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Ankara brucia e anche qui sono stati registrati centinaia di feriti e arresti nelle utlime ore.\r\n\r\nIl bilancio approssimativo di questi tre giorni di proteste e scontri in 67 città del Paese, conta circa 1.700 persone arrestate e il numero dei feriti totali è arrivato a quota 1500. Secondo l'Associazione dei medici turchi, sarebbero 484 i manifestanti soccorsi negli ospedali di Istanbul da venerdì scorso mentre non si hanno cifre esatte da Ankara e da altre città nelle quali gli scontri sono stati ferocissimi come Izmir o Adana. E' di qualche ora fa purtroppo la conferma della \"morte cerebrale\" di un giovane colpito da un colpo d'arma da fuoco alla testa, sparato da un poliziotto a bruciapelo, durante le proteste anti-governative ad Ankara.\r\n\r\nLa situazione dei movimenti di opposizione in tutto il paese sembra volgere verso la convocazione di uno sciopero generale e verso nuove mobilitazioni per arrivare alla caduta di Erdogan e del suo governo. Da parte sua il governo (a maggioranza Akp – il partito di Erdogan di matrice liberal-islamista) non accenna a ridurre la repressione contro i manifestanti e Erdogan non cancella le visite previste e che, a partire da oggi, lo vedranno in Marocco. Inoltre anche i meccanismi di censura turchi e i media mainstream cercano di non mostrare quanto sta accadendo e la portata davvero imponente della partecipazione in moltissime città, una rivolta popolare e trasversale che si ribella in molti modi e con diversi linguaggi.\r\n\r\nDi seguito gli aggiornamenti e l'analisi politica di Murat\r\n\r\nmurat\r\n\r\ne il link dove potete ascoltare da Radio Onda Rossa la testimonianza di una ragazza da \u003Cmark>Piazza\u003C/mark> \u003Cmark>Taksim\u003C/mark> di sabato, quando la mobilitazione diventa diffusa e organizzata e racconta anche le iniziative per difendere Gezi Park iniziate ben prima di venerdì.\r\n\r\nhttp://www.ondarossa.info/newsredazione/corrispondenza-da-istanbul\r\n\r\n ",{"matched_tokens":82,"snippet":84,"value":84},[83],"piazza","Turchia: tutt* in \u003Cmark>piazza\u003C/mark> contro Erdogan!",[86,88,90,93,95,97],{"matched_tokens":87,"snippet":18},[],{"matched_tokens":89,"snippet":21},[],{"matched_tokens":91,"snippet":92},[77,78],"\u003Cmark>Piazza\u003C/mark> \u003Cmark>Taksim\u003C/mark>",{"matched_tokens":94,"snippet":73},[],{"matched_tokens":96,"snippet":24},[],{"matched_tokens":98,"snippet":15},[],[100,105,108],{"field":40,"indices":101,"matched_tokens":102,"snippets":104},[32],[103],[77,78],[92],{"field":106,"matched_tokens":107,"snippet":79,"value":80},"post_content",[77,78],{"field":109,"matched_tokens":110,"snippet":84,"value":84},"post_title",[83],1157451471441625000,{"best_field_score":113,"best_field_weight":114,"fields_matched":29,"num_tokens_dropped":52,"score":115,"tokens_matched":32,"typo_prefix_score":52},"2211897868544",13,"1157451471441625195",{"document":117,"highlight":138,"highlights":162,"text_match":111,"text_match_info":170},{"cat_link":118,"category":119,"comment_count":52,"id":120,"is_sticky":52,"permalink":121,"post_author":122,"post_content":123,"post_date":124,"post_excerpt":58,"post_id":120,"post_modified":125,"post_thumbnail":126,"post_thumbnail_html":127,"post_title":128,"post_type":63,"sort_by_date":129,"tag_links":130,"tags":135},[49],[51],"54326","http://radioblackout.org/2019/05/gezi-park-sei-anni-dopo/","info2","Nell’anniversario della lotta contro la gentrificazione a Gezi Park ad Istanbul abbiamo provato a fare il punto sui movimenti sociali della megalopoli del Bosforo, dove sono state annullate le elezioni del sindaco di centro sinistra che, per la prima volta da quindici anni aveva sconfitto il candidato islamista.\r\n\r\nCosa accadde ad Istanbul tra la primavera e l’estate del 2013?\r\n\r\nTutto cominciò da una cinquantina di persone che fecero un sit-in contro la costruzione di un centro commerciale che avrebbe distrutto il parco Gezi, uno dei rari polmoni verdi della città.\r\nIl 30 maggio la polizia turca si presentò con i bulldozer. Il parco venne sgomberato dalla polizia con brutalità. Oltre ai lacrimogeni e alle violenze sui manifestanti, la polizia incendiò le tende degli occupanti e sradicò gli alberi che questi avevano piantato nel parco nei giorni precedenti.