","Napoli. Aggressione fascista nei confronti di student* del liceo Elio Vittorini","post",1454332227,[61,62,63,64,65,66,67],"http://radioblackout.org/tag/aggressione-fascista/","http://radioblackout.org/tag/blocco-studentesco/","http://radioblackout.org/tag/casapound/","http://radioblackout.org/tag/ex-opg/","http://radioblackout.org/tag/liceo/","http://radioblackout.org/tag/napoli/","http://radioblackout.org/tag/studenti-medi/",[69,30,70,22,20,15,71],"aggressione fascista","casapound","studenti medi",{"post_content":73,"tags":79},{"matched_tokens":74,"snippet":77,"value":78},[75,76],"blocco","studentesco","Hanno poi distribuito volantini di \u003Cmark>blocco\u003C/mark> \u003Cmark>studentesco\u003C/mark>, organizzazione legata a Casa Pound,","Aggressione fascista a Napoli nei confronti di studenti e studentesse del liceo Elio Vittorini.\r\nVenerdì mattina una decina di militanti di Casa Pound, ultraventenni e non frequentanti la scuola, si sono presentati fuori dal liceo napoletano e hanno messo in campo una azione squadrista premeditata per intimidire alcuni studenti riconosciuti come di “sinistra”.\r\nUn ragazzino di 15 anni è stato prima accerchiato e poi colpito da un pugno dietro la testa che gli ha fatto perdere conoscenza. Hanno poi distribuito volantini di \u003Cmark>blocco\u003C/mark> \u003Cmark>studentesco\u003C/mark>, organizzazione legata a Casa Pound, e hanno intimidito gli studenti a non denunciare quanto accaduto.\r\nI giovani non si sono fatti però intimidire: durante le ore di lezione hanno esposto lo striscione “Vittorini Antifascista”davanti alla scuola. Al termine delle lezioni i fascisti di Casapound inizialmente non si si sono fatti vedere, salvo spuntare poi nei pressi della stazione di Rione Alto.\r\nQui, armati di mazze e martelli, la seconda azione premeditata: si sono scagliati contro alcuni studenti, colpendoli ripetutamente al volto e alla testa. L’intervento di altre persone li ha poi messi in fuga.\r\nAlla fine sono stati cinque gli studenti feriti, due dei quali portati in ospedale con traumi cranico facciali, ferite e contusioni al volto e sulla testa per un totale di quasi 20 punti di sutura. Per uno di loro anche uno zigomo spaccato che lo costringerà ad una operazione chirurgica.\r\nNe abbiamo parlato al telefono con Alessandro dell'Ex Opg di Napoli nonché uno dei ragazzi aggrediti dai fascisti di Casa Pound.\r\nnapoli",[80,82,85,87,89,91,93],{"matched_tokens":81,"snippet":69},[],{"matched_tokens":83,"snippet":84},[75,76],"\u003Cmark>blocco\u003C/mark> 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scorso venerdi mattina all'istituto alberghiero Colombatto un gruppo di studenti antifascisti si è opposto energicamente alla presenza di Blocco studentesco, formazione vicina a Casapound che si è presentata fuori dalla scuola con il supporto di diversi fascisti piuttosto attempati.\r\n\r\nAscolta la diretta con una studentessa del Colombatto:\r\n\r\nUnknown\r\n\r\n ","29 Gennaio 2018","2018-11-01 04:51:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/fascisti-alberghiero-Colombatto-studenti-2-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/fascisti-alberghiero-Colombatto-studenti-2-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/fascisti-alberghiero-Colombatto-studenti-2-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/fascisti-alberghiero-Colombatto-studenti-2-768x576.jpg 768w, 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Lucento-Vallette deve subire la parata di CasaPound, partito dichiaratamente neofascista, in onore ai “martiri delle foibe”. Questo perché nel quartiere si trova il villaggio Santa Caterina, gruppo di case popolari dove furono ospitati dagli anni 50 le vittime dell’esodo istriano-giuliano-dalmata, oltre a famiglie di diverse provenienze. Questa tematica continua ad essere usata strumentalmente da chi, come CasaPound, costruisce sulla retorica nazionalista la propria identità politica.\r\nAl termine della I guerra mondiale le zone dell’Istria, Dalmazia ed i cosiddetti territori orientali, sotto il controllo del regime fascista, subirono una forzata e violenta opera di italianizzazione linguistica, culturale e politica. Questo significò concretamente repressioni, torture, deportazioni in campi di prigionia, a danno di una popolazione slava considerata inferiore, \"da educare non con lo zuccherino ma con il bastone\". Una vera e propria bonifica etnica. La propaganda fascista costruì il mito di una terra da sempre italiana, sebbene quei territori fossero linguisticamente e culturalmente eterogenei. È dopo la caduta del regime fascista, sull'onda di un sentimento di vendetta nei confronti dell'occupante italiano, che si collocano le ondate di violenza di massa, spesso indiscriminate e sommarie, genericamente indicate come “foibe”.\r\nIgnorando in modo subdolo le responsabilità del fascismo, CasaPound con la sua fiaccolata in quartiere tenta di ripresentare le stesse tematiche nazionaliste già causa delle vicende storiche che portarono alla guerra e all'esodo dai territori orientali. I fascisti ed il loro operato vengono presentati strumentalmente come vittime, anziché origine delle violenze avvenute.