","Il clima come arma","post",1666631790,[65,66,67,68,69,70,71,72,73,74],"http://radioblackout.org/tag/acciaio/","http://radioblackout.org/tag/carbone/","http://radioblackout.org/tag/crisi-climatica/","http://radioblackout.org/tag/crisi-energetica/","http://radioblackout.org/tag/energie-rinnovabili/","http://radioblackout.org/tag/gas/","http://radioblackout.org/tag/nato/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/ue/","http://radioblackout.org/tag/usa/",[76,77,78,79,80,81,82,21,15,83],"acciaio","carbone","crisi climatica","crisi energetica","energie rinnovabili","gas","nato","USA",{"post_content":85,"tags":89},{"matched_tokens":86,"snippet":87,"value":88},[15],"alluminio siglato tra USA e \u003Cmark>UE\u003C/mark> e citato nella Strategia di","Insieme a Marco Dell'Aguzzo, che si occupa di esteri, energia e geopolitica, abbiamo esplorato le politiche volte alla riduzione delle emissioni inquinanti. Nel ribadire la necessità di azioni concrete per affrontare la crisi climatica, abbiamo visto come neanche queste ultime siano estranee alle dinamiche di potere.\r\n\r\nPartendo dal patto su acciaio e alluminio siglato tra USA e \u003Cmark>UE\u003C/mark> e citato nella Strategia di sicurezza nazionale dell'amministrazione Biden pubblicata una decina di giorni fa, passando per le accuse tra gli Stati su chi fa abbastanza per la crisi climatica (e chi no), fino al Centro di eccellenza sui cambiamenti climatici e la sicurezza creato dalla NATO, ci siamo chiesti (prendendo in prestito il titolo di un post di Marco sul suo profilo Instagram): qual è il nesso, davvero, tra cambiamenti climatici e sicurezza?\r\n\r\nAscolta e scarica la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/crisiclimatica.mp3\"][/audio]",[90,92,94,96,98,100,102,104,106,109],{"matched_tokens":91,"snippet":76},[],{"matched_tokens":93,"snippet":77},[],{"matched_tokens":95,"snippet":78},[],{"matched_tokens":97,"snippet":79},[],{"matched_tokens":99,"snippet":80},[],{"matched_tokens":101,"snippet":81},[],{"matched_tokens":103,"snippet":82},[],{"matched_tokens":105,"snippet":21},[],{"matched_tokens":107,"snippet":108},[15],"\u003Cmark>UE\u003C/mark>",{"matched_tokens":110,"snippet":83},[],[112,117],{"field":39,"indices":113,"matched_tokens":114,"snippets":116},[25],[115],[15],[108],{"field":118,"matched_tokens":119,"snippet":87,"value":88},"post_content",[15],578730123365712000,{"best_field_score":122,"best_field_weight":123,"fields_matched":124,"num_tokens_dropped":51,"score":125,"tokens_matched":126,"typo_prefix_score":51},"1108091339008",13,2,"578730123365711978",1,{"document":128,"highlight":152,"highlights":172,"text_match":120,"text_match_info":182},{"cat_link":129,"category":130,"comment_count":51,"id":131,"is_sticky":51,"permalink":132,"post_author":54,"post_content":133,"post_date":134,"post_excerpt":57,"post_id":131,"post_modified":135,"post_thumbnail":136,"post_thumbnail_html":137,"post_title":138,"post_type":62,"sort_by_date":139,"tag_links":140,"tags":146},[48],[50],"44862","http://radioblackout.org/2017/12/brexit-accordo-raggiunto-ma-la-partita-e-solo-allinizio/","L’8 dicembre Jean-Claude Juncker e Theresa May hanno raggiunto un primo accordo sulla Brexit.\r\nLa palla ora passa al Parlamento europeo che il 14 e 15 dicembre è chiamato ad approvarlo. 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Non sappiamo quanto valga la parola di Hollande su questo ma sappiamo delle difficoltà che incontra Hollande in casa dove migliaia di persone hanno contestato nell'ultimo mese la Loi Travail e l'État d'urgence. Forse questo è anche un tentativo di riaccreditarsi a sinistra e lo diciamo anche tenuto conto del fatto che le sue dichiarazioni arrivano solo dopo che Greenpeace Olanda ha svelato centinaia di pagine della bozza negoziale sinora tenuta segreta (per quanto alcuni giornali in giro per il mondo siano riusciti negli anni a pubblicarne qualche stralcio). L'unico documento ufficiale lo fece uscire la UE nell'ottobre del 2014. Il leak di Greenpeace getta luce su molti dei nodi problematici di questa bozza di accordo che a molti sembra l'ennesimo capitolo della supremazia Usa ma è in realtà una resa delle sovranità nazionali di fronte a multinazionali sempre più potenti e strutturate che avanzano pretese sempre più pressanti, necessitando di sempre nuovi campi su cui dispiegare la propria urgenza di profitti. Ovviamente le regole sarebbero al maggior ribasso possibile. In tema di diritti dei lavoratori, di sicurezza ambientale, di sicurezza alimentare. Certo, quella contro il TTIP non è tout court un'opposizione al capitalismo ma ne contiene alcuni elementi, mettendo in discussione alcuni assunti fondamentali di questo modello di sviluppo. Sarebbe forse ora di uscire da un certo cinismo, molto radical, che vede questo genere di questioni come esclusivo interesse di borghesie deboli che temono la concorrenza di economie più forti. Da certe derive, da certi peggioramenti non abbiamo proprio nulla da guadagnare. Come è ovvio l'eredità di Genova pesa ancora: il disastro delle dissociazioni, la tensione politicante dei social forum, la spettacolarizzazione delle lotte. Eppure forse è il momento di provare nuove strade che diano possibilità alle molte piccole lotte territoriali di trovare una grande narrazione che le accomuni, lontano dagli errori del passato se è possibile.