti in genere che pagano le popolazioni malauguratamente abitanti territori contesi tra potenti.\r\nQuindi ci troviamo di fronte a due Corridoi di merci, il cui progetto faraonico intende variare l'asse commerciale impostato da decenni, spostando i flussi che tagliano l'Africa a metà, congiungendo il porto angolano di Lobito con Beira in Mozambico o Dar es Salaam in Tanzania, Oceano Atlantico con Oceano Indiano; ma anche spostando le direttrici commerciali tra Oriente e Mediterraneo all'interno della Penisola arabica aggirando i flussi impostati un po' più a nord da \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> e inserendo i territori controllati da Israele. 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La causa scatenante – il nucleare iraniano – sembra poco o nulla interessante persino nei suoi risultati (basta la narrazione presidenziale attraverso Truth, che non può essere messa in discussione), perché forse l’obiettivo vero è probabilmente un altro (magari Teheran uscirà dalla non proliferazione nucleare e non ci saranno più controlli).\r\nIl primo elemento che salta agli occhi è la centralità del Qatar, per la sua vicinanza all’Iran, per il suo coinvolgimento in ogni trattativa mondiale (Afghanistan, Palestina… Kivu), Al-Thani sempre attivo diplomaticamente e con la potenza mediatica sul mondo arabo, eppure è stato emblematicamente il primo a essere colpito dalla rappresaglia teatrale dei Turbanti. Il Qatar dipende integralmente da acquisti dall’estero, non produce nulla e la chiusura dello Stretto di Ormuz lo avrebbe soffocato.\r\nIl regime change a Tehran è nei piani israeliani (non in quelli trumpiani), ma il piano di riportare la dinastia Pahlavi al potere non potrebbe essere accettata dalla nazione civile iraniana che vive in un mondo parallelo a quello del potere detenuto che fa giochi internazionali, il potere è detenuto dai pasdaran e le città centrali sono omogenee etnicamente, ma la nazione è estesa enormemente, con un’orografia che non permette di certo un’invasione di stampo iracheno, difficile anche la frammentazione su base etnico-religiosa. La sostituzione dell’attuale regime non si riesce a immaginare da chi possa essere incarnato, perciò è difficile creare un’entità artificiale che sostituisca l’attuale sistema persiano. Benché esista una fronda interna, che però forse non è controllabile dall’esterno, o non ha ancora i mezzi e la mentalità per mettere in atto una rivolta. Solo se le forze di sicurezza solidarizzano con i rivoltosi si potrà avere un successo per il cambiamento. La stretta repressiva svilupperà nuove proteste?\r\nForse in questa tabula rasa dei paesi nemici di Israele e antagonisti dei sauditi la Turchia si può affrancare perché è un paese Nato e per l’abilità a fungere da cerniera tra mondi, appartenendo sia al mondo Brics che alla Nato, proponendosi come mediatore e mantenendo relazioni con tutti i protagonisti.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/4PFSoUBf2ZZ8hb79FwbPk0?si=4fbc4626a1f247f9\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/TrumpShowStayTuneOnMiddleEast.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPrecedenti trasmissioni attinenti a questo argomento si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nCon Massimo Zaurrini, direttore di “Africa&Affari”, affrontiamo lo spostamento dell’asse commerciale dell’Africa centrale in seguito al nuovo interesse statunitense per le risorse africane in funzione anticinese.\r\nIn questo quadro si inserisce l’ennesima sceneggiata dell’amministrazione Trump che pretende di imporre una pace nel Nordest del Congo su basi e impegni uguali a quelli che da 20 anni sono divenuti carta straccia nel breve volgere di tempo, l’unica differenza è che Tshisekedi – molto legato alla finanza israeliana – ha “svenduto” il controllo delle risorse del territorio dei Grandi Laghi agli Usa in cambio della risoluzione della guerra con l’M23 e l’Alleanza del Fiume Congo, emanazione del Ruanda, alleato e partner degli anglo-americani. Quindi agli americani interessa in particolare poter sfruttare le miniere in qualche modo e dunque hanno scelto di mettere in sicurezza… i loro investimenti nella regione. Il Qatar è l'hub di arrivo delle merci e degli investimenti e per questo è coinvolto in questo quadro di tregua, essendo ormai Doha la capitale di qualunque accordo internazionale da quello siglato dal Trump.01 con i talebani.\r\nAttorno alla Repubblica democratica del Congo e alle sue ricchezze si sviluppano nuove infrastrutture utili alle nazioni africane che stano tentando di innescare uno sviluppo pieno di promesse e anche pericoli innanzitutto ambientali, ma quanto è l’interesse per gli affari occidentali? Salta all’occhio quel corridoio che, adoperando come terminal il porto angolano di Lobito, ambisce a tracciare supply chain che uniscono Oceano Indiano e Atlantico, fulcro della disputa Cina/Usa sulle merci africane, che il 26 giugno ha appena ricevuto 250 milioni ulteriori per la sua creazione da parte della UE, dopo il mezzo miliardo stanziato da Biden nel suo ultimo viaggio da presidente. Il corridoio di Lobito è bloccato dalla disputa nel Kivu migliaia di chilometri a nord del confine congoloese con lo Zambia, per cui si è operata una variante al progetto iniziale che coinvolgeva il Katanga.\r\nDella strategia fa parte anche il taglio agli USAid, alla Banca africana di sviluppo… il tutto per incentivare gli accordi bilaterali in cui Trump, il mercante, può ricattare, strappare il miglior prezzo, taglieggiare, smaramaldeggiare… gettare fumo negli occhi con la promessa di sviluppo attraverso la Dfc (U.S. Development Finance Corporation); e se si dovesse finalmente spuntare la possibilità di lavorare in loco i materiali grezzi, la devastazione ambientale sarebbe inevitabile.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/business-summit-il-mercato-africano-apprezza-le-trattative-senza-condizioni-etico-politiche-di-trump--66772324\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/Lobito-Katanga_corridoi-infrastrutturali-spostano-assi-regionali.mp3\"][/audio]\r\n\r\nI precedenti appuntamenti con la geopolitica africana si trovano qui",[425],{"field":144,"matched_tokens":426,"snippet":422,"value":423},[77],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},{"document":429,"highlight":440,"highlights":445,"text_match":146,"text_match_info":448},{"comment_count":50,"id":430,"is_sticky":50,"permalink":431,"podcastfilter":432,"post_author":53,"post_content":433,"post_date":434,"post_excerpt":56,"post_id":430,"post_modified":435,"post_thumbnail":389,"post_title":436,"post_type":333,"sort_by_date":437,"tag_links":438,"tags":439},"98318","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-29-05-2025-i-veri-uomini-mangiano-empanadas-novi-sad-pedala-a-strasburgo-ma-lue-era-fuori-trumponomics-vale-un-taco/",[287],"L’ultima settimana di maggio vede ai Bastioni di Orione un concentrato di gusti latinos. Si comincia con las empanadas servite da Darín a Milei su un piatto d'argento ci vengono descritte direttamente da Buenos Aires dove si trova Alfredo Somoza, che ne trae un quadro socio-economico della trasformazione argentina in corso; gli abbiamo chiesto anche un punto di vista più ravvicinato sulle elezioni venezuelane e sulle presenze paramilitari nel Mexico in cui i collaboratori della sindaca del DF vengono assassinati.\r\nUn’altra regione di tensioni lontane dai riflettori distratti del circo mediatico è la Serbia attraversata da uno schietto movimento nato nelle università, dove i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro di risveglio anche della società civile, mobilitata contro il sistema di potere di Vučić... ma la marcia verso l’UE per ottenere appoggio è sfumata di fronte al disinteresse interessato dei palazzi europei e all'interno si avanza il rischio di infiltrazioni naziste in stile Maidan: finora la vigilanza ha mantenuto il movimento sui binari di rifiuto di ogni egemonia. Speriamo duri, abbiamo espresso questo augurio con Tatjana Djordjević.\r\nSuccoso il finale di puntata con un intervento particolarmente illuminante di Andrea Fumagalli, che ha descritto con acume lo schema strategico di Trump; una trama che sulla carta potrebbe funzionare, se tutti i tasselli della scommessa economica attivata per salvare l’egemonia dell'imperialismo americano che sta frantumandosi sui due debiti.