\r\nPresentandosi al mercato di Corso Cincinnato e tra le case di Santa Caterina, i fascisti di oggi cercano di aprirsi uno spazio politico a Lucento-Vallette: non è una novità per loro utilizzare temi sentiti e problematici nel tentativo di cercare consensi e visibilità. Questioni quali sicurezza, immigrazione, microcriminalità, emergenza abitativa e lavoro diventano il pretesto per presentarsi con soluzioni facili e retoriche agli occhi degli abitanti, spesso ignari della vera natura di CasaPound e affini. Nascono così fittizi comitati di quartiere che utilizzando il diffuso malcontento, finiscono per fare propaganda a favore dei loro ideali esclusivi, razzisti e nazionalisti.\r\nIdeali che si manifestano troppo spesso in pratiche di violenza squadrista: solo pochi giorni fa a Napoli i fascisti di Blocco Studentesco - appendice di CasaPound - hanno aggredito con bastoni e martelli degli studenti all'uscita della scuola superiore. Ed è solo l’ultimo di una lunga lista di assassinii e aggressioni da parte di camerati fascisti vari, dall’italiano Dax ucciso a Milano nel 2003 ai due ragazzi senegalesi Diop Mor e Samb Modou assassinati nel 2011 a Firenze. Il volto dei “fascisti del terzo millennio” è questo: da una parte politiche di disuguaglianza sociale portate avanti ogni qual volta viene lasciato loro spazio di agibilità politica, su una delle tante poltrone che inseguono con insistenza (presentandosi alle elezioni a braccetto con la Lega), dall’altra violenze e intimidazioni nelle strade.\r\nIn un quartiere come questo, nato con l’immigrazione e dall’intreccio di donne e uomini di origini diverse, è a maggior ragione inaccettabile l’azione e la retorica di CasaPound, basata sulla discriminazione, la violenza, sull’esclusione dell’ultimo, del diverso, del più povero.\r\nMa CasaPound non è nient’altro che la peggiore costola di una società già in forte frammentazione, in cui i quartieri popolari subiscono facilmente il mito della sicurezza, della paura nei confronti del diverso. Luoghi poveri di orizzonti genuini di socialità e legami solidaristici, ma “ricchi” delle peggiori rappresentazioni dell’oggi: dai centri commerciali alle immense aree industriali dismesse, ai complessi di case popolari adibiti a dormitori; dal luogo simbolo della privazione della libertà come il carcere, alle improbabili varianti urbanistiche e “riqualificazioni”, che tentano di includere le stesse periferie in logiche di profitto tutte nuove, nel solco della “città ad evento continuo” e “multicentrica”, che arricchisce i soliti speculatori e allontana le povertà, escluse dai processi di cambiamento, verso altre “periferie”, altre nicchie, purché queste siano invisibili e non rovinino il nuovo volto luccicante della città.\r\nIn queste fratture, evidenti e in espansione, trovano luogo fenomeni di disgregazione sociale, che spesso si esprimono in xenofobia e razzismo, sottile od eclatante che sia. In quest’ottica si inserisce il “pogrom” della Continassa del dicembre 2011 proprio alle Vallette e i numerosi eventi di discriminazione razziale avvenuti in molte periferie torinesi negli ultimi anni, da Mirafiori a Barriera di Milano, fino ad arrivare alle recenti ronde antidegrado a San Salvario capitanate dal pub “Asso di Bastoni”, covo di fascisti.\r\nMa queste fratture rappresentano anche il potenziale momento in cui costruire percorsi radicalmente diversi, in cui ognuno trovi il proprio spazio e le proprie modalità di espressione, capaci di immaginare comunità e quartieri sorretti da relazioni di solidarietà, antirazzisti e antifascisti. Percorsi sicuramente in salita e non scontati, che portano necessariamente a pensare la periferia come punto di partenza e soggetto di un possibile cambiamento.\r\nEd è anche di fronte a queste prospettive che oggi camminiamo per le strade del nostro quartiere, per affermare e ribadire che qualsiasi fascismo, vecchio e nuovo, non passerà, soprattutto qui nei quartieri popolari.\r\n7 Febbraio 2016\r\nLucento Vallette Antifasciste","9 Febbraio 2016","2016-02-11 14:19:37","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/cancro-popoli-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"225\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/cancro-popoli-225x300.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/cancro-popoli-225x300.jpg 225w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/cancro-popoli.jpg 720w\" sizes=\"auto, (max-width: 225px) 100vw, 225px\" />","Lucento Vallette antifasciste. 