","Guerra Ucraina-Russia, stallo, stanchezza e malumori nei due fronti interni","post",1700053197,[61,62,63],"http://radioblackout.org/tag/controffensiva/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/ucraina/",[65,66,67],"controffensiva","russia","Ucraina",{"post_content":69,"tags":73},{"matched_tokens":70,"snippet":71,"value":72},[65],"punti di vista: insuccesso della \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> militare, stanchezza della popolazione, aumento","Il conflitto in Ucraina è stato messo in secondo piano nell'opinione pubblica mondiale a seguito degli eventi del Medio Oriente. L'inverno è alle porte e al situazione è difficile e complessa, sotto molti punti di vista: insuccesso della \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> militare, stanchezza della popolazione, aumento della pressione militare russa. Addirittura, in un’intervista del Capo di stato maggiore ucraino all'Economist, si inizia a porre concretamente la questione di passare alla fase diplomatica.\r\nSu entrambi i fronti aumentano le voci di dissenso stanche della nuova normalità dettata dai tempi della guerra: la scorsa settimana diverse famiglie in piazza a Kiev e in decine di altre città, da Dnipro a Leopoli, per chiedere il ritorno a casa dei militari al fronte; in Russia, raduni della famiglie dei mobilitati di Novosibirsk e Chelyabinsk a sostegno dei loro cari al fronte.\r\n\r\nIn tutto ciò, il dato per assodato sostegno delle forze occidentali al governo Zelensky, non sembra così scontato per il futuro: le autorità francesi, per esempio, smetteranno di fornire all'Ucraina armi dai loro arsenali, in modo che Kiev inizi ad acquistare armi dai produttori francesi a spese di fondi appositamente stanziati; l'Europa frena sugli aiuti militari; il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, ammette, «la situazione sul piano di battaglia in Ucraina è difficile».\r\n\r\nSullo sfondo, le presidenziali russe del 2024, dall'esito formale scontato, ma che potrebbero rappresentare un possibile momento di piccolo o grande cambiamento, contanto il diffuso sentimento di stanchezza da parte della popolazione in Russia.\r\n\r\nNe parliamo con Yurii Colombo, giornalista e scrittore, da Mosca. Ascolta la diretta su RadioBlackout:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/colombo_russia_ucraina.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[74,77,79],{"matched_tokens":75,"snippet":76},[65],"\u003Cmark>controffensiva\u003C/mark>",{"matched_tokens":78,"snippet":66},[],{"matched_tokens":80,"snippet":67},[],[82,87],{"field":35,"indices":83,"matched_tokens":84,"snippets":86},[47],[85],[65],[76],{"field":88,"matched_tokens":89,"snippet":71,"value":72},"post_content",[65],578730123365712000,{"best_field_score":92,"best_field_weight":93,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":94,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},"1108091339008",13,"578730123365711978",{"document":96,"highlight":119,"highlights":124,"text_match":127,"text_match_info":128},{"cat_link":97,"category":98,"comment_count":47,"id":99,"is_sticky":47,"permalink":100,"post_author":50,"post_content":101,"post_date":102,"post_excerpt":103,"post_id":99,"post_modified":104,"post_thumbnail":105,"post_thumbnail_html":106,"post_title":107,"post_type":58,"sort_by_date":108,"tag_links":109,"tags":114},[44],[46],"88833","http://radioblackout.org/2024/04/estrattivismo-predatorio-e-gli-interessi-di-eni-in-mozambico/","Al largo delle coste mozambicane, si trova il bacino di Rovuma, dove è attiva la multinazionale fossile italiana ENI. 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ENI ha in programma un secondo progetto in fase di studio: la piattaforma Coral North FLNG.\r\n\r\nSi parla di Mozambico come “asset strategico” per la sicurezza energetica italiana – tanto che il Canale del Mozambico è pattugliato dalla Marina militare italiana, ma il gas di Coral South FLNG è acquistato da BP che lo rivende al miglior offerente sul mercato, e da fonti pubbliche risulta che dal primo carico di novembre 2022 ad oggi siano stati effettuati 58 carichi di gas naturale liquefatto, corrispondenti a circa 3700 tonnellate di GNL, di cui solo 2 carichi arrivati in Italia corrispondenti al 3,3 % del totale.