","Avvocato gazawi fa causa al governo italiano","post",1712670728,[63,64,65,66,67,68,69,70],"http://radioblackout.org/tag/avvocato-gazawi/","http://radioblackout.org/tag/causa-al-governo-italiano/","http://radioblackout.org/tag/diritti-umani/","http://radioblackout.org/tag/gaza/","http://radioblackout.org/tag/giancluca-vitale/","http://radioblackout.org/tag/israele/","http://radioblackout.org/tag/legge-185-1990/","http://radioblackout.org/tag/salahaldin-abdalaty/",[72,73,74,21,75,23,76,77],"avvocato gazawi","causa al governo italiano","diritti umani","giancluca vitale","legge 185 1990","salahaldin abdalaty",{"post_content":79,"post_title":86,"tags":90},{"matched_tokens":80,"snippet":84,"value":85},[81,82,83],"al","governo","italiano","urgente della magistratura che vieti \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> di essere complice delle violazioni","Salahaldin Abdalaty è nato a Jabalya nella Striscia di Gaza e fa l’avvocato. Abdalaty con i suoi figli è scappato da Gaza e si è rifugiato in Egitto per scampare alle bombe, alle aggressioni armate, alla carestia e alla mancanza dei mezzi minimi di sussistenza conseguenti alle operazioni militari israeliane. Diversi membri della sua famiglia tra i quali sua madre, suo fratello, sua sorella e sua nipote di 2 anni sono stati uccisi dai raid israeliani.\r\nCon l’assistenza di un pool di quattro colleghi – Stefano Bertone, Marco Bona, Gianluca Vitale ed Emanuele D’Amico – del Foro di Torino, ha depositato \u003Cmark>al\u003C/mark> tribunale di Roma un ricorso con cui, richiamandosi a una serie di norme nazionali e internazionali, chiede un intervento urgente della magistratura che vieti \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> di essere complice delle violazioni di diritti umani dell’esercito israeliano a Gaza, in primis ulteriori trasporti e vendita di armi. 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Una sentenza che riguarda quanto accaduto al CPR di Milo A Trapani nell’ultima settimana di gennaio .\r\n\r\nSi tratta di una ulteriore conferma della violenza e dell’inadeguatezza del sistema detentivo italiano destinato alle persone migranti, e delle condizioni particolarmente gravi in cui ancora sono trattenute le persone all’interno del CPR di Trapani. La situazione dei CPR italiani dove sussiste la detenzione amministrativa per gli stranieri che costituisce una violenza di per sé orribile e non giustificabile in alcuna forma, quanto accaduto nei giorni scorsi mette in luce ancora una volta l’inadeguatezza strutturale del sistema di detenzione amministrativa italiano. La privazione sistematica della libertà personale di persone provenienti da paesi di origine politicamente ridefiniti come “sicuri”, per di più in condizioni indegne, nella mancanza di informazioni sulle motivazioni del trattenimento, e in assenza di accesso a qualsivoglia servizio e tutela legale continuerà inevitabilmente a generare proteste, atti di autolesionismo, incendi.\r\n\r\n \r\n\r\nNe parliamo con un compagbno dell'assemblea CPR\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/INFO-190224-CPR.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nRiportiamo anche un articolo uscito nella rivista Jeune Afrique che racconta dal punto di vista africano l'inferno dei centri di detenzione italiani per stranieri.\r\n\r\n \r\n\r\nhttps://www.jeuneafrique.com/1537595/politique/les-migrants-africains-dans-lenfer-des-centres-de-detention-italiens/\r\n\r\n \r\n\r\nMigranti africani nell'inferno dei centri di detenzione italiani Il suicidio di Ousmane Sylla, un guineano di 22 anni morto suicida in un centro di detenzione per migranti in Italia, getta luce sulle deplorevoli condizioni di vita in questi centri dove vengono rinchiusi gli emigranti, soprattutto africani, considerati illegali. Maÿlis DUDOUET\r\n\r\n \r\nOusmane Sylla aveva 22 anni. Il nome di questo giovane guineano si è aggiunto, lo scorso 4 febbraio, alla lunghissima lista di migliaia di migranti, soprattutto dall'Africa sub-sahariana, che stanno morendo a causa delle politiche migratorie europee. Questa volta, però, non è stato nelle sabbie del Sahara, nelle carceri di un gruppo armato libico o nelle acque turbolente di un Mediterraneo trasformato in cimitero che la morte ha colpito. Ma in territorio europeo, in quest’Italia che costituisce la porta principale per tanti africani in cerca di emigrazione verso il Vecchio Continente.\r\nIl 4 febbraio il giovane si è ucciso mentre era detenuto nel Centro di Rimpatrio di Ponte Galeria (CPR), nome ufficiale dei centri di detenzione per migranti considerati illegali in Italia. Aveva appena saputo che la sua richiesta di asilo era stata respinta ma, non avendo la Guinea un accordo di estradizione con l’Italia, sapeva che sarebbe rimasto bloccato in quel luogo per molti mesi. E non sopportava l'idea di trascorrere un altro giorno rinchiuso in condizioni deplorevoli. I suoi compagni di prigionia lo trovarono, impiccato, la mattina presto. Su un muro, questo messaggio: “Se muoio, vorrei che il mio corpo fosse mandato in Africa. I militarti italiani non conoscono altro che il denaro. »\r\n\r\nIl suo suicidio in questo carcere per migranti ha provocato un'ondata di rabbia da Roma a Conakry. In effetti getta luce sulle condizioni dei migranti el il modo in cui, in particolare quelli sub-sahariani, vengono trattati nell’Italia del primo ministro di estrema destra Giorgia Meloni. Ousmane Sylla viveva in Italia da sei anni. Minore al suo arrivo nel Paese, è stato prima ospitato in un centro specializzato. Il giorno in cui è diventato maggiorenne, è diventato uno straniero illegale. Dopo un lungo viaggio, dal centro di Ventimiglia a quello di Teodice, nel centro Italia, è stato trasferito il 14 ottobre 2023 al CPR di Milo, nel Trapani, in Sicilia. Il luogo di detenzione, teatro di ripetuti disordini, è più che sovraffollato. Durante la sua permanenza a Milo, Ousmane Sylla trascorrerà parte delle sue notti all'aperto, per mancanza di spazio. Quasi tre mesi dopo, il 27 gennaio 2024, Ousmane Sylla viene nuovamente trasferito, questa volta al CPR di Ponte Galeria, che sarà la sua ultima destinazione.\r\n\r\nNel 2023, delle circa 500.000 persone in situazione irregolare registrate sul territorio italiano – di cui quasi 160.000 arrivate irregolarmente nel corso dell’anno – solo una piccola parte sarà sottoposta ai rigori dei centri di detenzione: poco più di 6.000 persone sono state internate in uno dei i nove CPR attivi. Le condizioni di vita lì sono disastrose. Oltre alla sovrappopolazione endemica, le indagini condotte da ONG specializzate denunciano maltrattamenti sistematici in alcuni centri, distribuzione di cibo avariato o addirittura somministrazione forzata di medicinali. All'inizio di gennaio, la diffusione di un video in cui si vede un'infermiera, aiutata da agenti di polizia, costringe un detenuto a prendere un sedativo ha causato uno scandalo in Italia. Molti dei CPR sono anche oggetto di indagini giudiziarie o amministrative. Quello di Milano è stato così posto sotto il controllo di un amministratore giudiziario dopo le accuse di truffa e maltrattamenti. Quella di Palazzo San Gervasio è al centro dell'inchiesta in corso sulla somministrazione di forti dosi di calmanti epsicofarmaci. Un’inchiesta realizzata dai media tunisini Inkyfada e italiana Altreconomia ha documentato in particolare questo diffuso uso di psicofarmaci, che rappresentano “almeno il 10% della spesa di ciascun centro e costituiscono addirittura il 44% della spesa del centro di Roma”.\r\n\r\nLe condizioni di vita sono tanto più insopportabili quanto più i periodi di detenzione si allungano. Appena insediatosi al potere, il governo del primo ministro di estrema destra Giorgia Meloni ha aumentato il limite massimo legale da 180 a 540 giorni, attraverso il decreto Cutro 2, particolarmente criticato dalle associazioni per i diritti umani. Le conseguenze sono gravi. Il numero di decessi registrati nei centri di detenzione aumenta ogni anno, mentre l’età media delle vittime della CPR – 33 anni – costituisce un argomento in più per le organizzazioni che ne chiedono la chiusura . Giorgia Meloni, che ha appena ottenuto un accordo con Tirana che prevede la realizzazione del Cpr sul territorio albanese, non sembra proprio disposta a intraprendere questa strada. Il Primo Ministro italiano ha infatti previsto di costruirne di più centri di questo tipo, uno per regione italiana.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","20 Febbraio 2024","2024-02-20 20:49:49","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/CPR-CORELLI-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/CPR-CORELLI-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/CPR-CORELLI-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/CPR-CORELLI.jpg 474w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","CPR DA MILANO A PONTE GALERIA I LAGER PER MIGRANTI SCOPPIANO.",1708461926,[139,140,141,142,143],"http://radioblackout.org/tag/cie/","http://radioblackout.org/tag/cpr/","http://radioblackout.org/tag/cpr-via-corelli/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/rivolte/",[145,15,146,147,148],"cie","cpr via corelli","migranti","rivolte",{"post_content":150},{"matched_tokens":151,"snippet":153,"value":154},[81,152,83],"Governo","dei Diritti Umani ha ordinato \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>Governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> l’immediato trasferimento dal CPR di","La Corte Europea dei Diritti Umani ha ordinato \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>Governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> l’immediato trasferimento dal CPR di Trapani di una persona trattenuta in condizioni materiali degradanti. 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In risposta ad esse non sono pochi gli episodi di rabbia e protesta a partire dall’insostenibilità dei costi scaricati sul basso. In Albania da giorni sono esplose le proteste in numerose città per l’aumento repentino dei prezzi del carburante, dell’energia e dei generi alimentari. Tra le richieste dei manifestanti vi è anche l’abolizione sul valore aggiunto per i beni essenziali, provvedimento adottato dal governo della Macedonia. È chiaro che l’Ucraina e la Russia siano due stati centrali nella produzione del grano e di altre materie prime ma è anche importante sottolineare che l’aumento dei prezzi era prevedibile da ben prima dello scoppio della guerra, seppur questa variabile abbia prepotentemente accelerato la tendenza.\r\n\r\nIn questo contesto gli attori mondiali stanno assumendo posizioni a volte di difficile comprensione, altre più in continuità con la loro politica internazionale. Dalla Cina di Xi Jining, che in un momento di delicata negoziazione che ancora non ha sortito alcun effetto anzi pare essere in alto mare secondo le dichiarazioni del ministro degli Esteri ucraino a causa delle forzatura dell’una e dell’altra parte, è rimasta formalmente neutrale, agli Stati Uniti che nel loro perorare la causa della pace continuano a finanziare e rifornire di armi l’Ucraina utilizzando alta tecnologia, come per il caso dei droni “kamikaze” in grado di neutralizzare un tank, al governo italiano che per non sbagliare aumenta la spesa militare dagli attuali 30 miliardi all’anno per raggiungere i 40 miliardi tra il 2027 e il 2028, avvicinandosi all’obiettivo Nato del 2% di spesa per la difesa/pil.\r\n\r\nIn uno scenario come questo, tra le narrazioni governative e mediatiche schierate da una parte e dell’altra, ciò che viene meno è uno sguardo di complessità sulla fase attuale. Abbiamo provato a restituire un altro aspetto di questa guerra tramite la testimonianza di Daniele Napolitano, fotoreporter e giornalista di Roma, che attualmente si trova al confine tra Ucraina e Romania, a Siret. È interessante notare come il punto di vista della popolazione venga sovradeterminato dalle stesse parti in causa che nonostante il peso della responsabilità nell’aver scatenato questa guerra, ora assumono un posizionamento che propugna un impianto narrativo di sostegno alla cosidetta “resistenza del popolo ucraino”, quando sul confine vi sono moltissime persone che cercano di fuggire a uno stato di morte e distruzione con la speranza di poter tornare a casa propria.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/daniele-napolitano-confine-ucraina-2022_03_17_2022.03.17-09.00.00-escopost.mp3\"][/audio]","17 Marzo 2022","2022-03-17 20:09:32","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/276130567_10228006794096386_2040381539098526769_n-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"199\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/276130567_10228006794096386_2040381539098526769_n-300x199.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/276130567_10228006794096386_2040381539098526769_n-300x199.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/276130567_10228006794096386_2040381539098526769_n-1024x681.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/276130567_10228006794096386_2040381539098526769_n-768x511.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/276130567_10228006794096386_2040381539098526769_n.jpg 1080w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Aggiornamenti dal confine ucraino-romeno",1647547772,[177,178,179],"http://radioblackout.org/tag/confine/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/ucraina/",[181,182,183],"confine","guerra","Ucraina",{"post_content":185},{"matched_tokens":186,"snippet":187,"value":188},[81,82,83],"grado di neutralizzare un tank, \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> che per non sbagliare aumenta","La guerra che ormai da settimane sta sconvolgendo innanzitutto le vite della popolazione ucraina e gli assetti mondiali, porta con sé conseguenze stratificate in base allo spazio, \u003Cmark>al\u003C/mark> tempo e alle relazioni internazionali. 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Dalla Cina di Xi Jining, che in un momento di delicata negoziazione che ancora non ha sortito alcun effetto anzi pare essere in alto mare secondo le dichiarazioni del ministro degli Esteri ucraino a \u003Cmark>causa\u003C/mark> delle forzatura dell’una e dell’altra parte, è rimasta formalmente neutrale, agli Stati Uniti che nel loro perorare la \u003Cmark>causa\u003C/mark> della pace continuano a finanziare e rifornire di armi l’Ucraina utilizzando alta tecnologia, come per il caso dei droni “kamikaze” in grado di neutralizzare un tank, \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> che per non sbagliare aumenta la spesa militare dagli attuali 30 miliardi all’anno per raggiungere i 40 miliardi tra il 2027 e il 2028, avvicinandosi all’obiettivo Nato del 2% di spesa per la difesa/pil.\r\n\r\nIn uno scenario come questo, tra le narrazioni governative e mediatiche schierate da una parte e dell’altra, ciò che viene meno è uno sguardo di complessità sulla fase attuale. Abbiamo provato a restituire un altro aspetto di questa guerra tramite la testimonianza di Daniele Napolitano, fotoreporter e giornalista di Roma, che attualmente si trova \u003Cmark>al\u003C/mark> confine tra Ucraina e Romania, a Siret. È interessante notare come il punto di vista della popolazione venga sovradeterminato dalle stesse parti in \u003Cmark>causa\u003C/mark> che nonostante il peso della responsabilità nell’aver scatenato questa guerra, ora assumono un posizionamento che propugna un impianto narrativo di sostegno alla cosidetta “resistenza del popolo ucraino”, quando sul confine vi sono moltissime persone che cercano di fuggire a uno stato di morte e distruzione con la speranza di poter tornare a casa propria.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/daniele-napolitano-confine-ucraina-2022_03_17_2022.03.17-09.00.00-escopost.mp3\"][/audio]",[190],{"field":118,"matched_tokens":191,"snippet":187,"value":188},[81,82,83],{"best_field_score":160,"best_field_weight":161,"fields_matched":31,"num_tokens_dropped":49,"score":162,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":49},{"document":194,"highlight":222,"highlights":227,"text_match":158,"text_match_info":230},{"cat_link":195,"category":196,"comment_count":49,"id":197,"is_sticky":49,"permalink":198,"post_author":52,"post_content":199,"post_date":200,"post_excerpt":55,"post_id":197,"post_modified":201,"post_thumbnail":202,"post_thumbnail_html":203,"post_title":204,"post_type":60,"sort_by_date":205,"tag_links":206,"tags":214},[46],[48],"26008","http://radioblackout.org/2014/11/rom-litalia-nel-mirino-dellue/","L'Italia rischia una procedura di infrazione da parte della Commissione europea, a causa delle politiche abitative segregative nei confronti dei nomadi. Lo ha reso noto l'Associazione 21 luglio, citando una lettera inviata dalla Direzione Generale Giustizia della Commissione Ue al Governo italiano. L'organismo europeo punta il dito contro la «condizione abitativa dei rom» nel nostro Paese chiedendo all'Italia informazioni aggiuntive, in particolare sul campo nomadi in località La Barbuta a Roma.