\r\n\r\nDel TTIP, delle rivelazioni di greenpeace e della manifestazione di Roma abbiamo parlato con Marco Bersani, uno dei coordinatori della costola italiana della campagna Stop TTIP\r\n\r\ntttip mp3","4 Maggio 2016","2016-05-07 11:39:06","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/TTIP-4-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"268\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/TTIP-4-300x268.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/TTIP-4-300x268.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/TTIP-4-768x687.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/TTIP-4-1024x915.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/TTIP-4.jpg 1584w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","A Roma il 7 maggio per gridare Stop TTIP",1462392009,[197,198,199,73,74],"http://radioblackout.org/tag/economia/","http://radioblackout.org/tag/globalizzazione/","http://radioblackout.org/tag/ttip/",[201,202,203,15,83],"economia","globalizzazione","TTIP",{"post_content":205,"tags":209},{"matched_tokens":206,"snippet":207,"value":208},[15],"libero scambio tra Usa e \u003Cmark>UE\u003C/mark>. 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Si chiamerà Eunavfor Med, avrà sede a Roma e sarà comandata dall’ammiraglio italiano Enrico Credendino. Il mandato iniziale della missione, che potrebbe partire entro la fine del mese prossimo, sarà di un anno e per la fase di avvio dei primi due mesi il consiglio dei ministri dell’Ue ha previsto di spendere 11,82 milioni di euro. Il testo approvato stabilisce di procedere subito con l’identificazione e il monitoraggio dei network dei trafficanti attraverso la raccolta delle informazioni e la sorveglianza delle acque internazionali.\r\n\r\nL’azione potrebbe essere rafforzata una volta ottenuto il consenso delle Nazioni Unite. Senza l’autorizzazione dell’Onu, la missione navale europea non avrà il mandato di sconfinare nelle acque territoriali e nello spazio aereo della Libia né potrà intervenire sulle coste libiche per colpire le imbarcazioni.\r\n\r\nLe navi impegnate nell'operazione – l'Italia è il paese che ne mette in campo di più – avranno a bordo oltre duemila incursori di Marina, truppe di sbarco, destinate ad un impiego di terra. Facile immaginare una possibile escalation bellica dell'intera operazione.\r\n\r\nIl documento di 19 pagine preparato per i ministri dell’Ue prevede infatti diverse fasi. Dopo un primo momento in cui la flotta sarà impegnata nel monitoraggio, nella seconda e nella terza l'obiettivo sarà l’individuazione, la cattura e la distruzione delle navi dei trafficanti. I tempi di passaggio dalla prima alla seconda fase sono difficili da prevedere perché sia il mandato ONU che l'approvazione delle autorità libiche sono tutt'altro che scontate.\r\n\r\nNei fatti si ritorna al 2009, quando, in un quadro legislativo solo italiano venne effettuata un'azione di pattugliamento e di respingimento in mare dei barconi di profughi e migranti. In quell'occasione migliaia di uomini e donne vennero rimandati in Libia, dove li attendeva il carcere, le torture, gli stupri ed i ricatti. L'ascaro Gheddafi si mise al servizio degli ex occupanti italiani per un mucchio di soldi.\r\nL'Italia incassò senza batter ciglio la condanna della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo per trattamenti inumani e degradanti inflitti ai richiedenti asilo. L'alto commissariato per i rifugiati – presieduto dall'attuale presidente della Camera – protestò per i respingimenti collettivi. Ma i respingimenti e le morti in mare continuarono finché migranti e profughi intrapresero nuove strade. 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A tre anni dall’accelerazione violenta impressa dall’invasione russa dell’Ucraina il conflitto si inasprisce sempre di più. A Gaza è ripresa la pulizia etnica nella prospettiva della deportazione dei gazawi. Se si aggiungono il conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, i massacri degli alewiti in Siria, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano dal Sudan al Congo, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità reale.\r\nI paesi europei, indeboliti da tre anni di guerra e dal conseguente aumento della spesa energetica, reagiscono al repentino mutamento nella politica estera statunitense con un processo di riarmo, che potrebbe aprire a nuove pericolose escalation belliche.