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Inserendosi nel movimento di lotta contro l'occupazione militare, il comitato individua nelle tre parole d'ordine uscite dall'assemblea del 4 Ottobre di Santa Giusta anche la propria linea: stop esercitazioni, chiusura dei poligoni, bonifiche. Inoltre si rivendica la pratica del taglio delle reti che nella storica manifestazione di Capo Frasca ha permesso al popolo sardo di riprendere parte del suo territorio da anni sottratto al suo controllo. Come ulteriore mezzo del comitato pensiamo che sia necessario mettere sul tavolo il blocco delle esercitazioni praticato dal basso, esercitazioni che continuano nonostante le continue proteste. \r\n\r\nNella giornata di domani è stato indetto un corteo che partirà da piazza Gramsci a Cagliari per le ore 9, per chiedere il blocco delle esercitazioni militari, la chiusura di tutti i poligoni militari, bonifiche e risarcimenti.\r\n\r\nAscolta la diretta con Lorenzo del Comitato studentesco contro l'occupazione militare\r\n\r\nlorenzo_nobasicagliari_24_10_014","24 Ottobre 2014","2014-10-31 11:53:02","Cagliari. Corteo studentesco contro l'occupazione militare",1414152147,[195,196,197],"http://radioblackout.org/tag/basi-militari/","http://radioblackout.org/tag/cagliari/","http://radioblackout.org/tag/sardegna/",[199,200,201],"basi militari","cagliari","sardegna",{"post_content":203,"post_title":207},{"matched_tokens":204,"snippet":205,"value":206},[175],"nato da poco il Comitato \u003Cmark>Studentesco\u003C/mark> contro l'occupazione militare e si","E' nato da poco il Comitato \u003Cmark>Studentesco\u003C/mark> contro l'occupazione militare e si appresta a lanciare la sua prima mobiltazione. Inserendosi nel movimento di lotta contro l'occupazione militare, il comitato individua nelle tre parole d'ordine uscite dall'assemblea del 4 Ottobre di Santa Giusta anche la propria linea: stop esercitazioni, chiusura dei poligoni, bonifiche. 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Venerdì 18 ottobre studenti e operai piacentini tornano in piazza, alle ore 9:00 davanti al liceo artistico (via Scalabrini)!\r\n\r\n? Nel giorno dello sciopero nazionale dei sindacati di base, gli studenti piacentini hanno infatti deciso di tornare a riempire le piazze e le strade cittadine con una manifestazione che si snoderà dal liceo artistico fino al complesso scolastico di via Negri per urlare tutta la rabbia accumulata in due anni di governo neofascista.\r\n\r\n? La morte di Simran, studentessa 14enne che cercava di salire su un autobus strapieno, pone al centro anche il tema della gestione scolastica e del trasporto pubblico: è ora di dire BASTA al sistema degli appalti che ha il solo obiettivo di comprimere gli stipendi dei lavoratori e peggiorare il servizio, con pullman strapieni e senza sistemi di sicurezza. Comune e SETA si assumano la loro responsabilità!\r\n\r\n? Sopra ogni altro punto, si contesterà il famigerato DL 1660 “Piantedosi”, che porterà alla fine delle libertà democratiche conquistate dalla Resistenza. Non esageriamo: introduce una trentina di modifiche al codice penale formulando venti nuovi reati, estendendo sanzioni e aggravanti, e in alcuni casi ampliando le pene previste per reati già esistenti: prevede che i blocchi stradali diventino reati con pene fino a due anni di reclusione, criminalizza le proteste pacifiche, con l’aggravante per chi si oppone alla costruzione di grandi opere pubbliche, e prevede pene fino a vent’anni per chi protesta nei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) e nelle carceri.\r\n\r\n⛓? Il ddl prevede inoltre che il blocco stradale diventi reato con condanne fino a due anni di carcere, fino a quindici anni per resistenza attiva a pubblico ufficiale, fino a quattro anni per resistenza passiva, il carcere anche per le donne incinte o per quelle con figli di età inferiore a un anno.\r\n\r\nSicobas\r\n\r\nControtendenza_pc\r\n\r\nresisto_pc\r\n\r\n \r\n\r\nDei meccanismi che hanno portato alla tragedia di Simran e della convergenza tra studenti e operai nelle future vertenze abbiamo parlato con Carlo, Sicobas Piacenza:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/CARLO.mp3\"][/audio]","16 Ottobre 2024","2024-10-16 19:59:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"164\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-300x164.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-300x164.png 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-1024x559.png 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-768x420.png 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-1536x839.png 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01-200x110.png 200w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/Schermata-2024-10-16-alle-19.48.01.png 1966w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Giustizia per Simran Kumar. 