\r\nI rom che vivono nei campi in Italia sono 40 mila, un terzo dei 110-170 mila che si stima vivano in Italia (di cui quattro su dieci con meno di 14 anni). La politica dei campi è tipica dell'Italia: sin dal dopoguerra vennero istituiti questi luoghi per una popolazione che diventava sempre meno \"nomade\", complice la scomparsa dei mestieri tradizionali e la stessa legislazione italiana che vietava il nomadismo.\r\nLe condizioni di vita nelle baraccopoli legali e, in peggio, negli agglomerati abusivi sono terribili.\r\nNonostante ciò i rom e i sinti sono oggetto di pregiudizi radicati, che facilitano una persecuzione istituzionale continua.\r\nA Torino non si sono ancora sopite le polemiche per la proposta dell'ammnistrazione di centro sinistra di Borgaro di istituire un pullman separato per i rom di strada dell'earoporto, che già a Mirafiori i fascisti di Forza Nuova preparano una marcia antirom per sabato prossimo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, autore di \"A forza di essere vento\".\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nfinzi_rom","5 Novembre 2014","2014-11-10 12:47:21","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/11/rom-022-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"209\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/11/rom-022-300x209.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/11/rom-022-300x209.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/11/rom-022.jpg 500w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Rom. 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[audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2011/04/26aprile_margherita_roma.mp3\"] Scarica il file \n\t22/04/2011 Il ruolo delle donne nella Resistenza partigiana. Le storie delle donne che hanno partecipato alla resistenza. La Resistenza come primo passaggio verso un processo di presa di coscienza e liberazione femminile. L'approfondimento con Cristiana di MeDeA. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/cristiana_medea.mp3\"] Scarica file\n\n\t21/04/2011 L'oro a 1500 dollari all'oncia: tra tumulti in Medio Oriente, investimenti cinesi negli Usa e il debito dei paesi Europei. Ne parliamo con l'economista Andrea Fumagalli.[audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/21aprile_fumagalli_oro.mp3\"] Scarica il file \n\t21/4/2011 \"Peggio degli scafisti\": questo il commento del presidente dell'Unione degli Industriali alla sentenza Thyssen Krupp: ne parliamo con Sergio Bonetto, avvocato di parte civile al processo Thyssen. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/21aprile_thyssen.mp3\"] Scarica il file \n\t19/04/2011 Milano. La minaccia di sfratto del Circolo dei Malfattori, ma anche un resoconto su sgomberi e occupazioni negli ultimi giorni nel capoluogo lombardo. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/19aprile_sfratto_malfatto.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t19/04/2011 Nicoletta di Radio No Tav, per un resoconto sui processi in corso contro due sindaci della Val di Susa e contro tutto il movimento di opposizione all'Alta Velocità, ma anche per non dimenticare i momenti di lotta degli ultimi anni e le violenze più volte subite dai manifestanti. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/19aprile_notav.mp3\"] Scarica il file \n\n\n\t19/04/2011 Presidio antisfratto dello Sportello per il Diritto alla Casa di Zona San Paolo, Torino. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/19aprile_sfratto_sanpaolo.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t12/04/2011 Renato del Movimento per l'Alternativa al Nucleare, parlando dell'incontro tenutosi ieri al Politecnico, ma anche del referendum del 12 e 13 giugno e dei prossimi appuntamenti di lotta e mobilitazione. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/12aprile_renato_nonuke.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t12/04/2011 Monza. La riappropriazione dello spazio sociale occupato Boccaccio, dopo lo sgombero del 2008. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/12aprile_boccaccio_monza.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t12/04/2011 Una diretta con Gabriele Del Grande, ideatore del blog http://fortresseurope.blogspot.com/, che racconta quello che ha visto durante il suo viaggio attraverso il mediterraneo, dalla Libia e dalla Tunisia verso le coste italiane. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/12aprile_delgrande_libialampedusa.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\n\t8/04/2011 Bologna: Atlantide sotto sgombero. Uno spazio irrinunciabile per la cittadinanza gay, lesbica, trans, queer, femminista e un riferimento per autoproduzioni culturali indipendenti, a Bologna e in Italia che rischia di chiudere a causa di una giunta commissariata per cui gli spazi sociali sono solo un problema di ordine pubblico di cui sbarazzarsi in fretta. La corrispondenza con Venere del Collettivo femminista e lesbico Clitoristrix. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/venere_atlantide.mp3\"] Scarica file\n\n \n\n\t8/04/2011 A vent'anni dalla tragedia livornese della Mobyprince, in seguito alla quale morirono 140 persone, un approfondimento e la presentazione dell'iniziaitva per la commemorazione che sembra non trovare spazio nel porto di Livorno con Loris Rispoli del Comitato 140 - famigliari delle vittime della Mobyprince. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/loris_mobyprince.mp3\"] Scarica file \n\n\n\n\t6/04/2011 Le dimissioni di Geronzi dal comando delle Generali e i retroscena politico-economici: ne parliamo con Andrea Fumagalli, economista. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/7aprile_geronzi_fumagalli.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t5/04/2011 L'Egitto del dopo-Mubarak. La presa del potere da parte dell'esercito e la repressione continua della rivoluzione di piazza Tarhir e di ogni forma di dissenso. Un resoconto di Philip, giovane media-attivista tedesco che ha visitato il paese negli ultimi giorni. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_egitto.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\n\t5/04/2011 Torino. Un resoconto sulla prima settimana dall'occupazione in via Revello 34bis di uno stabile abbandonato per dare una casa a Peppe, in seguito allo sfratto eseguito ai suoi danni con i manganelli della celere all'alba di martedì scorso. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_viarevello.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t5/04/2011 Manduria (Taranto). Un racconto sulle condizioni dei migranti tunisini dentro e fuori la tendopoli allestita dal governo italiano per la loro \"accoglienza\", dalla voce di Marica del Gruppo No Cie di Brindisi. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_manduria.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t5/04/2011 Lampedusa. Un resoconto sugli ultimi giorni di sbarchi e partenze dall'isola siciliana dalla viva voce del blogger e attivista Karim Metref (http://karim-metref.over-blog.org/). [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_lampedusa.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t1/04/2011 Lettera del Movimento No Tav agli artigiani e agli imprenditori della Valsusa, in questi ultimi mesi corteggiati all'inverosimile da parte dei promotori della Torino Lione. Si vuole così lanciare una campagna per sensibilizzare tutti gli operatori economici sulle falsità che in questi anni si sono dette e si continuano a dire sul progetto TAV e sulle sue ricadute economiche e occupazionali locali da parte dei politici e dei proponenti l'opera. La corrispondenza con Francesco del Comitato di lotta popolare NoTav di Bussoleno. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/francesco_lettera_movimento_notav.mp3\"] Scarica file\n\n\n\t1/04/2011 Rimpatri e trasferimenti dei migranti approdati a Lampedusa. I cie sono talmente pieni che il governo predispone delle tendopoli in alcune città italiane. La diretta di Marica del Comitato NoCie di Brindisi, sulla situazione del Cie di Restinco e la neo-nata tendopoli di Manduria. 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[audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/21aprile_thyssen.mp3\"] Scarica il file \n\t19/04/2011 Milano. La minaccia di sfratto del Circolo dei Malfattori, ma anche un resoconto su sgomberi e occupazioni negli ultimi giorni nel capoluogo lombardo. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/19aprile_sfratto_malfatto.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t19/04/2011 Nicoletta di Radio No Tav, per un resoconto sui processi in corso contro due sindaci della Val di Susa e contro tutto il movimento di opposizione all'Alta Velocità, ma anche per non dimenticare i momenti di lotta degli ultimi anni e le violenze più volte subite dai manifestanti. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/19aprile_notav.mp3\"] Scarica il file \n\n\n\t19/04/2011 Presidio antisfratto dello Sportello per il Diritto alla Casa di Zona San Paolo, Torino. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/19aprile_sfratto_sanpaolo.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t12/04/2011 Renato del Movimento per l'Alternativa \u003Cmark>al\u003C/mark> Nucleare, parlando dell'incontro tenutosi ieri \u003Cmark>al\u003C/mark> Politecnico, ma anche del referendum del 12 e 13 giugno e dei prossimi appuntamenti di lotta e mobilitazione. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/12aprile_renato_nonuke.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t12/04/2011 Monza. La riappropriazione dello spazio sociale occupato Boccaccio, dopo lo sgombero del 2008. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/12aprile_boccaccio_monza.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t12/04/2011 Una diretta con Gabriele Del Grande, ideatore del blog http://fortresseurope.blogspot.com/, che racconta quello che ha visto durante il suo viaggio attraverso il mediterraneo, dalla Libia e dalla Tunisia verso le coste italiane. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/12aprile_delgrande_libialampedusa.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\n\t8/04/2011 Bologna: Atlantide sotto sgombero. Uno spazio irrinunciabile per la cittadinanza gay, lesbica, trans, queer, femminista e un riferimento per autoproduzioni culturali indipendenti, a Bologna e in Italia che rischia di chiudere a \u003Cmark>causa\u003C/mark> di una giunta commissariata per cui gli spazi sociali sono solo un problema di ordine pubblico di cui sbarazzarsi in fretta. La corrispondenza con Venere del Collettivo femminista e lesbico Clitoristrix. 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Un resoconto di Philip, giovane media-attivista tedesco che ha visitato il paese negli ultimi giorni. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_egitto.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\n\t5/04/2011 Torino. Un resoconto sulla prima settimana dall'occupazione in via Revello 34bis di uno stabile abbandonato per dare una casa a Peppe, in seguito allo sfratto eseguito ai suoi danni con i manganelli della celere all'alba di martedì scorso. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_viarevello.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t5/04/2011 Manduria (Taranto). Un racconto sulle condizioni dei migranti tunisini dentro e fuori la tendopoli allestita dal \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> per la loro \"accoglienza\", dalla voce di Marica del Gruppo No Cie di Brindisi. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_manduria.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t5/04/2011 Lampedusa. Un resoconto sugli ultimi giorni di sbarchi e partenze dall'isola siciliana dalla viva voce del blogger e attivista Karim Metref (http://karim-metref.over-blog.org/). [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/5aprile_lampedusa.mp3\"] Scarica il file\n\n\n\t1/04/2011 Lettera del Movimento No Tav agli artigiani e agli imprenditori della Valsusa, in questi ultimi mesi corteggiati all'inverosimile da parte dei promotori della Torino Lione. Si vuole così lanciare una campagna per sensibilizzare tutti gli operatori economici sulle falsità che in questi anni si sono dette e si continuano a dire sul progetto TAV e sulle sue ricadute economiche e occupazionali locali da parte dei politici e dei proponenti l'opera. La corrispondenza con Francesco del Comitato di lotta popolare NoTav di Bussoleno. [audio mp3=\"http://radioblackout.org/files/2011/04/francesco_lettera_movimento_notav.mp3\"] Scarica file\n\n\n\t1/04/2011 Rimpatri e trasferimenti dei migranti approdati a Lampedusa. I cie sono talmente pieni che il \u003Cmark>governo\u003C/mark> predispone delle tendopoli in alcune città italiane. La diretta di Marica del Comitato NoCie di Brindisi, sulla situazione del Cie di Restinco e la neo-nata tendopoli di Manduria. 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La cifra impegnata è ridicola: per il solo servizio del debito (interessi passivi ecc.) il governo italiano paga più di ottanta miliardi l'anno, che vanno nelle tasche delle banche, dell'aristocrazia finanziaria, degli specultatori.\r\n\r\nPer dare un'idea dell'impegno del governo e dell'importanza che dà alla lotta contro la povertà, basta pensare che il solo rigassificatore offshore di Livorno, ormeggiato da anni al largo e inattivo, è costato 900 milioni di euro, più della metà del fondo stanziato per il 2018. La sollecitudine è dimostrata dal fatto che si attende il 2018 per dare attuazione ad una legge approvata nel marzo 2017. Forse il Governo spera che qualcuno nell'attesa muoia di malattie, di freddo o di fame, così da risparmiare ancora qualcosa.\r\n\r\n \r\n\r\nIn realtà, si tratta di una vittoria politica delle organizzazioni legate alla gerarchia vaticana. L'interlocutore del governo, l'Alleanza contro la povertà in Italia, nasce da un’idea di Cristiano Gori, docente all’Università Cattolica di Milano, ed è promossa grazie al contributo delle Acli. Le Acli curano il coordinamento politico-organizzativo. La partecipazione all’Alleanza è aperta a tutti i soggetti sociali interessati alla lotta contro la povertà assoluta in Italia; aderiscono al momento all'alleanza Acli, Action Aid, Anci, Azione Cattolica Italiana, Caritas Italiana, Cgil- Cisl-Uil, Cnca, Comunità di S. Egidio, Confcooperative, Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli Consiglio Nazionale Italiano – ONLUS, fio.PSD, Fondazione Banco Alimentare ONLUS, Forum Nazionale del Terzo Settore, Lega delle Autonomie, Movimento dei Focolari, Save the Children, Jesuit Social Network.\r\n\r\n \r\n\r\nSpostare la questione del reddito dal salario e dai servizi sociali all'assistenza legata al controllo sociale è una vittoria della borghesia e della interpretazione cattolica dei rapporti fra le classi sociali.\r\n\r\nDel resto, per gli sfruttati, per i ceti popolari l'azione del governo è sempre una minaccia: i fondi per la sedicente lotta alla povertà sono stati tolti ai servizi sociali, alla scuola, alla sanità: si combatte la povertà accentuandone le cause: tagli all'assistenza, alla sanità, alla scuola; tagli alle pensioni e all'occupazione. Qualsiasi cosa faccia il governo, segua una politica di austerità o di investimenti, a pagare sono sempre le classi subordinate.\r\n\r\n \r\n\r\nSe l'egemonia cattolica è evidente nella nascita e nell'organizzazione dell'Alleanza, altrettanto chiara lo è nella linea politica. Il documento costitutivo prende atto della povertà crescente, e del fatto che questa povertà non scomparirà con la fine della crisi economica. Al tempo stesso prende atto della maggiore difficoltà in cui si trovano i ceti svantaggiati, a causa dei tagli che hanno colpito le varie forme di assistenza, i servizi pubblici, la sanità, la scuola. Ma la presa d'atto del fenomeno della povertà e di alcune delle sue cause politiche e sociali non si trasforma in un'azione concreta per la rimozione di queste cause, si limita ad un'azione volta da una parte ad alleviare gli eccessi, mentre d'altra parte colpevolizza la vittima dell'impoverimento dovuto alla vittoria dei padroni nella guerra di classe degli ultimi trent'anni. L'Alleanza contro la povertà sostiene infatti che il contributo economico deve essere accompagnato da servizi alla persona, volti ad organizzare diversamente la propria vita e ad impegnarsi per uscire dalla povertà: “chi è in povertà assoluta ha diritto al sostegno pubblico e il dovere d’impegnarsi a compiere ogni azione utile a superare tale situazione”, si sostiene nel documento costitutivo dell'Alleanza.