\r\n\r\nNella sua rosea ricostruzione di quella che definisce un’eccezionale impresa ingegneristica, ENI però non cita le drammatiche condizioni che vive la popolazione del Mozambico settentrionale e il fatto che proprio le gigantesche risorse di gas scoperte al largo siano probabilmente la causa principale dello scatenarsi della ribellione delle milizie islamiste e della feroce controffensiva dell’esercito mozambicano sostenute dalle truppe ruandesi e mercenari sudafricani.\r\n\r\nGuidata dal gruppo noto come Ahl al-Sunnah wa al Jamma’ah, la rivolta inizia nel 2017 ma è solo dopo tre anni che cattura l’attenzione degli investitori esteri. Fra agosto 2020 e marzo 2021 gli insorti prendono il controllo di Mocímboa da Praia e di Palma, costringendo alla ritirata l’esercito mozambicano e le imprese straniere che sfruttavano le risorse di quel territorio.\r\n\r\n \r\n\r\nNe parliamo con Simone Ogno di Re Common\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/INFO-150424-ENI.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n ","15 Aprile 2024","Gli interessi italiani in Mozambico – ENI.","2024-04-15 18:14:30","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/MOZAMBICO-ENI-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"154\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/MOZAMBICO-ENI-300x154.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/MOZAMBICO-ENI-300x154.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/MOZAMBICO-ENI-1024x524.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/MOZAMBICO-ENI-768x393.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/MOZAMBICO-ENI.jpg 1536w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","ESTRATTIVISMO PREDATORIO E GLI INTERESSI DI ENI IN MOZAMBICO .",1713204870,[110,111,112,113],"http://radioblackout.org/tag/cabo-delgado/","http://radioblackout.org/tag/eni/","http://radioblackout.org/tag/estrattivismo/","http://radioblackout.org/tag/mozambico/",[115,116,117,118],"CABO DELGADO","ENI","estrattivismo","MOZAMBICO",{"post_content":120},{"matched_tokens":121,"snippet":122,"value":123},[65],"milizie islamiste e della feroce \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> dell’esercito mozambicano sostenute dalle truppe","Al largo delle coste mozambicane, si trova il bacino di Rovuma, dove è attiva la multinazionale fossile italiana ENI. 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Nell'appello per la manifestazione, cui prenderanno parte anche esponenti della comunità curda a Torino, gli organizzatori scrivono \"Ovunque Kobane, ovunque resistenza! Da più di due anni il popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria – ha liberato il proprio territorio sperimentando una vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal basso, l’uguaglianza tra uomini e donne e il rispetto dell’ambiente.\r\nProprio in queste ore, la “confederazione democratica” del Rojava è sotto attacco.\r\nLe sue milizie di difesa del popolo (YPG) e delle donne (YPJ), con l’aiuto dei guerriglieri del PKK, stanno combattendo – in particolare nel cantone di Kobane – un’eroica e disperata resistenza contro i tagliagole dello “Stato islamico”.\r\nL’autogoverno del Rojava sta dimostrando sul campo la possibilità di un’ alternativa alla balcanizzazione del Medio oriente, alla guerra fratricida, alla rapina delle risorse…\r\nProprio per questo si trova isolato, censurato, strangolato, dalla politica ipocrita di tutte le forze statali e capitaliste (Turchia in testa), che sostengono di fatto l’avanzata dell’I.S., mentre pubblicamente fingono di opporvisi.\r\nProprio per questo, in ogni dove c’è chi sta riconoscendo come propria la resistenza degli uomini e delle donne di Rojava!\r\nSpezziamo l’isolamento! Sosteniamo la resistenza popolare in Rojava!\"\r\n\r\nLe notizie che filtrano dai media e dalle agenzie curde riferiscono di una contr'offensiva delle milizie curde che ha posto un piccolo argine alla loro avanzata nella città. Le frontiere con la Turchia, aperte ai rifornimenti all'IS, restano chiuse per gli aiuti di cibo, armi e volontari diretti a Kobané.