","Da Mosul alla Libia: guerra coloniale, conflitti tribali e affari","post",1450447978,[61,62,63,64,65,66,67],"http://radioblackout.org/tag/coalizione-saudita/","http://radioblackout.org/tag/daesh/","http://radioblackout.org/tag/diga/","http://radioblackout.org/tag/eufrate/","http://radioblackout.org/tag/libia/","http://radioblackout.org/tag/mosul/","http://radioblackout.org/tag/trevi/",[34,24,69,28,70,22,20],"diga","libia",{"post_content":72,"tags":77},{"matched_tokens":73,"snippet":75,"value":76},[74],"Saudita","operazione militare da parte dell'Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> contro lo Stato Islamico, quanto","La ditta Trevi di Cesena è rimasta l'ultima concorrente ancora in lizza per prendersi cura della diga di Mosul sull'Eufrate, che il governo iracheno di Baghdad nega abbia bisogno di manutenzione, salvo poi indire una gara per potenziarla. Le spese per gli indispensabili contractors per la sua difesa drenerebbero buona parte dei due miliardi di dollari del valore del contratto, quindi risulta decisiva la scelta del governo Renzi di accollarsi la spesa inviando 450 militari con quello scopo in una zona di guerra, dove soltanto ieri ci sono stati assalti del Daesh, piombato in forze sulle postazioni curde di Mosul.\r\n\r\nLa guerra si sviluppa con un andamento strategico insolito, dove è importante anche e soprattutto l'immagine che si dà al mondo del proprio coinvolgimento, al di là degli inteeressi economici e di traffici più o meno leciti con le forze in campo, per cui non deve stupire l'annuncio - che probabilmente non porterà a nessuna reale operazione militare da parte dell'Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> contro lo Stato Islamico, quanto piuttosto è il risultato dle tenativo dei sauditi di uscire dal conflitto yemenita, aprendosi a nuovi orizzonti internazionali.\r\n\r\nUltima tappa di questo breve excursus sulla situazione nei territori minacciati dalla guerra coloniale e dalle scoribande del Daesh è il puzzle composito di quello che era il territorio libico e ora è un mosaico disaggregato di tribù, Tuareg, milizie di Misurata, islamisti di Ansar al-Sharia, oltre al Daesh che controlla il gofo di Sirte, su cui né il parlamento di Tobruk, riconosciuto internazionalmente dalle forze occidentali, né quello di Tripoli, collegato alla fratellanza musulmana e quindi inviso agli egiziani, possono assicurare un controllo reale, nemmeno se riuscissero a unire le forze in un governo di unità nazionale, come previsto dagli accordi di ieri, sottoscritti solo dai vicepresidenti dei due parlamenti e respinti dai presidenti stessi. Parte dell'occidente li ha fortemente voluti, ma ci sono figure molto destabilizzanti come il generale Haftar che chiede venga rimosso l'embargo sulla vendita delle armi (ovviamente con la scusa di difendersi dal terrorismo), anche per tutto ciò si rafforza il dubbio che l'accordo siglato ieri in Marocco preluda a un nuovo intervento militare europeo\r\n\r\n \r\n\r\nDi tutto questo abbiamo parlato con Chiara Cruciati de \"il manifesto\":\r\n\r\nUnknown",[78,83,85,87,89,91,93],{"matched_tokens":79,"snippet":82},[80,81],"coalizione","saudita","\u003Cmark>coalizione\u003C/mark> \u003Cmark>saudita\u003C/mark>",{"matched_tokens":84,"snippet":24},[],{"matched_tokens":86,"snippet":69},[],{"matched_tokens":88,"snippet":28},[],{"matched_tokens":90,"snippet":70},[],{"matched_tokens":92,"snippet":22},[],{"matched_tokens":94,"snippet":20},[],[96,101],{"field":35,"indices":97,"matched_tokens":98,"snippets":100},[47],[99],[80,81],[82],{"field":102,"matched_tokens":103,"snippet":75,"value":76},"post_content",[74],1157451471441625000,{"best_field_score":106,"best_field_weight":107,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":108,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":110,"highlight":129,"highlights":144,"text_match":152,"text_match_info":153},{"cat_link":111,"category":112,"comment_count":47,"id":113,"is_sticky":47,"permalink":114,"post_author":50,"post_content":115,"post_date":116,"post_excerpt":53,"post_id":113,"post_modified":117,"post_thumbnail":53,"post_thumbnail_html":53,"post_title":118,"post_type":58,"sort_by_date":119,"tag_links":120,"tags":125},[44],[46],"28862","http://radioblackout.org/2015/03/ancora-bombe-e-raid-aerei-in-yemen-il-medio-oriente-in-fiamme/","Siamo alla guerra tra l’Arabia saudita e l’Iran ma combattuta in Yemen. Per la seconda notte aerei sauditi hanno bombardato a più riprese postazioni dei ribelli sciiti Houthi che, con le forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, si accingono a conquistare Aden, la più importante città meridionale e un tempo capitale della Repubblica Socialista dello Yemen del sud. Non è chiaro se agli attacchi – ufficialmente lanciati in aiuto del presidente sunnita Abed Rabbo Mansur Hadi - abbiamo preso parte aerei di altre petromonarchie del Golfo che fanno parte della coalizione – Arabia Saudita, Egitto, Marocco, Sudan, Pakistan, Emirati arabi uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait e Giordania-messa insieme dall’Arabia saudita per attaccare in Yemen e lanciare un messaggio molto forte all’Iran.\r\n\r\nLa notte scorsa, i raid hanno toccato anche la zona vicina al palazzo presidenziale della capitale Sana’a. Sul campo il bilancio è di almeno 15 morti. Ieri – secondo Amnesty International – erano stati almeno 25, fra cui diversi bambini.\r\n\r\nAscolta la diretta con Lorenzo, giornalista free lance\r\n\r\nyemen_giornalista indipendente","27 Marzo 2015","2015-04-01 14:32:07","Ancora bombe e raid aerei in Yemen. Il Medio Oriente in fiamme",1427467395,[121,122,123,124],"http://radioblackout.org/tag/arabia-saudita/","http://radioblackout.org/tag/iran/","http://radioblackout.org/tag/medio-oriente/","http://radioblackout.org/tag/yemen/",[15,126,127,128],"Iran","medio oriente","yemen",{"post_content":130,"tags":134},{"matched_tokens":131,"snippet":132,"value":133},[80,74],"Golfo che fanno parte della \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> – Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>, Egitto, Marocco, Sudan, Pakistan, Emirati","Siamo alla guerra tra l’Arabia \u003Cmark>saudita\u003C/mark> e l’Iran ma combattuta in Yemen. Per la seconda notte aerei sauditi hanno bombardato a più riprese postazioni dei ribelli sciiti Houthi che, con le forze fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, si accingono a conquistare Aden, la più importante città meridionale e un tempo capitale della Repubblica Socialista dello Yemen del sud. Non è chiaro se agli attacchi – ufficialmente lanciati in aiuto del presidente sunnita Abed Rabbo Mansur Hadi - abbiamo preso parte aerei di altre petromonarchie del Golfo che fanno parte della \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> – Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>, Egitto, Marocco, Sudan, Pakistan, Emirati arabi uniti, Qatar, Bahrein, Kuwait e Giordania-messa insieme dall’Arabia \u003Cmark>saudita\u003C/mark> per attaccare in Yemen e lanciare un messaggio molto forte all’Iran.\r\n\r\nLa notte scorsa, i raid hanno toccato anche la zona vicina al palazzo presidenziale della capitale Sana’a. Sul campo il bilancio è di almeno 15 morti. Ieri – secondo Amnesty International – erano stati almeno 25, fra cui diversi bambini.\r\n\r\nAscolta la diretta con Lorenzo, giornalista free lance\r\n\r\nyemen_giornalista indipendente",[135,138,140,142],{"matched_tokens":136,"snippet":137},[81],"arabia \u003Cmark>saudita\u003C/mark>",{"matched_tokens":139,"snippet":126},[],{"matched_tokens":141,"snippet":127},[],{"matched_tokens":143,"snippet":128},[],[145,147],{"field":102,"matched_tokens":146,"snippet":132,"value":133},[80,74],{"field":35,"indices":148,"matched_tokens":149,"snippets":151},[47],[150],[81],[137],1157451471306883000,{"best_field_score":154,"best_field_weight":155,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":156,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"2211897802752",14,"1157451471306883186",{"document":158,"highlight":180,"highlights":201,"text_match":212,"text_match_info":213},{"cat_link":159,"category":160,"comment_count":47,"id":161,"is_sticky":47,"permalink":162,"post_author":50,"post_content":163,"post_date":164,"post_excerpt":53,"post_id":161,"post_modified":165,"post_thumbnail":166,"post_thumbnail_html":167,"post_title":168,"post_type":58,"sort_by_date":169,"tag_links":170,"tags":176},[44],[46],"64609","http://radioblackout.org/2020/11/fincantieri-e-larabia-saudita-business-di-guerra/","Fincantieri ha deciso di esternalizzare negli Stati Uniti la produzione di navi da guerra destinate all’Arabia Saudita per aggirare l’embargo europeo.\r\nIl 17 settembre 2020 una risoluzione del Parlamento europeo ha esortato i paesi membri Ue “ad astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all’Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e a qualsiasi membro della coalizione internazionale, nonché al governo yemenita e ad altre parti del conflitto”. E cosa fanno allora le aziende leader del complesso militare-industriale italiano? Portano all’estero la produzione di sistemi di morte utilizzando i cantieri d’oltreoceano in mano alle proprie società controllate.\r\n\r\nIl 27 dicembre 2019 il gruppo Fincantieri di Trieste ha reso noto che la Marina Militare statunitense aveva assegnato ad un consorzio guidato dal colosso mondiale “Lockheed Martin” e di cui fa parte Fincantieri Marinette Marine (società del gruppo con sede negli Stati Uniti), la costruzione di quattro unità navali MMSC – Multi Mission Surface Combatants destinate all’Arabia Saudita. “Fincantieri sarà il costruttore delle navi presso il suo stabilimento di Marinette, nel Wisconsin, recentemente visitato dal Vice Presidente degli Stati Uniti Mike Pence”, riportava la nota del gruppo italiano.\r\nLa commessa dovrebbe assicurare a Fincantieri un miliardo e trecento milioni di dollari. Il Dipartimento della Difesa ha già anticipato ai contractor 450 milioni di dollari per l’avvio della progettazione per la costruzione delle quattro unità da guerra nell’ambito del programma Foreign Military Sales destinato ai partner strategici USA a livello internazionale.