","8 marzo. Cronache e riflessioni","post",1520956644,[57,58,59,60,61,62,63,64,65],"http://radioblackout.org/tag/8-marzo/","http://radioblackout.org/tag/aborto/","http://radioblackout.org/tag/chiesa-ss-annunziata/","http://radioblackout.org/tag/lavori-di-cura/","http://radioblackout.org/tag/livorno/","http://radioblackout.org/tag/pisa/","http://radioblackout.org/tag/sciopero-femminista/","http://radioblackout.org/tag/torino/","http://radioblackout.org/tag/violenze-in-divisa/",[23,19,31,25,21,15,29,17,27],{"post_content":68,"tags":75},{"matched_tokens":69,"snippet":73,"value":74},[70,71,72],"chiesa","SS","Annunziata","e si ferma davanti alla \u003Cmark>chiesa\u003C/mark> della \u003Cmark>SS\u003C/mark> \u003Cmark>Annunziata\u003C/mark>, legata a Comunione e Liberazione.","Lo sciopero femminista globale ha investito decine di paesi. In Italia ci sono state iniziative in 50 città grandi e piccole. Una marea nero-fucsia ha riempito le piazze da nord a sud.\r\nNe abbiamo parlato con due compagne, Chiara di Non una di meno Torino e Patrizia di Non una di meno Livorno.\r\nCi hanno proposto una cronaca delle iniziative a Torino, a Livorno e Pisa.\r\n\r\nPatrizia ci ha raccontato le iniziative svoltesi nella sua città in mattinata e il corteo pomeridiano a Pisa cui hanno partecipato anche le livornesi.\r\nAl centro della giornata le violenze in divisa, il lavoro, la precarietà.\r\nCon Patrizia abbiamo fatto un bilancio di un percorso che è riuscito a mantenere, a parole e nei fatti, la propria autonomia, senza farsi sedurre dalle tante sirene elettorali.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 03 13 patrizia nudm liv\r\n\r\nChiara ci ha raccontato l’8 marzo torinese, una grande giornata di lotta.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 03 13 chiara nudm to\r\n\r\n\r\nDi seguito una cronaca della giornata:\r\n“Un alito di primavera ha accompagnato un lungo 8 marzo di lotta all’ombra della Mole.\r\nIn piazza Castello sin dal mattino è un fiorire di matrioske, cartelli, colori e suoni. In testa lo striscione “Scioperiamo dal lavoro di cura. Lottiamo insieme!”\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si è articolato come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nLa prima tappa è al centro della piazza. Lunghi fili vengono tirati tra i pali: con pinze da bucato sono stesi pannolini, grembiuli, strofinacci… Tutti oggetti simbolo del lavoro di cura.\r\nUn camioncino prova senza successo a forzare il blocco, che si allarga sulla piazza. Un nucleo dell’antisommossa, schierato a pochi passi da una carrozzina con un neonat*, chiede a gran voce rinforzi. La digos si affanna al cellulare. Si parte in corteo verso via Po. Per l’intera mattinata si svolgono blocchi con slogan e comizi volanti ai principali incroci.\r\nIn corso Regina il corteo viene raggiunto dalle studentesse, che in mattinata avevano bloccato le lezioni al campus. La mattinata si conclude a Palazzo Nuovo, l’altra sede delle facoltà umanistiche.\r\n\r\nNel pomeriggio piazza XVIII dicembre, la piazza che ricorda i martiri della camera del lavoro, si riempie velocemente. Parrucche rosa, fucsia e viola sul nero degli abiti, tanti striscioni, tulle, cartelli. Il corteo si dipana per il centro. Saremo tremila, forse più.\r\nLa prima sosta è davanti alla caserma dei carabinieri Cernaia. Viene appeso uno striscione contro la violenza dei tribunali, in solidarietà alle donne stuprate, picchiate e offese che nelle aule di giustizia diventano imputate, chiamate a rispondere della propria vita, dei propri abiti, dei propri gusti, del proprio no alla violenza. Vengono lette alcune delle domande fatte in tribunale alle due studentesse statunitensi stuprate da due carabinieri la scorsa estate a Firenze. Domande di una violenza terribile.