\r\nLa guerra non è più così lontana come un tempo.\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello\r\n\r\nLa propaganda bellica targata \u003Cmark>UE\u003C/mark>\r\nIl 2 aprile il Parlamento ha approvato una risoluzione \"sull'attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune\"\r\nTra le tante cose al punto 164 si legge:\r\n\"è necessaria una comprensione più ampia, tra i cittadini dell'UE, delle minacce e dei rischi per la sicurezza al fine di sviluppare una comprensione condivisa e un allineamento delle percezioni delle minacce in tutta Europa e di creare una nozione globale di difesa europea; sottolinea altresì che garantire un sostegno da parte delle istituzioni democratiche e, di conseguenza, dei cittadini è essenziale per sviluppare una difesa dell'UE efficace e coerente a lungo termine, cosa che richiede un dibattito pubblico informato; invita l'UE e i suoi Stati membri a mettere a punto programmi educativi e di sensibilizzazione, in particolare per i giovani, volti a migliorare le conoscenze e a facilitare i dibattiti sulla sicurezza, la difesa e l'importanza delle forze armate, e a rafforzare la resilienza e la preparazione delle società alle sfide in materia di sicurezza, consentendo nel contempo un maggiore controllo e scrutinio pubblico e democratico del settore della difesa; invita la Commissione e gli Stati membri a sviluppare tali programmi nel quadro dello scudo europeo per la democrazia, seguendo il modello di programmi nazionali come l'iniziativa svedese di emergenza civile\"\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli\r\n\r\n5 milioni in marcia contro Trump e il suo mondo\r\nIl ciclone Trump comincia a trovare ostacoli lungo il percorso.\r\nLe imponenti manifestazioni che hanno attraversato gli States il 5 aprile sono il segnale del raggrumarsi di un’opposizione dal basso all’ondata reazionaria scatenata dal presidente statunitense.\r\nAbbiamo provato ad analizzare questo movimento per comprenderne le potenzialità, con uno sguardo alle dinamiche dello scontro di classe\r\nCe ne ha parlato Robertino Barbieri\r\n\r\nDecreto sicurezza. La zampata del governo\r\nCon un colpo di mano il governo ha scippato il ddl 1236 dalla discussione parlamentare e ha fatto passare un testo profondamente liberticida con il ricorso, a dir poco irrituale, alla decretazione di urgenza.\r\nL’orizzonte delle leggi fascistissime del 1926 è sempre più vicino.\r\nAbbiamo approfondito la questione con l’avvocato Eugenio Losco\r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nSabato 12 aprile\r\nSabotare la guerra\r\nDisarmare l’Europa\r\ngiornata antimilitarista\r\nore 10,30 presidio al Balon\r\nSolo un’umanità internazionale potrà gettare le fondamenta di quel mondo di libere ed uguali che può porre fine alle guerre. \r\nOggi ci vorrebbero tutti arruolati. Noi disertiamo.\r\nNoi non ci arruoliamo a fianco di questo o quello stato imperialista. Rifiutiamo la retorica patriottica come elemento di legittimazione degli Stati e delle loro pretese espansionistiche. In ogni dove. Non ci sono nazionalismi buoni.\r\nNoi siamo al fianco di chi, in ogni angolo della terra, diserta la guerra.\r\nNoi pratichiamo il disfattismo rivoluzionario contro le guerre promosse dai “nostri” governi e sosteniamo chi, in ogni dove, diserta, sabota, inceppa gli ingranaggi della guerra\r\nVogliamo un mondo senza frontiere, eserciti, oppressione, sfruttamento e guerra.\r\n\r\nVenerdì 25 aprile\r\nore 15\r\nalla lapide del partigiano anarchico Ilio Baroni\r\nin corso Giulio Cesare angolo corso Novara\r\ndove Ilio cadde combattendo il 26 aprile 1945.\r\nRicordo, bicchierata, fiori, musica.\r\nE, dal vivo, il Cor’occhio nel canzoniere anarchico e antifascista\r\n(in caso di pioggia ci troviamo in piazza Crispi).\r\n\r\nA-Distro e SeriRiot\r\nogni mercoledì\r\ndalle 18 alle 20\r\nin corso Palermo 46\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro \r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46 \r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20,30\r\nper info scrivete a fai_torino@autistici.org\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFB\r\n@senzafrontiere.to/\r\n\r\nTelegram\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter mandando una mail ad: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org",{"matched_tokens":479,"snippet":480,"value":480},[15],"Anarres dell’11 aprile. 