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Daniele Pepino, che conosce bene la situazione nel paese, spesso nostro interlocutore sulla situazione in quest'area.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\ndaniele_curdi\r\n\r\nDi seguito l'articolo di David Graeber, uscito sul Guardian, e diffuso da vari siti di movimento, e proposto agli ascoltatori di Blackout durante l'info.\r\n\r\nNel 1937, mio padre si arruolò volontario per combattere nelle Brigate Internazionali in difesa della Repubblica Spagnola. Quello che sarebbe stato un colpo di Stato fascista era stato temporaneamente fermato da un sollevamento dei lavoratori, condotto da anarchici e socialisti, e nella maggior parte della Spagna ne seguì una genuina rivoluzione sociale che portò intere città sotto il controllo di sistemi di democrazia diretta, le fabbriche sotto la gestione operaia e le donne ad assumere sempre più potere.\r\n\r\nI rivoluzionari spagnoli speravano di creare la visione di una società libera cui il mondo intero avrebbe potuto ispirarsi. Invece, i poteri mondiali dichiararono una politica di “non intervento” e mantennero un rigoroso embargo nei confronti della repubblica, persino dopo che Hitler e Mussolini, apparenti sostenitori di tale politica di “non intervento”, iniziarono a fare affluire truppe e armi per rinforzare la fazione fascista. Ne risultarono anni di guerra civile terminati con la soppressione della rivoluzione e con uno dei più sanguinosi massacri del secolo.\r\n\r\nNon avrei mai pensato di vedere, nel corso della mia vita, la stessa cosa accadere nuovamente. Ovviamente, nessun evento storico accade realmente due volte. Ci sono infinite differenze fra quello che accadde in Spagna nel 1936 e quello che sta accadendo ora in Rojava, le tre province a larga maggioranza curda nel nord della Siria. Ma alcune delle somiglianze sono così stringenti e così preoccupanti che credo sia un dovere morale per me, cresciuto in una famiglia le cui idee politiche furono in molti modi definite dalla Rivoluzione spagnola, dire: non possiamo fare sì che tutto ciò finisca ancora una volta allo stesso modo.\r\n\r\nLa regione autonoma del Rojava, così come esiste oggi, è uno dei pochi raggi di luce – un raggio di luce molto luminoso, a dire il vero – a emergere dalla tragedia della Rivoluzione siriana. Dopo aver scacciato gli agenti del regime di Assad nel 2011, nonostante l’ostilità di quasi tutti i suoi vicini, il Rojava non solo ha mantenuto la sua indipendenza, ma si è configurato come un considerevole esperimento democratico. Sono state create assemblee popolari che costituiscono il supremo organo decisionale, consigli che rispettano un attento equilibrio etnico (in ogni municipalità, per esempio, le tre cariche più importanti devono essere ricoperte da un curdo, un arabo e un assiro o armeno cristiano, e almeno uno dei tre deve essere una donna), ci sono consigli delle donne e dei giovani, e, in un richiamo degno di nota alle Mujeres Libres della Spagna, c’è un’armata composta esclusivamente da donne, la milizia “YJA Star” (l’”Unione delle donne libere”, la cui stella nel nome si riferisce all’antica dea mesopotamica Ishtar), che ha condotto una larga parte delle operazioni di combattimento contro le forze dello Stato Islamico.\r\n\r\nCome può qualcosa come tutto questo accadere ed essere tuttavia perlopiù ignorato dalla comunità internazionale, persino, almeno in gran parte, dalla sinistra internazionale? Principalmente, sembra, perché il partito rivoluzionario del Rojava, il PYD, lavora in alleanza con il turco Partito Curdo dei Lavoratori (PKK), un movimento combattente marxista impegnato sin dagli anni Settanta in una lunga guerra contro lo Stato turco. La Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea lo classificano ufficialmente come “organizzazione terroristica”. Nel frattempo, l’opinione di sinistra lo descrive spesso come Stalinista.