\r\nL’occupazione di Gezi Park era cominciata il 28 maggio. Il parco si trova nella centrale Piazza Taksim, sulla sponda europea della città, una zona estremamente turistica ma anche un luogo simbolo di resistenza e di lotta per i lavoratori e per i rivoluzionari, perché è la piazza dove il Primo Maggio del 1977 furono uccisi 34 manifestanti. La piazza attorno alla quale anche quell’anno la polizia massacrò a forza di botte, lacrimogeni e idranti la folla scesa in piazza, nonostante i divieti, per la giornata internazionale dei lavoratori.\r\nQuesta volta la violenza della polizia ha incontrato però una reazione determinata e di massa.\r\nNonostante i continui attacchi della polizia, sempre più persone si sono unite alla resistenza di piazza. Dopo giorni di scontri ininterrotti, nei quali la polizia ha usato mezzi sempre più duri e violenti, alle 16 del primo giugno, i blindati iniziarono a ritirarsi da Piazza Taksim, i cordoni dell’antisommossa arretrarono e abbandonarono la piazza. La resistenza di oltre un milione di manifestanti, la solidarietà praticata nelle strade, costrinse il governo a fare almeno un passo indietro. In piazza c’erano tutti: donne e uomini, ecologisti, abitanti della zona, lavoratori, curdi, socialisti, anarchici, verdi, sindacati, repubblicani, ultras, attivisti delle ong.\r\nLa rivolta non si fermò con la ritirata della polizia da Piazza Taksim, i manifestanti si fermarono a presidiare la piazza, le barricate rimasero in piedi. In decine e decine di altre città continuarono gli scontri e le proteste: a Ankara e Izmir la polizia intervenne con estrema violenza.\r\nLa questione assunse subito un rilievo nazionale, facendo da detonatore per una protesta generalizzata, con manifestazioni nelle principali città duramente represse dal governo.\r\nOrmai era un’estesa rivolta contro un governo autoritario e conservatore, contro il terrorismo di stato, contro la devastazione capitalista.\r\n\r\nL’estrema violenza usata contro un movimento vasto, che praticava l’occupazione e la resistenza ma non ebbe caratteristiche di attacco violento, suscitò ampia indignazione fuori dai confini turchi, che si tradusse in grandi manifestazioni di protesta contro il governo Erdogan.\r\nLe squadre antisommossa fecero uso massiccio di spray al peperoncino, lacrimogeni lanciati ad altezza d'uomo e cannoni ad acqua urticante.\r\nDurante le manifestazioni in Turchia molti manifestanti furono uccisi.\r\nIl parco Gezi si trasformerà immediatamente in un accampamento autogestito, una sorta di “Comune di Gezi”, che sarà una sorta di laboratorio di lotta sociale a cielo aperto.\r\nA metà giugno Gezi Park e la vicina Piazza Taksim vennero ancora sgomberate dalla poliza.\r\nMa il movimento di lotta seppe rinnovarsi ed estendersi, senza perdere la propria forza e mantenendo una forte partecipazione popolare.\r\nDopo giorni di autogestione, di solidarietà, di resistenza e condivisione nelle strade di Istanbul e di molte altre città della Turchia, lo sgombero della “Comune di Gezi Park” da parte della polizia non fermò le proteste.\r\nIl fatto più interessante fu la nascita di assemblee aperte in molte città turche. Si arrivò a circa 82 assemblee attive in 11 città, che furono un importante strumento di autorganizzazione e di autogestione del movimento. Oltre alla polizia scesero in campo i fascisti delle squadracce del premier Erdoğan che attaccarono in più occasioni le assemblee dando luogo ad una vera e propria caccia alle streghe. Nelle principali città decine di militanti rivoluzionari furono arrestati.\r\n\r\nNon fu una mera storia di alberi. Il movimento in difesa di Gezi Park non mirava alla semplice salvaguardia del verde pubblico, ma si oppose all’intero processo di gentrificazione urbana in atto nella zona di Taksim.\r\nNel centro di Istanbul interi quartieri erano stati distrutti per lasciare spazio a complessi residenziali, grandi centri commerciali, alberghi di lusso. Il costo della vita aumentava, i poveri erano cacciati mentre aumentavano i profitti degli speculatori legati al partito di governo, l’AKP.\r\nLa rabbia esplosa nelle piazze affondava le proprie radici anche nel sempre più selvaggio sfruttamento imposto alla classe lavoratrice in Turchia.