\r\n\r\n“Alcuni ordini come questo, oltre ad avere una notevole rilevanza economica, si connotano anche per importanti aspetti industriali”, ha dichiarato Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri S.p.A.. “Un tale risultato corona uno straordinario lavoro che ci ha portato a consolidare una reputazione di assoluta eccellenza anche nel mercato statunitense, notoriamente molto complesso, ed è un attestato delle capacità strategiche, tecnologiche e gestionali che Fincantieri è in grado di esprimere sempre al più alto livello e in qualsiasi contesto”.\r\n\r\n“La vendita delle unità MMSC all’Arabia Saudita è un risultato importante per la Marina Militare USA”, ha commentato il capitano Danny Hernandez, portavoce del Dipartimento ricerca, sviluppo e acquisizione di US Navy. “Il finanziamento con il programma Foreign Military Sales delle imbarcazioni militari assicurerà una domanda di manodopera aggiuntiva e un’ulteriore stabilità occupazionale nel settore della cantieristica industriale. I cantieri dove saranno realizzate le MMSC sono gli stessi in cui si stanno costruendo le unità della classe Littoral Combat Ship (LSC) di US Navy”.\r\nLa consegna della prima nave ai sauditi è prevista nel giugno 2023. “L’MMSC si distinguerà per essere altamente manovrabile, caratterizzata dalla flessibilità derivata dal mono-scafo delle Littoral Combat Ship, classe Freedom, con un’autonomia incrementata a 5.000 miglia nautiche e una velocità superiore a 30 nodi, che la renderanno capace di operazioni di pattugliamento sia costiero che in mare aperto, e in grado di affrontare tutte le moderne minacce alla sicurezza marittima ed economica”, spiegano i manager di Fincantieri.\r\nLunghe 118 m, le MMSC – Multi Mission Surface Combatants potranno imbarcare sino a 75 militari tra marinai ed avieri e svolgere un ampio raggio di missioni militari, dal pattugliamento marittimo al combattimento contro i sottomarini, dalla guerra elettronica e anti-mine alle operazioni di pronto intervento delle forze speciali. Le unità saranno dotate di un variegato e micidiale armamento gestito dal sistema di combattimento integrato “Aegis”: un modulo a otto celle VLS Mk-41 per 32 missili superficie-aria RIM-162; un lanciatore “Sea Ram”; otto lanciatori per missili antinave “Harpoon”; un cannone BAE Systems “Bofors”da 57mm Mk-110; due impianti remoti Nexter “Narwhal” da 20mm.. Non è escluso che le forze armate saudite possano installare a bordo delle MMSC anche un cannone MK-75 da 76mm prodotto a La Spezia da Oto Melara, società controllata da Leonardo-Finmeccanica.\r\nSecondo la società capofila del maxi-contratto, Lockheed Martin, a bordo delle unità da guerra potrebbero essere imbarcati pure gli elicotteri bi-turbina MH-60R “SeaHawk” prodotti da Sikorsky Aircraft Corporation. Gli hangar delle MMSC saranno predisposti per ospitare due di questi elicotteri o, in alternativa, fino a tre droni a decollo verticale MQ-8B/C “Firescout” di Northrop Grumman.\r\n\r\nLa trattativa di vendita delle unità da guerra era stata avviata dai manager di Locheed Martin e Fincantieri già nell’autunno del 2015, dopo che il Dipartimento di Stato aveva autorizzato il trasferimento di nuovi sistemi d’arma all’Arabia Saudita per un importo complessivo di 11 miliardi e 250 milioni di dollari. Una lettera d’intenti venne sottoscritta nel maggio 2017 tra le marine militari di Stati Uniti e Arabia Saudita: essa individuava come main conctrator per le navi multi-missione la Lockheed Martin Corporation di Bethesda, Maryland.\r\n\r\nLa partecipazione all’affaire da parte del gruppo Fincantieri, grazie ai propri stabilimenti di Marinette (Wisconsin), veniva rivelata al pubblico italiano solo il 20 luglio 2018, grazie ad un articolo di Analisi Difesa. La cerimonia di taglio delle lamiere della prima unità si è tenuta il 24 ottobre 2019 alla presenza dei vertici di US Navy, Lockheed Martin e Fincantieri Marinette Marine, del Comandante della flotta orientale della Marina saudita, ammiraglio Fahad Al-Shimrami e di alcuni leader politici del Wisconsin (il senatore Tammy Baldwin e il membro della Camera dei rappresentanti Mike Gallagher), nonché del sindaco di Marinette, Steve Genisot.\r\n\r\nIn Wisconsin, oltre ai cantieri navali di Marinette, la Fincantieri Marine Group controlla pure quelli di Sturgeon Bay (“Fincantieri Bay Shipbuilding”) e Green Bay (“Fincantieri Ace Marine”). Per modernizzarli, negli ultimi dieci anni l’holding industriale-finanziaria ha investito più di 180 milioni di dollari; la forza lavoro complessiva nei tre siti è di circa 2.500 persone.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Antonio Mazzeo, antimilitarista, insegnante e blogger\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/2020-11-17-mazzeo-fincantieri.mp3\"][/audio]\r\n\r\n2020 11 17 mazzeo fincantieri","17 Novembre 2020","2020-11-17 15:23:57","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"134\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri-300x134.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri-300x134.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri-1024x458.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri-768x343.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri-100x44.jpg 100w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/Fincantieri.jpg 1217w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Fincantieri e Arabia Saudita: business di guerra",1605623971,[121,171,172,173,174,175],"http://radioblackout.org/tag/busuness-di-guerra/","http://radioblackout.org/tag/fincantieri/","http://radioblackout.org/tag/loockeed-martin/","http://radioblackout.org/tag/marinette/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/",[15,177,178,32,30,179],"busuness di guerra","fincantieri","Stati Uniti",{"post_content":181,"post_title":185,"tags":188},{"matched_tokens":182,"snippet":183,"value":184},[74,80],"armi e attrezzature militari all’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>, agli Emirati Arabi Uniti e a qualsiasi membro della \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> internazionale, nonché al governo yemenita","Fincantieri ha deciso di esternalizzare negli Stati Uniti la produzione di navi da guerra destinate all’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> per aggirare l’embargo europeo.\r\nIl 17 settembre 2020 una risoluzione del Parlamento europeo ha esortato i paesi membri Ue “ad astenersi dal vendere armi e attrezzature militari all’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>, agli Emirati Arabi Uniti e a qualsiasi membro della \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> internazionale, nonché al governo yemenita e ad altre parti del conflitto”. E cosa fanno allora le aziende leader del complesso militare-industriale italiano? Portano all’estero la produzione di sistemi di morte utilizzando i cantieri d’oltreoceano in mano alle proprie società controllate.\r\n\r\nIl 27 dicembre 2019 il gruppo Fincantieri di Trieste ha reso noto che la Marina Militare statunitense aveva assegnato ad un consorzio guidato dal colosso mondiale “Lockheed Martin” e di cui fa parte Fincantieri Marinette Marine (società del gruppo con sede negli Stati Uniti), la costruzione di quattro unità navali MMSC – Multi Mission Surface Combatants destinate all’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>. “Fincantieri sarà il costruttore delle navi presso il suo stabilimento di Marinette, nel Wisconsin, recentemente visitato dal Vice Presidente degli Stati Uniti Mike Pence”, riportava la nota del gruppo italiano.\r\nLa commessa dovrebbe assicurare a Fincantieri un miliardo e trecento milioni di dollari. Il Dipartimento della Difesa ha già anticipato ai contractor 450 milioni di dollari per l’avvio della progettazione per la costruzione delle quattro unità da guerra nell’ambito del programma Foreign Military Sales destinato ai partner strategici USA a livello internazionale.\r\n\r\n“Alcuni ordini come questo, oltre ad avere una notevole rilevanza economica, si connotano anche per importanti aspetti industriali”, ha dichiarato Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri S.p.A.. “Un tale risultato corona uno straordinario lavoro che ci ha portato a consolidare una reputazione di assoluta eccellenza anche nel mercato statunitense, notoriamente molto complesso, ed è un attestato delle capacità strategiche, tecnologiche e gestionali che Fincantieri è in grado di esprimere sempre al più alto livello e in qualsiasi contesto”.\r\n\r\n“La vendita delle unità MMSC all’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> è un risultato importante per la Marina Militare USA”, ha commentato il capitano Danny Hernandez, portavoce del Dipartimento ricerca, sviluppo e acquisizione di US Navy. “Il finanziamento con il programma Foreign Military Sales delle imbarcazioni militari assicurerà una domanda di manodopera aggiuntiva e un’ulteriore stabilità occupazionale nel settore della cantieristica industriale. I cantieri dove saranno realizzate le MMSC sono gli stessi in cui si stanno costruendo le unità della classe Littoral Combat Ship (LSC) di US Navy”.\r\nLa consegna della prima nave ai sauditi è prevista nel giugno 2023. “L’MMSC si distinguerà per essere altamente manovrabile, caratterizzata dalla flessibilità derivata dal mono-scafo delle Littoral Combat Ship, classe Freedom, con un’autonomia incrementata a 5.000 miglia nautiche e una velocità superiore a 30 nodi, che la renderanno capace di operazioni di pattugliamento sia costiero che in mare aperto, e in grado di affrontare tutte le moderne minacce alla sicurezza marittima ed economica”, spiegano i manager di Fincantieri.