\r\n\r\n\r\n\r\nA partire da un dibattito tutto tipicamente argentino sul costo delle empanadas all’epoca dell’anarcocapitalismo Alfredo Somoza ci dà una descrizione della situazione socio-economica dell’Argentina di Milei direttamente da una Buenos Aires sgravata dal mercato nero della divisa americana dalla svalutazione del dollaro, che come potere d’acquisto ha dato respiro ai salari, che nella stretta connessione con gli Usa ne traggono vantaggio. Il carovita comunque esiste, nonostante la distrazione delle empanadas che fa gioco alla potenza di fuoco dei social a favore di Milei, dimostrata dall’influenza che ha avuto sulle elezioni l’uso smodato della AI, appalesando la difficoltà a comprendere il singolo video, il singolo messaggio se siano reali o costruiti… news o fake.\r\nLa scorciatoia del riflesso pavolviano delle destre che individuano il contrasto al fenomeno migratorio come soluzione per le crisi economiche è difficilmente applicabile in un paese fatto di migranti, figli di flussi secolari di immigrati, prima da Oltreoceano e ora dai paesi limitrofi, genti soprattutto alla ricerca di sanità assicurata, ius soli e istruzione gratuita. Oltre alla situazione politica all’interno dei paesi di provenienza (ora la maggioranza dei recenti arrivi proviene dal Venezuela). Su questo si innesta l’ideologia della remigracion che degenera nel razzismo dei rimpatri mai successi nella accogliente terra argentina, ma Milei doveva mostrare al suo elettorato che prendeva di petto il problema.\r\nE infatti il presidente si è rafforzato ed è riuscito a prosciugare il bacino elettorale dei conservatori classici, o meglio il lavoro politico di sua sorella Carina, sottosegretaria alla presidenza, ha sortito il suo effetto. Anche grazie al sospiro di sollievo di una nazione in cui il tasso di inflazione è passato dal 240 al 24% annuo; pagato dalle pensioni e dal welfare azzerato. Un’inflazione che colpisce soprattutto l’economia del peso e non quella dei ricchi che vivono in un’economia di dollari e non si è intervenuti sul «gigantesco problema di infrastrutture vecchie e l’efficienza della scuola pubblica» su cui questo governo populista non ha alcun piano, pensando che combattendo la corruzione si risolverà tutto per magia.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/0Onoxm8U2Uk23lPipo0YSn?si=LrcipfzKQZ6BIX3H1nS3tQ\r\n\r\nL‘opposizione si è intestata la vittoria perché ufficialmente il 43% dei venezuelani è andato al voto (secondo Machado solo il 14), ma Maduro è comunque uscito rafforzato – come Milei – dal voto amministrativo, che ha compreso pure il distretto della Guyana Essequiba, un territorio contestato per un effetto di eredità coloniale, una regione ricca di materie prime e di petrolio, una disputa che Alfredo Somoza assimila a quello su Las Malvinas al tempo di Videla, perché nessuno in Sudamerica riconosce che si possano mettere in dubbio confini e non comunque in questo modo. Paradossale è il racconto che ci viene fatto sulla Guinea Equatoriale – il paese africano sotto un regime quarantennale – che era parte del Vicereame di cui Buenos Aires a cui un arcipelago si appella per affrancarsi dalla Guinea equatoriale. Una situazione surreale come quella di Essequiba. Per bilanciare la stigmatizzazione del nostro interlocutore, segnaliamo anche il racconto all’opposto di Geraldina Colotti che su “Pagine Esteri” racconta da un punto di vista opposto sia le pretese di Caracas sul nuovo stato, sia il voto del 25 maggio: https://pagineesteri.it/2025/05/29/america-latina/maduro-trionfa-nelle-elezioni-del-25-maggio-la-destra-ha-vinto-lastensione/\r\nAlfredo considera questa tornata elettorale il secondo tempo delle elezioni che avrebbero confermato Maduro presidente, ma di cui nessuno ha ancora potuto vedere i verbali; il 25 maggio non c’erano osservatori e le operazioni di voto sono ormai un risibile teatrino. Ma il vero dramma è la emigrazione massiva: un esodo che fino a poco tempo fa era attribuibile alla opposizione retriva e pasticciona, ora – con l’involuzione del chavismo – le colpe sono di tutta la classe politica.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/2MaoXE6e6viGZfj77OwEr6?si=_xuznyf4RuKOWQeL7G7ZhQ\r\n\r\nAnche in Mexico sono stati il 14 per cento gli elettori che per la prima volta al mondo sono stati chiamati a eleggere i magistrati che dovranno gestire il potere giudiziario, ma di questo non abbiamo parlato con Alfredo Somoza, piuttosto si è discusso dei due collaboratori della sindaca del DF uccisi dalla necropolitica e dei paramilitari, diffusi sul territorio, ma in particolare in Chiapas.\r\nL’omicidio di Ximena Guzmán e José Muñoz è un attacco diretto al partito della presidenta Claudia Scheinbaum e della sindaca, non rivendicato dai Narcos. Peraltro ulteriore mistero nasce dal fatto che il DF non è un territorio conteso come potrebbe essere Oaxaca o Sinaloa, eppure i killer hanno dimostrato una professionalità assimilabile ai cartelli… o ai paramilitari al servizio dei possidenti del Sud: sul Chiapas si concentra un’assenza di controllo sia dal punto di vista della migrazione, sia del fentanil, sia dei paramilitari assoldati dai terratenientes. A trent’anni dalla comparsa dell’Ezln.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/6VfLix6SWeTRYG2XRVYNBU?si=t1M9cQf3SyOLIlq1E83APw\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/DaBuenosAires.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast latinoamericani precedenti pigia qui.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nContinuano le manifestazioni in Serbia, anzi sono state esportate in “Europa” con biciclettate di centinaia di chilometri e presidi, senza ottenere l’attenzione dovuta, perché le relazioni comunitarie con Vučić nascondono interessi tali da impedire qualsiasi timida protesta verso la democratura nazionalista di Belgrado. E mentre Vučić intrattiene rapporti con gli europei, non disdegna alleanze con Putin – recente è il viaggio a Mosca e la posizione sulla guerra in Ucraina del leader populista gli permette di barcamenarsi – e con Xi; ma il movimento nato dalle università non demorde.\r\nPerò rischia infiltrazioni: infatti se da un lato continua a mantenere la sua distanza da chiunque cerchi di egemonizzare e a fare blocchi e scendere in piazza, dall’altro si comincia a vociferare di presenze anche di destra quando all’inizio l’influenza era progressista e antinazionalista, che potrebbero preparare uno scenario assimilabile alla nefasta Maidan di Kyiv. Perciò abbiamo interpellato Tatjana Djordjević per comprendere quali sviluppi possiamo attenderci da questa ribellione dal basso che ha intercettato mugugni e indignazioni della società civile, dandogli voce: sono andati a stanare il malcontento nella Serbia profonda, isolata, hanno attraversato a piedi il paese per incontrare la mentalità dei paesi. La richiesta sostanzialmente è un cambio di regime, ma cominciano a essere stremati dopo mesi di blocco delle attività universitarie.\r\nPurtroppo i nazionalismi sono persino più rafforzati dopo la Guerra nei Balcani, e la Storia si ripete..\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/a-che-punto-e-la-notte-in-serbia--66372615\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/QuantaStradaHanFattaSerbi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi ai nazionalismi esteuropei qui potete trovare i conflitti che attraversano anche i balcani\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nCaos e instabilità portano scompiglio, ma sembrano funzionali a uno schema preciso dell’amministrazione trumpiana che sulla carta va producendo una trama che potrebbe funzionare, nonostante lo scetticismo derisorio e le reazioni dei mercati, rivoluzionando il sistema economico-finanziario globale, ribaltando la tensione verso la globalizzazione su cui le strategie americane avevano puntato dagli ani Novanta per mantenere l’egemonia economica e tecnologica.\r\nAndrea Fumagalli segue questo schema, ricostruendolo ai nostri microfoni l’ideologia libertarian dell’anarcocapitalismo mescolata alla clava dello statalismo daziario. Ci sono resistenze da parte di apparati (come lo stop della Corte che ha tentato di invalidare l’operazione sui dazi del Liberation day) e istituzioni che tentano di impedire lo sviluppo del velleitario piano trumpiano, che è sicuramente temerario e la scommessa è sul filo del rasoio: potrebbe finire come quello di Zsa-Zsa Korda nell’ultimo film di Wes Anderson, ma per ora mantiene le sue ipotesi di avere i mezzi per ribaltare attraverso il protezionismo la tendenza al declino dell’imperialismo americano.