\r\n\r\n \r\n\r\nMentre gli strumenti legati alla prestazione lavorativa, come la Cassa Integrazione Guadagni o la defunta assicurazione contro la disoccupazione involontaria, non prevedono alcun impegno attivo, cioè riconoscono la non responsabilità del lavoratore nella crisi o nella disoccupazione, la colpevolizzazione del povero è il perno del reddito di inclusione, perché prevede che, oltre all'evidente stato di necessità, certificato dall'ISE, si accompagni un impegno concreto per uscire dallo stato di bisogno, seguendo un percorso elaborato dalle strutture di servizi. In questo modo si ottengono due risultati: si separa il reddito dalla prestazione lavorativa, diventa pura e semplice elargizione caritatevole; si trasforma il reddito, il ReI, in uno strumento di controllo sociale: tutti i comportamenti devianti, come l'autorganizzazione, l'azione diretta, per non parlare della partecipazione ad organizzazioni politiche o sindacali sovversive, potranno essere usati per dimostrare il non adempimento del percorso, e quindi la possibile revoca della misura economica.\r\n\r\n \r\n\r\nNe abbiamo parlato con Tiziano, autore di due approfondimenti usciti su Umanità Nova.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 09 05 reddito tiz","7 Settembre 2017","2017-09-11 11:59:43","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/povera-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"192\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/povera-300x192.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/povera-300x192.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/povera-768x491.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/povera-1024x655.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Reddito di schiavitù",1504803695,[274,275,276,277],"http://radioblackout.org/tag/alleanza-contro-la-poverta/","http://radioblackout.org/tag/governo-gentiloni/","http://radioblackout.org/tag/poverta/","http://radioblackout.org/tag/reddito-di-inclusione/",[279,280,281,282],"alleanza contro la povertà","governo gentiloni","povertà","reddito di inclusione",{"post_content":284,"tags":288},{"matched_tokens":285,"snippet":286,"value":287},[82,83],"debito (interessi passivi ecc.) il \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> paga più di ottanta miliardi","Il 29 agosto il consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che attua la legge, approvata nel marzo scorso, sul reddito di inclusione (ReI).\r\n\r\nIl presidente del consiglio Gentiloni sostiene che per la prima volta l'Italia si dota di uno strumento contro la povertà. 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L’operazione “la città possibile” era un ingranaggio ben oliato che funzionava senza intoppi. Duecento rom meritevoli di “emergere” dal campo di Lungo Stura Lazio, il più grande insediamento spontaneo d’Europa, piazzati temporaneamente in strutture di social housing, erano il fiore all’occhiello con il quale Torino si vendeva come prima città italiana ad aver cancellato la vergogna dei campi. Peccato che l’operazione, costata cinque milioni di euro del ministero dell’Interno, abbia riempito le casse di una bella cordata di cooperative ed associazioni amiche, mentre ai rom “meritevoli” ha offerto due anni sotto ad un tetto, purché si rispettino regole di comportamento che lederebbero la dignità di un bambino di tre anni.\r\n\r\nAgli altri seicento il Comune di Torino ha offerto la strada o la deportazione.\r\n\r\nDuecento tra adulti e bambini sono stati sgomberati il 26 febbraio. 150 persone sono state rastrellate mercoledì 18 marzo, portate in questura, denudate e perquisite. 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F.)\r\nTorino, 19 marzo 2015\r\nQuesta mattina all'alba doveva scattare un'ulteriore operazione di sgombero nel campo rom di Lungo Stura. L'ennesima dall'estate 2014, a poche settimane di distanza da quella del 26 febbraio, in cui oltre 100 persone sono finite in mezzo alla strada senza preavviso né alternativa abitativa, mentre le loro baracche venivano distrutte dalle ruspe della Città di Torino. A rovinare i piani istituzionali è intervenuto il ricorso presentato da cinque famiglie residenti nel campo, rappresentate dall'avvocato Gianluca Vitale, il cui successo coincide con la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo di imporre al governo italiano la sospensione immediata dello sgombero fino al 26 marzo, con la richiesta che vengano fornite informazioni in merito alla ricollocazione abitativa dei nuclei. E' la prima volta che la Corte sospende lo sgombero di un campo rom in Italia. Ad esser maliziosi vien da pensare che la Città di Torino la stia facendo davvero grossa.\r\nLe operazioni di sgombero fanno tutte parte del mega-progetto “La città possibile”, con il quale la Città di Torino fa vanto di “superare” i campi nomadi e la cui gestione è monopolio della cordata Valdocco - AIZO - Stranaidea - Liberitutti - Terra del Fuoco - Croce Rossa, cui è stato affidato un appalto dal valore di 5.193.167,26 euro stanziati dal Ministero dell'Interno, nell'assenza di alcun monitoraggio indipendente. L'implementazione di questa “buona pratica” nel campo rom “informale” più grande d'Europa, quello di Lungo Stura, dove da 15 anni vivevano oltre 1.000 persone provenienti dalla Romania, bacino di manodopera sottocosto per le economie formali ed informali della città, ha previsto l'arbitraria separazione degli abitanti del campo in “meritevoli” ed “immeritevoli”, “civilizzati” e “barbari”, “adatti” ed “inadatti” ad una condizione abitativa autonoma e dignitosa. Ai primi – appena 250 persone a fine gennaio 2015 - l'offerta di una casa temporanea o la collocazione in sistemazioni di housing sociale a metà tra la caserma e l'asilo, o ancora il rimpatrio “volontario” in Romania; ai secondi – ben oltre 600 persone - lo sgombero forzato senza alternativa abitativa da portare a termine entro il 31 marzo, appena sospeso dalla CEDU dopo che oltre 100 persone ne sono già state oggetto.\r\n\r\nNel frattempo, dopo la retata della polizia di mercoledì mattina, una ventina di persone del campo si ritrovano oggi con in mano un foglio di via che intima loro di lasciare l'Italia entro 30 giorni, come è successo a decine di altri nel corso dell'ultimo anno. Due persone sono invece rinchiuse nel CIE di Torino in attesa di convalida o annullamento dell'espulsione coatta.\r\n\r\nNella totale assenza di coinvolgimento delle famiglie del campo nelle fasi di elaborazione ed implementazione del progetto ed in mancanza di alcun criterio trasparente o possibilità di ricorso, la Città di Torino si è così arrogata il “diritto” al monopolio della violenza persino oltre i limiti imposti da uno stato di diritto già strutturalmente fondato sull'occultamento del conflitto di classe e sulla romofobia.\r\nAttraverso lo sgombero forzato di chi non può accedere al “libero” mercato degli affitti né alle case popolari - e si trova così costretto, dopo secoli di stanzialità, ad un nomadismo forzato attraverso cui si costruisce lo stigma “culturale” utile ad etnicizzare lo spazio politico e sociale - si sta portando avanti una violenta politica repressiva e speculativa che garantisce i profitti economici e simbolici di pochi noti, devastando la vita di molti. Nulla di nuovo rispetto alle strategie di governo del sociale che da tempo caratterizzano lo spazio metropolitano torinese, dove le politiche di “riqualificazione” urbana nelle diverse periferie vengono portate avanti tramite sfratti, sgomberi, retate e speculazioni che rispondono a precisi interessi economici. Non importa che nel campo vivano donne in stato di gravidanza, persone anziane e malate e minori frequentanti la scuola. Non importa neppure che la loro presenza invisibile dati di oltre un decennio e sia situata su un terreno decisamente poco appetibile per grandi investimenti. Dietro all'ideologia “democratica” sui cui si fonda la retorica di questo progetto di speculazione e sgombero, di cui il nome stesso - “La città possibile” - è emblema, si cela, come sempre, la materialità delle risorse e degli interessi economici che determinano forze e rapporti di forza in campo.\r\n\r\nQual è la genealogia di questo progetto milionario?\r\nChi ha partecipato alla definizione dei termini del suo “discorso”?\r\nIn quali spazi ed attraverso quali processi?\r\nQuali effetti sono stati prodotti rispetto alla creazione di “soggetti” ed “oggetti”?\r\nCon quali conseguenze nello spazio politico locale e sovra-locale?\r\nIn base a quali criteri sono state scelte le famiglie?\r\nDi che natura è lo strumento governativo definito “patto di emersione”?\r\nQuali rappresentazioni e vincoli impone all'azione ed alla vita quotidiana delle persone? Qual è la sostenibilità economica delle sistemazioni abitative per le famiglie?\r\nPerché vengono costrette alla dipendenza da associazioni e cooperative?\r\nCosa succederà alle famiglie quando finiranno i contributi agli affitti non calmierati?\r\nLo sgombero senza alternativa abitativa \"supera\" un campo per crearne altri?\r\nQuale percentuale dei 5.193.167,26 euro è stata spesa per “costi di gestione”?\r\nChi sono i proprietari degli immobili nei quali alcune famiglie sono state collocate? Quanto è costato lo sgombero manu militari del campo di Lungo Stura?\r\n\r\nQueste sono solo alcune delle domande a cui una delle principali responsabili politiche del progetto, la vicesindaco Tisi - invitata ad inaugurare un'imbarazzante conferenza sull'inclusione abitativa dei Rom, patrocinata niente meno che dalla Città di Torino proprio mentre la stessa porta avanti un'operazione di speculazione e sgombero sulla pelle dei Rom - non ha evidentemente molta voglia di rispondere. Informata della presenza di un gruppo di antirazzisti/e all'evento, ha preferito scappare, lasciando alla platea una missiva greve di retorica e compassione per i “poveri senza tetto” che ben si addice ad un'esponente di punta del PD torinese, da anni al governo della capitale italiana degli sfratti. Una conferenza tenutasi a pochi chilometri dal campo rom di Lungo Stura - dove centinaia di persone vivono nell'incertezza radicale rispetto al loro presente e sotto la costante minaccia della violenza poliziesca - in cui non si è percepita in alcun modo la materialità dei processi di speculazione, repressione e ricatto in atto, né la sofferenza dei soggetti che subiscono quotidianamente gli effetti di queste politiche “virtuose” con cui la Città di Torino pensa di farsi pubblicità; una conferenza in cui gli unici assenti erano proprio questi soggetti, ai quali i “ricercatori critici” hanno pensato bene di concedere statuto di esistenza unicamente in qualità di “oggetti” dei discorsi e dello sguardo altrui; una conferenza dove non è stato minimamente problematizzato il nesso tra potere e sapere, ma è stata anzi offerta legittimazione alle istituzioni ed al loro operato, accogliendole come interlocutori credibili – uno sguardo al programma, ai termini del discorso ed agli sponsor in esso contenuti è sufficiente a capire quali siano le differenti “agende” che nell'iniziativa hanno trovato felice saldatura. Non vanno sprecate ulteriori parole.\r\n\r\nLa presenza degli antirazzisti/e ha portato uno squarcio di realtà e materialità in una Aula Magna dove ad un'analisi del potere politico e dei rapporti di classe nello spazio metropolitano, di cui la questione abitativa è parte, si è ancora una volta preferito il comodo sguardo culturalista sui Rom come luoghi dell'eccezione. All'ipocrita retorica della “cittadinanza” e del “diritto di parola” (comunque negato), abbiamo risposto con la presa diretta della parola. Nè “partecipanti” ad un confronto che non è mai esistito, né “portavoce” di un popolo o di qualsivoglia bandiera. Lontani dalla melmosa palude della “rappresentanza” - di cui altri sembrano invece tanto ossessionati - abbiamo usato i nostri corpi come amplificatori delle voci dell'assemblea degli abitanti del campo rom di Lungo Stura, dove si sta combattendo una guerra sociale.\r\n\r\nAssemblea Gatto Nero Gatto Rosso\r\ngattonerogattorosso@inventati.org\r\n\r\nDi seguito il testo letto in università.\r\nBasta sgomberi e speculazioni nel campo rom di lungo Stura!\r\nGiovedì 26 febbraio la polizia ha sgomberato dal campo rom di Lungo Stura 200 persone. Le loro baracche e roulottes sono state distrutte dalle ruspe del Comune di Torino senza dare alle persone neanche il tempo di mettere in salvo le proprie cose, né ai malati di recuperare i medicinali. Chi è stato sgomberato non aveva altro posto dove andare: qualcuno è fuggito in altre parti della città, altri hanno chiesto ospitalità a chi ancora vive nel campo.\r\nQuesto sgombero non è giusto.\r\nNel campo di Lungo Stura fino all'anno scorso vivevano oltre 1.000 persone. Siamo arrivati in Italia 15 anni fa e abbiamo sempre vissuto in baracche, non per scelta, ma perché non possiamo permetterci di pagare un affitto. In Romania abbiamo sempre vissuto in case, che lo Stato garantiva a tutti durante il regime di Ceaușescu, nonostante il razzismo contro i Rom esistesse anche allora. Siamo venuti in Italia perché dopo il 1989 la situazione economica è diventata molto difficile: hanno chiuso miniere, fabbriche e collettivizzazioni dove molti di noi lavoravano, mentre le attività che alcuni gruppi rom svolgevano da secoli non hanno trovato spazio nell'economia capitalista. Siamo diventati disoccupati e senza reddito.\r\nSiamo venuti in Italia per cercare lavoro e qui abbiamo visto che i Rom vivevano in campi, mentre l'accesso alle case popolari era praticamente impossibile. Il mercato degli affitti di Torino, poi, è inaccessibile per chi come noi svolge lavori sottopagati che non ci permettono nemmeno di sfamarci. Così ci siamo adattati alla situazione, che è sempre stata molto dura, perché non eravamo abituati a vivere in baracche, senza luce né acqua. Il campo di Lungo Stura si è velocemente ingrandito perché molte persone scappavano qui dopo che polizia e vigili le sgomberavano da altre zone. Prima che la Romania entrasse nell'Unione Europea i poliziotti venivano spesso nei campi, all'alba, per fare retate e spaccare tutto: ci prendevano, ci portavano in questura e spesso ci chiudevano nei CIE o ci mettevano direttamente sugli aerei per espellerci. Anche dopo che siamo diventati cittadini europei la violenza della polizia è continuata, così come il razzismo e lo sfruttamento.\r\nAbbiamo letto sui giornali che più di un anno fa il Comune di Torino ha avviato un progetto abitativo per i Rom, chiamato “La città possibile” e costato oltre 5 milioni di euro, finanziati dallo Stato italiano. Abbiamo letto che con questo progetto le istituzioni hanno detto di voler “superare” i campi nomadi. Il Comune, però, non ha organizzato nemmeno un'assemblea per parlare con noi, né alcuna rappresentanza delle famiglie è mai stata invitata alle riunioni dove sono state prese le decisioni.\r\n\r\nNessuno ci ha mai informati di come sono stati spesi i soldi, né delle caratteristiche di questo progetto.\r\n\r\nLe cooperative e le associazioni hanno chiamato alcune famiglie del campo, a cui hanno fatto firmare dei fogli con cui accettavano di distruggere le proprie baracche in cambio di una sistemazione abitativa. In questo modo, il Comune ha inserito 250 persone nel progetto: alcune in alloggio, altre in housing sociale, altre ancora sono state rimpatriate in Romania. Là però non si riesce a sopravvivere, quindi queste persone sono già tornate in Italia. Nessuno ci ha spiegato i criteri con cui queste famiglie sono state scelte. Alcune persone arrivate da poco in Italia hanno avuto la casa, altri che sono qui da 10 anni non hanno avuto niente, quindi pensiamo che ci siano stati casi di corruzione. L'unica cosa che abbiamo davvero capito è che le case sono state offerte solo per pochi mesi, al massimo due anni. Poi le famiglie dovranno pagare affitti insostenibili e se non riusciranno a farlo si ritroveranno in mezzo alla strada, a meno che le cooperative non ricevano altri soldi per continuare il progetto. Ma cosa è successo a tutte le persone rimaste fuori da “La città possibile”?\r\n\r\nLa maggior parte degli abitanti del campo di lungo Stura è stata arbitrariamente tagliata fuori dal progetto.\r\n\r\nStiamo parlando di oltre 600 persone: abbiamo ricevuto continue promesse, ma nessuna risposta concreta. Abbiamo chiesto spiegazioni sui criteri, ma nessuno ci ha voluto parlare. L'unico rapporto con Questura, Comune, associazioni e cooperative era che venivano a censirci e a farci domande in continuazione. Poi arrivava la polizia a darci il foglio di via. Ogni due settimane mandavano i poliziotti nel campo con cani, scudi e manganelli, per fare le retate, prendere le persone e mandarle via dall'Italia, con qualunque pretesto. Ad una signora hanno dato il foglio di via perchè aveva acceso la stufa per scaldare la baracca. La Croce Rossa invece veniva a prendere nota delle baracche vuote, per farle spaccare, quando la gente non era in casa, dopo le 9 del mattino.