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Il rapporto contribuisce a documentare veri e propri crimini di stato perpetrati da apparati governativi tunisini e libici con la complicità delle politiche di esternalizzazione delle frontire da parte dell'Unione Europea. Questa collusione si sostanzia nei \"memorandum\" d'intesa siglati tra Tunisia ed Unione Europea che prevedono proprio il finanziamento di corpi di polizia allo scopo di impedire le partenze dei migranti. Sonoi 5 le fasi che il rapporto identifica in questo processo di deportazione e tratta di esseri umani :1) Gli arresti; 2) Il trasporto verso la frontiera tunisino-libica; 3) Il ruolo dei campi di detenzione alla frontiera tunisina; 4) Il passaggio e la vendita a corpi armati libici; 5) La detenzione nelle prigioni libiche sino al pagamento del riscatto. Siamo di fronte ad una vera e propria tratta di stato, con un corollario di violazioni dei diritti umani nel corso delle operazioni di espulsione e tratta, che inchiodano alle sue responsabilità l’Unione Europea e i singoli stati nell’esposizione alla morte e alla schiavitù delle persone in viaggio, così come riguardo allo status di “paese sicuro” assegnato alla Tunisia, al suo ruolo di partner e beneficiario economico nella gestione della frontiera esterna della UE.\r\n\r\nIl gruppo di ricerca internazionale ha deciso di rendersi anonimo sotto uno pseudonimo collettivo. La scelta dell’anonimato nasce dal dovere di tutelare la sicurezza e l’incolumità fisica dei ricercatori stessi , ma anche dalla volontà di continuare a fare ricerca su un tema che in Tunisia è oggi oggetto di una radicale repressione. Il gruppo ha realizzato il disegno dell’indagine, la raccolta e l’analisi dei materiali, cosi come la supervisione scientifica di tutto il processo.Le testimonianze sono state raccolte sul posto e attraverso delle chat che vengono utilizzate dalle persone migranti .\r\n\r\nhttps://www.adl-zavidovici.eu/wp-content/uploads/2025/01/StateTrafficking_IT_light.pdf \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/BASTIONI-06022025-STATE-TRAFFICKING.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Tatjana Djordjevic torniamo sulle proteste in Serbia ,sempre più ampie e che coinvolgono strati sociali non solamente studenteschi e che si estendono anche al di fuori dei grandi centri urbani. Decine di migliaia di studenti di Belgrado sono partiti a piedi per unirsi ai manifestanti a Novi Sad, la marcia, lunga circa 70 km e accompagnata dallo slogan \"Un passo verso la giustizia\", è iniziata il 29 gennaio e si è protratta per due giorni. Lungo il percorso, numerosi cittadini hanno atteso gli studenti per sostenerli, offrendo loro cibo e acqua. Le manifestazioni sono iniziate il 22 novembre e non si fermano ,hanno portato alle dimissioni del primo ministro Vucevic ,le proteste erano cominciate a causa del crollo di una tettoia alla stazione ferroviaria di Novi Sad lo scorso 1° novembre, che aveva causato 15 morti. L’incidente è considerato dai manifestanti emblematico della corruzione diffusa nel paese durante gli anni al potere del presidente Aleksandar Vučić, che è stato primo ministro fra il 2014 e il 2017 e da allora è presidente. Il movimento non accetta di essere sovradeterminato dai partiti politici dell'opposizione che divisa e debole viene tenuta lontana dalle manifestazioni ,la critica di questa generazione diviene sempre più radicale ed investe il sistema di potere di Vucic .Con le dovute differenze il pernsiero va alle manifestazioni studentesche che portarono alla caduta nel 2000 del governo di Milosevic.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/BASTIONI-DI-ORIONE-06022025-SERBIA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","10 Febbraio 2025","2025-02-10 11:59:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/06/blade-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 06/02/2025-VENDITA DI ESSERI UMANI TRA LIBIA E TUNISIA CON I SOLDI UE -SERBIA CONTINUANO LE MANIFESTAZIONI IL REGIME DI VUCIC E' AL CAPOLINEA ?",1739188792,[504],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[452],{"post_content":507,"post_title":511},{"matched_tokens":508,"snippet":509,"value":510},[15],"gestione della frontiera esterna della \u003Cmark>UE\u003C/mark>.\r\n\r\nIl gruppo di ricerca internazionale ","Bastioni di Orione in questa puntata parla con Piero Gorza ,antropologo che attualmente svolge studi sul tema della frontiera , del rapporto \"State Trafficking\" che riporta le testimonianze di migranti che sono stati espulsi dalla Tunisia verso la Libia da giugno 2023 a novembre 2024 mettendo in luce un meccanismo di vendita di esseri umani alla frontiera da parte di apparati di polizia e militari tunisini e l’interconnessione fra questa infrastruttura dei respingimenti e l’industria del sequestro nelle prigioni libiche. 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Un accordo che si staglia sullo sfondo del piano Mattei e sulla falsa riga della partnership con la Tunisia.