\r\nNegli ultimi anni tutto era regolato dal Washington Consensus e gli apparati che gestivano fino alla crisi del 2008, poi l’ordine mondiale è venuto meno, inceppando il meccanismo della globalizzazione, lasciando sviluppare altri imperialismi; Trump è il frutto di questa perdita di egemonia ed è reazione alla rete intessuta da Pechino. Su tutto questo si innesca il problema dei due elementi di debito americano (interno ed esterno) che rischiano di far implodere tutto il sistema americano: solo se il dollaro rimane valuta appetibile gli Usa possono evitare il tracollo.\r\nDi qui il tentativo di ridurre il debito estero attraverso i dazi che fanno pagare il debito al resto del mondo con quei tassi (importando però inflazione e stagflazione che riducono il potere d’acquisto, con effetto recessivo interno), ma anche eliminando fortemente la tassazione interna sui ricchi, incrementando le tasse dei poveri con l’eliminazione dei crediti di imposta.\r\nLa logica commerciale è fatta di accordi personali che stravolgono ulteriormente il quadro e possono comportare una vera Rivoluzione del sistema economico-finanziario come lo conosciamo.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/the-trumpian-scheme--66348340\r\n\r\nSi possono ascoltare i podcast relativi alla rivoluzione anarcocapitalista trumpiana qui\r\n\r\n ","3 Giugno 2025","2025-06-08 08:54:32","BASTIONI DI ORIONE 29/05/2025 - GLI ANARCOCAPITALISTI MANGIANO EMPANADAS; NOVI SAD PEDALA A STRASBURGO, MA L’UE ERA FUORI; TRUMPONOMICS VALE UN TACO?",1748911188,[393],[301],{"post_content":441},{"matched_tokens":442,"snippet":443,"value":444},[77],"reazione alla rete intessuta da \u003Cmark>Pechino\u003C/mark>. Su tutto questo si innesca","L’ultima settimana di maggio vede ai Bastioni di Orione un concentrato di gusti latinos. Si comincia con las empanadas servite da Darín a Milei su un piatto d'argento ci vengono descritte direttamente da Buenos Aires dove si trova Alfredo Somoza, che ne trae un quadro socio-economico della trasformazione argentina in corso; gli abbiamo chiesto anche un punto di vista più ravvicinato sulle elezioni venezuelane e sulle presenze paramilitari nel Mexico in cui i collaboratori della sindaca del DF vengono assassinati.\r\nUn’altra regione di tensioni lontane dai riflettori distratti del circo mediatico è la Serbia attraversata da uno schietto movimento nato nelle università, dove i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro di risveglio anche della società civile, mobilitata contro il sistema di potere di Vučić... ma la marcia verso l’UE per ottenere appoggio è sfumata di fronte al disinteresse interessato dei palazzi europei e all'interno si avanza il rischio di infiltrazioni naziste in stile Maidan: finora la vigilanza ha mantenuto il movimento sui binari di rifiuto di ogni egemonia. Speriamo duri, abbiamo espresso questo augurio con Tatjana Djordjević.\r\nSuccoso il finale di puntata con un intervento particolarmente illuminante di Andrea Fumagalli, che ha descritto con acume lo schema strategico di Trump; una trama che sulla carta potrebbe funzionare, se tutti i tasselli della scommessa economica attivata per salvare l’egemonia dell'imperialismo americano che sta frantumandosi sui due debiti.\r\n\r\n\r\n\r\nA partire da un dibattito tutto tipicamente argentino sul costo delle empanadas all’epoca dell’anarcocapitalismo Alfredo Somoza ci dà una descrizione della situazione socio-economica dell’Argentina di Milei direttamente da una Buenos Aires sgravata dal mercato nero della divisa americana dalla svalutazione del dollaro, che come potere d’acquisto ha dato respiro ai salari, che nella stretta connessione con gli Usa ne traggono vantaggio. Il carovita comunque esiste, nonostante la distrazione delle empanadas che fa gioco alla potenza di fuoco dei social a favore di Milei, dimostrata dall’influenza che ha avuto sulle elezioni l’uso smodato della AI, appalesando la difficoltà a comprendere il singolo video, il singolo messaggio se siano reali o costruiti… news o fake.\r\nLa scorciatoia del riflesso pavolviano delle destre che individuano il contrasto al fenomeno migratorio come soluzione per le crisi economiche è difficilmente applicabile in un paese fatto di migranti, figli di flussi secolari di immigrati, prima da Oltreoceano e ora dai paesi limitrofi, genti soprattutto alla ricerca di sanità assicurata, ius soli e istruzione gratuita. Oltre alla situazione politica all’interno dei paesi di provenienza (ora la maggioranza dei recenti arrivi proviene dal Venezuela). Su questo si innesta l’ideologia della remigracion che degenera nel razzismo dei rimpatri mai successi nella accogliente terra argentina, ma Milei doveva mostrare al suo elettorato che prendeva di petto il problema.\r\nE infatti il presidente si è rafforzato ed è riuscito a prosciugare il bacino elettorale dei conservatori classici, o meglio il lavoro politico di sua sorella Carina, sottosegretaria alla presidenza, ha sortito il suo effetto. Anche grazie al sospiro di sollievo di una nazione in cui il tasso di inflazione è passato dal 240 al 24% annuo; pagato dalle pensioni e dal welfare azzerato. Un’inflazione che colpisce soprattutto l’economia del peso e non quella dei ricchi che vivono in un’economia di dollari e non si è intervenuti sul «gigantesco problema di infrastrutture vecchie e l’efficienza della scuola pubblica» su cui questo governo populista non ha alcun piano, pensando che combattendo la corruzione si risolverà tutto per magia.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/0Onoxm8U2Uk23lPipo0YSn?si=LrcipfzKQZ6BIX3H1nS3tQ\r\n\r\nL‘opposizione si è intestata la vittoria perché ufficialmente il 43% dei venezuelani è andato al voto (secondo Machado solo il 14), ma Maduro è comunque uscito rafforzato – come Milei – dal voto amministrativo, che ha compreso pure il distretto della Guyana Essequiba, un territorio contestato per un effetto di eredità coloniale, una regione ricca di materie prime e di petrolio, una disputa che Alfredo Somoza assimila a quello su Las Malvinas al tempo di Videla, perché nessuno in Sudamerica riconosce che si possano mettere in dubbio confini e non comunque in questo modo. Paradossale è il racconto che ci viene fatto sulla Guinea Equatoriale – il paese africano sotto un regime quarantennale – che era parte del Vicereame di cui Buenos Aires a cui un arcipelago si appella per affrancarsi dalla Guinea equatoriale. Una situazione surreale come quella di Essequiba. Per bilanciare la stigmatizzazione del nostro interlocutore, segnaliamo anche il racconto all’opposto di Geraldina Colotti che su “Pagine Esteri” racconta da un punto di vista opposto sia le pretese di Caracas sul nuovo stato, sia il voto del 25 maggio: https://pagineesteri.it/2025/05/29/america-latina/maduro-trionfa-nelle-elezioni-del-25-maggio-la-destra-ha-vinto-lastensione/\r\nAlfredo considera questa tornata elettorale il secondo tempo delle elezioni che avrebbero confermato Maduro presidente, ma di cui nessuno ha ancora potuto vedere i verbali; il 25 maggio non c’erano osservatori e le operazioni di voto sono ormai un risibile teatrino. Ma il vero dramma è la emigrazione massiva: un esodo che fino a poco tempo fa era attribuibile alla opposizione retriva e pasticciona, ora – con l’involuzione del chavismo – le colpe sono di tutta la classe politica.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/2MaoXE6e6viGZfj77OwEr6?si=_xuznyf4RuKOWQeL7G7ZhQ\r\n\r\nAnche in Mexico sono stati il 14 per cento gli elettori che per la prima volta al mondo sono stati chiamati a eleggere i magistrati che dovranno gestire il potere giudiziario, ma di questo non abbiamo parlato con Alfredo Somoza, piuttosto si è discusso dei due collaboratori della sindaca del DF uccisi dalla necropolitica e dei paramilitari, diffusi sul territorio, ma in particolare in Chiapas.\r\nL’omicidio di Ximena Guzmán e José Muñoz è un attacco diretto al partito della presidenta Claudia Scheinbaum e della sindaca, non rivendicato dai Narcos. Peraltro ulteriore mistero nasce dal fatto che il DF non è un territorio conteso come potrebbe essere Oaxaca o Sinaloa, eppure i killer hanno dimostrato una professionalità assimilabile ai cartelli… o ai paramilitari al servizio dei possidenti del Sud: sul Chiapas si concentra un’assenza di controllo sia dal punto di vista della migrazione, sia del fentanil, sia dei paramilitari assoldati dai terratenientes. A trent’anni dalla comparsa dell’Ezln.