\r\nMilioni di persone nel paese lavorano in condizioni quasi servili, con salari bassissimi ed altissimi tassi di incidenti e morti sul posto di lavoro. Queste condizioni sono ancora più drammatiche negli appalti e nelle esternalizzazioni. A questo si accompagna una organizzazione fortemente gerarchica del lavoro e la repressione dei lavoratori che si organizzano autonomamente, nei sindacati rivoluzionari e di classe.\r\nUn altro elemento determinante nell’esplosione delle rivolte è costituito dalle politiche islamiste conservatrici imposte dal governo.\r\nQuelle che giornali come “Repubblica” liquidavano come “proteste della birra” o, più romanticamente, “dei baci”, erano in realtà una reazione compatta della società turca al barbaro attacco alle libertà personali. Chi scendeva in piazza aveva capito che il governo intendeva completare il proprio sistema di dominio legalizzando ed istituzionalizzando una repressione religiosa che punta ad eliminare ogni libertà individuale. Le politiche di Erdoğan comprendono divieti sugli alcolici, divieti sulle relazioni pre-matrimoniali, ma soprattutto un attacco alle donne che si vorrebbero obbligate ad un modello di sottomissione patriarcale.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Murat Cinar, giornalista torinese di origine turca.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/2019-05-28-gezy-park-murat.mp3\"][/audio]","28 Maggio 2019","2019-05-28 18:17:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gezi-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gezi-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gezi-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gezi-768x576.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gezi-1024x768.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gezi.jpg 1920w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Gezi Park. 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Ne è uscito uno spaccato di un paese dai tanti volti, spesso diversi, che hanno costruito il mosaico di una resistenza che continua nonostante la durissima repressione. Anzi. Per molti piazza Taksim e il parco Gezi sono stati la prova della democrazia reale e la consapevolezza che l'azione collettiva e l'insurrezione possono far traballare qualsiasi governo.\r\n\r\nCon lui abbiamo provato ad attingere alle radici profonde della rivolta.\r\nIl movimento in difesa di Gezi Park non mirava alla semplice salvaguardia del verde pubblico, ma si opponeva al processo di gentrificazione urbana in atto nella zona di Taksim. La gentrificazione è la trasformazione di aree urbane povere in aree ricche. I più poveri vengono espulsi dai quartieri dove ruspe e speculazione edilizia, rendono impossibile continuare a vivere. Nelle aree centrali di Istanbul il processo è in corso da anni. Intere zone vengono distrutte per lasciare spazio a complessi residenziali, grandi centri commerciali, alberghi di lusso, il costo della vita aumenta, aumenta la schiera degli emarginati, aumentano i profitti degli speculatori legati al partito di governo, l’AKP. Il centro commerciale, la moschea e il rifacimento delle caserme ottomane che dovrebbe sorgere a Gezi Park sintetizzano i cardini ideologici della politica di Erdogan: capitalismo sfrenato, conservatorismo religioso, nazionalismo in salsa neo-ottomana.\r\nRiportare la Turchia ai fasti imperiali del periodo ottomano è uno dei ritornelli della retorica del governo turco. Per questo sono pronti già altri favolosi progetti: l’aeroporto più grande del mondo, la moschea con i minareti più alti del mondo, ed un nuovo canale parallelo al Bosforo.\r\nContro questi progetti di vera e propria devastazione sociale ed ambientale si sono sviluppati movimenti popolari. In particolare nella regione del Mar Nero si sono tenute negli ultimi anni numerose manifestazioni contro discariche, centrali nucleari, fabbriche inquinanti, autostrade e dighe.\r\nUn altro elemento determinante nell’esplosione delle rivolte è costituito dalle politiche islamiste conservatrici imposte dal governo.