\r\n\r\nQuantitativamente molto più oneroso, prevede una serie di finanziamenti e investimenti sul piano energetico, industriale e aziendale, con l’obiettivo di rafforzare le risorse del paese nell’ottica di - utilizzando le parole della Meloni - “riaffermare il diritto dei cittadini a non emigrare in Europa”: ossia stabilizzare e rendere “sicuro” un paese terzo alleato. Due centinaia di migliaia di euro andranno ad Al-Sisi per controllare le frontiere interne e gestire i flussi in particolare quelli provenienti dal Corno d’Africa nonché quelli della frontiera con Rafah in cui, per via della pressione delle bombe israeliane e del genocidio in corso, sono ammassati milioni di palestinesi.\r\n\r\nAncora una volta quest’anno assistiamo al tracciamento di un percorso di accordi e protocolli che dall’Europa arriva al nord Africa al fine di attuare politiche neocoloniali, finanziando regimi autoritari legittimati in quanto partner strategici sul piano commerciale - il ruolo egiziano nel controllo del Canale di Suez è in questo caso lampante - e sul piano dell'approvvigionamento energetico, nonché su quello del controllo dei flussi migratori.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/HARRAGAegitto5.4.24.mp3\"][/audio]","6 Aprile 2024","2024-04-07 10:52:44","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/egitto-armi1-200x110.jpg","ACCORDO UE - EGITTO: una ricostruzione storica",1712415148,[],[],{"post_content":535,"post_title":539},{"matched_tokens":536,"snippet":537,"value":538},[15],"portato alla sigla dell’accordo fra \u003Cmark>UE\u003C/mark> ed Egitto. 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Può apparire forzata o arzigogolata e viene contestualizzato più facilmente l'apporto della petromonarchia nel discorso sviluppato da Laura Silvia Battaglia, perché il territorio che ospitava la base americana bombardata per scherzo telefonato dai pasdaran era ospitata nel sultanato di Al-Thani, e non solo perché l'argomento era adiacente alla analisi della messinscena tra grandi potenze per far accettare al resto del mondo il nuovo assetto del Sudovest asiatico voluto dagli Accordi di Abramo, escludendo l'Iran e i suoi proxy e la Turchia per creare una supply chain alternativa alla Belt Road Initiative; però anche in ambito centrafricano – come ci racconta Massimo Zaurrini – Doha ha ospitato i negoziati tra Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Alleanza del fiume Congo (Afc-M23), ed è il terminale delle transazioni finanziarie derivanti dallo sfruttamento delle risorse dei Grandi Laghi, che ora vedranno gli Usa di Trump ergersi a gestori diretti delle miniere di cobalto e terre rare, che prima erano rubate alla lontana Kinshasa solo da Kagame, alleato delle potenze occidentali, attraverso le sue milizie antihutu. Peraltro anche Tsishekedi è un fiancheggiatore e grande amico di Israele, i cui imprenditori più spregiudicati hanno già operato in Rdc. Insomma affari tra autocrati, piazzisti, teocrati e fascisti in genere che pagano le popolazioni malauguratamente abitanti territori contesi tra potenti.\r\nQuindi ci troviamo di fronte a due Corridoi di merci, il cui progetto faraonico intende variare l'asse commerciale impostato da decenni, spostando i flussi che tagliano l'Africa a metà, congiungendo il porto angolano di Lobito con Beira in Mozambico o Dar es Salaam in Tanzania, Oceano Atlantico con Oceano Indiano; ma anche spostando le direttrici commerciali tra Oriente e Mediterraneo all'interno della Penisola arabica aggirando i flussi impostati un po' più a nord da Pechino e inserendo i territori controllati da Israele. A tanto ci ha portato aprire il vaso di Pandora della Guerra dei 12 giorni da un lato e la sbandierata tregua (supposta) tra Congo e Ruanda...\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nA Laura Silvia Battaglia, voce di \"Radio3Mondo\" e raffinata esperta della cultura dei paesi del Sudovest asiatico, abbiamo chiesto di inquadrare nell’ottica dei Paesi del Golfo il giudizio sulla strategia che ispira il rivolgimento dell’equilibrio nell’area: l’escalation sionista mette in scena un superamento del Diritto internazionale e del concetto di democrazia per imporre una configurazione del Vicino Oriente e dei suoi corridoi commerciali alternativi alla Bri cinese come illustrato tempo fa dallo stesso Netanyahu: annientamento dei proxy iraniani e ridimensionamento della Repubblica islamica stessa a favore della penisola arabica, alleata e complice con gli accordi di Abramo, con regimi autoritari e in funzione anticinese. La causa scatenante – il nucleare iraniano – sembra poco o nulla interessante persino nei suoi risultati (basta la narrazione presidenziale attraverso Truth, che non può essere messa in discussione), perché forse l’obiettivo vero è probabilmente un altro (magari Teheran uscirà dalla non proliferazione nucleare e non ci saranno più controlli).