\r\nIl 26 febbraio la polizia ha sgomberato 200 di noi, senza offrire nessuna alternativa abitativa. Ora nel campo siamo ancora oltre 400 persone ed ogni giorno viviamo con la paura di essere buttati in mezzo alla strada. A nessuno interessa che nel campo vivano donne incinte, persone anziane e molte persone malate. A nessuno interessa che, a causa dello sgombero, i nostri bambini e bambine non abbiano più la possibilità di andare a scuola e così perdano l'anno scolastico. L'unica cosa che interessa è spaccare le nostre baracche.\r\n\r\nViviamo come topi, se non abbiamo diritto nemmeno ad una baracca, allora tanto vale che veniate a spararci.\r\n\r\nI campi rom non li abbiamo creati noi, li hanno creati le istituzioni italiane decine di anni fa. Quanti soldi hanno guadagnato in tutti questi anni, sulla pelle dei Rom, associazioni e cooperative cui il Comune di Torino ha dato appalti di ogni genere per “gestire” i campi e chi è costretto a viverci? Quanti soldi hanno guadagnato nell'ultimo anno Valdocco, Terra del Fuoco, AIZO, Stranaidea, Liberitutti e Croce Rossa, con il progetto “La città possibile” che è costato più di 5 milioni di euro? Questi soldi non vengono spesi a favore dei Rom ed infatti la nostra situazione non è affatto migliorata in tutti questi anni. 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E ti accorgi che l’orrore vero è quello di tanti giorni all’alba, tra lampeggianti, antisommossa e vigili urbani con il manganello e i guanti.\r\n\r\nNei giorni successivi i quotidiani hanno dato ampio risalto alla notizia dello stop momentaneo imposto dalla corte dei diritti dell’uomo, concedendo ampia facoltà di replica sia a Tisi, sia a Borgna, il pubblico ministero che lo scorso maggio aveva posto sotto sequestro l’area.\r\nNeanche una riga è stata concessa \u003Cmark>al\u003C/mark> documento dell’assemblea degli abitanti del campo. Anarres ne ha parlato con Cecilia di Gattorosso Gattonero.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\nUnknown\r\n\r\nDi seguito il comunicato di Gatto Rosso Gatto Nero:\r\n«È sempre possibile dire il vero nello spazio di una esteriorità selvaggia; ma non si è nel vero se non ottemperando alle regole di una ‘polizia’ discorsiva che si deve riattivare in ciascuno dei suoi discorsi. » (M. F.)\r\nTorino, 19 marzo 2015\r\nQuesta mattina all'alba doveva scattare un'ulteriore operazione di sgombero nel campo rom di Lungo Stura. L'ennesima dall'estate 2014, a poche settimane di distanza da quella del 26 febbraio, in cui oltre 100 persone sono finite in mezzo alla strada senza preavviso né alternativa abitativa, mentre le loro baracche venivano distrutte dalle ruspe della Città di Torino. A rovinare i piani istituzionali è intervenuto il ricorso presentato da cinque famiglie residenti nel campo, rappresentate dall'avvocato Gianluca Vitale, il cui successo coincide con la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo di imporre \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> la sospensione immediata dello sgombero fino \u003Cmark>al\u003C/mark> 26 marzo, con la richiesta che vengano fornite informazioni in merito alla ricollocazione abitativa dei nuclei. E' la prima volta che la Corte sospende lo sgombero di un campo rom in Italia. Ad esser maliziosi vien da pensare che la Città di Torino la stia facendo davvero grossa.\r\nLe operazioni di sgombero fanno tutte parte del mega-progetto “La città possibile”, con il quale la Città di Torino fa vanto di “superare” i campi nomadi e la cui gestione è monopolio della cordata Valdocco - AIZO - Stranaidea - Liberitutti - Terra del Fuoco - Croce Rossa, cui è stato affidato un appalto dal valore di 5.193.167,26 euro stanziati dal Ministero dell'Interno, nell'assenza di alcun monitoraggio indipendente. L'implementazione di questa “buona pratica” nel campo rom “informale” più grande d'Europa, quello di Lungo Stura, dove da 15 anni vivevano oltre 1.000 persone provenienti dalla Romania, bacino di manodopera sottocosto per le economie formali ed informali della città, ha previsto l'arbitraria separazione degli abitanti del campo in “meritevoli” ed “immeritevoli”, “civilizzati” e “barbari”, “adatti” ed “inadatti” ad una condizione abitativa autonoma e dignitosa. Ai primi – appena 250 persone a fine gennaio 2015 - l'offerta di una casa temporanea o la collocazione in sistemazioni di housing sociale a metà tra la caserma e l'asilo, o ancora il rimpatrio “volontario” in Romania; ai secondi – ben oltre 600 persone - lo sgombero forzato senza alternativa abitativa da portare a termine entro il 31 marzo, appena sospeso dalla CEDU dopo che oltre 100 persone ne sono già state oggetto.\r\n\r\nNel frattempo, dopo la retata della polizia di mercoledì mattina, una ventina di persone del campo si ritrovano oggi con in mano un foglio di via che intima loro di lasciare l'Italia entro 30 giorni, come è successo a decine di altri nel corso dell'ultimo anno. Due persone sono invece rinchiuse nel CIE di Torino in attesa di convalida o annullamento dell'espulsione coatta.\r\n\r\nNella totale assenza di coinvolgimento delle famiglie del campo nelle fasi di elaborazione ed implementazione del progetto ed in mancanza di alcun criterio trasparente o possibilità di ricorso, la Città di Torino si è così arrogata il “diritto” \u003Cmark>al\u003C/mark> monopolio della violenza persino oltre i limiti imposti da uno stato di diritto già strutturalmente fondato sull'occultamento del conflitto di classe e sulla romofobia.\r\nAttraverso lo sgombero forzato di chi non può accedere \u003Cmark>al\u003C/mark> “libero” mercato degli affitti né alle case popolari - e si trova così costretto, dopo secoli di stanzialità, ad un nomadismo forzato attraverso cui si costruisce lo stigma “culturale” utile ad etnicizzare lo spazio politico e sociale - si sta portando avanti una violenta politica repressiva e speculativa che garantisce i profitti economici e simbolici di pochi noti, devastando la vita di molti. Nulla di nuovo rispetto alle strategie di \u003Cmark>governo\u003C/mark> del sociale che da tempo caratterizzano lo spazio metropolitano torinese, dove le politiche di “riqualificazione” urbana nelle diverse periferie vengono portate avanti tramite sfratti, sgomberi, retate e speculazioni che rispondono a precisi interessi economici. Non importa che nel campo vivano donne in stato di gravidanza, persone anziane e malate e minori frequentanti la scuola. Non importa neppure che la loro presenza invisibile dati di oltre un decennio e sia situata su un terreno decisamente poco appetibile per grandi investimenti. Dietro all'ideologia “democratica” sui cui si fonda la retorica di questo progetto di speculazione e sgombero, di cui il nome stesso - “La città possibile” - è emblema, si cela, come sempre, la materialità delle risorse e degli interessi economici che determinano forze e rapporti di forza in campo.\r\n\r\nQual è la genealogia di questo progetto milionario?\r\nChi ha partecipato alla definizione dei termini del suo “discorso”?\r\nIn quali spazi ed attraverso quali processi?\r\nQuali effetti sono stati prodotti rispetto alla creazione di “soggetti” ed “oggetti”?\r\nCon quali conseguenze nello spazio politico locale e sovra-locale?\r\nIn base a quali criteri sono state scelte le famiglie?\r\nDi che natura è lo strumento governativo definito “patto di emersione”?\r\nQuali rappresentazioni e vincoli impone all'azione ed alla vita quotidiana delle persone? Qual è la sostenibilità economica delle sistemazioni abitative per le famiglie?\r\nPerché vengono costrette alla dipendenza da associazioni e cooperative?\r\nCosa succederà alle famiglie quando finiranno i contributi agli affitti non calmierati?\r\nLo sgombero senza alternativa abitativa \"supera\" un campo per crearne altri?\r\nQuale percentuale dei 5.193.167,26 euro è stata spesa per “costi di gestione”?\r\nChi sono i proprietari degli immobili nei quali alcune famiglie sono state collocate? Quanto è costato lo sgombero manu militari del campo di Lungo Stura?\r\n\r\nQueste sono solo alcune delle domande a cui una delle principali responsabili politiche del progetto, la vicesindaco Tisi - invitata ad inaugurare un'imbarazzante conferenza sull'inclusione abitativa dei Rom, patrocinata niente meno che dalla Città di Torino proprio mentre la stessa porta avanti un'operazione di speculazione e sgombero sulla pelle dei Rom - non ha evidentemente molta voglia di rispondere. Informata della presenza di un gruppo di antirazzisti/e all'evento, ha preferito scappare, lasciando alla platea una missiva greve di retorica e compassione per i “poveri senza tetto” che ben si addice ad un'esponente di punta del PD torinese, da anni \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> della capitale italiana degli sfratti. Una conferenza tenutasi a pochi chilometri dal campo rom di Lungo Stura - dove centinaia di persone vivono nell'incertezza radicale rispetto \u003Cmark>al\u003C/mark> loro presente e sotto la costante minaccia della violenza poliziesca - in cui non si è percepita in alcun modo la materialità dei processi di speculazione, repressione e ricatto in atto, né la sofferenza dei soggetti che subiscono quotidianamente gli effetti di queste politiche “virtuose” con cui la Città di Torino pensa di farsi pubblicità; una conferenza in cui gli unici assenti erano proprio questi soggetti, ai quali i “ricercatori critici” hanno pensato bene di concedere statuto di esistenza unicamente in qualità di “oggetti” dei discorsi e dello sguardo altrui; una conferenza dove non è stato minimamente problematizzato il nesso tra potere e sapere, ma è stata anzi offerta legittimazione alle istituzioni ed \u003Cmark>al\u003C/mark> loro operato, accogliendole come interlocutori credibili – uno sguardo \u003Cmark>al\u003C/mark> programma, ai termini del discorso ed agli sponsor in esso contenuti è sufficiente a capire quali siano le differenti “agende” che nell'iniziativa hanno trovato felice saldatura. Non vanno sprecate ulteriori parole.\r\n\r\nLa presenza degli antirazzisti/e ha portato uno squarcio di realtà e materialità in una Aula Magna dove ad un'analisi del potere politico e dei rapporti di classe nello spazio metropolitano, di cui la questione abitativa è parte, si è ancora una volta preferito il comodo sguardo culturalista sui Rom come luoghi dell'eccezione. All'ipocrita retorica della “cittadinanza” e del “diritto di parola” (comunque negato), abbiamo risposto con la presa diretta della parola. Nè “partecipanti” ad un confronto che non è mai esistito, né “portavoce” di un popolo o di qualsivoglia bandiera. Lontani dalla melmosa palude della “rappresentanza” - di cui altri sembrano invece tanto ossessionati - abbiamo usato i nostri corpi come amplificatori delle voci dell'assemblea degli abitanti del campo rom di Lungo Stura, dove si sta combattendo una guerra sociale.\r\n\r\nAssemblea Gatto Nero Gatto Rosso\r\ngattonerogattorosso@inventati.org\r\n\r\nDi seguito il testo letto in università.\r\nBasta sgomberi e speculazioni nel campo rom di lungo Stura!\r\nGiovedì 26 febbraio la polizia ha sgomberato dal campo rom di Lungo Stura 200 persone. Le loro baracche e roulottes sono state distrutte dalle ruspe del Comune di Torino senza dare alle persone neanche il tempo di mettere in salvo le proprie cose, né ai malati di recuperare i medicinali. Chi è stato sgomberato non aveva altro posto dove andare: qualcuno è fuggito in altre parti della città, altri hanno chiesto ospitalità a chi ancora vive nel campo.\r\nQuesto sgombero non è giusto.\r\nNel campo di Lungo Stura fino all'anno scorso vivevano oltre 1.000 persone. Siamo arrivati in Italia 15 anni fa e abbiamo sempre vissuto in baracche, non per scelta, ma perché non possiamo permetterci di pagare un affitto. In Romania abbiamo sempre vissuto in case, che lo Stato garantiva a tutti durante il regime di Ceaușescu, nonostante il razzismo contro i Rom esistesse anche allora. Siamo venuti in Italia perché dopo il 1989 la situazione economica è diventata molto difficile: hanno chiuso miniere, fabbriche e collettivizzazioni dove molti di noi lavoravano, mentre le attività che alcuni gruppi rom svolgevano da secoli non hanno trovato spazio nell'economia capitalista. Siamo diventati disoccupati e senza reddito.\r\nSiamo venuti in Italia per cercare lavoro e qui abbiamo visto che i Rom vivevano in campi, mentre l'accesso alle case popolari era praticamente impossibile. Il mercato degli affitti di Torino, poi, è inaccessibile per chi come noi svolge lavori sottopagati che non ci permettono nemmeno di sfamarci. Così ci siamo adattati alla situazione, che è sempre stata molto dura, perché non eravamo abituati a vivere in baracche, senza luce né acqua. Il campo di Lungo Stura si è velocemente ingrandito perché molte persone scappavano qui dopo che polizia e vigili le sgomberavano da altre zone. Prima che la Romania entrasse nell'Unione Europea i poliziotti venivano spesso nei campi, all'alba, per fare retate e spaccare tutto: ci prendevano, ci portavano in questura e spesso ci chiudevano nei CIE o ci mettevano direttamente sugli aerei per espellerci. Anche dopo che siamo diventati cittadini europei la violenza della polizia è continuata, così come il razzismo e lo sfruttamento.\r\nAbbiamo letto sui giornali che più di un anno fa il Comune di Torino ha avviato un progetto abitativo per i Rom, chiamato “La città possibile” e costato oltre 5 milioni di euro, finanziati dallo Stato \u003Cmark>italiano\u003C/mark>. Abbiamo letto che con questo progetto le istituzioni hanno detto di voler “superare” i campi nomadi. Il Comune, però, non ha organizzato nemmeno un'assemblea per parlare con noi, né alcuna rappresentanza delle famiglie è mai stata invitata alle riunioni dove sono state prese le decisioni.\r\n\r\nNessuno ci ha mai informati di come sono stati spesi i soldi, né delle caratteristiche di questo progetto.\r\n\r\nLe cooperative e le associazioni hanno chiamato alcune famiglie del campo, a cui hanno fatto firmare dei fogli con cui accettavano di distruggere le proprie baracche in cambio di una sistemazione abitativa. In questo modo, il Comune ha inserito 250 persone nel progetto: alcune in alloggio, altre in housing sociale, altre ancora sono state rimpatriate in Romania. Là però non si riesce a sopravvivere, quindi queste persone sono già tornate in Italia. Nessuno ci ha spiegato i criteri con cui queste famiglie sono state scelte. Alcune persone arrivate da poco in Italia hanno avuto la casa, altri che sono qui da 10 anni non hanno avuto niente, quindi pensiamo che ci siano stati casi di corruzione. L'unica cosa che abbiamo davvero capito è che le case sono state offerte solo per pochi mesi, \u003Cmark>al\u003C/mark> massimo due anni. Poi le famiglie dovranno pagare affitti insostenibili e se non riusciranno a farlo si ritroveranno in mezzo alla strada, a meno che le cooperative non ricevano altri soldi per continuare il progetto. Ma cosa è successo a tutte le persone rimaste fuori da “La città possibile”?\r\n\r\nLa maggior parte degli abitanti del campo di lungo Stura è stata arbitrariamente tagliata fuori dal progetto.\r\n\r\nStiamo parlando di oltre 600 persone: abbiamo ricevuto continue promesse, ma nessuna risposta concreta. Abbiamo chiesto spiegazioni sui criteri, ma nessuno ci ha voluto parlare. L'unico rapporto con Questura, Comune, associazioni e cooperative era che venivano a censirci e a farci domande in continuazione. Poi arrivava la polizia a darci il foglio di via. Ogni due settimane mandavano i poliziotti nel campo con cani, scudi e manganelli, per fare le retate, prendere le persone e mandarle via dall'Italia, con qualunque pretesto. Ad una signora hanno dato il foglio di via perchè aveva acceso la stufa per scaldare la baracca. La Croce Rossa invece veniva a prendere nota delle baracche vuote, per farle spaccare, quando la gente non era in casa, dopo le 9 del mattino.\r\nIl 26 febbraio la polizia ha sgomberato 200 di noi, senza offrire nessuna alternativa abitativa. Ora nel campo siamo ancora oltre 400 persone ed ogni giorno viviamo con la paura di essere buttati in mezzo alla strada. A nessuno interessa che nel campo vivano donne incinte, persone anziane e molte persone malate. A nessuno interessa che, a \u003Cmark>causa\u003C/mark> dello sgombero, i nostri bambini e bambine non abbiano più la possibilità di andare a scuola e così perdano l'anno scolastico. L'unica cosa che interessa è spaccare le nostre baracche.