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/6VfLix6SWeTRYG2XRVYNBU?si=t1M9cQf3SyOLIlq1E83APw\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/DaBuenosAires.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast latinoamericani precedenti pigia qui.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nContinuano le manifestazioni in Serbia, anzi sono state esportate in “Europa” con biciclettate di centinaia di chilometri e presidi, senza ottenere l’attenzione dovuta, perché le relazioni comunitarie con Vučić nascondono interessi tali da impedire qualsiasi timida protesta verso la democratura nazionalista di Belgrado. E mentre Vučić intrattiene rapporti con gli europei, non disdegna alleanze con Putin – recente è il viaggio a Mosca e la posizione sulla guerra in Ucraina del leader populista gli permette di barcamenarsi – e con Xi; ma il movimento nato dalle università non demorde.\r\nPerò rischia infiltrazioni: infatti se da un lato continua a mantenere la sua distanza da chiunque cerchi di egemonizzare e a fare blocchi e scendere in piazza, dall’altro si comincia a vociferare di presenze anche di destra quando all’inizio l’influenza era progressista e antinazionalista, che potrebbero preparare uno scenario assimilabile alla nefasta Maidan di Kyiv. Perciò abbiamo interpellato Tatjana Djordjević per comprendere quali sviluppi possiamo attenderci da questa ribellione dal basso che ha intercettato mugugni e indignazioni della società civile, dandogli voce: sono andati a stanare il malcontento nella Serbia profonda, isolata, hanno attraversato a piedi il paese per incontrare la mentalità dei paesi. La richiesta sostanzialmente è un cambio di regime, ma cominciano a essere stremati dopo mesi di blocco delle attività universitarie.\r\nPurtroppo i nazionalismi sono persino più rafforzati dopo la Guerra nei Balcani, e la Storia si ripete..\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/a-che-punto-e-la-notte-in-serbia--66372615\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/QuantaStradaHanFattaSerbi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi ai nazionalismi esteuropei qui potete trovare i conflitti che attraversano anche i balcani\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nCaos e instabilità portano scompiglio, ma sembrano funzionali a uno schema preciso dell’amministrazione trumpiana che sulla carta va producendo una trama che potrebbe funzionare, nonostante lo scetticismo derisorio e le reazioni dei mercati, rivoluzionando il sistema economico-finanziario globale, ribaltando la tensione verso la globalizzazione su cui le strategie americane avevano puntato dagli ani Novanta per mantenere l’egemonia economica e tecnologica.\r\nAndrea Fumagalli segue questo schema, ricostruendolo ai nostri microfoni l’ideologia libertarian dell’anarcocapitalismo mescolata alla clava dello statalismo daziario. Ci sono resistenze da parte di apparati (come lo stop della Corte che ha tentato di invalidare l’operazione sui dazi del Liberation day) e istituzioni che tentano di impedire lo sviluppo del velleitario piano trumpiano, che è sicuramente temerario e la scommessa è sul filo del rasoio: potrebbe finire come quello di Zsa-Zsa Korda nell’ultimo film di Wes Anderson, ma per ora mantiene le sue ipotesi di avere i mezzi per ribaltare attraverso il protezionismo la tendenza al declino dell’imperialismo americano.\r\nNegli ultimi anni tutto era regolato dal Washington Consensus e gli apparati che gestivano fino alla crisi del 2008, poi l’ordine mondiale è venuto meno, inceppando il meccanismo della globalizzazione, lasciando sviluppare altri imperialismi; Trump è il frutto di questa perdita di egemonia ed è reazione alla rete intessuta da \u003Cmark>Pechino\u003C/mark>. Su tutto questo si innesca il problema dei due elementi di debito americano (interno ed esterno) che rischiano di far implodere tutto il sistema americano: solo se il dollaro rimane valuta appetibile gli Usa possono evitare il tracollo.\r\nDi qui il tentativo di ridurre il debito estero attraverso i dazi che fanno pagare il debito al resto del mondo con quei tassi (importando però inflazione e stagflazione che riducono il potere d’acquisto, con effetto recessivo interno), ma anche eliminando fortemente la tassazione interna sui ricchi, incrementando le tasse dei poveri con l’eliminazione dei crediti di imposta.\r\nLa logica commerciale è fatta di accordi personali che stravolgono ulteriormente il quadro e possono comportare una vera Rivoluzione del sistema economico-finanziario come lo conosciamo.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/the-trumpian-scheme--66348340\r\n\r\nSi possono ascoltare i podcast relativi alla rivoluzione anarcocapitalista trumpiana qui\r\n\r\n ",[446],{"field":144,"matched_tokens":447,"snippet":443,"value":444},[77],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},{"document":450,"highlight":460,"highlights":465,"text_match":146,"text_match_info":468},{"comment_count":50,"id":451,"is_sticky":50,"permalink":452,"podcastfilter":453,"post_author":53,"post_content":454,"post_date":434,"post_excerpt":56,"post_id":451,"post_modified":455,"post_thumbnail":414,"post_title":456,"post_type":333,"sort_by_date":457,"tag_links":458,"tags":459},"98317","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-15-05-2025-fine-della-lotta-armata-del-pkk-in-turchia-e-subbuglio-mediorientale-la-cina-delleconomia-tra-dazi-e-guerre-altrui-2/",[287],"<em>Questa settimana la fine della lotta armata iniziata dal Pkk nel 1978 è la notizia che ci è sembrata epocale, per quanto sia passata senza troppi approfondimenti dai commentatori mainstream (e forse proprio per questo e per la loro incapacità di identificarla come centrale nel momento di rivolgimenti di un Sudovest asiatico in subbuglio). La Turchia si propone come protagonista nel costante scontro tra potenze locali mediorientali e dunque la trasformazione della lotta armata in richiesta di confederalismo democratico laico e socialista ci ha spinto a chiedere a <strong>Murat Cinar</strong> un'analisi molto problematica e ne è scaturita una sorta di autocoscienza sulle potenzialità di questa scelta, che per Murat era inevitabile e giunge nel momento migliore. Una idea che <strong>Alberto Negri</strong> nega nella sua visione del quadro della regione che compone arrivando alla centralità del dinamismo di Erdoğan a partire dal nuovo abisso di contrasti che attraversano la Tripolitania.\r\nLa puntata trova compimento con uno sguardo gettato insieme a <strong>Sabrina Moles</strong> sulle sfide che aspettano l'economia cinese di fronte ai dazi del nemico americano e alle guerre dell'amico russo.</em>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n<em>La lotta armata del Pkk ha \"esaurito\" i suoi compiti e consegna le armi</em>, da non sconfitto, proponendosi come forza politica con l’intento di aggiornare il concetto di confederalismo democratico in salsa turca. <strong>Murat Cinar</strong> ci guida nella fluida situazione geopolitica del Sudovest asiatico che vede grandi differenze tra i quattro stati che amministrano il territorio abitato da popolazioni di lingua curda; così, semmai sia esistito, il nazionalismo curdo viene superato e nelle indicazioni di Ocalan dall’isolamento di Imrali leggono il momento come propizio per riproporre unilateralmente a un regime autoritario di cessare il fuoco che in 45 anni ha registrato decine di migliaia di morti, ulteriore motivo per resistenze da parte dei parenti delle vittime, potenziale bacino di consensi per i partiti di ultradestra non alleati dell’Akp.\r\nQuindi la critica alla obsolescenza del modello della lotta armata otto-novecentesca, che punta sullo stato-nazione, è una scommessa ma, ci dice Murat, forse non ci sono alternative alla svolta disarmata per avanzare nuove richieste a una repubblica ora retta da una cricca di oligarchi autocratici senza contrappesi democratici riconducibili a una nuova lotta per una Turchia laica, indipendente e socialista: ora il Pkk si rivolge all’intera società turca in un momento di forti tensioni interne, puntando alla trasformazione culturale della Turchia.\r\nMurat adduce motivi di vario genere per dimostrare che recedere dalla lotta armata in questo momento può produrre risultati maggiori di quanto si sia conseguito finora, sia cercando modelli di guerriglie andate al negoziato negli ultimi decenni ai quattro angoli del pianeta, sia sviluppando l’analisi sincronica su un presente attraversato da alleanze variabili e guerre di ogni tipo. Erdogan è indebolito in patria ma ha un attivismo in politica internazionale che sta ripagando nella considerazione dei risultati geopolitici in un momento di riposizionamento e di grande caos.