\r\n\r\nMa, in realtà, il PKK non assomiglia neppure lontanamente al vecchio, organizzato verticalmente, partito Leninista che era una volta. La sua evoluzione interna, e la conversione intellettuale del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un’isola-prigione turca dal 1999, lo hanno condotto a cambiare radicalmente i propri scopi e le proprie tattiche.\r\n\r\nIl PKK ha dichiarato che esso non cerca nemmeno più di creare uno Stato curdo. Invece, ispirato in parte dalla visione dell’ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin, ha adottato una visione di “municipalismo libertario”, invitando i curdi a formare libere comunità basate sull’autogoverno, basate sui principi della democrazia diretta, che si federeranno tra loro aldilà dei confini nazionali – che si spera che col tempo diventino sempre più privi di significato. In questo modo, suggeriscono i curdi, la loro lotta potrebbe diventare un modello per un movimento globale verso una radicale e genuina democrazia, un’economia cooperativa e la graduale dissoluzione dello stato-nazione burocratico.\r\n\r\nA partire dal 2005 il PKK, ispirato dalla strategia dei ribelli zapatisti in Chiapas, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti dello Stato turco e ha iniziato a concentrare i propri sforzi nello sviluppo di strutture democratiche nei territori di cui già ha il controllo. Alcuni si sono chiesti quanto realmente sinceri siano questi sforzi. Ovviamente, elementi autoritari rimangono. Ma quello che è successo in Rojava, dove la Rivoluzione siriana ha dato ai curdi radicali la possibilità di condurre tali esperimenti su territori ampi e confinanti fra loro, suggerisce che tutto ciò è tutt’altro che un’operazione di facciata. Sono stati formati consigli, assemblee e milizie popolari, le proprietà del regime sono state trasformate in cooperative condotte dai lavoratori – e tutto nonostante i continui attacchi dalle forze fasciste dell’ISIS. Il risultato combacia perfettamente con ogni definizione possibile di “rivoluzione sociale”. Nel Medio Oriente, almeno, tali sforzi sono stati notati: particolarmente dopo che il PKK e le forze del Rojava per combattere efficacemente e con successo nei territori dell’ISIS in Iraq per salvare migliaia di rifugiati Yezidi intrappolati sul Monte Sinjar dopo che le locali milizie peshmerga avevano abbandonato il campo di battaglia. Queste azioni sono state ampiamente celebrate nella regione, ma, significativamente, non fecero affatto notizia sulla stampa europea o nord-americana.\r\n\r\nOra, l’ISIS è tornato, con una gran quantità di carri armati americani e di artiglieria pesante sottratti alle forze irachene, per vendicarsi contro molte di quelle stesse milizie rivoluzionarie a Kobané, dichiarando la loro intenzione di massacrare e ridurre in schiavitù – si, letteralmente ridurre in schiavitù – l’intera popolazione civile. 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Davvero il mondo – e questa volta, cosa più scandalosa di tutte, la sinistra internazionale, si sta rendendo complice del lasciare che la storia ripeta se stessa?",[161],{"field":88,"matched_tokens":162,"snippet":158,"value":159},[157],{"best_field_score":129,"best_field_weight":130,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":131,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},{"document":165,"highlight":188,"highlights":193,"text_match":127,"text_match_info":196},{"cat_link":166,"category":167,"comment_count":47,"id":168,"is_sticky":47,"permalink":169,"post_author":50,"post_content":170,"post_date":171,"post_excerpt":53,"post_id":168,"post_modified":172,"post_thumbnail":53,"post_thumbnail_html":53,"post_title":173,"post_type":58,"sort_by_date":174,"tag_links":175,"tags":184},[44],[46],"25292","http://radioblackout.org/2014/10/una-carovana-internazionalista-si-aggira-nel-dombass/","L'idea nasce qualche mese fa dalla Banda Bassotti, che cercava un modo per portare solidarietà internazionalista alle popolazioni del Dombass dopo il golpe di Poroshenko e la conseguente resistenza delle zone orientali. E davvero i soldi raccolti sono stati consegnati alle popolazioni che soffrono i danni della guerra civile.