\r\n\r\nViviamo come topi, se non abbiamo diritto nemmeno ad una baracca, allora tanto vale che veniate a spararci.\r\n\r\nI campi rom non li abbiamo creati noi, li hanno creati le istituzioni italiane decine di anni fa. Quanti soldi hanno guadagnato in tutti questi anni, sulla pelle dei Rom, associazioni e cooperative cui il Comune di Torino ha dato appalti di ogni genere per “gestire” i campi e chi è costretto a viverci? Quanti soldi hanno guadagnato nell'ultimo anno Valdocco, Terra del Fuoco, AIZO, Stranaidea, Liberitutti e Croce Rossa, con il progetto “La città possibile” che è costato più di 5 milioni di euro? Questi soldi non vengono spesi a favore dei Rom ed infatti la nostra situazione non è affatto migliorata in tutti questi anni. Dobbiamo chiederci chi realmente ci guadagna da tutti questi progetti “eccezionali”, che oltretutto rinforzano l'idea che noi Rom non facciamo parte di una comune umanità e fomentano il razzismo.\r\n\r\nNel campo oggi vivono oltre 400 persone, di cui metà sono minori.\r\nNegli ultimi giorni a qualcuno è stato promesso di entrare nel progetto: questa logica di divisione e ricatto deve finire!\r\nTutti/e devono poter di vivere in case o luoghi dignitosi e sicuri.\r\nNessuno deve essere buttato in mezzo alla strada.\r\nI minori devono poter frequentare la scuola e terminare l'anno.\r\nBasta sgomberi e speculazioni sulla nostra pelle!\r\nTorino, 15 marzo 2015\r\nAssemblea abitanti del campo di Lungo Stura Lazio\r\n\r\n ",[386],{"field":118,"matched_tokens":387,"snippet":383,"value":384},[81,82,83],{"best_field_score":160,"best_field_weight":161,"fields_matched":31,"num_tokens_dropped":49,"score":162,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":49},{"document":390,"highlight":402,"highlights":407,"text_match":410,"text_match_info":411},{"comment_count":49,"id":391,"is_sticky":49,"permalink":392,"podcastfilter":393,"post_author":319,"post_content":394,"post_date":395,"post_excerpt":55,"post_id":391,"post_modified":396,"post_thumbnail":397,"post_title":398,"post_type":371,"sort_by_date":399,"tag_links":400,"tags":401},"62208","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-3-luglio-i-ribelli-delladriatico-lanarchia-nella-bufera-del-terzo-millennio-ritorno-alla-normalita-tra-grandi-opere-e-spesa-di-guerra/",[319],"Come ogni venerdì abbiamo fatto il nostro viaggio settimanale su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.\r\n\r\nAscolta e diffondi l’escopost:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/07/2020-07-03-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nI ribelli dell’Adriatico. Sono passati 100 anni, ma ben pochi conoscono questa vicenda.\r\nEra il giugno del 1920. Il Primo conflitto mondiale è terminato da due anni, ma navi da guerra della Marina militare italiana sparano cannonate sulle due sponde dell'Adriatico.\r\nDavanti a Valona bombardano le posizioni degli insorti albanesi che stanno assediando la città per mettere fine all'occupazione coloniale italiana. Ad Ancona, invece, tirano granate sul popolo insorto a fianco dei bersaglieri che si rifiutano d'essere mandati a Valona.\r\nLa stampa borghese parla di \"moti anarchisti\", ma nonostante il lavoro di agitazione contro il militarismo svolto, sin dai tempi della guerra di Libia, dagli anarchici, dai sindacalisti rivoluzionari dell'USI e dai socialisti \"disfattisti\", la rivolta armata di Ancona - largamente spontanea - sorprende tutti e sarà uno dei momenti di più alta conflittualità del cosiddetto Biennio rosso.\r\nLa repressione statale ad Ancona causa oltre trenta vittime proletarie, ma il governo italiano è costretto a ritirare le truppe dall'Albania.\r\nCe ne ha parlato Marco Rossi, autore, con Luigi Balsamini de “I ribelli dell’Adriatico - L'insurrezione di Valona e la rivolta di Ancona del 1920, appena uscito per i tipi di Zero in Condotta. \r\n\r\nIl tempo sospeso. 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In strada per frocizzare le strade della città, riportando il pride su un piano critico di lotta all’esistente, e in particolare ai sistemi di potere e alle loro gerarchie: il patriarcato, l’etero-cis-sessualità obbligatoria, il capitalismo, il (neo)colonialismo, il fascismo, il machismo, l’abilismo, lo specismo, l’ageismo, la sessuofobia, la religione e molti altri.\r\nSabato 11 luglio – ore 16 – piazza Castello – Liber* e mostr*\r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nTutti i giorni\r\nappuntamento No Tav alle 18\r\nai campi sportivi di Giaglione per portare sostegno \u003Cmark>al\u003C/mark> presidio permanente dei Mulini di Clarea sotto assedio\r\n\r\nSabato 11 luglio\r\nFree(k) Pride – Frocial Mass\r\nore 16 in piazza Castello\r\n\r\nVenerdì 24 luglio\r\nore 16 presidio\r\nvia Po 16 \r\nRitorno alla normalità? 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Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 20\r\nFB https://www.facebook.com/Wild.C.A.T.anarcofem/\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46 – riunioni ogni martedì alle 21\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – https://www.facebook.com/senzafrontiere.to/\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org",[408],{"field":118,"matched_tokens":409,"snippet":405,"value":406},[88,82,83],2312642367108153300,{"best_field_score":412,"best_field_weight":161,"fields_matched":31,"num_tokens_dropped":49,"score":413,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":49},"3319998971904","2312642367108153457",{"document":415,"highlight":429,"highlights":437,"text_match":306,"text_match_info":442},{"comment_count":49,"id":416,"is_sticky":49,"permalink":417,"podcastfilter":418,"post_author":319,"post_content":419,"post_date":420,"post_excerpt":55,"post_id":416,"post_modified":421,"post_thumbnail":422,"post_title":423,"post_type":371,"sort_by_date":424,"tag_links":425,"tags":427},"37456","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-23-settembre-megalopoli-gentrification-resistenza-popolare-e-architettura-rojava-retate-al-campo-rom-casa-pound-non-sbarca-in-barriera-bayer-assorbe-monsanto/",[319],"Anarres del 23 settembre: megalopoli, gentrification, resistenza popolare e architettura; Rojava; retate al campo rom; casa Pound non sbarca in Barriera, Bayer assorbe Monsanto\r\n\r\nAscolta il podcast della puntata:\r\n\r\n2016-09-23-anarres1\r\n\r\n2016-09-23-anarres2\r\n\r\nNel nostro viaggio su Anarres – il pianeta delle utopie concrete questa settimana siamo approdati a...\r\n\r\nAbbiamo preso spunto dall'ultima, anomala, Biennale di architettura di Venezia per parlare di gentrification, megaprogetti, resistenza popolare e architettura.\r\nCi ha guidato in questo viaggio tra Europa, Sud America e Africa, Franco Buncuga, anarchico, architetto, collaboratore della rivista ApArte per la quale ha realizzato un articolo sulla Biennale.\r\n\r\nRojava – il corteo del 24 settembre a Roma: il comunicato della cdc della fai, l’appello di un combattente italiano.\r\n\r\nAppendino come Fassino: retate, arresti e fogli di via al campo rom di via Germagnano\r\n\r\nCasa Pound non sbarca in Barriera. Venerdì 23 un lungo assedio alle poche decine di fascisti radunatisi in via Baltea, la solidarietà degli abitanti, l'assenza di sostegno nel quartiere, che invece hanno riempito il giardinetto di corso Palermo angolo via Sesia, hanno decretato il flop dell'iniziativa fascista. \r\nBayer compra Monsanto: nasce il nuovo megamostro della chimica.\r\nNe abbiamo discusso con Marco Tafel\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nVenerdì 30 settembre\r\nore 21 – corso Palermo 46\r\npresentazione del libro di Alessio Lega “BAKUNIN, IL DEMONE DELLA RIVOLTA\r\nTra insurrezioni, complotti e galere i tumulti, le contraddizioni e l'incontenibile passione rivoluzionaria dell'anarchico russo” \r\nMichail Bakunin (1814-1876), nato nobile e morto in miseria, attraversa impetuosamente il suo secolo in nome di un'idea esagerata di libertà che sconvolge l'immaginario politico europeo. Pensatore rivoluzionario che tempra le sue idee nel fuoco dell'azione, accorre in difesa delle barricate di mezza Europa, collezionando condanne a morte in vari imperi e sopravvivendo a carcerazioni durissime. Deportato in Siberia, scappa – su slitte, cavalli, treni e velieri – per tornare lì dove la rivoluzione lo chiama: in un'Europa in ebollizione in cui lo aspettano altre barricate e altre insurrezioni. Vinto ma non domato, muore usurato da una vita segnata da mille sfide mentre – irresistibilmente – sta progettando nuove rivoluzioni e nuovi mondi.\r\nSabato 1 ottobre \r\nal Balon – via Andreis angolo via Borgodora (se piove in piazza della Repubblica sotto la tettoia dei casalinghi)\r\nore 10,30 – 13,30\r\nPresidio contro tutte le frontiere \r\nGiovedì 6 ottobre \r\nore 17,30\r\nai giardinetti di corso Palermo angolo via Sesia – punto info su guerra sociale e lotte nelle periferie, apericena benefit lotte sociali\r\nDocumenti\r\nComunicato-appello da parte di uno degli italiani unitosi allo YPG, scritto in occasione del corteo nazionale del 24 settembre a Roma. \r\nCiao a tutti e tutte, sono uno degli italiani che si sono uniti allo YPG, unità di difesa del popolo del Rojava. Non sono il primo e non sarò l'ultimo, in Rojava la solidarietà internazionale é molto forte e sono centinaia le persone che arrivano da ogni parte del mondo per far parte di questa rivoluzione. Siamo a conoscenza del corteo nazionale del 24 Settembre che si terrà a Roma e ciò non può che farci felici e darci sostegno e forza nel continuare a lottare.\r\nNelle ultime settimane sui giornali siamo stati chiamati terroristi, è stato detto che comunisti e anarchici vanno ad addestrarsi in Siria, vorrei dire ai giornalisti ed ai politici che si riempiono la bocca di belle parole, che questa rivoluzione non è fatta solo da comunisti o anarchici, ma anzi da curdi, arabi, assiri, ezidi, armeni, turcommanni e da tutte quelle persone che si identificano nel confederalismo democratico. La realtà è completamente diversa da quella che viene raccontata dai giornali e dal governo, i veri terroristi sono seduti nei palazzi del potere e spostano sulla scacchiera le loro pedine, un giorno amiche, un giorno nemiche, ma quando i nodi vengono al pettine e la verità viene a galla i nemici si scoprono. l'Italia è complice di questa guerra, l'Alenia fornisce elicotteri da combattimento alla Turchia per bombardare il Bakur, l'Italia è inoltre il maggior produttore di mine al mondo ed è anche grazie all'Italia se centinaia di persone sono morte o sono rimaste gravemente ferite per colpa delle migliaia di mine disseminate dall'Isis. Grazie all'accordo di 6 miliardi di euro tra unione europea e Turchia, migliaia di persone vivono in campi profughi che sono delle vere e proprie prigioni a cielo aperto. Grazie a questi soldi ricevuti dall'unione europea la Turchia sta completando la costruzione di un muro di separazione con il Rojava, con il quale si proteggono i militari che sparano senza scrupoli su chi cerca di scappare da questa guerra; sono già decine le persone uccise lungo questo confine.\r\n\r\nL'operazione di invasione del Rojava da parte della Turchia è partita già a metà agosto con la finta invasione di Jarablus, in pratica operazione di sostegno all'Isis, che per la prima volta è retrocesso senza combattere. Successivamente la Turchia ha utilizzato questa nuova postazione per far partire l'invasione di alcuni villaggi del cantone di Efrin; e in queste settimane sono state molte le provocazioni.\r\n\r\nIl rischio di una guerra aperta tra Turchia e Rojava è sempre più alto; ora più che mai è importante sostenere il confederalismo democratico a livello internazionale facendo pressioni sui governi e sugli Stati, complici e autori di questa guerra, perchè interrompano le relazioni politiche, economiche e militari con Ankara; ora più che mai è importante chiedere l'apertura delle frontiere per far entrare aiuti alimentari e medicine, beni di prima necessità che qui mancano.\r\n\r\nE' questa la vera realtà della guerra; la lotta al terrorismo è una menzogna ed è soltanto una facciata per nascondere gli interessi di governi e industrie belliche.\r\n\r\nIl mio pensiero qui in Rojava non può che andare alle migliaia di compagni e compagne caduti o rimasti gravemente feriti per far si che questa rivoluzione sia ancora in vita e prosegua il percorso verso la libertà.\r\n\r\nSperando sempre che dai semi rivoluzionari gettati qui in Rojava un giorno possano nascere fiori in tutto il mondo.\r\nBiji Rojava biji Kurdistan. \r\nSerkeftin\r\n000000\r\nLa Commissione di Corrispondenza dellaFederazione Anarchica Italiana fa propriol’appello del Gruppo Anarchico “Carlo Cafiero” – FAI di Roma, ed invita tutte le realtà federate ad attivarsi per la più ampia partecipazione allo spezzone rosso e nero alla manifestazione del 24 settembre a Roma.\r\nIl colpo di stato in Turchia ha permesso al governo turco di imporre lo stato di emergenza, e di accrescere la repressione nei confronti dei gruppi attivi nelle lotte e dei movimenti sociali. Anche i/le nostre compagni/e anarchici/che della DAF (Devrimci Anarsist Faaliyet / Azione Rivoluzionaria Anarchica) oltra a socialisti, gruppi curdi democratici sono stati colpiti dalla stretta liberticida del governo. Il giornale Meydan è stato chiuso e tre nuove indagini sono state avviate, con la scusa di essere un’organizzazione terroristica. \r\n Nelle regioni a maggioranza curda la repressione ha assunto la forma di una guerra aperta contro la popolazione, mentre gli attivisti in carcere, fra cui Abdullah Öcalan, sono costretti in condizioni inumane.\r\n La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana, sicura di interpretare i sentimenti delle anarchiche e degli anarchici di lingua italiana, esprime la solidarietà internazionalista al popolo curdo e a tutti i popoli che vivono nelle regioni del Kurdistan, vittime dell’aggressione della Turchia, della Siria e dello Stato Islamico; esprime altresì il sostegno alla resistenza, all’autogestione dal basso ed al comunalismo, alla rivoluzione in Rojava, per il suo ulteriore sviluppo in una prospettiva libertaria; invita a mobilitarsi contro il governo italiano e le altre potenze imperialiste, grandi e piccole, dell’est e dell’ovest, che appoggiano la guerra e il progetto di annientamento del popolo curdo.\r\n000000\r\nUna Biennale d’eccezione \r\n\r\nLanciando pietre\r\n\r\nThrowing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperityi di Douglas Rushkoff se non fosse un interessante libro sugli esiti della economia digitale potrebbe essere un ottimo libro di architettura. Le pietre di cui fa cenno il titolo sono quelle che hanno gettato i residenti di alcuni quartieri di San Francisco contro i Google bus che vengono a raccogliere i dipendenti dell’omonima ditta. Attorno alle fermate dei bus dei privilegiati dell’azienda informatica gli affitti sono cresciuti in maniera talmente elevata che molti abitanti sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Una nuova forma raffinata di gentrificazioneii.\r\n\r\nRushkoff, scrittore e saggista cyberpunk e collaboratore di Timothy Leary ci descrive un mondo in cui le differenze aumentano e nel quale le promesse di maggiori opportunità e di democrazia dell’economia digitale si sono rivelate un abbaglio fatale. “Il problema è che siamo ostaggi della trappola della crescita e le tecnologie digitali, che all’inizio sembravano promettere modelli più distribuiti e partecipati per l’economia, si sono trasformate in meri acceleratori di una crescita sempre più frenetica e sorda ai bisogni della società”iii. Nel suo libro Rushkoff cerca di spiegare dove abbiamo sbagliato e per quale motivo e come sia possibile riprogrammare l’economia digitale e le nostre attività ripartendo dal basso per promuovere un’economia sostenibile per raggiungere un benessere il più diffuso possibile.\r\n\r\nNella costruzione del nostro ambiente urbano ci siamo lasciati affascinare dallo stesso meccanismo: la crescita impetuosa delle città e delle conurbazioni a causa di un mix di demografia e spinte speculative ha prodotto i modelli illusori di ‘smart city’, di città cablate super tecnologiche e la rincorsa al gigantismo ed alle emergenze dei grandi edifici simbolo, incarnazione della ‘hubris’ degli archi-star. Ora ci rendiamo conto che questa corsa alla cementificazione del pianeta produce solo macerie nel tessuto abitativo e nei legami comunitari, indispensabili per una vita in armonia con l’ambiente e il territorio.\r\n\r\nL’edizione 2016 della Biennale di Architettura di Venezia, curata dal cileno Alejandro Aravena ha come titolo Reporting from the front ed ha l’ambizione di fotografare lo stato dei lavori in quelle aree del mondo di frontiera in cui si sta preparando il futuro del nostro spazio abitativo.