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Questa volta, al contrario, le due Indie a confronto sono quella ultranazionalista hindu, la base dei «falchi» del Bharatiya Janata Party (Bjp) al governo, e quella laica e progressista, rimasta orfana di riferimenti politici chiari dopo la debacle dell’Indian National Congress (Inc), che già faticava a tenere testa alle istanze più avanzate della parte colta e benestante del paese. Lo scorso 12 febbraio, col benestare del rettore in carica da appena due settimane, uomini in divisa e in borghese sono entrati nei dormitori dell’ateneo per arrestare Kanhaiya Kumar, leader del sindacato studentesco di Jnu (Jnusu). L’accusa: aver pronunciato, durante un evento di protesta all’interno del campus il 9 febbraio, slogan «anti nazionali». Un presunto crimine che, secondo il governo in carica, configura il reato di «sedizione», fino a 10 anni di carcere. Come si dirà i video sono stati manipolati e si è cercato di far passare per islamista uno studente che si professa \"ateo e comunista\" ma anche qui siamo difronte a una declinazione particolare dell'isteria islamofoba che vediamo dispiegata a molte latitudini. Decine di migliaia di studenti hanno reagito alla mano pesante di Modi e istanze più avanzate (rispetto delle donne, fine del sistema delle caste, maggiore equità sociale) sono diventate argomento di discussione e azione a vari livelli. Mentre gli studenti si mobilitavano però erano altre le notizie made in India che attiravano i media italiani. Ovvero milioni di persone (e anche intere fabbriche) lasciate senza acqua da una protesta organizzata di tutt'altro segno. Una casta mediamente benestante e proprietaria, i Jat, si erano mobilitati contro il partito di governo (del quale costituiscono in buona parte un blocco elettorale) per ottenere delle quote privilegiate di assegnazione nell'ambito degli impieghi pubblici. Posti destinati alle classi più povere che questa casta ( come in precedenza i patel) pretende per sé. Una storia di egoismi di classe (o casta) certo, ma anche la storia di un capitalismo e di una modernizzazione che si stanno producendo senza la formazione di una vera classe media legata al sistema del lavoro salariato. Intere caste rurali che non trovano una collocazione (comoda) all'interno della formidabile \"rinascita indiana\".\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Matteo Miavaldi, giornalista e scrittore residente a Nuova Delhi.\r\n\r\nmatteoindia","25 Febbraio 2016","2016-02-26 13:40:16","India: un paese in fermento",1456420492,[266,267,268,269,270,271],"http://radioblackout.org/tag/caste/","http://radioblackout.org/tag/conflitti/","http://radioblackout.org/tag/india/","http://radioblackout.org/tag/internazionale/","http://radioblackout.org/tag/proteste/","http://radioblackout.org/tag/studenti/",[273,274,275,276,277,278],"caste","conflitti","india","internazionale","proteste","Studenti",{"post_content":280},{"matched_tokens":281,"snippet":282,"value":283},[76],"Kanhaiya Kumar, leader del sindacato \u003Cmark>studentesco\u003C/mark> di Jnu (Jnusu). 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Guidati dal racconto di una compagna tedesca, siamo partiti dalla ricostruzione storica di come l'Afd (Alternativa per la Germania) sia nato come partito euroscettico e populista per diventare il braccio parlamentare del fascismo: un'organizzazione molto radicata e ramificata, con legami che vanno dagli intellettuali neonazisti alle confraternite studentesche, ai gruppi terroristici di estrema destra. Oggi l'Afd è il partito più popolare in Germania e soprattutto negli stati dell'est, dove raccoglie consensi facendo leva sull'insicurezza economica e il sentimento di inferiorità rispetto all'ovest. Lo sdoganamento dell'ideologia fascista e la popolarità dell'Afd hanno portato ad uno spostamento sempre più a destra della retorica politica, tanto che il nuovo governo di coalizione appena insediatosi e presieduto dal cancelliere Merz promette una politica migratoria incentrata su rimpatri alle frontiere, sospensione dei ricongiungimenti familiari e stretta sulle naturalizzazioni. Nelle strade delle città tedesche, questo si traduce in aggressioni razziste quotidiane, attacchi sempre più frequenti alle case e agli spazi identificati come antifascisti, e mobilitazioni settimanali che portano in piazza migliaia di fascisti, come quella del 21 dicembre nella cittadina di Magdeburgo, il giorno dopo l'attentato al mercatino di Natale.\r\nAscolta qui l'approfondimento:\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/04/GermaniaANTIFA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nNella foto: blocco antifascista contro il corteo fascista per l'anniversario del bombardamento di Dresden 15.02.25","14 Aprile 2025","2025-04-15 16:10:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/04/signal-2025-04-12-190644-200x110.jpeg","L'ascesa dell'Afd e il fascismo che avanza in Germania","podcast",1744665396,[330,158,331,332,333],"http://radioblackout.org/tag/afd/","http://radioblackout.org/tag/deportazioni/","http://radioblackout.org/tag/fascismo/","http://radioblackout.org/tag/germania/",[305,167,311,309,307],{"post_content":336},{"matched_tokens":337,"snippet":339,"value":340},[338],"studentesche","dagli intellettuali neonazisti alle confraternite \u003Cmark>studentesche\u003C/mark>, ai gruppi terroristici di estrema","In questa puntata di Harraga, in onda su Radio Blackout, abbiamo continuato la serie di approfondimenti sulle estreme destre con un collegamento dalla Germania, dove il fascismo sembra avanzare inarrestabile su tutti i fronti. 