\r\nIn Italia viene ammazzata una donna ogni due giorni.\r\nSpesso gli assassini usano le pistole d’ordinanza, che hanno il diritto di portare perché fanno parte dell’elite poliziesca e militare, che detiene per conto dello Stato il monopolio legale della violenza.\r\nGli spazi di autonomia che le donne si sono conquistate hanno incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà femminile è ancora molto lunga. Il crescere della marea femminista è la risposta ad una violenza che ha i caratteri espliciti di una guerra planetaria alla libertà delle donne, alla libertà dei generi, alla libertà dai generi.\r\nNelle aule dei tribunali la violenza maschile viene declinata come affare privato, personale, accidentale, nascondendone il carattere disciplinare, punitivo, politico.\r\nLe lotte femministe ne fanno riemergere l’intrinseca politicità affinché divenga parte del discorso pubblico, in tutta la propria deflagrante potenza, mettendo in soffitta il paternalismo ipocrita delle quote rosa, delle pari opportunità, dei parcheggi riservati alle donne.\r\nTra i temi di questo 8 marzo di sciopero e lotta, la ferma volontà di rompere il silenzio e l’indifferenza, per sostenere un percorso di libertà, mutuo aiuto e autodifesa contro chi ci vorrebbe inchiodare nel ruolo di vittime.\r\nForte è il rifiuto che la difesa delle donne diventi l’alibi per politiche securitarie, che usino i nostri corpi per giustificare strette disciplinari sull’intera società.\r\n\r\n“Nello stato fiducia non ne abbiamo, la difesa ce la autogestiamo!”\r\n“Lo stupratore non è malato, è il figlio prediletto del patriarcato”\r\n“Siamo la voce potente e feroce di tutte le donne che più non hanno voce!” Questi slogan riempiono la piazza, deflagrano per il corteo.\r\n\r\nTra i tanti interventi quello di una ragazza curda, che ricorda la lotta delle donne di Afrin contro l’invasione turca e il patriarcato. Una studentessa sviluppa una critica alla scuola, dove lo sguardo femminista è quasi sempre assente.\r\n\r\nIn piazza Castello su uno dei tanti monumenti militaristi della città, quello dedicato al duca d’Aosta, in braccio ad uno dei soldati raffigurati viene messa una scopa, uno strofinaccio, un pezzo di tulle rosa.\r\nL’azione è accompagnata da un lungo intervento dal camion.\r\nÉ il momento per parlare delle donne stuprate in guerra, prede e strumento del conflitto. In guerra la logica patriarcale sottesa a torture e stupri è meno dissimulata che in tempi di pace.\r\nDahira nel 1993 aveva 23 anni. Dahira già conosceva il sapore amaro dell’essere donna in una società patriarcale. Era stata ripudiata dal marito, perché non riusciva a dargli dei figli. Una cosa inutile, priva di valore. Ma per lei il peggio doveva ancora venire. In una notte di maggio di 25 anni fa venne spogliata, legata sul cassone di un camion con le braccia e le gambe immobilizzate e stuprata con un razzo illuminante. I torturatori e violentatori erano paracadutisti della Folgore, in missione umanitaria in Somalia. Con cruda ironia la missione Nato, cui l’Italia partecipò si chiamava “Restore hope – restituire la speranza”.\r\nGli stessi parà stanno per sbarcare in Niger per una nuova missione. Questa volta l’obiettivo sono i migranti in viaggio verso l’Europa.\r\nAltri militari saranno in Libia, dove le milizie di Sabratha e Zawija, pagate dallo Stato italiano rinchiudono uomini, donne e bambini in prigioni per migranti, dove tutte le donne vengono stuprate. Gli esecutori sono in Libia, i mandanti sono sulle poltrone del governo italiano.\r\n\r\nIl corteo imbocca via Po e si ferma davanti alla \u003Cmark>chiesa\u003C/mark> della \u003Cmark>SS\u003C/mark> \u003Cmark>Annunziata\u003C/mark>, legata a Comunione e Liberazione. Lì viene appeso uno striscione con la scritta “Preti ed obiettori tremate. Le streghe son tornate!” Prezzemolo e ferri da calza sono lasciati di fronte all’ingresso, per ricordare i tempi dell’aborto clandestino, quando le donne povere abortivano con decotti e ferri da calza, rischiando di morire.