\r\n\r\nQuesta Biennale nelle intenzioni di Aravena si “propone dunque di condividere con un pubblico più ampio, il lavoro delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi ambiti di azione, affrontando temi quali la segregazione, le diseguaglianze, le perifereie, l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la migrazione, l’informalità, la criminalità, il traffico, lo spreco, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità.”\r\n\r\nE Paolo Baratta, Presidente della Biennale aggiunge: “Ci interessa l’architettura come strumento di self-government, come strumento di una civiltà umanistica, non in grazia di uno stile formale, ma come evidenza della capacità dell’uomo di essere padrone dei propri destini”.\r\n\r\nUna edizione con un programma sideralmente opposto a quello della precedente, affidata all’archistar Rem Koolhas, che mette sul tappeto molti temi che come libertari ci sono cari: l’autocostruzione, la partecipazione, la progettazione comunitaria e i processi ecologici di recupero dell’esistente insieme allo sviluppo di tecnologie appropriate condivisibili.\r\n\r\nBaratta ci ricorda che l’immaginario architettonico del secolo scorso preconizzava la costruzione di grandi centri urbani inseriti in un territorio che offriva ancora grandi spazi vergini. È stato il periodo della ‘ville radieuse’ di Le Corbusier, della realizzazione in nuovi insediamenti di grandi capitali, come Chandigar o Brasilia. Oggi gli spazi su cui gli architetti sono chiamati ad operare sono spesso enormi aree urbane abbandonate e degradate ed in ogni caso, a causa della crescita urbana e delle nuove forme di produzione post-industriale, gli spazi naturali tendono a divenire sempre più spazi interni ad una pianificazione planetaria.\r\n\r\nSpazi che le autorità non riescono più a controllare o dirigere, per mancanza di risorse economiche ma anche di nuovi strumenti operativi efficaci. Ottima situazione per chi è impegnato in prima linea, sul‘fronte’ e sperimenta nuovi modelli abitativi solidali.\r\n\r\n“una volta i villaggi ci proteggevano dalla natura oggi la natura è il nostro rifugio dalle tensioni urbane” ci ricorda nella sua installazione di video il cileno Elton Leniz invitato da Aravena.\r\n\r\nLa situazione attuale dello sviluppo del fenomeno urbano è ben fotografata nel padiglione della Sala d’armi all’Arsenale dove è esposto il Progetto Speciale ‘Conflitti dell’era urbana’ curato da Riky Burdett. Burdett descrive le due grandi spinte che tendono a definire il nostro ambiente costruito: quelle che lui definisce le Soluzioni dall’alto -quelle istituzionali e dei grandi agenti della pianificazione- su una parete del padiglione e le Soluzioni dal basso –autocostruzione, partecipazione e processi spontanei- sulla parete opposta. Tra i due estremi sono rappresentate le mappe di alcune conurbazioni rappresentative che tendono a diventare in ogni luogo del pianeta ‘il territorio’ non solo una parte dell’ambiente antropizzato: il ‘tutto costruito’ con spazi di ‘natura’ addomesticata tra i suoi interstizi, l’opposto del rapporto urbano agricolo naturale artificiale che esiste da quando esiste l’uomo civile, il prodotto della ‘civitas’, la comunità stanziale di un gruppo di uomini in un territorio definito dalla sua architettura.\r\n\r\nSi aprono spazi vuoti all’interno di queste inquietanti conurbazioni neo-plastiche e come dice Baratta, è in questi spazi, che sono il fronte in cui si combatte per definire l’assetto del nostro ambiente futuro, che dobbiamo cercare esperienze e buone pratiche da analizzare. Reporting from the Front. Con l’intento di ingenerare progetti e processi che diano risposte complesse e condivisibili e che possano divenire nuovi standard e modelli. Architetture anche di piccole dimensioni ma che presentino un’alta qualità professionale e un forte legame con le comunità che le generano.\r\n\r\nRushkoff nel suo saggio parla anche di gig economy, l’economia dei piccoli lavori on-demand, modello Uber, in poche parole il modello che vuole trasportarci dal‘diritto al lavoro’ al nessun diritto dei ‘lavoretti’. In vista di un’uberizzazione della società dobbiamo adattarci anche a una gig-architecture? A un’architettura dei progettini? Che se poi piacciono e funzionano possano essere rilanciati da qualche bella multinazionale e ri-proposti come ready made architettonici. Servono a questo i tanti collettivi, più o meno marginali o antagonisti che vediamo rappresentati in questa bella biennale? Mettere in moto qualche interessante Processo che possa poi da altri essere rivenduto come Progetto?\r\n\r\nProgetti e Processi\r\n\r\nUn discrimine da avere ben presente tra le proposte interessanti viste in questa Biennale è proprio quello di saper distinguere da chi propone progetti confezionati da rivendere alla comunità e tra chi sceglie di ingenerare processi di crescita dal basso proponendo soluzioni che diano risposte a bisogni locali che diventino poi patrimonio collettivo. È ad esempio la scelta del gruppo Ctrl+z: costruire processi in forma partecipativa che non siano isolabili dal contesto che li ha prodotti, che valgano qui e ora, con questo materiale. Un bel esempio le “atrapaniebla” le torri dell’acqua che trasformano la condensa della nebbia in acqua potabile che Ctrl+z ha presentato ai magazzini del Sale nella mostra Spazi d’Eccezione, ‘torri low-tech basate sui materiali che si possono trovare a livello locale. Grazie alla leggerezza e alla modularità. La nostra proposta si può montare in due giorni senza la necessità di gru, ponteggi o altri ausili.’ Un modello della torre è stato montato all’interno dell’Esposizione nel giardino dell’Arsenale.\r\n\r\nA poca distanza la Norman Foster Foundation, insieme alla Future Africa EPFL e ad altre fondazioni, propone una rete di drone-port, aereoporti per droni per collegare in Africa villaggi isolati in ampi territori senza altre possibilità di comunicazione efficienti. I drone-port di Foster sono l’estto opposto della proposta di Ctrl+z, si riducono ad una scatola ed un progetto realizzabile in loco grazie ad un know how centralizzato, drone-porti per ricevere attraverso velivoli teleguidati ad alta tecnologie merci da un distributore lontano, un ragno nella rete da qualche parte. La realizzazione tecnologica dell’antico ‘culto del Cargo’ caro agli antropologi.\r\n\r\nSpazi d’Eccezione\r\n\r\nI fronti da esplorare oggi non sono quello spazio piano senza limiti che sembra indicare il logo di questa edizione: una foto scattata da Bruce Chatwin che ritrae un’archeologa tedesca, Maria Reiche, sopra una scala di alluminio che osserva i tracciati di pietre del deserto peruviano di Nazca, sono fronti interni allo sviluppo planetario del capitale, luoghi di rovine, di cicatrici, di macerie, quasi sempre ‘spazi d’eccezione’ in cui le normali regole del vivere sono sospese da un potere non normato. E in quei fronti, da tempo, c’è chi lotta e costruisce alternative. Di questi lotte dà testimonianza con uno sguardo libertario l’esposizione ‘Spazi d’Eccezione’ ai Magazzini del Sale, ‘un libro, un meeting e una mostra’ organizzati dai collettivi di Escuela Moderna e S.a.L.E. Docks.\r\n\r\nCtrl+z, Recets Urbanas che abbiamo già citato e altri espositori al Sale partecipano in varie forme anche all’esposizione ufficiale e Spazi d’Eccezione ha organizzato anche un meeting interno alla Biennale nell’ambito delle Biennale Sessions, per portare argomenti misteriosamente scomparsi dal dibattito sul territorio quali il No Mose, il No Tav il No Muos e tanti alti piccoli tentativi di autogestione del territorio e delle lotte urbane. Un tentativo di intrusione riuscito all’interno della Biennale ufficiale è stato quello del colletivo ‘Detroit Resist’ presente nella mostra al Sale che si occupa in modo militante di riqualificazione urbana a Detroit, un gruppo composto da attivisti, artisti, architetti e membri della comunità. Detroit Resist ha organizzato una occupazione digitale del padiglione degli Usa che quest’anno ha come tema “The Architectural immagination” e come oggetto proprio la riqualificazione della città di Detroit con giganteschi progetti con fini speculativi.\r\n\r\nTante sono le presenze libertarie di cui varrebbe la pena dare conto, dall’allestimento del padiglione Italia affidato alla TAM associati dal titolo ‘Taking Care, progettare per il bene comune’ alle presenze individuali, ai collettivi ad alcuni interessanti padiglioni nazionali. Iniziamo presentando il progetto ‘Spazi d’eccezione’ con un articolo di Paolo Martore e Massimo Mazzone. Altri seguiranno.\r\n\r\n“‘Spazi d’eccezione’ NON è un Padiglione Nazionale né un pezzo della Mostra Internazionale né un evento collaterale. ‘Spazi d’eccezione’ è quel lato in ombra a cui tutti fanno riferimento, quel Germinal, quell’humus dal quale tutti ambiguamente attingono, ma di cui nessuno parla mai con chiarezza.”iv Così Massimo Mazzone portavoce di Escuela Moderna nella sua introduzione al catalogo dell’esposizione.\r\n\r\nIn uno dei tanti padiglioni che trattavano di autocostruzione tra le varie indicazioni operative figurava anche la dicitura: ‘quando e in quali luoghi è opportuno accettare situazioni diffuse di illegalità marginale per favorire la costituzione di comunità…’\r\n\r\nNell’installazione di Recetas Urbanas nel padiglione all’Arsenale, all’interno della Biennale, si rivendicava il ‘diritto’ all’illegalità in situazioni di necessità: ecco la differenza che conta con la mostra istituzionale e che appare filo conduttore dell’esposizione al Sale.\r\n\r\nTolleranza dall’alto rivendicazione dal basso. Le varie gradazioni di questo rapporto segnano il sottile confine tra una social democrazia eterodiretta ed una comunità viva con fermenti libertari. Di ciò soprattutto dà testimonianza Spazi d’eccezione.\r\n\r\nViene a proposito il post di Marco Baravalle, animatore di ‘S.a.L.E. Docks’ e curatore di ‘Spazi d’eccezione’ insieme a Massimo Mazzone, a commento della cancellazione della performance Rebootati al padiglione Uruguaiano da parte della direzione della Biennale: “L'arte e l'architettura amano l'informalità quando si lascia rappresentare. Questo è l'essenza del pauperismo: fare dei poveri un soggetto immobile, procedere al saccheggio culturale oltre che a quello materiale. Ad essi è consentito solo di partecipare (solitamente a ciò che è già stato scelto), ad essi è consentito di attivarsi in quanto comunità (che parola è?) su sollecitazione dell'artista o dall'architetto di turno. Che l'illegalità sia individuale, di massa, dettata dalla fame o orientata politicamente, essa è una necessità legata alla sopravvivenza, al miglioramento delle proprie condizioni sociali o ad un nuovo modo di vivere in comune. Secondo qualcuno queste sono anche le priorità dell'architettura.”\r\n\r\n“Spazi d’eccezione credo sia un’ottima risposta e contemporaneamente una vetrina –anche se parziale- di tante praticabili ipotesi di lavoro. Spazi di Eccezione serve a mostrare alcune delle tante iniziative di libertà che combattono sul fronte del costruito che con difficoltà e determinazione stanno cercando di mettersi in rete e acquistare forma visibile.\r\n\r\nÈ in questa ottica che le esperienze contenute in questo lavoro comune hanno un senso, sono alfabeti, sillabe di linguaggi base per ricreare mondi con parole, azioni, fantasie di pratiche condivise. L’espressione di volontà che già esistono e balbettano futuri di libertà e testimonianza necessaria di un filone regressivo nelle pratiche progettuali e nella pianificazione urbana e territoriale che ritorna dominante nel panorama contemporaneo. Pratiche attive da sempre ma che ritornano visibili.\r\n\r\nRebuilding from the front, non Reporting. Un’azione attiva, non una passiva. Non un centro che va a vedere una periferia ma una periferia –anche interna- che ritrova/reinventa la propria forma. Non riportare dal fronte ma ricostruire dal fronte, partendo da ciò che già esiste nel presente, secondo l’insegnamento di Peter Kropotkin, senza ideologie, attraverso sperimentazioni continue.\r\n\r\nCominciamo dunque a ricostruire il mondo partendo dal fronte, da dove si combatte ogni giorno per dare forma a spazi di libertà, spazi che esistono in luoghi marginali, su fratture tettoniche, in Rojava e nelle nostre metropoli, che si parlano in rete e si reinventano quotidianamente, TAZ, zone temporaneamente autonome che anche clonate o colonizzate restano vive altrove, affreschi che occupano spazi e pareti e spariscono coperti da una mano di Blu, seppellendo con una risata gli affanni del mercato.”v\r\n\r\n\r\ni Throwing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperity (Tirare pietre al bus di Google: come la crescita è diventata la nemica della prosperità) Douglas Rushkoff, Portfolio, 2016.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nii Per gentrificazione si intende la trasformazione di un quartiere popolare o degradato in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niii ‘Il Digitale era un’utopia. Ora è un incubo Monopolista’, di Giuliano Aluffi in il Venerdì della Repubblica, 26 maggio 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niv Spazi d’eccezione, a cura di Escuela Moderna – S.a.L.E. Docks; Milieu,pag.9 edizioni, Milano 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nv idem pag.38","23 Settembre 2016","2018-10-17 23:05:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/09/barriera-antifa-07-200x110.jpg","Anarres del 23 settembre: megalopoli, gentrification, resistenza popolare e architettura; Rojava; retate al campo rom; casa Pound non sbarca in Barriera, Bayer assorbe Monsanto",1474643948,[426],"http://radioblackout.org/tag/macerie-su-macerie/",[428],"macerie-su-macerie",{"post_content":430,"post_title":434},{"matched_tokens":431,"snippet":432,"value":433},[81,82],"colpo di stato in Turchia ha permesso \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> turco di imporre lo stato","Anarres del 23 settembre: megalopoli, gentrification, resistenza popolare e architettura; Rojava; retate \u003Cmark>al\u003C/mark> campo rom; casa Pound non sbarca in Barriera, Bayer assorbe Monsanto\r\n\r\nAscolta il podcast della puntata:\r\n\r\n2016-09-23-anarres1\r\n\r\n2016-09-23-anarres2\r\n\r\nNel nostro viaggio su Anarres – il pianeta delle utopie concrete questa settimana siamo approdati a...\r\n\r\nAbbiamo preso spunto dall'ultima, anomala, Biennale di architettura di Venezia per parlare di gentrification, megaprogetti, resistenza popolare e architettura.\r\nCi ha guidato in questo viaggio tra Europa, Sud America e Africa, Franco Buncuga, anarchico, architetto, collaboratore della rivista ApArte per la quale ha realizzato un articolo sulla Biennale.\r\n\r\nRojava – il corteo del 24 settembre a Roma: il comunicato della cdc della fai, l’appello di un combattente \u003Cmark>italiano\u003C/mark>.\r\n\r\nAppendino come Fassino: retate, arresti e fogli di via \u003Cmark>al\u003C/mark> campo rom di via Germagnano\r\n\r\nCasa Pound non sbarca in Barriera. 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Pensatore rivoluzionario che tempra le sue idee nel fuoco dell'azione, accorre in difesa delle barricate di mezza Europa, collezionando condanne a morte in vari imperi e sopravvivendo a carcerazioni durissime. Deportato in Siberia, scappa – su slitte, cavalli, treni e velieri – per tornare lì dove la rivoluzione lo chiama: in un'Europa in ebollizione in cui lo aspettano altre barricate e altre insurrezioni. Vinto ma non domato, muore usurato da una vita segnata da mille sfide mentre – irresistibilmente – sta progettando nuove rivoluzioni e nuovi mondi.\r\nSabato 1 ottobre \r\n\u003Cmark>al\u003C/mark> Balon – via Andreis angolo via Borgodora (se piove in piazza della Repubblica sotto la tettoia dei casalinghi)\r\nore 10,30 – 13,30\r\nPresidio contro tutte le frontiere \r\nGiovedì 6 ottobre \r\nore 17,30\r\nai giardinetti di corso Palermo angolo via Sesia – punto info su guerra sociale e lotte nelle periferie, apericena benefit lotte sociali\r\nDocumenti\r\nComunicato-appello da parte di uno degli italiani unitosi allo YPG, scritto in occasione del corteo nazionale del 24 settembre a Roma. \r\nCiao a tutti e tutte, sono uno degli italiani che si sono uniti allo YPG, unità di difesa del popolo del Rojava. Non sono il primo e non sarò l'ultimo, in Rojava la solidarietà internazionale é molto forte e sono centinaia le persone che arrivano da ogni parte del mondo per far parte di questa rivoluzione. Siamo a conoscenza del corteo nazionale del 24 Settembre che si terrà a Roma e ciò non può che farci felici e darci sostegno e forza nel continuare a lottare.