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Proprio perché da sempre relegate tra le mura domestiche e imbrigliate in ruoli determinati, le donne quando raccontano la loro esperienza partigiana hanno avuto la tendenza a autosvalutarsi o a banalizzare il contributo apportato. La partigiana Nelia Benissone Costa disse a tal proposito:\r\n“tanto gli uomini sono pieni di sé, tanto le donne preferiscono tacere”. Per questo motivo è per molti denominata Resistenza taciuta. La storia delle donne nella Resistenza è ancora troppo sommerso e spesso relegato al ruolo della “staffetta”, descritta quasi sempre in modo romantico e limitandone l’azione al mero trasporto clandestino di documenti o istruzioni. In realtà le donne hanno combattuto e subito le stesse violenze (con l’aggravante dello stupro nella maggior parte dei casi) degli uomini. Per le partigiane la lotta alla liberazione del proprio paese dalla tirannia nazi-fascista è stata, invece, l’occasione per affermare i propri diritti auspicando un ruolo diverso della donna nella società. E sembrava fosse davvero arrivato il momento: le italiane si sentirono finalmente alla pari dei propri compagni, i quali, d’altro canto, ne riconobbero il valore e il coraggio. Il coinvolgimento del genere femminile alla Resistenza, invece, fu consistente. Secondo i dati diffusi dall’ANPI, infatti, viene fuori questo spettro:\r\n• 70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna\r\n• 35000 partigiane, che operavano come combattenti\r\n• 20000 donne con funzioni di supporto (le cosiddette staffette)\r\n• 4563 arrestate torturate e condannate dai tribunali fascisti\r\n• 2900 giustiziate o uccise in combattimento\r\n• 2750 deportate in Germania nei lager nazisti\r\n• 1700 ferite\r\n• 623 fucilate e cadute\r\n• 512 commissarie di guerra\r\nLe donne sposarono la causa della Resistenza per varie ragioni: per ideali politici, per aiutare parenti o amici che avevano abbracciato le armi, per contribuire al ritorno della giustizia.\r\nC’erano operaie, contadine o donne borghesi. Furono attive su più fronti e con ruoli diversi, ad esempio nei paesi di montagna vi era un’alta percentuale di staffette. Le donne di città, invece, prendevano parte per lo più alla Resistenza politica e civile ed entrarono a far parte dei GAP (gruppi di azione patriottica) e delle SAP (squadre di azione patriottica).\r\nOrganizzavano scioperi e manifestazioni contro il fascismo nelle fabbriche dove lavoravano al posto degli uomini andati in guerra o che si erano uniti ai partigiani. Furono creati i Gruppi di difesa della donna, i quali si occuparono di garantire i diritti delle donne e dei loro bambini e organizzavano la raccolta di indumenti, medicinali e informazioni, che venivano fatti recapitare alle staffette per poi portarle ai partigiani. Queste ultime, infatti, avevano il compito di tenere i contatti fra le diverse brigate o con le famiglie dei combattenti. A volte la staffetta reclutava anche nuovi potenziali resistenti e all’interno della brigata faceva da infermiera ai feriti, tenendo anche i contatti con il medico o con il farmacista, dai quali si faceva dare le medicine necessarie. Di norma non erano armate, per evitare di essere identificate e arrestate nel corso di un’eventuale perquisizione e per tale motivo si vestivano in modo comune, fornite spesso di una borsa con il doppio fondo per poter nascondere il materiale che portavano con sé. Inoltre, nelle campagne e nei luoghi più accessibili ai partigiani, le donne misero spesso a disposizione le proprie case per fornire un\r\nnascondiglio o garantire un pasto caldo. Le partigiane che abbracciarono le armi, come Carla Capponi vice comandante di una formazione operante a Roma, invasero un mondo prettamente maschile. Nelle formazioni nei primi tempi vi furono delle contestazioni da parte di alcuni partigiani, contro la presenza femminile, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le donne combattevano al fianco degli uomini, nelle montagne, al freddo, in alcuni casi si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio la loro vita o addirittura perdendola. Come sempre accade in periodi di guerra questo cambiamento della condizione femminile fu solamente temporaneo e l’emancipazione che ne derivò fu abbastanza limitata: la nuova Repubblica, malgrado la concessione del diritto al voto e della partecipazione alla vita politica, continuò a mantenere leggi e tradizioni codificate sotto il regime fascista, relegando di nuovo la popolazione femminile ad un ruolo subalterno.