\r\nLunghe 118 m, le MMSC – Multi Mission Surface Combatants potranno imbarcare sino a 75 militari tra marinai ed avieri e svolgere un ampio raggio di missioni militari, dal pattugliamento marittimo al combattimento contro i sottomarini, dalla guerra elettronica e anti-mine alle operazioni di pronto intervento delle forze speciali. Le unità saranno dotate di un variegato e micidiale armamento gestito dal sistema di combattimento integrato “Aegis”: un modulo a otto celle VLS Mk-41 per 32 missili superficie-aria RIM-162; un lanciatore “Sea Ram”; otto lanciatori per missili antinave “Harpoon”; un cannone BAE Systems “Bofors”da 57mm Mk-110; due impianti remoti Nexter “Narwhal” da 20mm.. Non è escluso che le forze armate saudite possano installare a bordo delle MMSC anche un cannone MK-75 da 76mm prodotto a La Spezia da Oto Melara, società controllata da Leonardo-Finmeccanica.\r\nSecondo la società capofila del maxi-contratto, Lockheed Martin, a bordo delle unità da guerra potrebbero essere imbarcati pure gli elicotteri bi-turbina MH-60R “SeaHawk” prodotti da Sikorsky Aircraft Corporation. Gli hangar delle MMSC saranno predisposti per ospitare due di questi elicotteri o, in alternativa, fino a tre droni a decollo verticale MQ-8B/C “Firescout” di Northrop Grumman.\r\n\r\nLa trattativa di vendita delle unità da guerra era stata avviata dai manager di Locheed Martin e Fincantieri già nell’autunno del 2015, dopo che il Dipartimento di Stato aveva autorizzato il trasferimento di nuovi sistemi d’arma all’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> per un importo complessivo di 11 miliardi e 250 milioni di dollari. Una lettera d’intenti venne sottoscritta nel maggio 2017 tra le marine militari di Stati Uniti e Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>: essa individuava come main conctrator per le navi multi-missione la Lockheed Martin Corporation di Bethesda, Maryland.\r\n\r\nLa partecipazione all’affaire da parte del gruppo Fincantieri, grazie ai propri stabilimenti di Marinette (Wisconsin), veniva rivelata al pubblico italiano solo il 20 luglio 2018, grazie ad un articolo di Analisi Difesa. La cerimonia di taglio delle lamiere della prima unità si è tenuta il 24 ottobre 2019 alla presenza dei vertici di US Navy, Lockheed Martin e Fincantieri Marinette Marine, del Comandante della flotta orientale della Marina \u003Cmark>saudita\u003C/mark>, ammiraglio Fahad Al-Shimrami e di alcuni leader politici del Wisconsin (il senatore Tammy Baldwin e il membro della Camera dei rappresentanti Mike Gallagher), nonché del sindaco di Marinette, Steve Genisot.\r\n\r\nIn Wisconsin, oltre ai cantieri navali di Marinette, la Fincantieri Marine Group controlla pure quelli di Sturgeon Bay (“Fincantieri Bay Shipbuilding”) e Green Bay (“Fincantieri Ace Marine”). Per modernizzarli, negli ultimi dieci anni l’holding industriale-finanziaria ha investito più di 180 milioni di dollari; la forza lavoro complessiva nei tre siti è di circa 2.500 persone.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Antonio Mazzeo, antimilitarista, insegnante e blogger\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/2020-11-17-mazzeo-fincantieri.mp3\"][/audio]\r\n\r\n2020 11 17 mazzeo fincantieri",{"matched_tokens":186,"snippet":187,"value":187},[74],"Fincantieri e Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>: business di guerra",[189,191,193,195,197,199],{"matched_tokens":190,"snippet":137},[81],{"matched_tokens":192,"snippet":177},[],{"matched_tokens":194,"snippet":178},[],{"matched_tokens":196,"snippet":32},[],{"matched_tokens":198,"snippet":30},[],{"matched_tokens":200,"snippet":179},[],[202,204,207],{"field":102,"matched_tokens":203,"snippet":183,"value":184},[74,80],{"field":205,"matched_tokens":206,"snippet":187,"value":187},"post_title",[74],{"field":35,"indices":208,"matched_tokens":209,"snippets":211},[47],[210],[81],[137],1157451470233141200,{"best_field_score":214,"best_field_weight":155,"fields_matched":215,"num_tokens_dropped":47,"score":216,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"2211897278464",3,"1157451470233141363",{"document":218,"highlight":236,"highlights":241,"text_match":244,"text_match_info":245},{"cat_link":219,"category":220,"comment_count":47,"id":221,"is_sticky":47,"permalink":222,"post_author":50,"post_content":223,"post_date":224,"post_excerpt":53,"post_id":221,"post_modified":225,"post_thumbnail":226,"post_thumbnail_html":227,"post_title":228,"post_type":58,"sort_by_date":229,"tag_links":230,"tags":233},[44],[46],"71667","http://radioblackout.org/2021/11/guerra-civile-in-etiopia/","Abbiamo raggiunto telefonicamente Matteo Palamidesse, giornalista freelance esperto di Etiopia ed Eritrea, per un aggiornamento sulla guerra interna che si è sviluppata in Etiopia nell'ultimo anno e sulla quale la maggior parte delle fonti di informazione italiane continuano a tacere.\r\n\r\nIl conflitto, nato nella regione del Tigray ma espansosi ora fino a lambire la regione di Addis Abeba, vede schierata contro il governo federale di Abiy Ahmed la coalizione denominata \"United Front of Ethiopian Federalist Forces\", composta di diversi fronti: il Tigrayan People’s Liberation Front (TPLF), l'Oromo Liberation Army (OLA), l'Afar Revolutionary Democratic Unity Front (che non riconosce né l'Etiopia, né l'Eritrea, né la Somalia), il Somali State Resistance, il Gambella Peoples Liberation Army.\r\n\r\nTra violenze armate, pandemia e locuste, migliaia di famiglie si trovano con i raccolti distrutti, senza cibo, acqua e medicine, mentre Usa, Russia, Arabia Saudita, Corea del Sud, ma anche Italia, hanno cominciato a richiamare i propri cittadini in patria.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/etiopia.mp3\"][/audio]","8 Novembre 2021","2021-11-08 14:16:26","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/Schermata-del-2021-11-08-14-09-16-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"227\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/Schermata-del-2021-11-08-14-09-16-300x227.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/Schermata-del-2021-11-08-14-09-16-300x227.png 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/Schermata-del-2021-11-08-14-09-16-768x580.png 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/Schermata-del-2021-11-08-14-09-16.png 921w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Guerra civile in Etiopia",1636380986,[231,232],"http://radioblackout.org/tag/africa-orientale/","http://radioblackout.org/tag/etiopia/",[234,235],"Africa orientale","etiopia",{"post_content":237},{"matched_tokens":238,"snippet":239,"value":240},[80],"federale di Abiy Ahmed la \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> denominata \"United Front of Ethiopian","Abbiamo raggiunto telefonicamente Matteo Palamidesse, giornalista freelance esperto di Etiopia ed Eritrea, per un aggiornamento sulla guerra interna che si è sviluppata in Etiopia nell'ultimo anno e sulla quale la maggior parte delle fonti di informazione italiane continuano a tacere.\r\n\r\nIl conflitto, nato nella regione del Tigray ma espansosi ora fino a lambire la regione di Addis Abeba, vede schierata contro il governo federale di Abiy Ahmed la \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> denominata \"United Front of Ethiopian Federalist Forces\", composta di diversi fronti: il Tigrayan People’s Liberation Front (TPLF), l'Oromo Liberation Army (OLA), l'Afar Revolutionary Democratic Unity Front (che non riconosce né l'Etiopia, né l'Eritrea, né la Somalia), il Somali State Resistance, il Gambella Peoples Liberation Army.\r\n\r\nTra violenze armate, pandemia e locuste, migliaia di famiglie si trovano con i raccolti distrutti, senza cibo, acqua e medicine, mentre Usa, Russia, Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark>, Corea del Sud, ma anche Italia, hanno cominciato a richiamare i propri cittadini in patria.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/11/etiopia.mp3\"][/audio]",[242],{"field":102,"matched_tokens":243,"snippet":239,"value":240},[80],1155199671761633300,{"best_field_score":246,"best_field_weight":155,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":247,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"1112386306048","1155199671761633393",{"document":249,"highlight":263,"highlights":268,"text_match":244,"text_match_info":271},{"cat_link":250,"category":251,"comment_count":47,"id":252,"is_sticky":47,"permalink":253,"post_author":50,"post_content":254,"post_date":255,"post_excerpt":53,"post_id":252,"post_modified":256,"post_thumbnail":257,"post_thumbnail_html":258,"post_title":259,"post_type":58,"sort_by_date":260,"tag_links":261,"tags":262},[44],[46],"42285","http://radioblackout.org/2017/06/alberto-negri-medio-oriente-nessuna-spartizione-giochi-ancora-aperti/","Con il giornalista del Sole 24 ore Alberto Negri approfondiamo la situazione del quadrante mediorientale a partire dal devastante attacco al cuore di Kabul che ha fatto ieri 90 vittime davanti ad ambasciate e grandi aziende afghane. Da una parte si moltiplicano i colpi di coda di una Stato islamico sempre più in difficoltà ma dall’altra l’imminente caduta di Raqqa e di Mosul non fornirà alcuna stabilità alla regione. Gli Stati uniti sembrano essere ritornati ai classici che hanno strutturato la politica estera americana negli ultimi quarant’anni ossia il sostegno all’Arabia saudita e ai “ribelli” sunniti nell’area, testimoniato dalla presenza di Donald Trump a Ryad la scorsa settimana ma soprattuto del ricco accordo in materia di armamenti concluso tra i capi di stato. Al centro delle preoccupazioni statunitensi il protagonismo sciita nella zona, con Hezbollah sempre più presente in Siria e le milizie sostenute dall’Iran che stanno liberando buona parte dell’Iraq e dello stesso Kurdistan iracheno. La creazione di un corridoio sciita siro-iracheno va scongiurata a tutti i costi e per questo gli USA contemplano la possibilità di tornare ad armare una parte dell’opposizione islamista siriana oltre che confermare il sostegno alle forze delle SDF a trazione curda. L’Italia, paggetto della politica americana nell’area, è pressata dalla nuova amministrazione USA per continuare il proprio impegno sul fronte iracheno in particolare con l’invio di un contingente di carabinieri a Mosul senza che a questo impegno corrisponda alcuna contropartita sul fronte più caldo per gli interessi italiani, quello libico, dove il generale Haftar, sostenuto dall’Egitto e ufficialmente avversato dalla coalizione internazionale di cui il nostro paese fa parte, prende sempre più piede. L’accelerazione del conflitto nella zona non sembra quindi prefigurarsi come un dipanarsi della matassa mediorientale ma anzi potrebbe aprire a nuovi conflitti una volta riassorbita l’anomalia ISIS.