\r\nOvviamente questo panorama vede un percorso diverso per i curdi siriani: in Rojava le dinamiche sono diverse e ci sono protagonisti internazionali diretti (americani, Idf nel Golan, l’influenza dei curdi di Barzani…) che dipingono un quadro diverso per cui le organizzazioni sorelle tra curdi operano strategie diverse. E lo stesso avviene in Iran dove l’organizzazione curda ha rinunciato da tempo alla creazione di uno stato indipendente.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/51Su0lG6XrzCMs80p3Oaof?si=hpkV_FFCRIKFWmosuaTX1g\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/pkk-rondò-à-la-turk.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast precedenti relativi al neottomanesimo si trovano <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/le-guerre-ottomane-del-nuovo-millennio--4610767\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n \r\n\r\n«Regolamenti di conti mortali e scontri tra le fazioni in Tripolitania, avanzata delle truppe del generale Khalifa Haftar da Bengasi alla Sirte: la Libia sfugge a ogni controllo e soprattutto a quello del governo di Giorgia Meloni», così scriveva il 15 maggio <strong>Alberto Negri</strong> per “il manifesto” e da qui comincia il lungo excursus che illustra la situazione della regione Mena, a partire dalla Libia, dove le milizie tornano a scontrarsi in Tripolitania, vedendo soccombere i tagliagole sostenuti dalla Fortress Europe, a cominciare dal governo Meloni che ha coccolato al-Masri, il massacratore ricercato internazionalmente. Ora Haftar, il rais su cui punta dall’inizio la Russia in Cirenaica, è alleato anche della Turchia, dunque si assiste a un nuovo tentativo di rivolgimento del potere tripolino ormai al lumicino.\r\nMa questa situazione regolata dalla Turchia nell’Occidente libico nell’analisi di Alberto Negri si può anche vedere come uno dei 50 fronti dell’attivismo internazionale turco, fluido e adattabile alla condizione geopolitica, che vede Dbeibah – l’interlocutore dell’Europa per contenere e torturare le persone in movimento – sostenuto solo dalle milizie di Misurata nella girandola di alleanze e rivalità tripoline. La Turchia rimane al centro delle strategie che passano dal Mediterraneo in equilibrio anche con i sauditi e avendo imposto il vincitore di Assad in Siria, quell’Al-Jolani a cui Trump ha stretto la mano nonostante i 10 milioni di taglia; intanto all’interno si assiste alla svolta di Ocalan che – inopinatamente secondo Alberto Negri in un momento in cui l’area sta esplodendo e sono in corso mutamenti epocali – cede le armi e propone un percorso pacifico alla trasformazione della repubblica. In attesa di assistere e posizionarsi nella trattativa iraniana, con Teheran indebolita dalla escalation israeliana.\r\nE qui si giunge al centro del discorso mediorientale, perché da qualunque punto lo si rigiri <em>l’intento di Netanyahu di annettersi la Cisgiordania a cominciare dal genocidio gazawi sarà il punto di ricompattamento con l’amministrazione Trump</em>, in questi giorni invece impegnata a contenere il famelico criminale di Cesarea.\r\nSullo sfondo di tutto ciò Alberto si inalbera per il ruolo inesistente dell’Europa, se non per l’istinto neocoloniale di Macron, che non riesce comunque a conferire uno spessore da soggetti politici agli europei, in particolare per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, mai preso in considerazione dalla nomenklatura germano-balcanica che regola la politica comunitaria, totalmente disinteressata alle coste meridionali, se non per il contenimento dei migranti.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/ogni-rais-persegue-una-sua-visione-del-medioriente-tranne-gli-europei--66134433\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Il-garbuglio-mediorientale-incomprensibile-per-gli-europei.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi alla questione mediorientale <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/israele-compra-a-saldo-paesi-arabi--4645793\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a> potete trovare quelli che riconducono all'espansionismo sionista i conflitti in corso\r\n\r\n \r\n\r\n<hr />\r\n\r\nDopo una prima maratona negoziale durata due giorni ,Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo sulla sospensione per 90 giorni dei dazi reciproci che in pochi giorni avevano difatto bloccato gli scambi fra i due paesi. Nel dettaglio, gli Stati Uniti hanno annullato il 91% delle tariffe aggiuntive imposte alla Cina, sospeso il 24% dei “dazi reciproci” e mantenuto il restante 10%. Rimangono ancora in atto le misure su veicoli elettrici, acciaio e alluminio ,è un primo passo verso la creazione di un meccanismo di consultazione che regoli le relazioni commerciali e di fatto uno stop al processo di \"decoupling\" ,disaccopiamento ,fra le due economie che la nuova amministrazione americana non sembra gradire. Secondo varie fonti, negli ultimi giorni sono riprese le forniture di Boeing, che Pechino aveva interrotto in risposta ai dazi. Ma le restrizioni sui materiali critici ufficialmente sono ancora lì. Anche se sono state emesse le prime licenze per l’export di alcune terre rare, di cui potrebbero beneficiare anche le 28 aziende americane rimosse dalla lista delle entità interdette dalla Cina alle importazioni e altre attività economiche.\r\nNe parliamo con <b>Sabrina Moles</b> di China files.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/accordo-stati-uniti-cina-sui-dazi--66192697\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/sabrinomia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","2025-06-03 00:36:14","BASTIONI DI ORIONE 15/05/2025 - FINE DELLA LOTTA ARMATA DEL PKK IN TURCHIA E SUBBUGLIO MEDIORIENTALE; LA CINA DELL'ECONOMIA TRA DAZI E GUERRE ALTRUI",1748910974,[393],[301],{"post_content":461},{"matched_tokens":462,"snippet":463,"value":464},[77],"le forniture di Boeing, che \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> aveva interrotto in risposta ai","<em>Questa settimana la fine della lotta armata iniziata dal Pkk nel 1978 è la notizia che ci è sembrata epocale, per quanto sia passata senza troppi approfondimenti dai commentatori mainstream (e forse proprio per questo e per la loro incapacità di identificarla come centrale nel momento di rivolgimenti di un Sudovest asiatico in subbuglio). La Turchia si propone come protagonista nel costante scontro tra potenze locali mediorientali e dunque la trasformazione della lotta armata in richiesta di confederalismo democratico laico e socialista ci ha spinto a chiedere a <strong>Murat Cinar</strong> un'analisi molto problematica e ne è scaturita una sorta di autocoscienza sulle potenzialità di questa scelta, che per Murat era inevitabile e giunge nel momento migliore. Una idea che <strong>Alberto Negri</strong> nega nella sua visione del quadro della regione che compone arrivando alla centralità del dinamismo di Erdoğan a partire dal nuovo abisso di contrasti che attraversano la Tripolitania.\r\nLa puntata trova compimento con uno sguardo gettato insieme a <strong>Sabrina Moles</strong> sulle sfide che aspettano l'economia cinese di fronte ai dazi del nemico americano e alle guerre dell'amico russo.</em>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n<em>La lotta armata del Pkk ha \"esaurito\" i suoi compiti e consegna le armi</em>, da non sconfitto, proponendosi come forza politica con l’intento di aggiornare il concetto di confederalismo democratico in salsa turca. <strong>Murat Cinar</strong> ci guida nella fluida situazione geopolitica del Sudovest asiatico che vede grandi differenze tra i quattro stati che amministrano il territorio abitato da popolazioni di lingua curda; così, semmai sia esistito, il nazionalismo curdo viene superato e nelle indicazioni di Ocalan dall’isolamento di Imrali leggono il momento come propizio per riproporre unilateralmente a un regime autoritario di cessare il fuoco che in 45 anni ha registrato decine di migliaia di morti, ulteriore motivo per resistenze da parte dei parenti delle vittime, potenziale bacino di consensi per i partiti di ultradestra non alleati dell’Akp.