\r\nQuelle che giornali come “Repubblica” hanno liquidato come “proteste della birra” o, più romanticamente, “dei baci”, sono in realtà una reazione della società turca all'attacco alle libertà personali. Non si tratta di difendere uno stile di vita occidentale o di rivendicare il laicismo militare di Ataturk. Chi scende in piazza ha capito che il governo vuole completare il proprio sistema di dominio legalizzando ed istituzionalizzando una repressione religiosa che punta ad eliminare ogni libertà individuale.\r\nLe prove generali della repressione Erdogan le aveva fatte quasi un mese prima, durante le manifestazioni del Primo Maggio ad Istanbul, vietate dalle autorità. Lo Stato turco usa il pugno di ferro contro le normali manifestazioni di piazza, una linea comune che unisce i governi repubblicani laici, le dittature militari e il governo islamico dell’AKP. Una politica fortemente autoritaria e repressiva che negli ultimi mesi in Turchia si era inasprita ulteriormente per poter applicare senza problemi le misure decise dal governo.\r\n\r\nAscolta l'intervista a Cenk\r\n\r\naudio turchia","19 Giugno 2013","2013-06-24 12:23:19","Turchia. 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Ieri, durante quella che l’opposizione ha ribattezzato la “notte per la democrazia”, centinaia di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza in tutta la Turchia nonostante il divieto di assembramento imposto dalle autorità nelle principali città. Solo ad Istanbul si sono mobilitate in totale, a detta degli organizzatori, circa 300 mila persone. Nella metropoli sul Bosforo alcune manifestazioni – ad esempio quella che tentava di dirigersi verso la centrale piazza Taksim, da giorni completamente transennata e occupata da centinaia di agenti – sono state attaccate dalla polizia in assetto antisommossa che, come era avvenuto giovedì, hanno utilizzato non solo i manganelli e gli idranti, ma anche gli spray urticanti. Particolarmente brutale è stata la repressione delle manifestazioni di ieri con decine di feriti ed arresti. Erdogan, con questo colpo di mano, vuole eliminare il suo più agguerrito concorrente per le presidenziali previste per il 2028, e al contempo dividere l'opposizione, da una parte dialogando con il partito Dem e i curdi, dall'altra reprimendo il partito repubblicano popolare (CHP), nell'intento di far passare la riforma costituzionale che gli consentirebbe di presentarsi per un terzo mandato.\r\n\r\nAggiornamenti da Murat Cinar, giornalista, capo redattore dell'edizione in lingua turca dell'agenzia di stampa internazionale Pressenza Italia:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/INFO-24032025-MURAT.mp3\"][/audio]","24 Marzo 2025","Turchia aggiornamenti sulle proteste.","2025-03-24 22:40:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/INFO-24032025-TURCHIA-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/INFO-24032025-TURCHIA-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/INFO-24032025-TURCHIA-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/INFO-24032025-TURCHIA.jpg 768w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","TURCHIA, NON SI FERMANO LE PROTESTE",1742841332,[66,69,71],[18,73,15],{"post_content":238},{"matched_tokens":239,"snippet":240,"value":241},[83,78],"di dirigersi verso la centrale \u003Cmark>piazza\u003C/mark> \u003Cmark>Taksim\u003C/mark>, da giorni completamente transennata e","Non si fermano le proteste in Turchia contro l’arresto del sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu e l’ennesimo giro di vite autoritario di Erdogan. 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Il presidente uscente della Turchia ha ottenuto il 53,4 per cento delle preferenze al ballottaggio battendo così lo sfidante Kemal Kilicdaroglu, che si è fermato al 46,5 per cento dei consensi.I risultati delle urne hanno restituito il volto di un paese fortemente diviso e polarizzato tra chi sostiene Erdoğan e chi invece rimane profondamente deluso dal suo sistema di potere.\r\n\r\nDovrà affrontare una devastante crisi economica con alti tassi di disoccupazione e di inflazione, oggi rispettivamente al 10% e al 43,7%. Nel corso del 2022 un’impennata dell’inflazione (con un tasso medio al 72,3% contro il 19,6% del 2021) e il deprezzamento della lira (che ha perso il 60% del suo valore rispetto al dollaro negli ultimi due anni) hanno fatto registrare una significativa perdita di potere d’acquisto, soprattutto dei ceti medio-bassi. Nonostante le iniezioni di liquidità del Golfo abbiano in parte sostenuto la lira e riequilibrato le riserve di valuta straniera, le capacità di risparmio del paese sono allo stremo e le riserve di valuta estera (utilizzate a sostegno della valuta nazionale) sono in negativo per la prima volta dal 2002 .