\r\nLa \u003Cmark>chiesa\u003C/mark> cattolica vorrebbe che le donne che decidono di non avere figli muoiano o vengano trattate da criminali. A quarant’anni dalla legge che ha depenalizzato l’aborto, ma lo ha sottoposto ad una rigida regolamentazione, in molte città italiane abortire è diventato impossibile, perché il 100% dei medici si dichiara obiettore.\r\nPreti ed obiettori vorrebbero inchiodarci al ruolo di madri e mogli. Quest’8 marzo ci trova più agguerrite che mai nella lotta per una maternità libera e consapevole.\r\n\r\nNelle piazze torinesi si è affermato un femminismo capace di obiettivi radicali e pratiche libertarie, vincendo la scommessa non facile dello sciopero femminista, con la buriana elettorale appena dietro le spalle, nel netto rifiuto di essere usate come trampolino per carriere politiche tinte di fucsia.\r\nIn quest’8 marzo è emerso l’intreccio potente tra la dominazione patriarcale e la violenza dello Stato, del capitalismo, delle frontiere, delle religioni.\r\nDi questi tempi non è poco. Un sasso nello stagno, che si allarga e moltiplica le pozze.\r\n\r\nIl corteo vibra dello slogan urlato da tutte “Ma quale Stato, ma quale dio, sul mio corpo decido io!”\r\n\r\nLa marea dilaga in piazza Vittorio dove viene disegnata una matrioska gigante al cui interno vengono lasciate scope, detersivi, grembiuli e strofinacci.\r\n\r\nUn grido potente riempie la piazza “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione!”. 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La gran parte dei lavoratori che hanno fino all’ultimo partecipato agli scioperi sono stati assunti direttamente alle dipendenze di FedEx nel magazzino di Bologna, con contratto full-time e mantenendo tutti i diritti che avevano conquistato negli anni sul sito di Piacenza (ticket,livelli, scatti di anzianità, ecc.); altri, tra cui molti lavoratori che per motivi personali non potevano trasferirsi in altre città, hanno invece accettato l’incentivo all’esodo pari a 48 mila euro, con in più la garanzia che FedEx provveda a ritirare tutte le denunce fatte a loro carico a seguito delle centinaia di scioperi e picchetti svolti in questi mesi...\"\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/01/F_m_18_01_Haitham-su-buoni-risultati-lotta-FedEx.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nIl secondo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Alessandro Zadra Sicobas Milano sulle cariche della polizia al presidio dei lavoratori licenziati Unes di Truccazzano (Mi). 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Fino a perderlo di vista...Mercoledì 19 gennaio L'appuntamento per tutti è alle 8.30 in Piazza SS Apostoli a Roma, in contemporanea con l'audizione in Commissione Trasporti di Alfredo Altavilla e Fabio Lazzerini, rispettivamente presidente e amministratore di Ita. Una delegazione potrà raggiungere Montecitorio e una volta di più far\r\nsentire il dissenso dei lavoratori rispetto alle scelte operate finora dalla dirigenza di un'azienda pubblica. Una su tutte l'aver ignorato l’articolo 1212 del Codice civile tra quelli alla base della tutela dei diritti dei lavoratori, in particolar modo a fronte di un momento di crisi concomitante al passaggio di un ramo d’azienda.\r\nL’articolo citato infatti stabilisce che quando un ramo d’azienda viene ceduto da un soggetto a un altro, quest’ultimo deve accollarsi il compito di prendere anche i lavoratori oltre ai beni acquisiti.\r\nNel caso specifico invece i lavoratori Alitalia, se non in minima parte, non sono passati a Ita. 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