\r\n\r\nLa carovana che si è organizzata, e che in parte è rientrata il 1° ottobre, è realmente stata internazionale, perché vi partecipavano greci, baschi, spagnoli, italiani di ogni campanile; l'intento era anche di cercare di disperdere il velo dell'informazione mistificata dei media mainstream: la riduzione a beghe nazionaliste e separatiste, laddove i partecipanti all'impresa si sono trovati invece a interrogare realtà di lotta sociale e di proposte di lavoratori che contrappongono al neoliberismo nazi di Kiev un'organizzazione del lavoro di stampo socialista; le informazioni su stragi e fosse comuni attribuite dai giornali occidentali alle milizie, quando sono invece operazioni dei battaglioni nazisti di Kiev...\r\n\r\nAll'interno della Resistenza ci sono molte anime, ci dice Ilaria che ha partecipato alla Carovana: a Donetsk si trovano afflati più nazionalisti, mentre a Lugansk si trovano proposte più radicalmente sociali, anche se i canoni applicati non si avvicinano nemmeno lontanamente ai nostri e quindi risultano fuorvianti le applicazioni pedisseque delle equivalenze tra patriottismo e fascismo, tanto che un cosacco intervistato dai partecipanti diceva che il programma della Novorossija prevede la nazionalizzazione delle imprese e l'abolizione della proprietà privata, in quanto la ribellione è nata come rivolta contro gli oligarchi che volevano l'ingresso in Unione europea per il loro profitto e a detrimento degli interessi dei lavoratori dell'Est del paese, più industrializzato: rivendicazoni sociali che stanno alla base della lotta anti-Maidan; che è anche un tratto culturale.\r\n\r\nSi tratta di un popolo in armi: \"tutti danno supporto alle milizie, combattendo nel cuore dell'Europa una guerra civile antinazista\", dice Ilaria. Di conseguenza vengono le volontà di gestire il territorio in base a quello che è più utile alla salute delle persone, di far ottenere una giusta pensione a tutti... e queste istanze sono così forti che giungono anche a richiedere una autonomia dalla Russia che consenta di mantenersi indipendenti. I cosacchi di un battaglione comunista si sono organizzati in Soviet e non hanno mai accettato la tregua, che ha bloccato la controffensiva delle milizie, mentre l'esercito di Kiev era sull'orlo della rotta; il risultato è che ora le milizie antinaziste sono prese in mezzo tra esercito di Kiev riorganizzato e rifornito anche di droni dagli Usa e dall'altro si trovano una frontiera non più porosa sul lato russo.\r\n\r\nLa tregua in realtà, ci ha poi raccontato Ilaria, non c'è mai stata (tuttora bombardano e si scambiano colpi, soprattutto a Mariupol e oggi le agenzie hanno riferito che l'esercito ha bombardato una scuola a Donetsk per salutare l'inizio dell'anno scolastico) e l'accordo di Minsk ha comportato una rottura anche con il cosiddetto amico russo, che in base agli accordi non fornisce più supporti.\r\n\r\nMa ascoltate la voce di Ilaria che racconta con precisione cosa ha visto e vissuto e quali prospetive ci sono per il coordinamento che si è creato in seguito a questa esperienza della Carovana\r\n\r\n2014.10.02-ilaria_dombass","2 Ottobre 2014","2014-11-03 22:53:29","Una carovana internazionalista si aggira nel Dombass",1412260646,[176,177,178,179,180,181,182,183],"http://radioblackout.org/tag/banda-bassotti/","http://radioblackout.org/tag/carovana/","http://radioblackout.org/tag/cosacchi/","http://radioblackout.org/tag/dombass/","http://radioblackout.org/tag/donetsk/","http://radioblackout.org/tag/lugansk/","http://radioblackout.org/tag/milizie/","http://radioblackout.org/tag/novorossija/",[185,24,22,186,20,18,187,28],"Banda Bassotti","Dombass","milizie",{"post_content":189},{"matched_tokens":190,"snippet":191,"value":192},[65],"tregua, che ha bloccato la \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> delle milizie, mentre l'esercito di","L'idea nasce qualche mese fa dalla Banda Bassotti, che cercava un modo per portare solidarietà internazionalista alle popolazioni del Dombass dopo il golpe di Poroshenko e la conseguente resistenza delle zone orientali. 