\r\n\r\nIl problema dei profughi siriani condizionerà la sua politica estera e i costi della ricostruzione del devastante terremoto del febbraio scorso peseranno sul quadro economico ,mentre sarà da valutare la stabilità dell'eterogenea coalizione che ha sostenuto il candidato dell'opposizione Kemal Kilicdaroglu .\r\n\r\nMentre esattamente dieci anni fa, il 28 maggio del 2013, tra il parco di Gezi e piazza Taksim cominciarono le più importanti proteste di massa della storia turca recente contro il governo di Recep Tayyip Erdogan, che allora era primo ministro .\r\nPer la società civile turca, Gezi è stato un momento formativo per migliaia di giovani che ancora considerano quelle proteste come il momento in cui hanno capito che volevano una Turchia diversa. Nei violentissimi scontri tra i manifestanti e la polizia, che durarono per settimane, morirono 11 persone, e migliaia furono ferite.\r\n\r\nNe parliamo con Murat Cynar giornalista turco spesso ospite ai nostri microfoni.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/INFO-TURCHIA-290523.mp3\"][/audio]","29 Maggio 2023","Recep Tayyip Erdogan ha vinto le elezioni presidenziali. 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Ma comunque sta scontando una condanna anche lui, perché a esplicita richiesta dalla piazza, se non volesse dimettersi, la risposta è stata che non ha questa facoltà perché solo il Presidente può licenziarlo. Prigioniero di un autocrate, come tutto il paese.\r\n\r\nSi è scatenato lo stesso sistema di controinformazione, i consueti insulti del Presidente che ha come sempre dato dei terroristi ai ragazzi, ma soprattutto un fantasma si aggira per Istanbul: la paura di Erdogan è che ritorni la stagione di Taksim.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/01/2021-01-07_Bogazici.mp3\"][/audio]\r\n\r\nGli armeni hanno sospeso ogni import/express con la Turchia: un embargo di sei mesi sarà rinnovato su più di duemila prodotti. Ma quello che è più interessante di questa situazione è il riavvicinamento con Tehran, che già si era cominciato a vedere durante il periodo di guerra guerreggiata, laddove l’Iran si era ritrovato con i suoi peggiori nemici schierati con Baku e si era innervosito quando le truppe azere si avvicinarono troppo al fiume che segna i confini. 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In questo momento ci sono circa 82 assemblee attive in 11 città. Il loro numero è in crescita e costituiscono un importante strumento di autorganizzazione e di autogestione del movimento. Un movimento che ha imparato ad incontrarsi e conoscersi nelle lunghe giornate di resistenza e autogoverno della piazza tra Gezi, Taksim e tanti altri luoghi in Turchia.\r\nIn queste settimane il governo ha provato a stroncare il movimento. 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Ma non solo.\r\n\r\nCon lo slogan “Sono Ethem Sarısülük, non avevo armi né bombe lacrimogene, la polizia mi ha ucciso sparandomi alla testa, oggi la polizia ha rilasciato il mio assassino” si sono tenute, nonostante la repressione della polizia, 15 manifestazioni in 10 città. Manifestazioni simili, contro gli arresti e contro la violenza della polizia si sono tenute anche sabato 29 giugno ad Istanbul ed in altre città. Una folla di migliaia di persone è tornata a riempire Piazza Taksim, oltre 10 persone sono state arrestate da agenti in borghese al termine della protesta. Ad Ankara invece nella stessa giornata un primo assembramento di qualche centinaio di persone nella zona universitaria è stato subito attaccato dalla polizia con lacrimogeni ed idranti con acqua urticante, nel tentativo di impedire una manifestazione per Ethem Sarısülük.\r\n\r\nNel movimento di lotta in Turchia gli anarchici sono impegnati sin dai primi giorni. 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La Turchia è attraversata da una rivolta contro un governo che mira a riportare il paese ai fasti dell'impero ottomano attraverso una politica estera aggressiva sull'area mediterranea e medio orientale. La Turchia deve barcamenarsi tra la guerra in Siria, le pressioni degli Stati Uniti e le crescenti tensioni nella regione.