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nIn seguito, con l'aiuto della nostra ospite in studio Delfina Donnici; abbiamo presentato \"Jin Jiyan Azadi. La rivoluzione delle donne in Kurdistan\" - Istituto Andrea Wolf - Tamu, 2022. Delfina Donnici fa parte del comitato italiano di Jineolojî che ha curato la traduzione del libro. Da quando in anni recenti si sono accesi i riflettori sulla resistenza contro l'assedio dello Stato Islamico in Rojava, il movimento delle donne libere curde è diventato a livello globale uno degli esempi rivoluzionari più luminosi del 21° secolo. Jin, Jiyan, Azadî raccoglie le voci di venti rivoluzionarie curde e le compone in un’architettura maestosa: le combattenti ci offrono attraverso memorie private, lettere e pagine di diario una profonda riflessione su un percorso che non inizia con la riconquista di Kobane del 2015 ma ha radici ben più lontane. Ripercorrendo varie fasi della lotta di liberazione curda contro l'oppressione dello stato turco, questo volume offre una avvincente e monumentale ricostruzione della storia recente del Kurdistan, dalla costituzione del Pkk all'arresto di Öcalan, fino all'elaborazione dei nuovi paradigmi del confederalismo democratico e di Jineolojî, la scienza delle donne. Per la prima volta scopriamo dalla prospettiva delle protagoniste la visione del mondo e le scelte di vita che le hanno portate alla guida di una guerra di liberazione, oltre che di un epocale progetto di trasformazione dei rapporti tra donne e uomini, tra nazioni e tra specie viventi. Essendo il testo molto interessante e pregno di contenuti abbiamo voluto fare un'intervista divisa in 3 parti, divise tra loro da due brani (qui nel podcast riprodotte parzialmente), tratti dalla compilation \"Music for Rojava\" edito dall'etichetta Sonic Resistance.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Speciale-presentazione-libro-Jin-Jiyna-Azadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nInfine, con l'aiuto della presidente di una piccola associazione pro-Palestina di Genova che si chiama New Weapons Research Group, che si occupa principalmente degli effetti sui civili di Gaza dell’uso di armi da parte dell’esercito israeliano (il sito è http://we4gaza.org/) abbiamo raccontato la resistenza delle donne palestinesi. La presidente Paola Manduca è una genetista in pensione dell’Università di Genova che, fino a poco tempo fà, si recava regolarmente a Gaza per studiare gli effetti dei bombardamenti soprattutto su madri e neonati. Le donne nella Striscia di Gaza hanno vissuto sulla loro pelle l’Inverno Caldo del 2008 e mantengono vividi nella memoria i ricordi delle ignobili operazioni militari israeliane susseguitesi negli anni, da Operazione Piombo Fuso a Operazione Margine di Protezione, sino agli ultimi attacchi di maggio 2021. Combattono per la liberazione della mente, del corpo e della Terra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Resistono da quando sono nate ad una violenta dominazione che coinvolge ogni ambito della loro vita; al contempo continuano a battersi affinché all’interno di questa striscia di terra lunga poco più di 40 km vi siano le condizioni necessarie per una vita libera dalla cultura e dalla realtà patriarcale, estremamente violenta. Un numero ancora troppo elevato di donne a Gaza subisce la fitta struttura di equilibri e leggi tradizionali che ne limita drasticamente la libertà. Le donne a Gaza lottano da sempre per i propri diritti, per la loro emancipazione, autodeterminazione e indipendenza economica. Fronteggiano la violenza di genere creando reti di supporto psicologico e legale per le donne con situazioni familiari difficili; Lottano come giovani universitarie per il diritto allo studio per tutti e tutte, per una rappresentanza studentesca che sia anche femminile, per un welfare accademico degno ed accessibile; Lottano come infermiere e dottoresse per una sanità il più possibile a disposizione delle donne di Gaza, nonostante i limiti inimmaginabili causati da decenni di assedio, totale chiusura della Striscia di Gaza. Combattono in prima linea, curano i feriti, sostengono i percorsi psicologici necessari per affrontare i traumi di guerra e le sindromi da stress post traumatico che dilagano nella popolazione adulta, così come nei bambini. Sono la Resistenza attiva della Palestina. Il blocco e l'isolamento subito dalla popolazione impedisce al mondo di sapere cosa succede \"tra le mura di Gaza\". Spetta a noi, che oggi ne abbiamo la possibilità, rompere questo isolamento.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Paola-Mancuso-su-situazione-donne-palestinai.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n ","28 Aprile 2022","2022-04-28 19:56:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/copertina-jin-jiyan-azadi-200x110.jpg","frittura mista|radio fabbrica 26/04/2022",1651175767,[],[],{"post_content":363},{"matched_tokens":364,"snippet":366,"value":367},[365],"studentesca","e tutte, per una rappresentanza \u003Cmark>studentesca\u003C/mark> che sia anche femminile, per","IL 25 APRILE DI GENERE INTERNAZIONALISTA\r\n \r\nDurante la puntata odierna abbiamo cercato di raccontare il 25 aprile con un respiro internazionalista e di genere. L'idea è stata quella di raccontare, attraverso la radio, la rivoluzione\r\ne la resistenza a partire delle partigiane durante la seconda guerra mondiale intrecciandola con le scelte rivoluzionarie delle donne kurde nel Rojava e delle donne che resistono e lottano nella striscia di Gaza in Palestina.