\r\nNelle ultime settimane sui giornali siamo stati chiamati terroristi, è stato detto che comunisti e anarchici vanno ad addestrarsi in Siria, vorrei dire ai giornalisti ed ai politici che si riempiono la bocca di belle parole, che questa rivoluzione non è fatta solo da comunisti o anarchici, ma anzi da curdi, arabi, assiri, ezidi, armeni, turcommanni e da tutte quelle persone che si identificano nel confederalismo democratico. La realtà è completamente diversa da quella che viene raccontata dai giornali e dal \u003Cmark>governo\u003C/mark>, i veri terroristi sono seduti nei palazzi del potere e spostano sulla scacchiera le loro pedine, un giorno amiche, un giorno nemiche, ma quando i nodi vengono \u003Cmark>al\u003C/mark> pettine e la verità viene a galla i nemici si scoprono. l'Italia è complice di questa guerra, l'Alenia fornisce elicotteri da combattimento alla Turchia per bombardare il Bakur, l'Italia è inoltre il maggior produttore di mine \u003Cmark>al\u003C/mark> mondo ed è anche grazie all'Italia se centinaia di persone sono morte o sono rimaste gravemente ferite per colpa delle migliaia di mine disseminate dall'Isis. Grazie all'accordo di 6 miliardi di euro tra unione europea e Turchia, migliaia di persone vivono in campi profughi che sono delle vere e proprie prigioni a cielo aperto. Grazie a questi soldi ricevuti dall'unione europea la Turchia sta completando la costruzione di un muro di separazione con il Rojava, con il quale si proteggono i militari che sparano senza scrupoli su chi cerca di scappare da questa guerra; sono già decine le persone uccise lungo questo confine.\r\n\r\nL'operazione di invasione del Rojava da parte della Turchia è partita già a metà agosto con la finta invasione di Jarablus, in pratica operazione di sostegno all'Isis, che per la prima volta è retrocesso senza combattere. Successivamente la Turchia ha utilizzato questa nuova postazione per far partire l'invasione di alcuni villaggi del cantone di Efrin; e in queste settimane sono state molte le provocazioni.\r\n\r\nIl rischio di una guerra aperta tra Turchia e Rojava è sempre più alto; ora più che mai è importante sostenere il confederalismo democratico a livello internazionale facendo pressioni sui governi e sugli Stati, complici e autori di questa guerra, perchè interrompano le relazioni politiche, economiche e militari con Ankara; ora più che mai è importante chiedere l'apertura delle frontiere per far entrare aiuti alimentari e medicine, beni di prima necessità che qui mancano.\r\n\r\nE' questa la vera realtà della guerra; la lotta \u003Cmark>al\u003C/mark> terrorismo è una menzogna ed è soltanto una facciata per nascondere gli interessi di governi e industrie belliche.\r\n\r\nIl mio pensiero qui in Rojava non può che andare alle migliaia di compagni e compagne caduti o rimasti gravemente feriti per far si che questa rivoluzione sia ancora in vita e prosegua il percorso verso la libertà.\r\n\r\nSperando sempre che dai semi rivoluzionari gettati qui in Rojava un giorno possano nascere fiori in tutto il mondo.\r\nBiji Rojava biji Kurdistan. \r\nSerkeftin\r\n000000\r\nLa Commissione di Corrispondenza dellaFederazione Anarchica Italiana fa propriol’appello del Gruppo Anarchico “Carlo Cafiero” – FAI di Roma, ed invita tutte le realtà federate ad attivarsi per la più ampia partecipazione allo spezzone rosso e nero alla manifestazione del 24 settembre a Roma.\r\nIl colpo di stato in Turchia ha permesso \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> turco di imporre lo stato di emergenza, e di accrescere la repressione nei confronti dei gruppi attivi nelle lotte e dei movimenti sociali. Anche i/le nostre compagni/e anarchici/che della DAF (Devrimci Anarsist Faaliyet / Azione Rivoluzionaria Anarchica) oltra a socialisti, gruppi curdi democratici sono stati colpiti dalla stretta liberticida del \u003Cmark>governo\u003C/mark>. Il giornale Meydan è stato chiuso e tre nuove indagini sono state avviate, con la scusa di essere un’organizzazione terroristica. \r\n Nelle regioni a maggioranza curda la repressione ha assunto la forma di una guerra aperta contro la popolazione, mentre gli attivisti in carcere, fra cui Abdullah Öcalan, sono costretti in condizioni inumane.\r\n La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana, sicura di interpretare i sentimenti delle anarchiche e degli anarchici di lingua italiana, esprime la solidarietà internazionalista al popolo curdo e a tutti i popoli che vivono nelle regioni del Kurdistan, vittime dell’aggressione della Turchia, della Siria e dello Stato Islamico; esprime altresì il sostegno alla resistenza, all’autogestione dal basso ed \u003Cmark>al\u003C/mark> comunalismo, alla rivoluzione in Rojava, per il suo ulteriore sviluppo in una prospettiva libertaria; invita a mobilitarsi contro il \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> e le altre potenze imperialiste, grandi e piccole, dell’est e dell’ovest, che appoggiano la guerra e il progetto di annientamento del popolo curdo.\r\n000000\r\nUna Biennale d’eccezione \r\n\r\nLanciando pietre\r\n\r\nThrowing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperityi di Douglas Rushkoff se non fosse un interessante libro sugli esiti della economia digitale potrebbe essere un ottimo libro di architettura. Le pietre di cui fa cenno il titolo sono quelle che hanno gettato i residenti di alcuni quartieri di San Francisco contro i Google bus che vengono a raccogliere i dipendenti dell’omonima ditta. Attorno alle fermate dei bus dei privilegiati dell’azienda informatica gli affitti sono cresciuti in maniera talmente elevata che molti abitanti sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Una nuova forma raffinata di gentrificazioneii.\r\n\r\nRushkoff, scrittore e saggista cyberpunk e collaboratore di Timothy Leary ci descrive un mondo in cui le differenze aumentano e nel quale le promesse di maggiori opportunità e di democrazia dell’economia digitale si sono rivelate un abbaglio fatale. “Il problema è che siamo ostaggi della trappola della crescita e le tecnologie digitali, che all’inizio sembravano promettere modelli più distribuiti e partecipati per l’economia, si sono trasformate in meri acceleratori di una crescita sempre più frenetica e sorda ai bisogni della società”iii. Nel suo libro Rushkoff cerca di spiegare dove abbiamo sbagliato e per quale motivo e come sia possibile riprogrammare l’economia digitale e le nostre attività ripartendo dal basso per promuovere un’economia sostenibile per raggiungere un benessere il più diffuso possibile.\r\n\r\nNella costruzione del nostro ambiente urbano ci siamo lasciati affascinare dallo stesso meccanismo: la crescita impetuosa delle città e delle conurbazioni a \u003Cmark>causa\u003C/mark> di un mix di demografia e spinte speculative ha prodotto i modelli illusori di ‘smart city’, di città cablate super tecnologiche e la rincorsa \u003Cmark>al\u003C/mark> gigantismo ed alle emergenze dei grandi edifici simbolo, incarnazione della ‘hubris’ degli archi-star. Ora ci rendiamo conto che questa corsa alla cementificazione del pianeta produce solo macerie nel tessuto abitativo e nei legami comunitari, indispensabili per una vita in armonia con l’ambiente e il territorio.\r\n\r\nL’edizione 2016 della Biennale di Architettura di Venezia, curata dal cileno Alejandro Aravena ha come titolo Reporting from the front ed ha l’ambizione di fotografare lo stato dei lavori in quelle aree del mondo di frontiera in cui si sta preparando il futuro del nostro spazio abitativo.\r\n\r\nQuesta Biennale nelle intenzioni di Aravena si “propone dunque di condividere con un pubblico più ampio, il lavoro delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi ambiti di azione, affrontando temi quali la segregazione, le diseguaglianze, le perifereie, l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la migrazione, l’informalità, la criminalità, il traffico, lo spreco, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità.”\r\n\r\nE Paolo Baratta, Presidente della Biennale aggiunge: “Ci interessa l’architettura come strumento di self-government, come strumento di una civiltà umanistica, non in grazia di uno stile formale, ma come evidenza della capacità dell’uomo di essere padrone dei propri destini”.\r\n\r\nUna edizione con un programma sideralmente opposto a quello della precedente, affidata all’archistar Rem Koolhas, che mette sul tappeto molti temi che come libertari ci sono cari: l’autocostruzione, la partecipazione, la progettazione comunitaria e i processi ecologici di recupero dell’esistente insieme allo sviluppo di tecnologie appropriate condivisibili.\r\n\r\nBaratta ci ricorda che l’immaginario architettonico del secolo scorso preconizzava la costruzione di grandi centri urbani inseriti in un territorio che offriva ancora grandi spazi vergini. È stato il periodo della ‘ville radieuse’ di Le Corbusier, della realizzazione in nuovi insediamenti di grandi capitali, come Chandigar o Brasilia. Oggi gli spazi su cui gli architetti sono chiamati ad operare sono spesso enormi aree urbane abbandonate e degradate ed in ogni caso, a \u003Cmark>causa\u003C/mark> della crescita urbana e delle nuove forme di produzione post-industriale, gli spazi naturali tendono a divenire sempre più spazi interni ad una pianificazione planetaria.\r\n\r\nSpazi che le autorità non riescono più a controllare o dirigere, per mancanza di risorse economiche ma anche di nuovi strumenti operativi efficaci. Ottima situazione per chi è impegnato in prima linea, sul‘fronte’ e sperimenta nuovi modelli abitativi solidali.\r\n\r\n“una volta i villaggi ci proteggevano dalla natura oggi la natura è il nostro rifugio dalle tensioni urbane” ci ricorda nella sua installazione di video il cileno Elton Leniz invitato da Aravena.\r\n\r\nLa situazione attuale dello sviluppo del fenomeno urbano è ben fotografata nel padiglione della Sala d’armi all’Arsenale dove è esposto il Progetto Speciale ‘Conflitti dell’era urbana’ curato da Riky Burdett. Burdett descrive le due grandi spinte che tendono a definire il nostro ambiente costruito: quelle che lui definisce le Soluzioni dall’alto -quelle istituzionali e dei grandi agenti della pianificazione- su una parete del padiglione e le Soluzioni dal basso –autocostruzione, partecipazione e processi spontanei- sulla parete opposta. Tra i due estremi sono rappresentate le mappe di alcune conurbazioni rappresentative che tendono a diventare in ogni luogo del pianeta ‘il territorio’ non solo una parte dell’ambiente antropizzato: il ‘tutto costruito’ con spazi di ‘natura’ addomesticata tra i suoi interstizi, l’opposto del rapporto urbano agricolo naturale artificiale che esiste da quando esiste l’uomo civile, il prodotto della ‘civitas’, la comunità stanziale di un gruppo di uomini in un territorio definito dalla sua architettura.\r\n\r\nSi aprono spazi vuoti all’interno di queste inquietanti conurbazioni neo-plastiche e come dice Baratta, è in questi spazi, che sono il fronte in cui si combatte per definire l’assetto del nostro ambiente futuro, che dobbiamo cercare esperienze e buone pratiche da analizzare. Reporting from the Front. Con l’intento di ingenerare progetti e processi che diano risposte complesse e condivisibili e che possano divenire nuovi standard e modelli. Architetture anche di piccole dimensioni ma che presentino un’alta qualità professionale e un forte legame con le comunità che le generano.\r\n\r\nRushkoff nel suo saggio parla anche di gig economy, l’economia dei piccoli lavori on-demand, modello Uber, in poche parole il modello che vuole trasportarci dal‘diritto \u003Cmark>al\u003C/mark> lavoro’ \u003Cmark>al\u003C/mark> nessun diritto dei ‘lavoretti’. In vista di un’uberizzazione della società dobbiamo adattarci anche a una gig-architecture? A un’architettura dei progettini? Che se poi piacciono e funzionano possano essere rilanciati da qualche bella multinazionale e ri-proposti come ready made architettonici. Servono a questo i tanti collettivi, più o meno marginali o antagonisti che vediamo rappresentati in questa bella biennale? Mettere in moto qualche interessante Processo che possa poi da altri essere rivenduto come Progetto?\r\n\r\nProgetti e Processi\r\n\r\nUn discrimine da avere ben presente tra le proposte interessanti viste in questa Biennale è proprio quello di saper distinguere da chi propone progetti confezionati da rivendere alla comunità e tra chi sceglie di ingenerare processi di crescita dal basso proponendo soluzioni che diano risposte a bisogni locali che diventino poi patrimonio collettivo. È ad esempio la scelta del gruppo Ctrl+z: costruire processi in forma partecipativa che non siano isolabili dal contesto che li ha prodotti, che valgano qui e ora, con questo materiale. Un bel esempio le “atrapaniebla” le torri dell’acqua che trasformano la condensa della nebbia in acqua potabile che Ctrl+z ha presentato ai magazzini del Sale nella mostra Spazi d’Eccezione, ‘torri low-tech basate sui materiali che si possono trovare a livello locale. Grazie alla leggerezza e alla modularità. La nostra proposta si può montare in due giorni senza la necessità di gru, ponteggi o altri ausili.’ Un modello della torre è stato montato all’interno dell’Esposizione nel giardino dell’Arsenale.\r\n\r\nA poca distanza la Norman Foster Foundation, insieme alla Future Africa EPFL e ad altre fondazioni, propone una rete di drone-port, aereoporti per droni per collegare in Africa villaggi isolati in ampi territori senza altre possibilità di comunicazione efficienti. I drone-port di Foster sono l’estto opposto della proposta di Ctrl+z, si riducono ad una scatola ed un progetto realizzabile in loco grazie ad un know how centralizzato, drone-porti per ricevere attraverso velivoli teleguidati ad alta tecnologie merci da un distributore lontano, un ragno nella rete da qualche parte. La realizzazione tecnologica dell’antico ‘culto del Cargo’ caro agli antropologi.\r\n\r\nSpazi d’Eccezione\r\n\r\nI fronti da esplorare oggi non sono quello spazio piano senza limiti che sembra indicare il logo di questa edizione: una foto scattata da Bruce Chatwin che ritrae un’archeologa tedesca, Maria Reiche, sopra una scala di alluminio che osserva i tracciati di pietre del deserto peruviano di Nazca, sono fronti interni allo sviluppo planetario del capitale, luoghi di rovine, di cicatrici, di macerie, quasi sempre ‘spazi d’eccezione’ in cui le normali regole del vivere sono sospese da un potere non normato. E in quei fronti, da tempo, c’è chi lotta e costruisce alternative. Di questi lotte dà testimonianza con uno sguardo libertario l’esposizione ‘Spazi d’Eccezione’ ai Magazzini del Sale, ‘un libro, un meeting e una mostra’ organizzati dai collettivi di Escuela Moderna e S.a.L.E. Docks.\r\n\r\nCtrl+z, Recets Urbanas che abbiamo già citato e altri espositori \u003Cmark>al\u003C/mark> Sale partecipano in varie forme anche all’esposizione ufficiale e Spazi d’Eccezione ha organizzato anche un meeting interno alla Biennale nell’ambito delle Biennale Sessions, per portare argomenti misteriosamente scomparsi dal dibattito sul territorio quali il No Mose, il No Tav il No Muos e tanti alti piccoli tentativi di autogestione del territorio e delle lotte urbane. Un tentativo di intrusione riuscito all’interno della Biennale ufficiale è stato quello del colletivo ‘Detroit Resist’ presente nella mostra \u003Cmark>al\u003C/mark> Sale che si occupa in modo militante di riqualificazione urbana a Detroit, un gruppo composto da attivisti, artisti, architetti e membri della comunità. Detroit Resist ha organizzato una occupazione digitale del padiglione degli Usa che quest’anno ha come tema “The Architectural immagination” e come oggetto proprio la riqualificazione della città di Detroit con giganteschi progetti con fini speculativi.\r\n\r\nTante sono le presenze libertarie di cui varrebbe la pena dare conto, dall’allestimento del padiglione Italia affidato alla TAM associati dal titolo ‘Taking Care, progettare per il bene comune’ alle presenze individuali, ai collettivi ad alcuni interessanti padiglioni nazionali. Iniziamo presentando il progetto ‘Spazi d’eccezione’ con un articolo di Paolo Martore e Massimo Mazzone. Altri seguiranno.\r\n\r\n“‘Spazi d’eccezione’ NON è un Padiglione Nazionale né un pezzo della Mostra Internazionale né un evento collaterale. ‘Spazi d’eccezione’ è quel lato in ombra a cui tutti fanno riferimento, quel Germinal, quell’humus dal quale tutti ambiguamente attingono, ma di cui nessuno parla mai con chiarezza.”iv Così Massimo Mazzone portavoce di Escuela Moderna nella sua introduzione \u003Cmark>al\u003C/mark> catalogo dell’esposizione.\r\n\r\nIn uno dei tanti padiglioni che trattavano di autocostruzione tra le varie indicazioni operative figurava anche la dicitura: ‘quando e in quali luoghi è opportuno accettare situazioni diffuse di illegalità marginale per favorire la costituzione di comunità…’\r\n\r\nNell’installazione di Recetas Urbanas nel padiglione all’Arsenale, all’interno della Biennale, si rivendicava il ‘diritto’ all’illegalità in situazioni di necessità: ecco la differenza che conta con la mostra istituzionale e che appare filo conduttore dell’esposizione \u003Cmark>al\u003C/mark> Sale.