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La notizia della decapitazione di un giornalista statunitense, il trentunenne Steven Sotloff occupa le prime pagine dei giornali, sia pure con enfasi minore rispetto alla decapitazione del collega James Foley, che metteva in scena per la prima volta, uno spettacolo comunicativo il cui obiettivo è ben al di là della minaccia agli Stati Uniti, per investire direttamente una più vasta platea internazionale, la stessa da cui provengono i miliziani dell'IS.\r\nLa coreografia (la tunica arancio che richiama le tute dei prigionieri di Guantanamo), la demolizione del mito del \"nero\" Obama e le sue promesse mancate, le minacce all'islam sciita, sono messaggi semplici ma potenti, capaci di dare forza all'immaginario dell'islam radicale.\r\nSui media main stream ci sono diversi attori: i feroci seguaci del califfo Al Baghdadi, i \"curdi\", \"l'imbelle\" governo iracheno. Più sullo sfondo il regime dell'alawita Bashar el Hassad, contro il quale gli Stati Uniti hanno armato le formazioni islamiste che concorrono alla conquista del paese, il maggior sponsor di Hassad, la Russia putiniana, la Turchia che ha finanziato l'Is.\r\nIl termine \"curdi\" nasconde più di quanto non riveli. I curdi di cui narrano i media nostrani - diversa è l'informazione negli stessi Stati Uniti - sono quelli della zona dell'Iraq sotto il controllo del PDK di Mas’ud Barzani, alleati con gli Stati Uniti, e \"naturali\" destinatari delle armi promesse anche dal governo italiano.\r\nMai entrate nella scena mediatica le formazioni guerrigliere del Rojava (Siria nord orientale) protagoniste della controffensiva che ha liberato numerose zone occupate dell'IS, che, curiosamente, ha interrotto la propria marcia su Baghdad per attaccare le zone curde controllate dalle formazioni libertarie, federaliste e femministe del Rojava e di alcune zone dello stesso Iraq.\r\nNon per caso nel mirino dell'IS è entrato il campo profughi di Makhmur, che da vent'anni ospita curdi sfuggiti alle persecuzioni contro il PKK in Turchia.\r\n\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Daniele Pepino, un compagno che conosce bene le zone curde che stanno sperimentando il confederalismo democratico.\r\n\r\nAscolta l'intervista:\r\n\r\n2014 09 03 daniele guerra is pkk\r\n\r\nDi seguito un lungo articolo di Daniele che ci fornisce il lessico essenziale per meglio capire la partita che si sta giocando tra Siria, Iraq. E non solo.\r\nPer la prima volta da decenni il percorso intrapreso in Rojavà narra una storia che apre prospettive che vanno ben al di là delle montagne curde.\r\n\r\nLe notizie dal Vicino e Medio Oriente si susseguono a un ritmo incalzante. Il Kurdistan si trova, ancora una volta, nell’occhio del ciclone, dilaniato dall’esplodere delle tensioni tra le potenze regionali che si spartiscono il suo territorio.\r\n\r\nNon è semplice, in un simile scenario, fornire un quadro della situazione che non sia immediatamente superato dall’incedere degli eventi. I quintali di notizie, parole, immagini, vomitati dai mass media, invece di chiarire la complessità dello scenario mediorientale, contribuiscono a spargere una confusione che è tutt’altro che casuale.\r\n\r\nPerciò ci sembra prioritario – nei limiti di quanto è possibile fare in un breve articolo – provare a fornire qualche strumento interpretativo utile a comprendere le dinamiche in corso con uno sguardo di più lungo periodo rispetto alla cronaca emergenziale del giorno dopo giorno.\r\n\r\nDa un lato, è necessario ricordare come quel che accade in Kurdistan (e più in generale in Medio Oriente) sia sempre, anche, il precipitato dell’interazione di forze esterne, a cominciare dagli Stati che ne occupano il territorio, ossia la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran (a loro volta, peraltro, veicoli di uno scontro di interessi su scala mondiale).\r\n\r\nDall’altro, è bene sottolineare come ciò non precluda l’esistenza di specifiche dinamiche locali, le quali, anzi, dimostrano sempre più spesso come proprio questi momenti di crisi e disfacimento possano rappresentare le crepe da cui emergono nuovi percorsi di autonomia, rivolta e protagonismo popolare.