\r\n\r\n\r\n\r\nalbertonegrigiu17","1 Giugno 2017","2017-06-10 00:32:30","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/06/14203729272_5e2222c44d_o-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"168\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/06/14203729272_5e2222c44d_o-300x168.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/06/14203729272_5e2222c44d_o-300x168.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/06/14203729272_5e2222c44d_o-768x431.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/06/14203729272_5e2222c44d_o-1024x575.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Alberto Negri: Medio Oriente nessuna spartizione, giochi ancora aperti",1496319017,[],[],{"post_content":264},{"matched_tokens":265,"snippet":266,"value":267},[81],"quarant’anni ossia il sostegno all’Arabia \u003Cmark>saudita\u003C/mark> e ai “ribelli” sunniti nell’area,","Con il giornalista del Sole 24 ore Alberto Negri approfondiamo la situazione del quadrante mediorientale a partire dal devastante attacco al cuore di Kabul che ha fatto ieri 90 vittime davanti ad ambasciate e grandi aziende afghane. Da una parte si moltiplicano i colpi di coda di una Stato islamico sempre più in difficoltà ma dall’altra l’imminente caduta di Raqqa e di Mosul non fornirà alcuna stabilità alla regione. Gli Stati uniti sembrano essere ritornati ai classici che hanno strutturato la politica estera americana negli ultimi quarant’anni ossia il sostegno all’Arabia \u003Cmark>saudita\u003C/mark> e ai “ribelli” sunniti nell’area, testimoniato dalla presenza di Donald Trump a Ryad la scorsa settimana ma soprattuto del ricco accordo in materia di armamenti concluso tra i capi di stato. Al centro delle preoccupazioni statunitensi il protagonismo sciita nella zona, con Hezbollah sempre più presente in Siria e le milizie sostenute dall’Iran che stanno liberando buona parte dell’Iraq e dello stesso Kurdistan iracheno. La creazione di un corridoio sciita siro-iracheno va scongiurata a tutti i costi e per questo gli USA contemplano la possibilità di tornare ad armare una parte dell’opposizione islamista siriana oltre che confermare il sostegno alle forze delle SDF a trazione curda. L’Italia, paggetto della politica americana nell’area, è pressata dalla nuova amministrazione USA per continuare il proprio impegno sul fronte iracheno in particolare con l’invio di un contingente di carabinieri a Mosul senza che a questo impegno corrisponda alcuna contropartita sul fronte più caldo per gli interessi italiani, quello libico, dove il generale Haftar, sostenuto dall’Egitto e ufficialmente avversato dalla \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> internazionale di cui il nostro paese fa parte, prende sempre più piede. L’accelerazione del conflitto nella zona non sembra quindi prefigurarsi come un dipanarsi della matassa mediorientale ma anzi potrebbe aprire a nuovi conflitti una volta riassorbita l’anomalia ISIS.\r\n\r\n\r\n\r\nalbertonegrigiu17",[269],{"field":102,"matched_tokens":270,"snippet":266,"value":267},[81],{"best_field_score":246,"best_field_weight":155,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":247,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},{"document":273,"highlight":295,"highlights":300,"text_match":244,"text_match_info":303},{"cat_link":274,"category":275,"comment_count":47,"id":276,"is_sticky":47,"permalink":277,"post_author":50,"post_content":278,"post_date":279,"post_excerpt":53,"post_id":276,"post_modified":280,"post_thumbnail":53,"post_thumbnail_html":53,"post_title":281,"post_type":58,"sort_by_date":282,"tag_links":283,"tags":290},[44],[46],"25150","http://radioblackout.org/2014/09/il-califfo-i-saud-gli-stati-uniti/","Il quotidiano \"La Stampa\" di mercoledì 24 settembre ha pubblicato le dichiarazioni di alcuni esponenti dell'opposione laica al regime di Bashar el Assad. Prevalevano i dubbi e le incertezze. Gli Stati Uniti un anno fa parevano sul punto di bombardare Assad: non lo fecero perché il maggior sponsor del regime siriano, la Russia di Putin, si mise di mezzo. Obama fece marcia indietro, dopo aver incassato il misero contentino della distruzione dell'arsenale chimico siriano.\r\nUn segno, tra i tanti, che gli Stati Uniti non potevano più fare il bello e il cattivo tempo nell'area. D'altra parte due guerre vinte sul piano militare e perse clamorosamente su quello politico non sono uno smacco da poco per la più grande potenza militare del pianeta. I fallimenti in Iraq e Afganistan pesano come macigni.\r\nAd un anno dalla ritirata sulla Siria, gli Stati Uniti hanno promosso una coalizione per attaccare l'Is, il califfato islamico fondato a cavallo tra la Siria e l'Iraq da una delle formazioni che Arabia Saudita e Stati Uniti avevano foraggiato per combattere Assad. Un vero capovolgimento di fronte. Il governo siriano ha dato il proprio silenzio/assenso e, con ogni probabilità, anche Mosca ha dato il nulla osta.\r\nCome in Afganistan gli Stati Uniti devono fronteggiare con le armi formazioni che ne hanno incassato l'appoggio ma poi hanno perseguito il propri scopi, rafforzandosi ed autonomizzandosi nell'area.\r\nOggi il Califfo Al Baghdadi esige tasse e controlla risorse petrolifere sufficienti a garantirgli di poter agire in proprio.\r\nAnche la dinastia Saud, sponsor dell'Isis e di altre formazioni della galassia del radicalismo sunnita, vede ombre sul proprio dominio nell'area e - sia pure senza troppo impegno si schiera contro l'alleato di ieri.\r\nLa partita è ben lungi dall'essere chiusa e gli alleati di oggi possono essere i nemici di domani.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello, attento osservatore degli equilibri geopolitici.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nstefano_isis","24 Settembre 2014","2014-11-03 22:55:17","Il califfo i Saud gli Stati Uniti",1411581985,[284,285,286,287,288,289],"http://radioblackout.org/tag/califfo/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/saud/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/usa/",[26,291,292,18,293,294],"iraq","isis","Siria","USA",{"post_content":296},{"matched_tokens":297,"snippet":298,"value":299},[80],"Stati Uniti hanno promosso una \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> per attaccare l'Is, il califfato","Il quotidiano \"La Stampa\" di mercoledì 24 settembre ha pubblicato le dichiarazioni di alcuni esponenti dell'opposione laica al regime di Bashar el Assad. Prevalevano i dubbi e le incertezze. Gli Stati Uniti un anno fa parevano sul punto di bombardare Assad: non lo fecero perché il maggior sponsor del regime siriano, la Russia di Putin, si mise di mezzo. Obama fece marcia indietro, dopo aver incassato il misero contentino della distruzione dell'arsenale chimico siriano.\r\nUn segno, tra i tanti, che gli Stati Uniti non potevano più fare il bello e il cattivo tempo nell'area. D'altra parte due guerre vinte sul piano militare e perse clamorosamente su quello politico non sono uno smacco da poco per la più grande potenza militare del pianeta. I fallimenti in Iraq e Afganistan pesano come macigni.\r\nAd un anno dalla ritirata sulla Siria, gli Stati Uniti hanno promosso una \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> per attaccare l'Is, il califfato islamico fondato a cavallo tra la Siria e l'Iraq da una delle formazioni che Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> e Stati Uniti avevano foraggiato per combattere Assad. Un vero capovolgimento di fronte. Il governo siriano ha dato il proprio silenzio/assenso e, con ogni probabilità, anche Mosca ha dato il nulla osta.\r\nCome in Afganistan gli Stati Uniti devono fronteggiare con le armi formazioni che ne hanno incassato l'appoggio ma poi hanno perseguito il propri scopi, rafforzandosi ed autonomizzandosi nell'area.\r\nOggi il Califfo Al Baghdadi esige tasse e controlla risorse petrolifere sufficienti a garantirgli di poter agire in proprio.\r\nAnche la dinastia Saud, sponsor dell'Isis e di altre formazioni della galassia del radicalismo sunnita, vede ombre sul proprio dominio nell'area e - sia pure senza troppo impegno si schiera contro l'alleato di ieri.\r\nLa partita è ben lungi dall'essere chiusa e gli alleati di oggi possono essere i nemici di domani.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello, attento osservatore degli equilibri geopolitici.