\r\n\r\nTolleranza dall’alto rivendicazione dal basso. Le varie gradazioni di questo rapporto segnano il sottile confine tra una social democrazia eterodiretta ed una comunità viva con fermenti libertari. Di ciò soprattutto dà testimonianza Spazi d’eccezione.\r\n\r\nViene a proposito il post di Marco Baravalle, animatore di ‘S.a.L.E. Docks’ e curatore di ‘Spazi d’eccezione’ insieme a Massimo Mazzone, a commento della cancellazione della performance Rebootati \u003Cmark>al\u003C/mark> padiglione Uruguaiano da parte della direzione della Biennale: “L'arte e l'architettura amano l'informalità quando si lascia rappresentare. Questo è l'essenza del pauperismo: fare dei poveri un soggetto immobile, procedere \u003Cmark>al\u003C/mark> saccheggio culturale oltre che a quello materiale. Ad essi è consentito solo di partecipare (solitamente a ciò che è già stato scelto), ad essi è consentito di attivarsi in quanto comunità (che parola è?) su sollecitazione dell'artista o dall'architetto di turno. Che l'illegalità sia individuale, di massa, dettata dalla fame o orientata politicamente, essa è una necessità legata alla sopravvivenza, \u003Cmark>al\u003C/mark> miglioramento delle proprie condizioni sociali o ad un nuovo modo di vivere in comune. Secondo qualcuno queste sono anche le priorità dell'architettura.”\r\n\r\n“Spazi d’eccezione credo sia un’ottima risposta e contemporaneamente una vetrina –anche se parziale- di tante praticabili ipotesi di lavoro. Spazi di Eccezione serve a mostrare alcune delle tante iniziative di libertà che combattono sul fronte del costruito che con difficoltà e determinazione stanno cercando di mettersi in rete e acquistare forma visibile.\r\n\r\nÈ in questa ottica che le esperienze contenute in questo lavoro comune hanno un senso, sono alfabeti, sillabe di linguaggi base per ricreare mondi con parole, azioni, fantasie di pratiche condivise. L’espressione di volontà che già esistono e balbettano futuri di libertà e testimonianza necessaria di un filone regressivo nelle pratiche progettuali e nella pianificazione urbana e territoriale che ritorna dominante nel panorama contemporaneo. Pratiche attive da sempre ma che ritornano visibili.\r\n\r\nRebuilding from the front, non Reporting. Un’azione attiva, non una passiva. Non un centro che va a vedere una periferia ma una periferia –anche interna- che ritrova/reinventa la propria forma. Non riportare dal fronte ma ricostruire dal fronte, partendo da ciò che già esiste nel presente, secondo l’insegnamento di Peter Kropotkin, senza ideologie, attraverso sperimentazioni continue.\r\n\r\nCominciamo dunque a ricostruire il mondo partendo dal fronte, da dove si combatte ogni giorno per dare forma a spazi di libertà, spazi che esistono in luoghi marginali, su fratture tettoniche, in Rojava e nelle nostre metropoli, che si parlano in rete e si reinventano quotidianamente, TAZ, zone temporaneamente autonome che anche clonate o colonizzate restano vive altrove, affreschi che occupano spazi e pareti e spariscono coperti da una mano di Blu, seppellendo con una risata gli affanni del mercato.”v\r\n\r\n\r\ni Throwing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperity (Tirare pietre \u003Cmark>al\u003C/mark> bus di Google: come la crescita è diventata la nemica della prosperità) Douglas Rushkoff, Portfolio, 2016.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nii Per gentrificazione si intende la trasformazione di un quartiere popolare o degradato in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niii ‘Il Digitale era un’utopia. Ora è un incubo Monopolista’, di Giuliano Aluffi in il Venerdì della Repubblica, 26 maggio 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niv Spazi d’eccezione, a cura di Escuela Moderna – S.a.L.E. Docks; Milieu,pag.9 edizioni, Milano 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nv idem pag.38",{"matched_tokens":435,"snippet":436,"value":436},[81],"Anarres del 23 settembre: megalopoli, gentrification, resistenza popolare e architettura; Rojava; retate \u003Cmark>al\u003C/mark> campo rom; casa Pound non sbarca in Barriera, Bayer assorbe Monsanto",[438,440],{"field":118,"matched_tokens":439,"snippet":432,"value":433},[81,82],{"field":115,"matched_tokens":441,"snippet":436,"value":436},[81],{"best_field_score":308,"best_field_weight":161,"fields_matched":20,"num_tokens_dropped":49,"score":309,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":49},{"document":444,"highlight":463,"highlights":480,"text_match":306,"text_match_info":489},{"comment_count":49,"id":445,"is_sticky":49,"permalink":446,"podcastfilter":447,"post_author":319,"post_content":448,"post_date":449,"post_excerpt":55,"post_id":445,"post_modified":450,"post_thumbnail":451,"post_title":452,"post_type":371,"sort_by_date":453,"tag_links":454,"tags":460},"24629","http://radioblackout.org/podcast/libia-il-grande-gioco-tra-sangue-e-petrolio/",[319],"La Libia è attraversata da una guerra per bande che sta frantumando il paese, rendendo sempre più difficile la vita sia ai libici sia ai numerosi profughi subsahariani che ci vivono. Mercoledì 6 agosto c'é stato un blackout totale. A Tripoli internet, la rete dei cellulari e l'acqua funzionano a singhiozzo.\r\nAnche l'assistenza sanitaria è a rischio, perché il governo filippino ha chiesto ai 13mila lavoratori immigrati nel paese di lasciare la Libia. Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti al potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il governo Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. Già nel 2011, dopo mesi alla finestra il governo italiano decise di intervenire in Libia, rompendo l'alleanza con il governo di Muammar Gheddafi, per contrastare il piano franco inglese di sostituire l'Italia sia nerll'interscambio commerciale sia nel ruolo di referente privilegiato in Europa.\r\nL'Italia riuscì in quell'occasione a mantenere i contratti dell'ENI, ma, nonostante le assicurazioni delle nuove autorità libiche, non è mai riuscita ad ottenere l'outsourcing della repressione dell'immigrazione già garantito da Gheddafi. In questi giorni il governo moltiplica gli allarmi sull'emergenza immigrati, ma, nei fatti la crisi libica rende difficile richiudere la frontiera sud.\r\n\r\nPer profughi e migranti la situazione nel paese è terribile. L'Alto commissariato Onu per i rifiugati, che ha lasciato Tripoli a causa degli scontri, segnala che circa 30mila persone hanno passato il confine con la Tunisia la scorsa settimana, mentre ogni giorno 3.000 uomini attraversano la frontiera con l'Egitto; sono soprattutto egiziani che lavoravano in Libia, ma anche libici che possono permettersi la fuga. Tuttavia, la condizione peggiore è quella dei rifugiati provenienti dall'Africa subsahariana. \"Sono quasi 37mila - spiega l'agenzia Onu - le persone che abbiamo registrato; nella sola Tripoli, più di 150 persone provenienti da Eritrea e Somalia hanno chiamato il nostro numero verde per richiedere medicinali o un luogo più sicuro dove stare. Stiamo anche ricevendo chiamate da molti siriani e palestinesi che si trovano a Bengasi e che hanno un disperato bisogno di assistenza\".\r\n\r\nGli africani neri rischiano la pelle. Uomini delle milizie entrano nelle case che danno rifugio ai profughi, che vengono derubati di ogni cosa e spesso uccisi. Molti maschi vengono rapiti e ridotti in schiavitù: vengono obbligati a fare i facchini durante gli spostamenti, le donne vengono invece sistematicamente stuprate. Nelle carceri, dove i migranti subsahariani sono detenuti finché pagano un riscatto, la situazione è peggiorata: oltre ai \"consueti\" abusi ai prigionieri è negato anche il cibo.\r\n\r\nLe divisioni storiche tra Tripolitania, Cirenaica, e Fezzan sono divenute esplosive. Al di là della partita politica c'é la lotta senza quartiere per il controllo delle risorse, in primis il petrolio.\r\nDopo la caduta di Moammar Gheddafi tre estati fa, i vari governi che si sono succeduti non sono riusciti a imporsi sui circa 140 gruppi tribali che compongono la Libia. Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata Al Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando Mosul e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia di Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie di Misurata e di alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo di un deposito di carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno di un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese di origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore di quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia","7 Agosto 2014","2018-10-17 22:59:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/08/libia-200x110.jpg","Libia. 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A Tripoli internet, la rete dei cellulari e l'acqua funzionano a singhiozzo.\r\nAnche l'assistenza sanitaria è a rischio, perché il \u003Cmark>governo\u003C/mark> filippino ha chiesto ai 13mila lavoratori immigrati nel paese di lasciare la Libia. Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti \u003Cmark>al\u003C/mark> potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il \u003Cmark>governo\u003C/mark> Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. Già nel 2011, dopo mesi alla finestra il \u003Cmark>governo\u003C/mark> \u003Cmark>italiano\u003C/mark> decise di intervenire in Libia, rompendo l'alleanza con il \u003Cmark>governo\u003C/mark> di Muammar Gheddafi, per contrastare il piano franco inglese di sostituire l'Italia sia nerll'interscambio commerciale sia nel ruolo di referente privilegiato in Europa.\r\nL'Italia riuscì in quell'occasione a mantenere i contratti dell'ENI, ma, nonostante le assicurazioni delle nuove autorità libiche, non è mai riuscita ad ottenere l'outsourcing della repressione dell'immigrazione già garantito da Gheddafi. In questi giorni il \u003Cmark>governo\u003C/mark> moltiplica gli allarmi sull'emergenza immigrati, ma, nei fatti la crisi libica rende difficile richiudere la frontiera sud.\r\n\r\nPer profughi e migranti la situazione nel paese è terribile. L'Alto commissariato Onu per i rifiugati, che ha lasciato Tripoli a \u003Cmark>causa\u003C/mark> degli scontri, segnala che circa 30mila persone hanno passato il confine con la Tunisia la scorsa settimana, mentre ogni giorno 3.000 uomini attraversano la frontiera con l'Egitto; sono soprattutto egiziani che lavoravano in Libia, ma anche libici che possono permettersi la fuga. Tuttavia, la condizione peggiore è quella dei rifugiati provenienti dall'Africa subsahariana. \"Sono quasi 37mila - spiega l'agenzia Onu - le persone che abbiamo registrato; nella sola Tripoli, più di 150 persone provenienti da Eritrea e Somalia hanno chiamato il nostro numero verde per richiedere medicinali o un luogo più sicuro dove stare. Stiamo anche ricevendo chiamate da molti siriani e palestinesi che si trovano a Bengasi e che hanno un disperato bisogno di assistenza\".\r\n\r\nGli africani neri rischiano la pelle. Uomini delle milizie entrano nelle case che danno rifugio ai profughi, che vengono derubati di ogni cosa e spesso uccisi. Molti maschi vengono rapiti e ridotti in schiavitù: vengono obbligati a fare i facchini durante gli spostamenti, le donne vengono invece sistematicamente stuprate. Nelle carceri, dove i migranti subsahariani sono detenuti finché pagano un riscatto, la situazione è peggiorata: oltre ai \"consueti\" abusi ai prigionieri è negato anche il cibo.\r\n\r\nLe divisioni storiche tra Tripolitania, Cirenaica, e Fezzan sono divenute esplosive. \u003Cmark>Al\u003C/mark> di là della partita politica c'é la lotta senza quartiere per il controllo delle risorse, in primis il petrolio.\r\nDopo la caduta di Moammar Gheddafi tre estati fa, i vari governi che si sono succeduti non sono riusciti a imporsi sui circa 140 gruppi tribali che compongono la Libia. Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata \u003Cmark>Al\u003C/mark> Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar \u003Cmark>al\u003C/mark> Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando Mosul e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il \u003Cmark>governo\u003C/mark> dello shiita Nouri \u003Cmark>al\u003C/mark> Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di \u003Cmark>Al\u003C/mark> Baghdadi. \u003Cmark>Al\u003C/mark> Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche \u003Cmark>al\u003C/mark> controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. 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Già due anni e mezzo fa la \"Serenissima\" offriva un ventaglio ampio di considerazioni sui cambiamenti di vita imposti in contesto urbano e, anche a causa delle sue caratteristiche peculiari, ci faceva constatare amaramente come fosse il laboratorio ideale non solo della \"turistificazione\", ma anche di un nuovo livello di controllo digitale che l'arrivo del Covid rendeva più pervasivo.\r\n\r\nA Macerie su Macerie riprendiamo il filo del discorso col compagno veneziano, per sviscerare come in questo tempo è stata organizzata dal Comune quella che chiamano la smart city lagunare e di come il controllo digitale sia stato costruito nel capoluogo veneto con forme tecnologiche che se non sono inedite per il panorama italiano, non avevano mai raggiunto il livello di sistema integrato dei dati.\r\n\r\nMonitoraggio d'avanguardia dei flussi in entrata e uscita, una \"smart control room\" gestita dalla polizia locale, seicento telecamere, sensori disposti ai varchi e nei nodi stradali, triangolazione delle celle telefoniche di chi l'attraversa e riconoscimento facciale sono solo alcune delle implementazioni al governo di una città col vestito del Cinquecento ma assediata dalle reti iper-moderne di sorveglianza della popolazione.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/09/macerie-11-sett-23.mp3\"][/audio]","11 Settembre 2023","2023-09-11 22:47:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/09/CF-MC269H-VENEZIA-CUBIC-FUN-C-1-800x676-1-200x110.jpg","Macerie su Macerie - PODCAST 11/9/2023 - TRA MUSEIFICAZIONE E CONTROLLO DIGITALE: VENEZIA LABORATORIO URBANO",1694472425,[],[],{"post_content":505},{"matched_tokens":506,"snippet":507,"value":508},[81,82],"sono solo alcune delle implementazioni \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> di una città col vestito","L'ultima volta che abbiamo parlato di Venezia a Macerie su Macerie era il marzo del 2021. 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DMC World DJ Championships è una competizione annuale per DJ ospitata da Disco Mix Club (DMC) iniziata nel 1985. I World DJ Championships di DMC , sponsorizzati a livello internazionale da Technics e Ortofon , sono cresciuti negli anni e i formati delle sue competizioni si sono sviluppati insieme alla domanda. Originariamente concepita per essere una battaglia di missaggio per DJ, DJ Cheese ha introdotto lo scratching nella sua routine nel 1986, cambiando il corso delle future battaglie DMC . Ai DJ è concesso un periodo di sei minuti esatti per esibirsi. Nel 2020, a causa della pandemia COVID-19, il DMC World DJ Championship si terrà esclusivamente online. Ogni paese con un organo di governo DMC al governo ospita i suoi campionati nazionali online mentre tutti gli altri paesi si sfidano in una battaglia \"Resto del mondo\". L'esibizione dei Campionati Nazionali ha una durata di quattro minuti.\r\n\r\nAbbiamo ospitato in studio RadioBlueNote, un' etichetta di musica sperimentale Torinese con la loro infame lettura dei sogni, una vasta gamma di suoni, una camera gonfia di fumo e visioni.\r\n\r\nhttps://radiobluenote.bandcamp.com/audio\r\n\r\n\r\n\r\nSentirete alcune performance live di MC e DJ (Davide Bava, MR Brown, Gibbo) che hanno partecipato ai vari progetti dll' etichetta.","24 Ottobre 2020","2020-10-24 13:02:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/05/Logo-from-insaide-hd-200x110.jpg","FROM INSIDE DIRETTA 19.10.2020",1603543042,[],[],{"post_content":529},{"matched_tokens":530,"snippet":531,"value":532},[82,81,82],"un organo di \u003Cmark>governo\u003C/mark> DMC \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>governo\u003C/mark> ospita i suoi campionati nazionali","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/From-inside-19.10.2020.mp3\"][/audio]\r\n FROM INSIDE DIRETTA 19.10.2020\r\nIn questa puntata abbiamo ascoltato nuove uscite musicali provenienti dal panorama HIP HOP, ascoltato la routine del campione \u003Cmark>italiano\u003C/mark> di DMC Italia 2020 che andrà ai mondiali \"DJ BRONT\". 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