\r\n\r\nL’immagine costruita dal discorso mediatico dominante racconta, sostanzialmente, di una folle guerra di fanatici terroristi musulmani contro i quali l’Occidente è costretto a intervenire (per ragioni umanitarie, ça va sans dire!) appoggiando le uniche forze al momento in grado di opporvisi, ovvero “i curdi”. Per fornire qualche antidoto alle ambiguità e ai silenzi che caratterizzano tale ricostruzione, ci pare utile, in primo luogo, delineare chi sono realmente le forze in campo, cosa rappresentano, quali identità e progettualità incarnano (in particolare nel campo curdo). In secondo luogo [nella prossima “puntata”], proveremo a sondare i percorsi di autonomia popolare che nonostante tutto – compresa una censura mediatica impressionante – resistono e rappresentano una forza di rottura per niente trascurabile (sia da un punto di vista politico che militare), in particolare nel Kurdistan siriano (Rojava). Infine, cercheremo di abbozzare qualche riflessione di portata più generale sul senso degli eventi in corso\r\n\r\nGli attori in campo\r\n15 agosto 2014. Le televisioni del mondo intero riportano con orrore i massacri, le esecuzioni, i rapimenti di bambini e donne venduti come schiavi, le pulizie etniche e le angherie di ogni tipo dispiegate dalle bande dello “Stato Islamico” (I.S.) in nord Iraq contro minoranze religiose e oppositori, ad esempio contro i curdi yezidi a Sinjar (Şengal in curdo). Tale escalation di violenza settaria sarebbe, ufficialmente, all’origine del sostegno militare che Stati Uniti ed Europa si apprestano a fornire (apertamente) “ai curdi” – dopo averlo fornito a lungo (dietro le quinte) alle milizie “jihadiste”. Peccato però che l’espressione “i curdi” non significhi nulla, essendo “i kurds_mapcurdi” una realtà nient'affatto omogenea. Oltre al fatto – tutt’altro che trascurabile – che il popolo curdo è diviso da circa un secolo dalle frontiere artificiali di Turchia, Siria, Iraq e Iran, nel movimento curdo si sovrappongono, com’è ovvio che sia, profonde divisioni che hanno origini storiche, linguistiche, tribali, religiose, oltre che contrapposizioni politiche talvolta laceranti e foriere di conflitti anche armati. Quando, dunque, gli Stati Uniti parlano di “armare i curdi”, si riferiscono ovviamente ai loro alleati sul campo, ovvero ai filo-americani del PDK, e non certo ai “terroristi” del PKK e ai suoi alleati. E ciò anche se, come emerge sempre più chiaramente dalle fonti sul campo e dalle testimonianze dei sopravvissuti, ad accorrere per aiutare le minoranze aggredite e a organizzare la resistenza armata contro le bande paramilitari di I.S., sono stati proprio quelli che Washington e Bruxelles definiscono “terroristi”, e non i miliziani fedeli a PDK e USA, i quali hanno invece lasciato campo libero all’avanzata di I.S., sostanzialmente spartendosi le spoglie del territorio abbandonato dallo squagliarsi dell’esercito di Baghdad. Del resto, anche i tanto decantati quanto limitati bombardamenti finora sferrati dagli Stati Uniti non sembrano proprio avere l’obbiettivo di stroncare le forze “islamiste”, quanto piuttosto quello di contenerle e indirizzarle (altrimenti, con le tecnologie e le informazioni in mano all’aviazione USA, sarebbe stato un “gioco da ragazzi” annientarne le postazioni e le colonne nel campo aperto del deserto iracheno).\r\n\r\nÈ proprio per cercare di dissipare tali ambiguità che riportiamo qui di seguito, in modo inevitabilmente sintetico e schematico, una descrizione delle organizzazioni coinvolte a vario titolo nel conflitto in corso, una sorta di glossario per aiutare a districarsi nella confusione mediatica.