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nstefano_isis",[301],{"field":102,"matched_tokens":302,"snippet":298,"value":299},[80],{"best_field_score":246,"best_field_weight":155,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":247,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},6646,{"collection_name":58,"first_q":34,"per_page":39,"q":34},9,{"facet_counts":308,"found":14,"hits":330,"out_of":381,"page":17,"request_params":382,"search_cutoff":36,"search_time_ms":329},[309,317],{"counts":310,"field_name":315,"sampled":36,"stats":316},[311,313],{"count":17,"highlighted":312,"value":312},"anarres",{"count":17,"highlighted":314,"value":314},"I Bastioni di Orione","podcastfilter",{"total_values":14},{"counts":318,"field_name":35,"sampled":36,"stats":328},[319,320,322,324,326],{"count":17,"highlighted":293,"value":293},{"count":17,"highlighted":321,"value":321},"guerra",{"count":17,"highlighted":323,"value":323},"BastioniOrione",{"count":17,"highlighted":325,"value":325},"macerie-su-macerie",{"count":17,"highlighted":327,"value":327},"Bastioni di Orione",{"total_values":329},5,[331,357],{"document":332,"highlight":348,"highlights":353,"text_match":244,"text_match_info":356},{"comment_count":47,"id":333,"is_sticky":47,"permalink":334,"podcastfilter":335,"post_author":336,"post_content":337,"post_date":338,"post_excerpt":53,"post_id":333,"post_modified":339,"post_thumbnail":340,"post_title":341,"post_type":342,"sort_by_date":343,"tag_links":344,"tags":347},"99949","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-18-09-2025-la-svolta-dellattacco-sionista-a-doha-rivolte-e-intrighi-nella-contorta-estate-in-sudest-asiatico-il-gerd-etiope-alleanze-in-corno-dafrica-e-lassedio-medievale/",[314],"info2","Nel 43esimo anniversario di Sabra e Chatila iniziamo la trasmissione con Laura Silvia Battaglia per analizzare quali strade si aprono al mondo arabo e in particolare ai paesi del Golfo dopo il proditorio attacco del fascistissimo governo israeliano contro la delegazione di Hamas chiamata a Doha a valutare le proposte di tregua; da questo primo spunto si è sviluppata una disamina che ha coinvolto il Pakistan, con il quale l'Arabia Saudita ha stipulato un accordo di reciproco supporto in caso di aggressione, la centralità della spianata nei livelli di provocazione dell'entità ebraica, il dilettantismo trumpiano, finendo con rievocare la distruzione di vestigia e tradizioni culturali perpetrate dall'esercito americano nel recente passato, con lo stesso spregio coloniale e supponente dell'Idf, partendo dal presupposto di detenere il monopolio della cultura di riferimento.\r\nPer contiguità con la regione mediorientale abbiamo proseguito nella carrellata di conflitti che costellano il pianeta, attraversando Bab-al Mandab, ed è toccato a Matteo Palamidesse accompagnarci tra le divisioni armate dell'Africa orientale, dove l'attivazione della diga etiope Gerd sul Nilo Azzurro funge da pretesto per alimentare le divisioni etniche, le rivendicazioni di indipendenza e i campi contrapposti appoggiati da potenze straniere, coinvolgendo il territorio del Corno d'Africa ed estendendosi fino all'assedio di stampo medievale attuato dalle Rsf di Dagalo su Al Fashir nell'Est del Sudan, dove si consumano stragi quotidiane, l'ultima delle quali è avvenuta con un drone su una moschea che ha causato 75 morti poche ore dopo il racconto di Matteo ai nostri microfoni.\r\nL'elenco di conflitti, proteste e insurrezioni è poi proseguito in Sudest asiatico con Emanuele Giordana, che ci ha illustrato gli intrighi, collegati agli interessi delle scam city e del mondo dell'azzardo per quel che riguarda le scaramucce tra Thailandia e Cambogia e che hanno portato a un rivolgimento politico rischioso per la tradizionale suscettibilità dei militari thai, sempre pronti a sciogliere la conduzione democratica del paese, ora in mano a una nuova coalizione anodina condotta da Anutin Charnvirakul con l'appoggio esterno del Partito popolare (ex Move Forward), dopo la destituzione della famiglia Shinawatra; sempre con il reporter esperto delle questioni estremo orientali abbiamo poi raggiunto il Nepal dove si è assistito a un nuovo episodio delle rivolte della macroarea nell'ultimo anno (dopo Bangla Desh e Sri Lanka) che hanno portato alla destituzione del governo corrotto filocinese; senza tralasciare il pugno di ferro di Prabowo che riprende la tradizione repressiva dell'Indonesia.\r\nLa lunga puntata si è conclusa in Latinamerica con Andrea Cegna inseguendo altri venti di guerra, anche questi scatenati dall'Impero americano in declino: le War on Drugs di nixoniana memoria, ripristinate dall'amministrazione Trump come pretesto per colpire i nemici del cortile di casa; così si è parlato di quale sia il significato ancora del regime bolivariano in Venezuela, ma anche del contrasto in Caribe e quale ruolo svolga il Mexico di Scheinbaum, riservandoci di affrontare tra un mese le alterne fortune del neoliberismo nel mondo latinoamericano, in particolare quello incarnato da Milei che ha subito sì una sonora sconfitta a Buenos Aires, ma in ottobre per le elezioni del Parlamento può ambire a un numero maggiore di rappresentanti eletti tra le sue file.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nOil non olet\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/3iOadt0OjeBCBS2wCkHYV6?si=2mNA3bJ4QpaubkOL24hdvg\r\n\r\nSi sono sprecati tutti gli aggettivi più vieti possibili per esprimere indignazione per l’efferatezza delle operazioni militari di Idf agli ordini politici del governo fascista di Netanyahu, sempre rispettando il diritto di Israele a perpetuare un genocidio in quanto popolo eletto, ma di fronte alla sorpresa per il bombardamento della delegazione riunita a valutare proposte di “pace” nel territorio sovrano del Qatar, una nazione filoamericana che ospita la più grossa base statunitense nel Sudovest asiatico e ha regalato l’aereo presidenziale come omaggio al nuovo imperatore, sono venute meno le inani riprovazioni e i vicini sauditi si sono rivolti al Pakistan in cerca di ombrello nucleare e protezione. La credibilità dell’amministrazione Trump è scomparsa del tutto e il volto mascherato di sangue dello Stato ebraico è apparso improvvisamente con i suoi veri connotati al mondo arabo, che ha sempre abbandonato le genti di Palestina al loro destino sacrificale, in cambio di affari.\r\nIl raid israeliano a Doha ha superato il perimetro del conflitto con Hamas: ha squassato regole non scritte, infranto la logica del territorio mediatore, e messo in discussione l’intero schema di alleanze della diplomazia araba, quella stessa che ha permesso al Mossad le peggiori turpitudini e fornito appoggio per operazioni nell'area contro gli avversari di Israele, che con il suo istinto da scorpione ha punto persino il proprio cavallo di Troia nella regione. Il Qatar, lungi dall’essere un bersaglio secondario, entra nella storia come simbolo della frattura tra potenza militare israeliana e coesione regionale arabo-americana, dando spazio a una alleanza di nuovo stampo con una potenza nucleare che fa parte della Belt Road cinese e si approvvigiona da Pechino per i suoi ordigni, come la filosionista India si è accorta nell'ultimo conflitto di pochi mesi fa.\r\nForse ora tutti si accorgeranno che la volontà di cancellazione di ogni traccia di vita e cultura araba dal territorio della Israele biblica coinvolge anche le vestigia e le tradizioni mondiali, ma questo risultato è stato possibile perché tutto ciò che stanno perpetrando i sionisti è già stato sperimentato dai governi di Washington, per esempio in Iraq, dove sono state ridotte in briciole dallo spregio dell’esercito americano testimonianze artistiche e culturali millenarie. Questo è reso possibile dalla presunzione che l’unica vera cultura sia quella ebraico-cristiana e tutti gli altri sono semplici colonizzati senza cultura propria.\r\nQuesti sono i prodromi perché quando gli invasati come Smotrich e Ben Gvir picconeranno la moschea di Gerusalemme, come già hanno cominciato a fare, Al-Aqsa sarà la soglia oltre alla quale la hybris ebraica renderà conto dei suoi abusi, perché la rivolta a quel punto non coinvolgerà solo i milioni di palestinesi, ma i miliardi di musulmani. E gli accordi finanziari, gli interessi per i resort progettati su una Striscia di concentramento e sterminio nulla potranno di fronte alla rivendicazione culturale delle masse oltraggiate dall’impunità israeliana.\r\nGià la trasferta di Rubio a Doha si è risolta in un fallimento: nonostante il giorno prima la riunione dei paesi coinvolti avesse balbettato, come una qualunque Unione europea, L’emiro Tamim ha chiesto i risarcimenti per i danni causati nel bombardamento israeliano su Doha, le scuse ufficiali e l’impegno di Netanyahu a non ripetere più la sua prepotenza e soprattutto di bloccare le uccisioni di innocenti a Gaza.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Oil-non-olet-in-Qatar.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAltri temi inerenti all'aggressione colonialista israeliana degli ultimi 80 anni si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\nIrresolubili contrasti che trovano nell'acqua del Nilo pretesti per perpetuarsi\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/dalla-diga-sul-nilo-all-assedio-di-al-fashir-conflitti-in-africa-orientale--67835929\r\n\r\nFinalmente a inizio settembre si è inaugurata Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro voluta da Ahmed e che non solo approvvigionerebbe Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti di energia elettrica, ma coprirebbe il 20% dei consumi dell’Africa orientale. In questo anno in cui il bacino idrico si è andato riempiendo i dati dimostrano che questo non è avvenuto a detrimento dei paesi a valle, eppure i motivi di attrito con l’Egitto non scemano e anzi si dispiegano truppe del Cairo in Somalia, evidenziando alleanze e divisioni legate ad altri dossier, quali lo sbocco al mare in Somaliland (proprio la regione che per essere riconosciuta da Usa e Israele è disposta a ospitare i gazawi deportati) per Addis Abeba, o gli scontri interetnici sia a Nord in Puntland, che nel Jubbaland a Sud. Matteo Palamidesse ci aiuta a districarci ancora una volta in mezzo a queste dispute, ma ci apre anche una finestra sull’orrore attorno ad Al Fashir, città nel Sudan occidentale con 300.000 abitanti assediati dalle milizie delle Forze di intervento rapido di Hemedti; le sue parole a questo proposito vengono registrate qualche ora prima che un attacco contro una moschea proprio nei dintorni della città del Darfur ai confini con il Ciad il 19 settembre producesse 75 morti.\r\nNon poteva mancare anche uno sguardo al Sud Sudan nel giorno in cui è stato reso noto il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, frutto di due anni di indagini e analisi indipendenti che hanno evidenziato il Saccheggio di una nazione, come riporta il titolo del dossier stesso.\r\n\r\n \r\n\r\nIl dossier africano che racchiude i podcast precedenti si trova qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Infiniti-squilibri-distopici-in-Africa-orientale.