\r\nQuindi la critica alla obsolescenza del modello della lotta armata otto-novecentesca, che punta sullo stato-nazione, è una scommessa ma, ci dice Murat, forse non ci sono alternative alla svolta disarmata per avanzare nuove richieste a una repubblica ora retta da una cricca di oligarchi autocratici senza contrappesi democratici riconducibili a una nuova lotta per una Turchia laica, indipendente e socialista: ora il Pkk si rivolge all’intera società turca in un momento di forti tensioni interne, puntando alla trasformazione culturale della Turchia.\r\nMurat adduce motivi di vario genere per dimostrare che recedere dalla lotta armata in questo momento può produrre risultati maggiori di quanto si sia conseguito finora, sia cercando modelli di guerriglie andate al negoziato negli ultimi decenni ai quattro angoli del pianeta, sia sviluppando l’analisi sincronica su un presente attraversato da alleanze variabili e guerre di ogni tipo. Erdogan è indebolito in patria ma ha un attivismo in politica internazionale che sta ripagando nella considerazione dei risultati geopolitici in un momento di riposizionamento e di grande caos.\r\nOvviamente questo panorama vede un percorso diverso per i curdi siriani: in Rojava le dinamiche sono diverse e ci sono protagonisti internazionali diretti (americani, Idf nel Golan, l’influenza dei curdi di Barzani…) che dipingono un quadro diverso per cui le organizzazioni sorelle tra curdi operano strategie diverse. E lo stesso avviene in Iran dove l’organizzazione curda ha rinunciato da tempo alla creazione di uno stato indipendente.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/51Su0lG6XrzCMs80p3Oaof?si=hpkV_FFCRIKFWmosuaTX1g\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/pkk-rondò-à-la-turk.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast precedenti relativi al neottomanesimo si trovano <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/le-guerre-ottomane-del-nuovo-millennio--4610767\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n \r\n\r\n«Regolamenti di conti mortali e scontri tra le fazioni in Tripolitania, avanzata delle truppe del generale Khalifa Haftar da Bengasi alla Sirte: la Libia sfugge a ogni controllo e soprattutto a quello del governo di Giorgia Meloni», così scriveva il 15 maggio <strong>Alberto Negri</strong> per “il manifesto” e da qui comincia il lungo excursus che illustra la situazione della regione Mena, a partire dalla Libia, dove le milizie tornano a scontrarsi in Tripolitania, vedendo soccombere i tagliagole sostenuti dalla Fortress Europe, a cominciare dal governo Meloni che ha coccolato al-Masri, il massacratore ricercato internazionalmente. Ora Haftar, il rais su cui punta dall’inizio la Russia in Cirenaica, è alleato anche della Turchia, dunque si assiste a un nuovo tentativo di rivolgimento del potere tripolino ormai al lumicino.\r\nMa questa situazione regolata dalla Turchia nell’Occidente libico nell’analisi di Alberto Negri si può anche vedere come uno dei 50 fronti dell’attivismo internazionale turco, fluido e adattabile alla condizione geopolitica, che vede Dbeibah – l’interlocutore dell’Europa per contenere e torturare le persone in movimento – sostenuto solo dalle milizie di Misurata nella girandola di alleanze e rivalità tripoline. La Turchia rimane al centro delle strategie che passano dal Mediterraneo in equilibrio anche con i sauditi e avendo imposto il vincitore di Assad in Siria, quell’Al-Jolani a cui Trump ha stretto la mano nonostante i 10 milioni di taglia; intanto all’interno si assiste alla svolta di Ocalan che – inopinatamente secondo Alberto Negri in un momento in cui l’area sta esplodendo e sono in corso mutamenti epocali – cede le armi e propone un percorso pacifico alla trasformazione della repubblica. In attesa di assistere e posizionarsi nella trattativa iraniana, con Teheran indebolita dalla escalation israeliana.\r\nE qui si giunge al centro del discorso mediorientale, perché da qualunque punto lo si rigiri <em>l’intento di Netanyahu di annettersi la Cisgiordania a cominciare dal genocidio gazawi sarà il punto di ricompattamento con l’amministrazione Trump</em>, in questi giorni invece impegnata a contenere il famelico criminale di Cesarea.\r\nSullo sfondo di tutto ciò Alberto si inalbera per il ruolo inesistente dell’Europa, se non per l’istinto neocoloniale di Macron, che non riesce comunque a conferire uno spessore da soggetti politici agli europei, in particolare per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, mai preso in considerazione dalla nomenklatura germano-balcanica che regola la politica comunitaria, totalmente disinteressata alle coste meridionali, se non per il contenimento dei migranti.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/ogni-rais-persegue-una-sua-visione-del-medioriente-tranne-gli-europei--66134433\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Il-garbuglio-mediorientale-incomprensibile-per-gli-europei.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi alla questione mediorientale <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/israele-compra-a-saldo-paesi-arabi--4645793\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a> potete trovare quelli che riconducono all'espansionismo sionista i conflitti in corso\r\n\r\n \r\n\r\n<hr />\r\n\r\nDopo una prima maratona negoziale durata due giorni ,Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo sulla sospensione per 90 giorni dei dazi reciproci che in pochi giorni avevano difatto bloccato gli scambi fra i due paesi. Nel dettaglio, gli Stati Uniti hanno annullato il 91% delle tariffe aggiuntive imposte alla Cina, sospeso il 24% dei “dazi reciproci” e mantenuto il restante 10%. Rimangono ancora in atto le misure su veicoli elettrici, acciaio e alluminio ,è un primo passo verso la creazione di un meccanismo di consultazione che regoli le relazioni commerciali e di fatto uno stop al processo di \"decoupling\" ,disaccopiamento ,fra le due economie che la nuova amministrazione americana non sembra gradire. Secondo varie fonti, negli ultimi giorni sono riprese le forniture di Boeing, che \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> aveva interrotto in risposta ai dazi. Ma le restrizioni sui materiali critici ufficialmente sono ancora lì. Anche se sono state emesse le prime licenze per l’export di alcune terre rare, di cui potrebbero beneficiare anche le 28 aziende americane rimosse dalla lista delle entità interdette dalla Cina alle importazioni e altre attività economiche.\r\nNe parliamo con <b>Sabrina Moles</b> di China files.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/accordo-stati-uniti-cina-sui-dazi--66192697\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/sabrinomia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[466],{"field":144,"matched_tokens":467,"snippet":463,"value":464},[77],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},{"document":470,"highlight":481,"highlights":486,"text_match":146,"text_match_info":489},{"comment_count":50,"id":471,"is_sticky":50,"permalink":472,"podcastfilter":473,"post_author":53,"post_content":474,"post_date":475,"post_excerpt":56,"post_id":471,"post_modified":476,"post_thumbnail":414,"post_title":477,"post_type":333,"sort_by_date":478,"tag_links":479,"tags":480},"97709","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-08-05-2025-il-nuovo-asse-militare-parigi-berlino-varsavia-a-difesa-dagli-usa-di-trump-mentre-esplode-la-regione-indo-pakistana/",[287],"In questa puntata \"Bastioni di Orione\" torna a toccare vari punti dell'orbe terraqueo che sono in qualche modo collegati tra loro. Accendere un riflettore sui prepotenti primi cento giorni del mandato trumpiano alla Casa Bianca con uno storico come Gian Giacomo Migone significa anche comprendere quali strategie di contenimento del declino americano può permettersi l'amministrazione americana, scoperchiando l'evidenza della dissoluzione del ruolo di gendarme pure nell'ultimo focolaio di tensione che sfrutta il momento di vacanza imperiale per sondare quali sviluppi potrebbe avere lo scontro indo-pakistano sul contenzioso relativo al Kashmir (diviso nelle sue tre componenti etno-religiose) incancrenito nel postcolonialismo del subcontinente indiano. Ne abbiamo parlato con Matteo Miavaldi, con il quale avevamo preconizzato la potenziale esplosione innescata con l'attentato di Pahalgam. Ma anche il dinamismo polacco in materia militare e il conseguente avvicinamento delle due caserme Nato nell'Europa centrorientale: Germania e Polonia sono rivali per il primato militare in Europa e si alleano all'unica potenza nucleare del continente, sfruttando le paure scatenate da una Russia apparentemente aggressiva, anche se non avrebbe interesse a invadere Alessandro Ajres allude a una \"libido\" putiniana in un delirio di espansione imperiale, la paura del quale forse la società polacca ha introiettato in questi anni di destra estrema, alternati a centrodestra, che hanno sviluppato lo sviluppo economico per foraggiare l'industria bellica.