\r\n\r\n\r\nSiamo partiti con la lettura di alcuni pezzi della \"Resistenza taciuta\" (La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi di Anna M. Bruzzone e Rachele Farina - Bollati Boringhieri, 2016).\r\n\r\nPer decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario poiché la lotta per la Liberazioneveniva, per ovvie ragioni, declinata al maschile. Proprio perché da sempre relegate tra le mura domestiche e imbrigliate in ruoli determinati, le donne quando raccontano la loro esperienza partigiana hanno avuto la tendenza a autosvalutarsi o a banalizzare il contributo apportato. La partigiana Nelia Benissone Costa disse a tal proposito:\r\n“tanto gli uomini sono pieni di sé, tanto le donne preferiscono tacere”. Per questo motivo è per molti denominata Resistenza taciuta. La storia delle donne nella Resistenza è ancora troppo sommerso e spesso relegato al ruolo della “staffetta”, descritta quasi sempre in modo romantico e limitandone l’azione al mero trasporto clandestino di documenti o istruzioni. In realtà le donne hanno combattuto e subito le stesse violenze (con l’aggravante dello stupro nella maggior parte dei casi) degli uomini. Per le partigiane la lotta alla liberazione del proprio paese dalla tirannia nazi-fascista è stata, invece, l’occasione per affermare i propri diritti auspicando un ruolo diverso della donna nella società. E sembrava fosse davvero arrivato il momento: le italiane si sentirono finalmente alla pari dei propri compagni, i quali, d’altro canto, ne riconobbero il valore e il coraggio. Il coinvolgimento del genere femminile alla Resistenza, invece, fu consistente. Secondo i dati diffusi dall’ANPI, infatti, viene fuori questo spettro:\r\n• 70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna\r\n• 35000 partigiane, che operavano come combattenti\r\n• 20000 donne con funzioni di supporto (le cosiddette staffette)\r\n• 4563 arrestate torturate e condannate dai tribunali fascisti\r\n• 2900 giustiziate o uccise in combattimento\r\n• 2750 deportate in Germania nei lager nazisti\r\n• 1700 ferite\r\n• 623 fucilate e cadute\r\n• 512 commissarie di guerra\r\nLe donne sposarono la causa della Resistenza per varie ragioni: per ideali politici, per aiutare parenti o amici che avevano abbracciato le armi, per contribuire al ritorno della giustizia.\r\nC’erano operaie, contadine o donne borghesi. Furono attive su più fronti e con ruoli diversi, ad esempio nei paesi di montagna vi era un’alta percentuale di staffette. Le donne di città, invece, prendevano parte per lo più alla Resistenza politica e civile ed entrarono a far parte dei GAP (gruppi di azione patriottica) e delle SAP (squadre di azione patriottica).\r\nOrganizzavano scioperi e manifestazioni contro il fascismo nelle fabbriche dove lavoravano al posto degli uomini andati in guerra o che si erano uniti ai partigiani. Furono creati i Gruppi di difesa della donna, i quali si occuparono di garantire i diritti delle donne e dei loro bambini e organizzavano la raccolta di indumenti, medicinali e informazioni, che venivano fatti recapitare alle staffette per poi portarle ai partigiani. Queste ultime, infatti, avevano il compito di tenere i contatti fra le diverse brigate o con le famiglie dei combattenti. A volte la staffetta reclutava anche nuovi potenziali resistenti e all’interno della brigata faceva da infermiera ai feriti, tenendo anche i contatti con il medico o con il farmacista, dai quali si faceva dare le medicine necessarie. Di norma non erano armate, per evitare di essere identificate e arrestate nel corso di un’eventuale perquisizione e per tale motivo si vestivano in modo comune, fornite spesso di una borsa con il doppio fondo per poter nascondere il materiale che portavano con sé. Inoltre, nelle campagne e nei luoghi più accessibili ai partigiani, le donne misero spesso a disposizione le proprie case per fornire un\r\nnascondiglio o garantire un pasto caldo. Le partigiane che abbracciarono le armi, come Carla Capponi vice comandante di una formazione operante a Roma, invasero un mondo prettamente maschile. Nelle formazioni nei primi tempi vi furono delle contestazioni da parte di alcuni partigiani, contro la presenza femminile, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le donne combattevano al fianco degli uomini, nelle montagne, al freddo, in alcuni casi si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio la loro vita o addirittura perdendola. Come sempre accade in periodi di guerra questo cambiamento della condizione femminile fu solamente temporaneo e l’emancipazione che ne derivò fu abbastanza limitata: la nuova Repubblica, malgrado la concessione del diritto al voto e della partecipazione alla vita politica, continuò a mantenere leggi e tradizioni codificate sotto il regime fascista, relegando di nuovo la popolazione femminile ad un ruolo subalterno.