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nIl capillare cambio di paradigma sistemico in Sudest asiatico\r\n\r\nCon Emanuele Giordana parliamo dei venti di rivolta giovanile che stanno scuotendo alcuni paesi asiatici, un'onda lunga partita dalle rivolte in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024 che hanno defenestrato le dinastie al potere reclamando un cambiamento sostanziale . Le cause delle crisi che stanno attraversando alcuni paesi asiatici hanno le loro radici in un sistema di potere autoritario che nega le legittime aspirazioni delle nuove generazioni a una partecipazione concreta alle scelte che condizionano il loro futuro. La crisi economica, le distorsioni nello sviluppo eredità del colonialismo, l'iniqua distribuzione delle risorse, la corruzione imperante, le smodate ricchezze esibite da élite predatorie, l'ingombrante presenza dei militari nella vita politica ed economica, la disoccupazione giovanile e la mancanza di prospettive sono tratti comuni in paesi come la Thailandia, l'Indonesia e con caratteristiche più peculiari il Nepal. Sono paesi dove i giovani sono la maggioranza ma le loro richieste di cambiamento sono state compresse e represse per molto tempo e dove hanno trovato uno sbocco elettorale come in Thailandia i poteri conservatori e legati alla monarchia hanno invalidato l'esito elettorale. La chiamano la generazione \"z\" ma a prescindere dalle definizioni queste rivolte sono il sintomo di una forte richiesta di cambiamento del modello di accumulazione che ha contraddistinto la tumultuosa crescita dei paesi asiatici. Questa spinta generazionale ancora non riesce a trasformarsi in un articolato progetto politico ma sta mettendo in discussione fortemente un modello di società che ormai non garantisce né crescita né uguaglianza, le rivolte si stanno espandendo e chissà che dall'Asia arrivi anche in Europa questo virus benefico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/i-giovani-scuotono-l-asia-dalla-crisi-politica-thai-alle-rivolte-in-nepal-ed-indonesia--67824026\r\n\r\nAltri temi inerenti alla geopolitica estremorientale si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-GIORDANA-18092025.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nTrump ringhia contro il Venezuela agitando lo spettro della guerra alla droga.\r\n\r\nTrump si rivolge verso il \" patio trasero\" yankee con molta più frequenza ed aggressività delle precedenti amministrazioni anche repubblicane. L'impero declinante ha perso importanti posizioni in America Latina nel confronto con il competitor cinese e quindi ora Washington si atteggia a \" terminator\" nella strategia della lotta antidroga ,alibi per eccellenza fin dai tempi di Nixon per mascherare le ingerenze nordamericane. Il target è il Venezuela, irriducibilmente chavista nonostante Maduro, comunque eccezione pur con le sue contraddizioni a causa di un modello economico redistributivo verso il basso che non trova più seguaci nella regione . Rimasto prigioniero delle logiche di capitalismo estrattivo il Venezuela di Maduro resiste anche per l'inefficacia di un'opposizione poco credibile ed asservita agli interessi statunitensi, preda ambita per le sue riserve petrolifere.\r\nIl narcotraffico costituisce la copertura per l'interventismo nordamericano che ricorda la versione 2.0 della dottrina Monroe, ma il destino manifesto è duro da affermare in un continente sempre più autonomo dai legami con l'ingombrante vicino e legato ad interessi economici ed investimenti cinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Andrea Cegna, giornalista e conoscitore dell'America Latina\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-ringhia-contro-il-venezuela-agitando-lo-spettro-della-guerra-alla-droga--67855661\r\n\r\nPer ripercorrere i sentieri fin qui percorsi con i popoli latinos, si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-18092025-CEGNA.mp3\"][/audio]","20 Settembre 2025","2025-09-22 23:43:33","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 18/09/2025 - LA SVOLTA DELL'ATTACCO SIONISTA A DOHA; RIVOLTE E INTRIGHI NELLA CONTORTA ESTATE IN SUDEST ASIATICO; IL GERD ETIOPE, ALLEANZE IN CORNO D'AFRICA E L'ASSEDIO MEDIEVALE SUDANESE; WAR ON DRUGS CONTRO CARACAS, CARIBE E MEXICO","podcast",1758374559,[345,346],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/","http://radioblackout.org/tag/bastioniorione/",[327,323],{"post_content":349},{"matched_tokens":350,"snippet":351,"value":352},[74],"Pakistan, con il quale l'Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> ha stipulato un accordo di","Nel 43esimo anniversario di Sabra e Chatila iniziamo la trasmissione con Laura Silvia Battaglia per analizzare quali strade si aprono al mondo arabo e in particolare ai paesi del Golfo dopo il proditorio attacco del fascistissimo governo israeliano contro la delegazione di Hamas chiamata a Doha a valutare le proposte di tregua; da questo primo spunto si è sviluppata una disamina che ha coinvolto il Pakistan, con il quale l'Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> ha stipulato un accordo di reciproco supporto in caso di aggressione, la centralità della spianata nei livelli di provocazione dell'entità ebraica, il dilettantismo trumpiano, finendo con rievocare la distruzione di vestigia e tradizioni culturali perpetrate dall'esercito americano nel recente passato, con lo stesso spregio coloniale e supponente dell'Idf, partendo dal presupposto di detenere il monopolio della cultura di riferimento.\r\nPer contiguità con la regione mediorientale abbiamo proseguito nella carrellata di conflitti che costellano il pianeta, attraversando Bab-al Mandab, ed è toccato a Matteo Palamidesse accompagnarci tra le divisioni armate dell'Africa orientale, dove l'attivazione della diga etiope Gerd sul Nilo Azzurro funge da pretesto per alimentare le divisioni etniche, le rivendicazioni di indipendenza e i campi contrapposti appoggiati da potenze straniere, coinvolgendo il territorio del Corno d'Africa ed estendendosi fino all'assedio di stampo medievale attuato dalle Rsf di Dagalo su Al Fashir nell'Est del Sudan, dove si consumano stragi quotidiane, l'ultima delle quali è avvenuta con un drone su una moschea che ha causato 75 morti poche ore dopo il racconto di Matteo ai nostri microfoni.\r\nL'elenco di conflitti, proteste e insurrezioni è poi proseguito in Sudest asiatico con Emanuele Giordana, che ci ha illustrato gli intrighi, collegati agli interessi delle scam city e del mondo dell'azzardo per quel che riguarda le scaramucce tra Thailandia e Cambogia e che hanno portato a un rivolgimento politico rischioso per la tradizionale suscettibilità dei militari thai, sempre pronti a sciogliere la conduzione democratica del paese, ora in mano a una nuova \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> anodina condotta da Anutin Charnvirakul con l'appoggio esterno del Partito popolare (ex Move Forward), dopo la destituzione della famiglia Shinawatra; sempre con il reporter esperto delle questioni estremo orientali abbiamo poi raggiunto il Nepal dove si è assistito a un nuovo episodio delle rivolte della macroarea nell'ultimo anno (dopo Bangla Desh e Sri Lanka) che hanno portato alla destituzione del governo corrotto filocinese; senza tralasciare il pugno di ferro di Prabowo che riprende la tradizione repressiva dell'Indonesia.\r\nLa lunga puntata si è conclusa in Latinamerica con Andrea Cegna inseguendo altri venti di guerra, anche questi scatenati dall'Impero americano in declino: le War on Drugs di nixoniana memoria, ripristinate dall'amministrazione Trump come pretesto per colpire i nemici del cortile di casa; così si è parlato di quale sia il significato ancora del regime bolivariano in Venezuela, ma anche del contrasto in Caribe e quale ruolo svolga il Mexico di Scheinbaum, riservandoci di affrontare tra un mese le alterne fortune del neoliberismo nel mondo latinoamericano, in particolare quello incarnato da Milei che ha subito sì una sonora sconfitta a Buenos Aires, ma in ottobre per le elezioni del Parlamento può ambire a un numero maggiore di rappresentanti eletti tra le sue file.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nOil non olet\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/3iOadt0OjeBCBS2wCkHYV6?si=2mNA3bJ4QpaubkOL24hdvg\r\n\r\nSi sono sprecati tutti gli aggettivi più vieti possibili per esprimere indignazione per l’efferatezza delle operazioni militari di Idf agli ordini politici del governo fascista di Netanyahu, sempre rispettando il diritto di Israele a perpetuare un genocidio in quanto popolo eletto, ma di fronte alla sorpresa per il bombardamento della delegazione riunita a valutare proposte di “pace” nel territorio sovrano del Qatar, una nazione filoamericana che ospita la più grossa base statunitense nel Sudovest asiatico e ha regalato l’aereo presidenziale come omaggio al nuovo imperatore, sono venute meno le inani riprovazioni e i vicini sauditi si sono rivolti al Pakistan in cerca di ombrello nucleare e protezione. La credibilità dell’amministrazione Trump è scomparsa del tutto e il volto mascherato di sangue dello Stato ebraico è apparso improvvisamente con i suoi veri connotati al mondo arabo, che ha sempre abbandonato le genti di Palestina al loro destino sacrificale, in cambio di affari.\r\nIl raid israeliano a Doha ha superato il perimetro del conflitto con Hamas: ha squassato regole non scritte, infranto la logica del territorio mediatore, e messo in discussione l’intero schema di alleanze della diplomazia araba, quella stessa che ha permesso al Mossad le peggiori turpitudini e fornito appoggio per operazioni nell'area contro gli avversari di Israele, che con il suo istinto da scorpione ha punto persino il proprio cavallo di Troia nella regione. Il Qatar, lungi dall’essere un bersaglio secondario, entra nella storia come simbolo della frattura tra potenza militare israeliana e coesione regionale arabo-americana, dando spazio a una alleanza di nuovo stampo con una potenza nucleare che fa parte della Belt Road cinese e si approvvigiona da Pechino per i suoi ordigni, come la filosionista India si è accorta nell'ultimo conflitto di pochi mesi fa.