\r\n\r\n\r\n\r\nNé India, né Pakistan trovano convenienza in uno scontro frontale ora sulla ottantennale \"questione del Kashmir\", eppure sta avvenendo ed è… esplosiva, nel senso che entrambe sono dotate di armamenti nucleari. L’India ha una preponderanza in ogni arma, ma quando si parla di nucleare e di dispute religioso-nazionaliste tra stati retti da fanatici difficilmente ne esce un vincitore vivo.\r\nCon Matteo Miavaldi percorriamo la china che ha portato a questa situazione pericolosa che ha già prodotto decine di morti dalla strage di Pahalgham del 22 aprile, quando un commando jihadista ha ucciso 26 indiani in Kashmir, evidenziando l’impreparazione dell’intelligence di Dehli e scatenando la reazione unitaria della nazione indiana che due settimane dopo ha prodotto una quarantina di morti con il bombardamento dell’Operazione Sindoor contro il Pakistan, i cui vertici negano ogni responsabilità nell’innesco della spirale. L’escalation muscolare è pari a quella propagandistica, tanto che è difficile accettare e prendere per buone quasi tutte le ricostruzioni che provengono da ciascuno dei contendenti.\r\nLa storia del Jammu-Kashmir è travagliata dal dopoguerra: in comune con le vicende israelo-palestinesi non c’è solo il 1947 come data del vulnus, ma anche lo sfruttamento di ogni periodo in cui la diplomazia internazionale va in panne, permettendo all’apparato militare di risolvere con i suoi metodi le dispute; e forse si può individuare nel 2019 con la revoca dello stato semiautonomo della regione indiana una svolta a cui non si possono ricondurre questi risultati ma fu un avvio di un processo che ne ha consentito il deflagrare del problema in questi termini, perché ha prodotto un cambio nella composizione delle credenze e nella maggiore presenza culturale hindu tra la popolazione delle regioni di confine. Le conseguenze non possono che essere le risposte reciproche più violente dalla creazione del Bangla Desh dal Pakistan Orientale.\r\nE a fronte di un evento di portata così storica le reazioni internazionali o i tentativi di interposizione per arrivare a una pacificazione dell’area sono risibili da parte di tutte le potenze globali, peraltro difficilmente potrebbero venire accettate dai rispettivi nazionalismi dei contendenti. La Cina si è offerte come mediatrice, appalesando un interesse precipuo alla composizione del conflitto, benché sia chiaro che l’interesse di Pechino è il mantenimento del territorio pakistano, storico alleato e indispensabile corridoio per la Belt Road Initiative; facendo da contrappeso all’immediato sostegno di Israele alla rappresaglia indiana, tanto assimilabile alla reazione assassina dell’entità sionista a Gaza.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/7IBzky3YF9FknUxHEN6yWV?si=bHv964OURDqoJY5k3qRDSA\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Innesco-e-propaganda-in-Kashmir_Miavaldi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast sull'Estremo oriente si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nTusk partecipa ai summit sul destino della guerra con Merz e Macron, a dimostrazione della sua potenza militare che sfida la preminenza europea dei due partner, esaltando il nazionalismo di matrice romantica mai realmente venuto meno al paese, che negli ultimi 2/3 decenni ha raddoppiato il pil e livellato i tassi di povertà delle componenti sociali. Sottoposto questo paesaggio ad Alessandro Ajres, ci ha fatto notare come questo sia potuto accadere in seguito all’alternanza al potere dei rappresentanti della sacca rurale retriva e conservatrice che vota l'estrema destra del PiS e di quelli del centro destra liberal-conservatore che trova i propri consensi nelle metropoli e nei bacini minerari e navali. La matrice militare e reazionaria – sempre meno sfumata in entrambi i campi dalla forza della chiesa cattolica, che ha disperso la potenza data dal fanatismo dei tempi wojtyliani – si fonda su una produzione industriale a basso costo, e l’importanza della posizione geografica, che la pone tra quegli stati europei a ridosso del confine con i territori controllati da Mosca che cavalcano le paure dell’orso russo e le fomentano per spostare capitali statali verso il settore bellico (che drena il 5 per cento del pil ormai da anni).\r\nQuesta situazione pone la Polonia nella condizione di incalzare la potenza militare tedesca e la sua preminenza nel mettere a disposizione territorio e basi missilistiche al sistema di guerra occidentale; e questa spirale le consente inoltre di essere il faro della fazione degli impauriti baltici, inserendosi nella tradizione deel destre nazionaliste dell'Esteuropa. Ed è in questo contesto che diventa interessante vedere come anziché scontrarsi sembra che Polonia e Germania uniscano le loro forze per sostenere una politica europea a loro immagine.\r\nLa Polonia e i suoi fratelli comprende sia le repubbliche baltiche, sia gli altri stati ex sovietici, in cui la recrudescenza antirussa ha prodotto frange sempre più ampie di nostalgie fasciste che impastano un po' tutta la regione di nazionalismi fanatici, più che romantici.\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/gli-assi-di-potere-europei-inglobano-la-polonia--66032024\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/La-Polonia-e-i-suoi-fratelli_Ajres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare gli episodi precedenti relativi alla regione pannonica, balcanica e caucasica si trovano qui\r\n\r\nCon Giangiacomo Migone che fra le altre cose ha insegnato storia dell'America del nord all'università di Torino ,parliamo delle fratture all'interno della società americana e della crisi di egemonia di cui l'elezione di Trump è la conseguenza. Trump si è rivolto ad un altro elettorato ,la parte dei bianchi americani impoveriti dalla globalizzazione che ha mangiato i posti di lavoro che sono stati delocalizzati altrove .Trump prende atto che gli USA nonostante la potenza militare non sono più l'egemone e la sua visione incarna la nostalgia della grandezza americana che vorrebbe far rivivere nonostante la concorrenza della Cina che ha invece una percezione multipolare del mondo.\r\nNonostante la torsione autoritaria che è incarnata dalla politica trumpiana ci sono delle resistenze all'interno del tessuto sociale americano che si manifestano nelle università ,nell'opposizione dei tribunali ai decreti del presidente che non considera i contrappesi istituzionali e si concretizzano anche nelle affollate piazze che stanno seguendo il tour contro l'oligarchia del senatore Sanders e di Alexandra Ocasio Cortez. La politica di Trump è al servizio dell'1% più ricco e alimenta la guerra fra poveri delle classi medie impoverite bianche contro gli immigrati .\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-specchio-della-crisi-di-egemonia-degli-usa--66055851\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/BASTIONI-DI-ORIONE-08052025-MIGONE.mp3\"][/audio]\r\n\r\nSi è affrontata il sovranismo imperante dall'avvento del Trump Revenge qui\r\n\r\n ","11 Maggio 2025","2025-05-14 00:54:58","BASTIONI DI ORIONE 08/05/2025 - IL NUOVO ASSE MILITARE PARIGI BERLINO VARSAVIA A DIFESA DAGLI USA DI TRUMP MENTRE ESPLODE LA REGIONE INDO-PAKISTANA.",1746964824,[393],[301],{"post_content":482},{"matched_tokens":483,"snippet":484,"value":485},[77],"sia chiaro che l’interesse di \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> è il mantenimento del territorio","In questa puntata \"Bastioni di Orione\" torna a toccare vari punti dell'orbe terraqueo che sono in qualche modo collegati tra loro. Accendere un riflettore sui prepotenti primi cento giorni del mandato trumpiano alla Casa Bianca con uno storico come Gian Giacomo Migone significa anche comprendere quali strategie di contenimento del declino americano può permettersi l'amministrazione americana, scoperchiando l'evidenza della dissoluzione del ruolo di gendarme pure nell'ultimo focolaio di tensione che sfrutta il momento di vacanza imperiale per sondare quali sviluppi potrebbe avere lo scontro indo-pakistano sul contenzioso relativo al Kashmir (diviso nelle sue tre componenti etno-religiose) incancrenito nel postcolonialismo del subcontinente indiano. Ne abbiamo parlato con Matteo Miavaldi, con il quale avevamo preconizzato la potenziale esplosione innescata con l'attentato di Pahalgam. Ma anche il dinamismo polacco in materia militare e il conseguente avvicinamento delle due caserme Nato nell'Europa centrorientale: Germania e Polonia sono rivali per il primato militare in Europa e si alleano all'unica potenza nucleare del continente, sfruttando le paure scatenate da una Russia apparentemente aggressiva, anche se non avrebbe interesse a invadere Alessandro Ajres allude a una \"libido\" putiniana in un delirio di espansione imperiale, la paura del quale forse la società polacca ha introiettato in questi anni di destra estrema, alternati a centrodestra, che hanno sviluppato lo sviluppo economico per foraggiare l'industria bellica.