\r\nIn queste settimane molti si erano interrogati sull'assenza dei curdi e dei loro movimenti dalle proteste. Sebbene il BDP (partito curdo presente in parlamento) sia stato presente in piazza sin dai primi giorni, nonostante il leader del PKK Abdullah Öcalan abbia dichiarato il sostegno dei curdi alla lotta di Gezi Park, i movimenti curdi hanno mantenuto un profilo bassa. Probabilmente i negoziati in corso, la speranza che Erdogan mantenesse le promesse di autonomia della regione, dopo la rinuncia ai progetti di indipendenza hanno avuto il loro peso. 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Questi grandi sommovimenti, a latitudini e in contesti molto differenti, ci offrono l’occasione per una riflessione a tutto campo sulle possibilità che questi movimenti offrono e, nel contempo, sulla difficoltà di articolare una narrazione che, sia pure per frammenti, sappia rappresentare sia le istanze di partecipazione non delegata all’agire politico, imprimendo anche una forte radicalità di prospettive alla questione sociale. Nascosta, quasi clandestina in un agone politico che la raffigura come una sorta di obsolescenza, la divaricazione di classe è il convitato di pietra delle rivolte che hanno scosso Turchia, Egitto, Brasile.\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, la cui analisi, pur rilevando la grande distanza tra i movimenti turchi, egiziani, brasiliani, individua nei meccanismi della governance globale gli elementi che accomunano i vari movimenti. Significativo che in ogni dove il simbolo prevalente tra chi scende in piazza siano le bandiere nazionali, una sorta di coperta identitaria che mette insieme, in modo trasversale, un po’ tutti. Paradossalmente in Turchia e, in parte, anche in Egitto, la nazione si contrappone all’universalismo della religione.\r\nL’utilizzo di simboli e termini che ci rimandano alle origini della modernità non ci deve tuttavia trarre in inganno sulle dinamiche nuove che rappresentano. Le religioni oggi sono il collante identitario potente di movimenti di reazione alla modernità e al colonialismo, che la tradizione la reinventano in opposizione ad una laicità che talora ha indossato i panni del nazionalismo. Il kemalismo, che crea la Turchia sulle ceneri dell’impero ottomano, transnazionale e religioso, si da una cornice laica e pesantemente nazionalista. Ne sanno qualcosa i curdi, gli armeni, i greci di Turchia.\r\nD’altra parte la dissoluzione dell’altra grande entità transnazionale dell’epoca, quella austroungarica, ha dato fiato ad istanze e contrapposizioni nazionaliste, che hanno celebrato i loro ultimi fasti tra Croazia, Serbia e Bosnia negli anni Novanta del secolo scorso.\r\nOggi quelle bandiere diventano anche il simbolo di entità popolari che non sanno più coniugare l’internazionalismo dei movimenti di classe e dei movimenti libertari antistatali. 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Questi grandi sommovimenti, a latitudini e in contesti molto differenti, ci offrono l’occasione per una riflessione a tutto campo sulle possibilità che questi movimenti offrono e, nel contempo, sulla difficoltà di articolare una narrazione che, sia pure per frammenti, sappia rappresentare sia le istanze di partecipazione non delegata all’agire politico, imprimendo anche una forte radicalità di prospettive alla questione sociale. Nascosta, quasi clandestina in un agone politico che la raffigura come una sorta di obsolescenza, la divaricazione di classe è il convitato di pietra delle rivolte che hanno scosso Turchia, Egitto, Brasile.\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, la cui analisi, pur rilevando la grande distanza tra i movimenti turchi, egiziani, brasiliani, individua nei meccanismi della governance globale gli elementi che accomunano i vari movimenti. Significativo che in ogni dove il simbolo prevalente tra chi scende in \u003Cmark>piazza\u003C/mark> siano le bandiere nazionali, una sorta di coperta identitaria che mette insieme, in modo trasversale, un po’ tutti. Paradossalmente in Turchia e, in parte, anche in Egitto, la nazione si contrappone all’universalismo della religione.