\r\nForse ora tutti si accorgeranno che la volontà di cancellazione di ogni traccia di vita e cultura araba dal territorio della Israele biblica coinvolge anche le vestigia e le tradizioni mondiali, ma questo risultato è stato possibile perché tutto ciò che stanno perpetrando i sionisti è già stato sperimentato dai governi di Washington, per esempio in Iraq, dove sono state ridotte in briciole dallo spregio dell’esercito americano testimonianze artistiche e culturali millenarie. Questo è reso possibile dalla presunzione che l’unica vera cultura sia quella ebraico-cristiana e tutti gli altri sono semplici colonizzati senza cultura propria.\r\nQuesti sono i prodromi perché quando gli invasati come Smotrich e Ben Gvir picconeranno la moschea di Gerusalemme, come già hanno cominciato a fare, Al-Aqsa sarà la soglia oltre alla quale la hybris ebraica renderà conto dei suoi abusi, perché la rivolta a quel punto non coinvolgerà solo i milioni di palestinesi, ma i miliardi di musulmani. E gli accordi finanziari, gli interessi per i resort progettati su una Striscia di concentramento e sterminio nulla potranno di fronte alla rivendicazione culturale delle masse oltraggiate dall’impunità israeliana.\r\nGià la trasferta di Rubio a Doha si è risolta in un fallimento: nonostante il giorno prima la riunione dei paesi coinvolti avesse balbettato, come una qualunque Unione europea, L’emiro Tamim ha chiesto i risarcimenti per i danni causati nel bombardamento israeliano su Doha, le scuse ufficiali e l’impegno di Netanyahu a non ripetere più la sua prepotenza e soprattutto di bloccare le uccisioni di innocenti a Gaza.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Oil-non-olet-in-Qatar.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAltri temi inerenti all'aggressione colonialista israeliana degli ultimi 80 anni si trovano qui\r\n\r\n\r\n\r\nIrresolubili contrasti che trovano nell'acqua del Nilo pretesti per perpetuarsi\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/dalla-diga-sul-nilo-all-assedio-di-al-fashir-conflitti-in-africa-orientale--67835929\r\n\r\nFinalmente a inizio settembre si è inaugurata Gerd, la grande diga sul Nilo Azzurro voluta da Ahmed e che non solo approvvigionerebbe Etiopia, Sudan, Kenya e Gibuti di energia elettrica, ma coprirebbe il 20% dei consumi dell’Africa orientale. In questo anno in cui il bacino idrico si è andato riempiendo i dati dimostrano che questo non è avvenuto a detrimento dei paesi a valle, eppure i motivi di attrito con l’Egitto non scemano e anzi si dispiegano truppe del Cairo in Somalia, evidenziando alleanze e divisioni legate ad altri dossier, quali lo sbocco al mare in Somaliland (proprio la regione che per essere riconosciuta da Usa e Israele è disposta a ospitare i gazawi deportati) per Addis Abeba, o gli scontri interetnici sia a Nord in Puntland, che nel Jubbaland a Sud. Matteo Palamidesse ci aiuta a districarci ancora una volta in mezzo a queste dispute, ma ci apre anche una finestra sull’orrore attorno ad Al Fashir, città nel Sudan occidentale con 300.000 abitanti assediati dalle milizie delle Forze di intervento rapido di Hemedti; le sue parole a questo proposito vengono registrate qualche ora prima che un attacco contro una moschea proprio nei dintorni della città del Darfur ai confini con il Ciad il 19 settembre producesse 75 morti.\r\nNon poteva mancare anche uno sguardo al Sud Sudan nel giorno in cui è stato reso noto il rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani in Sud Sudan, frutto di due anni di indagini e analisi indipendenti che hanno evidenziato il Saccheggio di una nazione, come riporta il titolo del dossier stesso.\r\n\r\n \r\n\r\nIl dossier africano che racchiude i podcast precedenti si trova qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/Infiniti-squilibri-distopici-in-Africa-orientale.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nIl capillare cambio di paradigma sistemico in Sudest asiatico\r\n\r\nCon Emanuele Giordana parliamo dei venti di rivolta giovanile che stanno scuotendo alcuni paesi asiatici, un'onda lunga partita dalle rivolte in Sri Lanka nel 2022 e Bangladesh nel 2024 che hanno defenestrato le dinastie al potere reclamando un cambiamento sostanziale . Le cause delle crisi che stanno attraversando alcuni paesi asiatici hanno le loro radici in un sistema di potere autoritario che nega le legittime aspirazioni delle nuove generazioni a una partecipazione concreta alle scelte che condizionano il loro futuro. La crisi economica, le distorsioni nello sviluppo eredità del colonialismo, l'iniqua distribuzione delle risorse, la corruzione imperante, le smodate ricchezze esibite da élite predatorie, l'ingombrante presenza dei militari nella vita politica ed economica, la disoccupazione giovanile e la mancanza di prospettive sono tratti comuni in paesi come la Thailandia, l'Indonesia e con caratteristiche più peculiari il Nepal. Sono paesi dove i giovani sono la maggioranza ma le loro richieste di cambiamento sono state compresse e represse per molto tempo e dove hanno trovato uno sbocco elettorale come in Thailandia i poteri conservatori e legati alla monarchia hanno invalidato l'esito elettorale. La chiamano la generazione \"z\" ma a prescindere dalle definizioni queste rivolte sono il sintomo di una forte richiesta di cambiamento del modello di accumulazione che ha contraddistinto la tumultuosa crescita dei paesi asiatici. Questa spinta generazionale ancora non riesce a trasformarsi in un articolato progetto politico ma sta mettendo in discussione fortemente un modello di società che ormai non garantisce né crescita né uguaglianza, le rivolte si stanno espandendo e chissà che dall'Asia arrivi anche in Europa questo virus benefico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/i-giovani-scuotono-l-asia-dalla-crisi-politica-thai-alle-rivolte-in-nepal-ed-indonesia--67824026\r\n\r\nAltri temi inerenti alla geopolitica estremorientale si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-GIORDANA-18092025.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nTrump ringhia contro il Venezuela agitando lo spettro della guerra alla droga.\r\n\r\nTrump si rivolge verso il \" patio trasero\" yankee con molta più frequenza ed aggressività delle precedenti amministrazioni anche repubblicane. L'impero declinante ha perso importanti posizioni in America Latina nel confronto con il competitor cinese e quindi ora Washington si atteggia a \" terminator\" nella strategia della lotta antidroga ,alibi per eccellenza fin dai tempi di Nixon per mascherare le ingerenze nordamericane. Il target è il Venezuela, irriducibilmente chavista nonostante Maduro, comunque eccezione pur con le sue contraddizioni a causa di un modello economico redistributivo verso il basso che non trova più seguaci nella regione . Rimasto prigioniero delle logiche di capitalismo estrattivo il Venezuela di Maduro resiste anche per l'inefficacia di un'opposizione poco credibile ed asservita agli interessi statunitensi, preda ambita per le sue riserve petrolifere.\r\nIl narcotraffico costituisce la copertura per l'interventismo nordamericano che ricorda la versione 2.0 della dottrina Monroe, ma il destino manifesto è duro da affermare in un continente sempre più autonomo dai legami con l'ingombrante vicino e legato ad interessi economici ed investimenti cinesi.\r\n\r\nNe parliamo con Andrea Cegna, giornalista e conoscitore dell'America Latina\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/trump-ringhia-contro-il-venezuela-agitando-lo-spettro-della-guerra-alla-droga--67855661\r\n\r\nPer ripercorrere i sentieri fin qui percorsi con i popoli latinos, si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/BASTIONI-18092025-CEGNA.mp3\"][/audio]",[354],{"field":102,"matched_tokens":355,"snippet":351,"value":352},[74],{"best_field_score":246,"best_field_weight":155,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":247,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},{"document":358,"highlight":372,"highlights":377,"text_match":244,"text_match_info":380},{"comment_count":47,"id":359,"is_sticky":47,"permalink":360,"podcastfilter":361,"post_author":312,"post_content":362,"post_date":363,"post_excerpt":53,"post_id":359,"post_modified":364,"post_thumbnail":365,"post_title":366,"post_type":342,"sort_by_date":367,"tag_links":368,"tags":371},"17884","http://radioblackout.org/podcast/siria-le-tentazioni-pericolose-di-obama/",[312],"La situazione in Siria ed il possibile intervento armato degli Stati Uniti sono stati al centro del dibattito politico dell’ultima settimana. L’attacco, già dato per certo giovedì scorso, potrebbe avvenire tra poche ore o essere ancora rimandato.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Stefano, un compagno che segue con attenzione le questioni geopolitiche.\r\nAscolta il suo intervento:\r\n2013 08 30 stefano siria\r\n\r\nL’unico dato certo è la difficoltà dell’amministrazione statunitense a mettere insieme una coalizione che lo appoggi nella scelta di bombardare. Solo la Francia di Hollande pare entusiasta della prospettiva di partecipare all’ennesima avventura bellica. Nemmeno gli scarsi risultati dell’attacco alla Libia hanno convinto i francesi che l’epoca della grandeur coloniale è definitivamente tramontata per loro. L’ambizione a (ri)mettere mano sugli antichi domini in medio oriente è forte al punto che Hollande ha dichiarato che l’attacco potrebbe avvenire persino prima del pronunciamento del parlamento subalpino.\r\nSi è invece sfilata la Gran Bretagna dopo la bocciatura in parlamento. Evidentemente le relazioni con la Russia, madrina del regime di Assad, devono aver avuto il loro peso nell’allargare la distanza tra le due sponde dell’Atlantico.