\r\nIl primo elemento che salta agli occhi è la centralità del Qatar, per la sua vicinanza all’Iran, per il suo coinvolgimento in ogni trattativa mondiale (Afghanistan, Palestina… Kivu), Al-Thani sempre attivo diplomaticamente e con la potenza mediatica sul mondo arabo, eppure è stato emblematicamente il primo a essere colpito dalla rappresaglia teatrale dei Turbanti. Il Qatar dipende integralmente da acquisti dall’estero, non produce nulla e la chiusura dello Stretto di Ormuz lo avrebbe soffocato.\r\nIl regime change a Tehran è nei piani israeliani (non in quelli trumpiani), ma il piano di riportare la dinastia Pahlavi al potere non potrebbe essere accettata dalla nazione civile iraniana che vive in un mondo parallelo a quello del potere detenuto che fa giochi internazionali, il potere è detenuto dai pasdaran e le città centrali sono omogenee etnicamente, ma la nazione è estesa enormemente, con un’orografia che non permette di certo un’invasione di stampo iracheno, difficile anche la frammentazione su base etnico-religiosa. La sostituzione dell’attuale regime non si riesce a immaginare da chi possa essere incarnato, perciò è difficile creare un’entità artificiale che sostituisca l’attuale sistema persiano. Benché esista una fronda interna, che però forse non è controllabile dall’esterno, o non ha ancora i mezzi e la mentalità per mettere in atto una rivolta. Solo se le forze di sicurezza solidarizzano con i rivoltosi si potrà avere un successo per il cambiamento. La stretta repressiva svilupperà nuove proteste?\r\nForse in questa tabula rasa dei paesi nemici di Israele e antagonisti dei sauditi la Turchia si può affrancare perché è un paese Nato e per l’abilità a fungere da cerniera tra mondi, appartenendo sia al mondo Brics che alla Nato, proponendosi come mediatore e mantenendo relazioni con tutti i protagonisti.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/4PFSoUBf2ZZ8hb79FwbPk0?si=4fbc4626a1f247f9\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/TrumpShowStayTuneOnMiddleEast.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPrecedenti trasmissioni attinenti a questo argomento si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nCon Massimo Zaurrini, direttore di “Africa&Affari”, affrontiamo lo spostamento dell’asse commerciale dell’Africa centrale in seguito al nuovo interesse statunitense per le risorse africane in funzione anticinese.\r\nIn questo quadro si inserisce l’ennesima sceneggiata dell’amministrazione Trump che pretende di imporre una pace nel Nordest del Congo su basi e impegni uguali a quelli che da 20 anni sono divenuti carta straccia nel breve volgere di tempo, l’unica differenza è che Tshisekedi – molto legato alla finanza israeliana – ha “svenduto” il controllo delle risorse del territorio dei Grandi Laghi agli Usa in cambio della risoluzione della guerra con l’M23 e l’Alleanza del Fiume Congo, emanazione del Ruanda, alleato e partner degli anglo-americani. Quindi agli americani interessa in particolare poter sfruttare le miniere in qualche modo e dunque hanno scelto di mettere in sicurezza… i loro investimenti nella regione. Il Qatar è l'hub di arrivo delle merci e degli investimenti e per questo è coinvolto in questo quadro di tregua, essendo ormai Doha la capitale di qualunque accordo internazionale da quello siglato dal Trump.01 con i talebani.\r\nAttorno alla Repubblica democratica del Congo e alle sue ricchezze si sviluppano nuove infrastrutture utili alle nazioni africane che stano tentando di innescare uno sviluppo pieno di promesse e anche pericoli innanzitutto ambientali, ma quanto è l’interesse per gli affari occidentali? Salta all’occhio quel corridoio che, adoperando come terminal il porto angolano di Lobito, ambisce a tracciare supply chain che uniscono Oceano Indiano e Atlantico, fulcro della disputa Cina/Usa sulle merci africane, che il 26 giugno ha appena ricevuto 250 milioni ulteriori per la sua creazione da parte della UE, dopo il mezzo miliardo stanziato da Biden nel suo ultimo viaggio da presidente. Il corridoio di Lobito è bloccato dalla disputa nel Kivu migliaia di chilometri a nord del confine congoloese con lo Zambia, per cui si è operata una variante al progetto iniziale che coinvolgeva il Katanga.\r\nDella strategia fa parte anche il taglio agli USAid, alla Banca africana di sviluppo… il tutto per incentivare gli accordi bilaterali in cui Trump, il mercante, può ricattare, strappare il miglior prezzo, taglieggiare, smaramaldeggiare… gettare fumo negli occhi con la promessa di sviluppo attraverso la Dfc (U.S. Development Finance Corporation); e se si dovesse finalmente spuntare la possibilità di lavorare in loco i materiali grezzi, la devastazione ambientale sarebbe inevitabile.