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nIn seguito, con l'aiuto della nostra ospite in studio Delfina Donnici; abbiamo presentato \"Jin Jiyan Azadi. La rivoluzione delle donne in Kurdistan\" - Istituto Andrea Wolf - Tamu, 2022. Delfina Donnici fa parte del comitato italiano di Jineolojî che ha curato la traduzione del libro. Da quando in anni recenti si sono accesi i riflettori sulla resistenza contro l'assedio dello Stato Islamico in Rojava, il movimento delle donne libere curde è diventato a livello globale uno degli esempi rivoluzionari più luminosi del 21° secolo. Jin, Jiyan, Azadî raccoglie le voci di venti rivoluzionarie curde e le compone in un’architettura maestosa: le combattenti ci offrono attraverso memorie private, lettere e pagine di diario una profonda riflessione su un percorso che non inizia con la riconquista di Kobane del 2015 ma ha radici ben più lontane. Ripercorrendo varie fasi della lotta di liberazione curda contro l'oppressione dello stato turco, questo volume offre una avvincente e monumentale ricostruzione della storia recente del Kurdistan, dalla costituzione del Pkk all'arresto di Öcalan, fino all'elaborazione dei nuovi paradigmi del confederalismo democratico e di Jineolojî, la scienza delle donne. Per la prima volta scopriamo dalla prospettiva delle protagoniste la visione del mondo e le scelte di vita che le hanno portate alla guida di una guerra di liberazione, oltre che di un epocale progetto di trasformazione dei rapporti tra donne e uomini, tra nazioni e tra specie viventi. Essendo il testo molto interessante e pregno di contenuti abbiamo voluto fare un'intervista divisa in 3 parti, divise tra loro da due brani (qui nel podcast riprodotte parzialmente), tratti dalla compilation \"Music for Rojava\" edito dall'etichetta Sonic Resistance.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Speciale-presentazione-libro-Jin-Jiyna-Azadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nInfine, con l'aiuto della presidente di una piccola associazione pro-Palestina di Genova che si chiama New Weapons Research Group, che si occupa principalmente degli effetti sui civili di Gaza dell’uso di armi da parte dell’esercito israeliano (il sito è http://we4gaza.org/) abbiamo raccontato la resistenza delle donne palestinesi. La presidente Paola Manduca è una genetista in pensione dell’Università di Genova che, fino a poco tempo fà, si recava regolarmente a Gaza per studiare gli effetti dei bombardamenti soprattutto su madri e neonati. Le donne nella Striscia di Gaza hanno vissuto sulla loro pelle l’Inverno Caldo del 2008 e mantengono vividi nella memoria i ricordi delle ignobili operazioni militari israeliane susseguitesi negli anni, da Operazione Piombo Fuso a Operazione Margine di Protezione, sino agli ultimi attacchi di maggio 2021. Combattono per la liberazione della mente, del corpo e della Terra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Resistono da quando sono nate ad una violenta dominazione che coinvolge ogni ambito della loro vita; al contempo continuano a battersi affinché all’interno di questa striscia di terra lunga poco più di 40 km vi siano le condizioni necessarie per una vita libera dalla cultura e dalla realtà patriarcale, estremamente violenta. Un numero ancora troppo elevato di donne a Gaza subisce la fitta struttura di equilibri e leggi tradizionali che ne limita drasticamente la libertà. Le donne a Gaza lottano da sempre per i propri diritti, per la loro emancipazione, autodeterminazione e indipendenza economica. Fronteggiano la violenza di genere creando reti di supporto psicologico e legale per le donne con situazioni familiari difficili; Lottano come giovani universitarie per il diritto allo studio per tutti e tutte, per una rappresentanza \u003Cmark>studentesca\u003C/mark> che sia anche femminile, per un welfare accademico degno ed accessibile; Lottano come infermiere e dottoresse per una sanità il più possibile a disposizione delle donne di Gaza, nonostante i limiti inimmaginabili causati da decenni di assedio, totale chiusura della Striscia di Gaza. 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Spetta a noi, che oggi ne abbiamo la possibilità, rompere questo isolamento.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Paola-Mancuso-su-situazione-donne-palestinai.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n ",[369],{"field":102,"matched_tokens":370,"snippet":366,"value":367},[365],{"best_field_score":346,"best_field_weight":142,"fields_matched":19,"num_tokens_dropped":47,"score":347,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":14},6637,{"collection_name":327,"first_q":30,"per_page":290,"q":30},["Reactive",375],{},["Set"],["ShallowReactive",378],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fVFFEZuSwqlO84L6CNLWkOS6c4jAejFwU3Umsn9-e9Gs":-1},true,"/search?query=blocco+studentesco"]