\r\nL’Italia, nonostante il ministro Bonino sia tradizionalmente sbilanciata verso gli Stati Uniti, mantiene un profilo bassissimo, reclamando un improbabile quadro di legalità nel quale inserire la missione come precondizione persino per la concessione delle basi. Ovviamente, vista la presenza di importanti basi militari statunitensi e Nato nel nostro paese, quella di Bonino è una foglia di fico, che tuttavia segnala una scarsa propensione ad un impegno diretto contro la Siria. È bene ricordare che militari italiani sono schierati con la forza di “pace” in Libano: un eventuale coinvolgimento in Siria del governo italiano difficilmente resterebbe senza risposta da parte degli hezbollah shiti libanesi, che in Siria combattono a fianco degli alauiti di Basher Assad. Gli hezbollah hanno stretti rapporti con l’Iran, paese con il quale l’Italia ha intensi scambi commerciali.\r\nÈ significativo che, diversamente dalla copertura unanime alla fandonia sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la grande stampa italiana non si sia sbilanciata nell’accreditare la strage al gas nervino a Damasco.\r\nLeggete per esempio l’articolo di Francesca Borri su La Stampa – peraltro molto interessante sia per la cronaca che per l’analisi. Oppure quello di Giuseppe Ferrari – molto esplicito nel supporre una montatura – sul Corriere della Sera.\r\nUna guerra per la Siria non sarebbe certo un buon affare per gli interessi dell’Italia. Ben diversa era la situazione in Libia, dove gli attacchi francesi, inglesi e statunitensi rischiavano di compromettere seriamente gli interessi dell’ENI nel paese, nonché di far saltare i preziosi accordi di outsourcing della gestione dei flussi migratori. Una esternalizzazione preziosa perché affidata ad un regime che non doveva piegarsi ai fastidiosi limiti imposti dalla formale adesione ad accordi sui diritti umani o di asilo. L’intervento contro l’amico Gheddafi ha consentito all’Italia di mantenere le proficue relazioni commerciali con il paese.\r\n\r\nL’altro importante attore in campo, la Turchia, ha invece un grosso interesse ad una vittoria dell’esercito libero sostenuta da Ankara, che nella prospettiva neo ottomana di Erdogan, si candida da tempo a potenza regionale in campo sunnita. Se a questo si aggiunge che nelle regioni curde del nord est siriano si è rafforzata la fazione vicina al PKK, che di fatto lavorano per un’autonomia territoriale dei villaggi, proteggendoli dagli attacchi dei due contendenti in campo, l’interesse turco alla guerra è molto chiaro.\r\n\r\nIn quanto all’intervento statunitense è probabile che manterrà le caratteristiche indicate da Obama, di azione punitiva di breve durata. Sebbene per gli interessi statunitensi la caduta di un alleato forte della Russia e dell’Iran sarebbe del tutto auspicabile, l’affermarsi di una coalizione eterogenea dominata da Al Quaeda e dalle forze salafite appoggiate dall’Arabia Saudita e dai Fratelli Musulmani sostenuti da Qatar e Turchia, non è certo una prospettiva che favorirebbe gli interessi degli Stati Uniti e di Israele, pur sempre un importante alleato nell’area.\r\nL’analisi del politologo statunitense Edward Luttwak ci pare la più credibile. Luttwak, in un articolo uscito il 24 agosto sul New York Times, sostiene che la prospettiva migliore per gli Stati Uniti sia il prolungarsi di una guerra che riduca in macerie la Siria, indebolendo enormemente Assad, senza tuttavia abbatterne il regime. Luttwak suggerisce quindi ad Obama di non intervenire.\r\nInteressante in merito anche l’editoriale odierno di Panebianco sul Corriere.\r\nD’altra parte, proprio nella prospettiva indicata da Luttwak, se gli Stati Uniti non intervengono Assad potrebbe riprendere il controllo del paese: alcuni bombardamenti mirati potrebbero indebolirlo, garantendo il prolungarsi della guerra. E dei morti. Bruciati dalle bombe all’uranio impoverito di cui sono dotate le portaerei statunitensi, sparati dai fucili dell’esercito libero o da quelli di Assad. Gasati o smembrati dalle bombe. Che differenza fa?","31 Agosto 2013","2018-10-17 23:05:55","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/08/Siria-guerra-200x110.jpg","Siria. Le tentazioni pericolose di Obama",1377962338,[369,370,288],"http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/macerie-su-macerie/",[321,325,293],{"post_content":373},{"matched_tokens":374,"snippet":375,"value":376},[80],"statunitense a mettere insieme una \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> che lo appoggi nella scelta","La situazione in Siria ed il possibile intervento armato degli Stati Uniti sono stati al centro del dibattito politico dell’ultima settimana. L’attacco, già dato per certo giovedì scorso, potrebbe avvenire tra poche ore o essere ancora rimandato.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Stefano, un compagno che segue con attenzione le questioni geopolitiche.\r\nAscolta il suo intervento:\r\n2013 08 30 stefano siria\r\n\r\nL’unico dato certo è la difficoltà dell’amministrazione statunitense a mettere insieme una \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> che lo appoggi nella scelta di bombardare. Solo la Francia di Hollande pare entusiasta della prospettiva di partecipare all’ennesima avventura bellica. Nemmeno gli scarsi risultati dell’attacco alla Libia hanno convinto i francesi che l’epoca della grandeur coloniale è definitivamente tramontata per loro. L’ambizione a (ri)mettere mano sugli antichi domini in medio oriente è forte al punto che Hollande ha dichiarato che l’attacco potrebbe avvenire persino prima del pronunciamento del parlamento subalpino.\r\nSi è invece sfilata la Gran Bretagna dopo la bocciatura in parlamento. Evidentemente le relazioni con la Russia, madrina del regime di Assad, devono aver avuto il loro peso nell’allargare la distanza tra le due sponde dell’Atlantico.\r\nL’Italia, nonostante il ministro Bonino sia tradizionalmente sbilanciata verso gli Stati Uniti, mantiene un profilo bassissimo, reclamando un improbabile quadro di legalità nel quale inserire la missione come precondizione persino per la concessione delle basi. Ovviamente, vista la presenza di importanti basi militari statunitensi e Nato nel nostro paese, quella di Bonino è una foglia di fico, che tuttavia segnala una scarsa propensione ad un impegno diretto contro la Siria. È bene ricordare che militari italiani sono schierati con la forza di “pace” in Libano: un eventuale coinvolgimento in Siria del governo italiano difficilmente resterebbe senza risposta da parte degli hezbollah shiti libanesi, che in Siria combattono a fianco degli alauiti di Basher Assad. Gli hezbollah hanno stretti rapporti con l’Iran, paese con il quale l’Italia ha intensi scambi commerciali.\r\nÈ significativo che, diversamente dalla copertura unanime alla fandonia sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la grande stampa italiana non si sia sbilanciata nell’accreditare la strage al gas nervino a Damasco.\r\nLeggete per esempio l’articolo di Francesca Borri su La Stampa – peraltro molto interessante sia per la cronaca che per l’analisi. Oppure quello di Giuseppe Ferrari – molto esplicito nel supporre una montatura – sul Corriere della Sera.\r\nUna guerra per la Siria non sarebbe certo un buon affare per gli interessi dell’Italia. Ben diversa era la situazione in Libia, dove gli attacchi francesi, inglesi e statunitensi rischiavano di compromettere seriamente gli interessi dell’ENI nel paese, nonché di far saltare i preziosi accordi di outsourcing della gestione dei flussi migratori. Una esternalizzazione preziosa perché affidata ad un regime che non doveva piegarsi ai fastidiosi limiti imposti dalla formale adesione ad accordi sui diritti umani o di asilo. L’intervento contro l’amico Gheddafi ha consentito all’Italia di mantenere le proficue relazioni commerciali con il paese.\r\n\r\nL’altro importante attore in campo, la Turchia, ha invece un grosso interesse ad una vittoria dell’esercito libero sostenuta da Ankara, che nella prospettiva neo ottomana di Erdogan, si candida da tempo a potenza regionale in campo sunnita. Se a questo si aggiunge che nelle regioni curde del nord est siriano si è rafforzata la fazione vicina al PKK, che di fatto lavorano per un’autonomia territoriale dei villaggi, proteggendoli dagli attacchi dei due contendenti in campo, l’interesse turco alla guerra è molto chiaro.\r\n\r\nIn quanto all’intervento statunitense è probabile che manterrà le caratteristiche indicate da Obama, di azione punitiva di breve durata. Sebbene per gli interessi statunitensi la caduta di un alleato forte della Russia e dell’Iran sarebbe del tutto auspicabile, l’affermarsi di una \u003Cmark>coalizione\u003C/mark> eterogenea dominata da Al Quaeda e dalle forze salafite appoggiate dall’Arabia \u003Cmark>Saudita\u003C/mark> e dai Fratelli Musulmani sostenuti da Qatar e Turchia, non è certo una prospettiva che favorirebbe gli interessi degli Stati Uniti e di Israele, pur sempre un importante alleato nell’area.\r\nL’analisi del politologo statunitense Edward Luttwak ci pare la più credibile. Luttwak, in un articolo uscito il 24 agosto sul New York Times, sostiene che la prospettiva migliore per gli Stati Uniti sia il prolungarsi di una guerra che riduca in macerie la Siria, indebolendo enormemente Assad, senza tuttavia abbatterne il regime. Luttwak suggerisce quindi ad Obama di non intervenire.\r\nInteressante in merito anche l’editoriale odierno di Panebianco sul Corriere.\r\nD’altra parte, proprio nella prospettiva indicata da Luttwak, se gli Stati Uniti non intervengono Assad potrebbe riprendere il controllo del paese: alcuni bombardamenti mirati potrebbero indebolirlo, garantendo il prolungarsi della guerra. E dei morti. Bruciati dalle bombe all’uranio impoverito di cui sono dotate le portaerei statunitensi, sparati dai fucili dell’esercito libero o da quelli di Assad. Gasati o smembrati dalle bombe. Che differenza fa?",[378],{"field":102,"matched_tokens":379,"snippet":375,"value":376},[80],{"best_field_score":246,"best_field_weight":155,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":247,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},6637,{"collection_name":342,"first_q":34,"per_page":39,"q":34},["Reactive",384],{},["Set"],["ShallowReactive",387],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$f_35YVxznR5BlAOLKDguRDtRLAcPIkFM0F5fz-RSIQcI":-1},true,"/search?query=coalizione+saudita"]