\r\n\r\n\r\n\r\nNé India, né Pakistan trovano convenienza in uno scontro frontale ora sulla ottantennale \"questione del Kashmir\", eppure sta avvenendo ed è… esplosiva, nel senso che entrambe sono dotate di armamenti nucleari. L’India ha una preponderanza in ogni arma, ma quando si parla di nucleare e di dispute religioso-nazionaliste tra stati retti da fanatici difficilmente ne esce un vincitore vivo.\r\nCon Matteo Miavaldi percorriamo la china che ha portato a questa situazione pericolosa che ha già prodotto decine di morti dalla strage di Pahalgham del 22 aprile, quando un commando jihadista ha ucciso 26 indiani in Kashmir, evidenziando l’impreparazione dell’intelligence di Dehli e scatenando la reazione unitaria della nazione indiana che due settimane dopo ha prodotto una quarantina di morti con il bombardamento dell’Operazione Sindoor contro il Pakistan, i cui vertici negano ogni responsabilità nell’innesco della spirale. L’escalation muscolare è pari a quella propagandistica, tanto che è difficile accettare e prendere per buone quasi tutte le ricostruzioni che provengono da ciascuno dei contendenti.\r\nLa storia del Jammu-Kashmir è travagliata dal dopoguerra: in comune con le vicende israelo-palestinesi non c’è solo il 1947 come data del vulnus, ma anche lo sfruttamento di ogni periodo in cui la diplomazia internazionale va in panne, permettendo all’apparato militare di risolvere con i suoi metodi le dispute; e forse si può individuare nel 2019 con la revoca dello stato semiautonomo della regione indiana una svolta a cui non si possono ricondurre questi risultati ma fu un avvio di un processo che ne ha consentito il deflagrare del problema in questi termini, perché ha prodotto un cambio nella composizione delle credenze e nella maggiore presenza culturale hindu tra la popolazione delle regioni di confine. Le conseguenze non possono che essere le risposte reciproche più violente dalla creazione del Bangla Desh dal Pakistan Orientale.\r\nE a fronte di un evento di portata così storica le reazioni internazionali o i tentativi di interposizione per arrivare a una pacificazione dell’area sono risibili da parte di tutte le potenze globali, peraltro difficilmente potrebbero venire accettate dai rispettivi nazionalismi dei contendenti. La Cina si è offerte come mediatrice, appalesando un interesse precipuo alla composizione del conflitto, benché sia chiaro che l’interesse di \u003Cmark>Pechino\u003C/mark> è il mantenimento del territorio pakistano, storico alleato e indispensabile corridoio per la Belt Road Initiative; facendo da contrappeso all’immediato sostegno di Israele alla rappresaglia indiana, tanto assimilabile alla reazione assassina dell’entità sionista a Gaza.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/7IBzky3YF9FknUxHEN6yWV?si=bHv964OURDqoJY5k3qRDSA\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Innesco-e-propaganda-in-Kashmir_Miavaldi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast sull'Estremo oriente si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nTusk partecipa ai summit sul destino della guerra con Merz e Macron, a dimostrazione della sua potenza militare che sfida la preminenza europea dei due partner, esaltando il nazionalismo di matrice romantica mai realmente venuto meno al paese, che negli ultimi 2/3 decenni ha raddoppiato il pil e livellato i tassi di povertà delle componenti sociali. Sottoposto questo paesaggio ad Alessandro Ajres, ci ha fatto notare come questo sia potuto accadere in seguito all’alternanza al potere dei rappresentanti della sacca rurale retriva e conservatrice che vota l'estrema destra del PiS e di quelli del centro destra liberal-conservatore che trova i propri consensi nelle metropoli e nei bacini minerari e navali. La matrice militare e reazionaria – sempre meno sfumata in entrambi i campi dalla forza della chiesa cattolica, che ha disperso la potenza data dal fanatismo dei tempi wojtyliani – si fonda su una produzione industriale a basso costo, e l’importanza della posizione geografica, che la pone tra quegli stati europei a ridosso del confine con i territori controllati da Mosca che cavalcano le paure dell’orso russo e le fomentano per spostare capitali statali verso il settore bellico (che drena il 5 per cento del pil ormai da anni).\r\nQuesta situazione pone la Polonia nella condizione di incalzare la potenza militare tedesca e la sua preminenza nel mettere a disposizione territorio e basi missilistiche al sistema di guerra occidentale; e questa spirale le consente inoltre di essere il faro della fazione degli impauriti baltici, inserendosi nella tradizione deel destre nazionaliste dell'Esteuropa. Ed è in questo contesto che diventa interessante vedere come anziché scontrarsi sembra che Polonia e Germania uniscano le loro forze per sostenere una politica europea a loro immagine.\r\nLa Polonia e i suoi fratelli comprende sia le repubbliche baltiche, sia gli altri stati ex sovietici, in cui la recrudescenza antirussa ha prodotto frange sempre più ampie di nostalgie fasciste che impastano un po' tutta la regione di nazionalismi fanatici, più che romantici.\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/gli-assi-di-potere-europei-inglobano-la-polonia--66032024\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/La-Polonia-e-i-suoi-fratelli_Ajres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare gli episodi precedenti relativi alla regione pannonica, balcanica e caucasica si trovano qui\r\n\r\nCon Giangiacomo Migone che fra le altre cose ha insegnato storia dell'America del nord all'università di Torino ,parliamo delle fratture all'interno della società americana e della crisi di egemonia di cui l'elezione di Trump è la conseguenza. Trump si è rivolto ad un altro elettorato ,la parte dei bianchi americani impoveriti dalla globalizzazione che ha mangiato i posti di lavoro che sono stati delocalizzati altrove .Trump prende atto che gli USA nonostante la potenza militare non sono più l'egemone e la sua visione incarna la nostalgia della grandezza americana che vorrebbe far rivivere nonostante la concorrenza della Cina che ha invece una percezione multipolare del mondo.\r\nNonostante la torsione autoritaria che è incarnata dalla politica trumpiana ci sono delle resistenze all'interno del tessuto sociale americano che si manifestano nelle università ,nell'opposizione dei tribunali ai decreti del presidente che non considera i contrappesi istituzionali e si concretizzano anche nelle affollate piazze che stanno seguendo il tour contro l'oligarchia del senatore Sanders e di Alexandra Ocasio Cortez. La politica di Trump è al servizio dell'1% più ricco e alimenta la guerra fra poveri delle classi medie impoverite bianche contro gli immigrati .\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-specchio-della-crisi-di-egemonia-degli-usa--66055851\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/BASTIONI-DI-ORIONE-08052025-MIGONE.mp3\"][/audio]\r\n\r\nSi è affrontata il sovranismo imperante dall'avvento del Trump Revenge qui\r\n\r\n ",[487],{"field":144,"matched_tokens":488,"snippet":484,"value":485},[77],{"best_field_score":148,"best_field_weight":211,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":212,"tokens_matched":108,"typo_prefix_score":50},6637,{"collection_name":333,"first_q":77,"per_page":281,"q":77},12,["Reactive",494],{},["Set"],["ShallowReactive",497],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$f932uxUMDvhHluLPZ4082kJJhXe350C-dzT1RRf1zwfw":-1},true,"/search?query=Pechino"]