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/business-summit-il-mercato-africano-apprezza-le-trattative-senza-condizioni-etico-politiche-di-trump--66772324\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/Lobito-Katanga_corridoi-infrastrutturali-spostano-assi-regionali.mp3\"][/audio]\r\n\r\nI precedenti appuntamenti con la geopolitica africana si trovano qui","28 Giugno 2025","2025-06-28 17:52:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 26/06/2025 - COSA C’ENTRA IL CORRIDOIO DI LOBITO CON LA TREGUA IN KIVU FIRMATA A WASHINGTON E COSA C’ENTRA IL CORRIDOIO DI ABRAMO CON IL NUCLEARE IRANIANO?",1751129989,[504],[452],{"post_content":594},{"matched_tokens":595,"snippet":596,"value":597},[15],"sua creazione da parte della \u003Cmark>UE\u003C/mark>, dopo il mezzo miliardo stanziato","Può apparire strano, ma la risposta alla domanda del titolo è Qatar. Può apparire forzata o arzigogolata e viene contestualizzato più facilmente l'apporto della petromonarchia nel discorso sviluppato da Laura Silvia Battaglia, perché il territorio che ospitava la base americana bombardata per scherzo telefonato dai pasdaran era ospitata nel sultanato di Al-Thani, e non solo perché l'argomento era adiacente alla analisi della messinscena tra grandi potenze per far accettare al resto del mondo il nuovo assetto del Sudovest asiatico voluto dagli Accordi di Abramo, escludendo l'Iran e i suoi proxy e la Turchia per creare una supply chain alternativa alla Belt Road Initiative; però anche in ambito centrafricano – come ci racconta Massimo Zaurrini – Doha ha ospitato i negoziati tra Repubblica democratica del Congo (Rdc) e Alleanza del fiume Congo (Afc-M23), ed è il terminale delle transazioni finanziarie derivanti dallo sfruttamento delle risorse dei Grandi Laghi, che ora vedranno gli Usa di Trump ergersi a gestori diretti delle miniere di cobalto e terre rare, che prima erano rubate alla lontana Kinshasa solo da Kagame, alleato delle potenze occidentali, attraverso le sue milizie antihutu. Peraltro anche Tsishekedi è un fiancheggiatore e grande amico di Israele, i cui imprenditori più spregiudicati hanno già operato in Rdc. Insomma affari tra autocrati, piazzisti, teocrati e fascisti in genere che pagano le popolazioni malauguratamente abitanti territori contesi tra potenti.\r\nQuindi ci troviamo di fronte a due Corridoi di merci, il cui progetto faraonico intende variare l'asse commerciale impostato da decenni, spostando i flussi che tagliano l'Africa a metà, congiungendo il porto angolano di Lobito con Beira in Mozambico o Dar es Salaam in Tanzania, Oceano Atlantico con Oceano Indiano; ma anche spostando le direttrici commerciali tra Oriente e Mediterraneo all'interno della Penisola arabica aggirando i flussi impostati un po' più a nord da Pechino e inserendo i territori controllati da Israele. A tanto ci ha portato aprire il vaso di Pandora della Guerra dei 12 giorni da un lato e la sbandierata tregua (supposta) tra Congo e Ruanda...\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nA Laura Silvia Battaglia, voce di \"Radio3Mondo\" e raffinata esperta della cultura dei paesi del Sudovest asiatico, abbiamo chiesto di inquadrare nell’ottica dei Paesi del Golfo il giudizio sulla strategia che ispira il rivolgimento dell’equilibrio nell’area: l’escalation sionista mette in scena un superamento del Diritto internazionale e del concetto di democrazia per imporre una configurazione del Vicino Oriente e dei suoi corridoi commerciali alternativi alla Bri cinese come illustrato tempo fa dallo stesso Netanyahu: annientamento dei proxy iraniani e ridimensionamento della Repubblica islamica stessa a favore della penisola arabica, alleata e complice con gli accordi di Abramo, con regimi autoritari e in funzione anticinese. La causa scatenante – il nucleare iraniano – sembra poco o nulla interessante persino nei suoi risultati (basta la narrazione presidenziale attraverso Truth, che non può essere messa in discussione), perché forse l’obiettivo vero è probabilmente un altro (magari Teheran uscirà dalla non proliferazione nucleare e non ci saranno più controlli).\r\nIl primo elemento che salta agli occhi è la centralità del Qatar, per la sua vicinanza all’Iran, per il suo coinvolgimento in ogni trattativa mondiale (Afghanistan, Palestina… Kivu), Al-Thani sempre attivo diplomaticamente e con la potenza mediatica sul mondo arabo, eppure è stato emblematicamente il primo a essere colpito dalla rappresaglia teatrale dei Turbanti. Il Qatar dipende integralmente da acquisti dall’estero, non produce nulla e la chiusura dello Stretto di Ormuz lo avrebbe soffocato.