\r\nL’utilizzo di simboli e termini che ci rimandano alle origini della modernità non ci deve tuttavia trarre in inganno sulle dinamiche nuove che rappresentano. Le religioni oggi sono il collante identitario potente di movimenti di reazione alla modernità e al colonialismo, che la tradizione la reinventano in opposizione ad una laicità che talora ha indossato i panni del nazionalismo. Il kemalismo, che crea la Turchia sulle ceneri dell’impero ottomano, transnazionale e religioso, si da una cornice laica e pesantemente nazionalista. Ne sanno qualcosa i curdi, gli armeni, i greci di Turchia.\r\nD’altra parte la dissoluzione dell’altra grande entità transnazionale dell’epoca, quella austroungarica, ha dato fiato ad istanze e contrapposizioni nazionaliste, che hanno celebrato i loro ultimi fasti tra Croazia, Serbia e Bosnia negli anni Novanta del secolo scorso.\r\nOggi quelle bandiere diventano anche il simbolo di entità popolari che non sanno più coniugare l’internazionalismo dei movimenti di classe e dei movimenti libertari antistatali. D’altro canto le assemblee di Gezi e \u003Cmark>Taksim\u003C/mark>, la fucina di Tahrir sono divenuti i luoghi di un agire politico che si emancipa delle delega e sperimenta pratiche di partecipazione diretta.\r\nInevitabile un confronto con la situazione nel nostro paese, dove la resistenza alla crisi e, soprattutto, alle ricette anti crisi che hanno consegnato le vite di chi lavora ad una condizione precaria ormai stabile, sinora non sono state in grado di far da argine alla lunga normalizzazione che ha ridefinito a favore dei padroni gli equilibri di classe nella nostra penisola.\r\n\r\nAscolta la diretta con Massimo\r\n2013 07 05 massimo rivolte\r\n\r\nIl discorso è proseguito con Salvo Vaccaro dell’Università di Palermo. In particolare abbiamo parlato del modificarsi del ruolo degli stati nazionali e delle forme della governance globale, che trova sempre più refrattari ampi strati di popolazione ai quattro angoli del globo. La tenuta dell’ordine pubblico viene meno di fronte alle rivolte popolari, anche se è dubbio che i grandi movimenti di \u003Cmark>piazza\u003C/mark> che caratterizzano i grandi agglomerati urbani, si radichino anche nelle periferie e nelle campagne. L’esito paradossale delle primavere arabe che nelle urne hanno consegnato Tunisia ed Egitto in mano agli islamisti forse è l’indice di una divaricazione tra città e campagne, che crea un’opposizione reale tra centri laicizzati ed aree contadine dove l’influenza confessionale è più forte. Significativo che in due paesi dove il ruolo dell’esercito è sempre stato fortissimo, al punto da condizionarne pesantemente la storia, in Egitto, dove i militari sono la prima e più importante risorsa pubblica, sia scattato il golpe nei confronti di un regime che non ne garantiva la posizione. Al contrario in Turchia, nonostante il forte legame tra esercito e formazioni kemaliste, il governo Erdogan è sinora riuscito a garantirne la posizione assicurandosi la neutralità degli uomini in divisa.\r\nDal punto di vista delle istanze che si raggrumano nei diversi movimenti che hanno attraversato le piazze di Egitto, Turchia, Brasile, al di là delle tante differenze, un elemento unificante è la pratica concreta di relazioni politiche costruite nella lotta e attraverso la lotta che esprimono una spinta partecipativa che parte dal social network ma approda alla fisicità di piazze agite con gran forza da corpi e intelligenze. Lì si gioca la possibilità che la rottura dell’ordine materiale acceleri quella dell’ordine simbolico, offrendo una chance alla costruzione di relazioni sociali fuori dall’orizzonte capitalista.\r\n\r\nAscolta la diretta con Salvo\r\n2013 07 05 salvo rivolte",[429],{"field":106,"matched_tokens":430,"snippet":426,"value":427},[83],1155199671761633300,{"best_field_score":433,"best_field_weight":219,"fields_matched":246,"num_tokens_dropped":52,"score":434,"tokens_matched":32,"typo_prefix_score":52},"1112386306048","1155199671761633393",6637,{"collection_name":358,"first_q":37,"per_page":20,"q":37},["Reactive",438],{},["Set"],["ShallowReactive",441],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$f-SdupL6m27pAOaSTmdAQ-c7f-Vwg_uhWW0oF0x-cHY8":-1},true,"/search?query=Piazza+Taksim"]