\r\nIl regime change a Tehran è nei piani israeliani (non in quelli trumpiani), ma il piano di riportare la dinastia Pahlavi al potere non potrebbe essere accettata dalla nazione civile iraniana che vive in un mondo parallelo a quello del potere detenuto che fa giochi internazionali, il potere è detenuto dai pasdaran e le città centrali sono omogenee etnicamente, ma la nazione è estesa enormemente, con un’orografia che non permette di certo un’invasione di stampo iracheno, difficile anche la frammentazione su base etnico-religiosa. La sostituzione dell’attuale regime non si riesce a immaginare da chi possa essere incarnato, perciò è difficile creare un’entità artificiale che sostituisca l’attuale sistema persiano. Benché esista una fronda interna, che però forse non è controllabile dall’esterno, o non ha ancora i mezzi e la mentalità per mettere in atto una rivolta. Solo se le forze di sicurezza solidarizzano con i rivoltosi si potrà avere un successo per il cambiamento. La stretta repressiva svilupperà nuove proteste?\r\nForse in questa tabula rasa dei paesi nemici di Israele e antagonisti dei sauditi la Turchia si può affrancare perché è un paese Nato e per l’abilità a fungere da cerniera tra mondi, appartenendo sia al mondo Brics che alla Nato, proponendosi come mediatore e mantenendo relazioni con tutti i protagonisti.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/4PFSoUBf2ZZ8hb79FwbPk0?si=4fbc4626a1f247f9\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/TrumpShowStayTuneOnMiddleEast.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPrecedenti trasmissioni attinenti a questo argomento si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nCon Massimo Zaurrini, direttore di “Africa&Affari”, affrontiamo lo spostamento dell’asse commerciale dell’Africa centrale in seguito al nuovo interesse statunitense per le risorse africane in funzione anticinese.\r\nIn questo quadro si inserisce l’ennesima sceneggiata dell’amministrazione Trump che pretende di imporre una pace nel Nordest del Congo su basi e impegni uguali a quelli che da 20 anni sono divenuti carta straccia nel breve volgere di tempo, l’unica differenza è che Tshisekedi – molto legato alla finanza israeliana – ha “svenduto” il controllo delle risorse del territorio dei Grandi Laghi agli Usa in cambio della risoluzione della guerra con l’M23 e l’Alleanza del Fiume Congo, emanazione del Ruanda, alleato e partner degli anglo-americani. Quindi agli americani interessa in particolare poter sfruttare le miniere in qualche modo e dunque hanno scelto di mettere in sicurezza… i loro investimenti nella regione. Il Qatar è l'hub di arrivo delle merci e degli investimenti e per questo è coinvolto in questo quadro di tregua, essendo ormai Doha la capitale di qualunque accordo internazionale da quello siglato dal Trump.01 con i talebani.\r\nAttorno alla Repubblica democratica del Congo e alle sue ricchezze si sviluppano nuove infrastrutture utili alle nazioni africane che stano tentando di innescare uno sviluppo pieno di promesse e anche pericoli innanzitutto ambientali, ma quanto è l’interesse per gli affari occidentali? Salta all’occhio quel corridoio che, adoperando come terminal il porto angolano di Lobito, ambisce a tracciare supply chain che uniscono Oceano Indiano e Atlantico, fulcro della disputa Cina/Usa sulle merci africane, che il 26 giugno ha appena ricevuto 250 milioni ulteriori per la sua creazione da parte della \u003Cmark>UE\u003C/mark>, dopo il mezzo miliardo stanziato da Biden nel suo ultimo viaggio da presidente. 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Tale acquiescenza continuamente rinnovata che i dominanti sopracitati hanno nei confronti dei meccanismi di massacro dello Stato sionista, talvolta contro i propri interessi di equilibrio e riconoscimento internazionale, ha più di una peculiarità. Viepiù se ci si trova in un mondo in cui gli strappi alla pax americana del secolo scorso sono chiari, l’autorevolezza del ruolo diplomatico nel complesso scacchiere del petrolio non sembra una qualche cosa che gli apparati occidentali possano mettere a cuor leggero nel rendiconto delle perdite. \r\nAllora come riuscire a svelare, o – per meglio dire – riscoprire, qualche peculiarità dell’intimo rapporto con Israele di Europa e Stati Uniti?\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/israelecometotemmacerie.mp3\"][/audio]","2 Giugno 2025","2025-06-03 14:44:40","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/06/totem-200x110.jpg","Macerie su Macerie - PODCAST 2/06/25 - Israele come totem",1748897686,[],[],{"post_content":619},{"matched_tokens":620,"snippet":621,"value":622},[155],"La questione dell’accondiscendenza Usa e \u003Cmark>Ue\u003C/mark> verso Israele, soprattutto davanti a due","La questione dell’accondiscendenza Usa e \u003Cmark>Ue\u003C/mark> verso Israele, soprattutto davanti a due anni di sterminio della popolazione palestinese, non si può spiegare esclusivamente con il posizionamento strategico in Medioriente di cui si avvarrebbero Biden e poi Trump, Macron e compagnia cantante. 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