\r\n\r\nPKK – Partito dei lavoratori del Kurdistan (Turchia). Le sue ali militari sono: HPG (Forze di difesa del popolo) e YJA-Star (Unità delle donne libere - Star). Opera nel Kurdistan settentrionale (in curdo “Bakûr”, sud-est della Turchia) da oltre trent’anni, per sostenere l’autodeterminazione e la stessa sopravvivenza del popolo curdo contro l’occupazione militare da parte dello Stato turco. È stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata da USA ed Europa. Dagli anni Novanta, in particolare grazie all’elaborazione teorica del suo presidente Abdullah Öcalan (tuttora detenuto nell’isola-prigione di Imrali in Turchia), il PKK ha superato l’originaria ideologia nazionalista e marxista-leninista attraverso una radicale critica degli stessi concetti di Stato, Nazione, Partito, e abbandonando l’obiettivo della costruzione di uno Stato curdo indipendente. La sua proposta politica, denominata Confederalismo democratico, auspica la costruzione di una federazione di comunità autogovernantisi al di là dei confini nazionali, religiosi, etnici, le cui colonne portanti sono la partecipazione dal basso, la parità di genere e il rispetto della natura. Il suo esercito di guerriglia (HPG e YJA-Star) conta diverse migliaia di uomini e donne nelle montagne del sud-est della Turchia (sui confini con Siria, Iraq e Iran) e sui monti Qandil in territorio iracheno. Attualmente in un precario cessate il fuoco unilaterale con la Turchia, è impegnato nel sostegno dei propri fratelli in Siria (Rojava) e nella difesa della popolazione civile in Iraq contro I.S.\r\n\r\nPYD – Partito dell’unione democratica (Siria). Le sue ali militari sono: YPG (Unità di difesa popolare) e YPJ (Unità di difesa delle donne). È il partito maggioritario nel Kurdistan occidentale (“Rojava”, Siria del nord). Stretto alleato del PKK, sia dal punto di vista militare che politico, ne condivide la proposta del Confederalismo democratico, prospettiva che sta concretizzando nei territori del Rojava. Qui, dall’insurrezione contro il regime siriano, non si è schierato né con il regime di Al-Assad né con i “ribelli siriani”, praticando una “terza via” consistente nel liberare e difendere il proprio territorio per amministrarlo, insieme agli altri partiti e realtà della società civile non solo curda, in una sorta di “democrazia cantonale dal basso”. La sua forza militare (YPG e YPJ) oltre a difendere il Rojava da chiunque l’attacchi (lealisti di Al-Assad, “ribelli” siriani, I.S. e “jihadisti” vari) ha recentemente operato in territorio iracheno contro i tentativi di pulizia etnica di I.S. – in particolare nelle aree di Sinjar, Makhmour (Maxmur, in curdo) –, soccorrendo la popolazione in fuga e organizzando anche lì, come in Siria, una resistenza armata di autodifesa popolare.\r\n\r\nKCK – Raggruppamento delle comunità del Kurdistan. È il coordinamento che raggruppa i vari partiti e organizzazioni della società civile delle quattro parti del Kurdistan per portare avanti il progetto del Confederalismo democratico. Oltre a PKK e PYD, ne fanno parte anche il PÇDK (Iraq) e il PJAK (Iran).\r\n\r\nPÇDK – Partito della soluzione democratica in Kurdistan (Iraq), per il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq); forza attualmente minoritaria anche a causa della repressione che subisce da parte del governo regionale del PDK.\r\n\r\nPJAK – Partito della vita libera del Kurdistan (Iran), per il Kurdistan orientale (“Rojhelat”, nord-ovest dell’Iran). La sua ala militare è composta dalle HRG (Forze di difesa del Kurdistan orientale) e quella femminile dall’YJRK (Unione delle donne del Kurdistan orientale), le cui forze sono anch’esse attualmente impegnate nella resistenza contro l’I.S. in Iraq e in Rojava.\r\n\r\nPDK – Partito democratico del Kurdistan (Iraq). È il partito di Mas’ud Barzani, che governa il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq), divenuto regione autonoma (KRG) in seguito all’invasione americana del 2003 e alla caduta del regime di Saddam Hussein. La famiglia Barzani, leader storici del movimento nazionalista curdo, governa di fatto la regione come un proprio feudo, rappresentando una vera e propria mafia del petrolio, in grado di garantire l’ordine nella regione e perciò sostenuta e armata dagli Stati Uniti, oltre che da Israele e Turchia (con cui ha importanti rapporti economici e a cui vende il petrolio). L’ala militare del PDK è formata dai «peshmerga», in parte integrati nell’esercito regolare iracheno, ma soprattutto nelle milizie che costituiscono le forze di sicurezza del KRG (Governo regionale del Kurdistan). La politica nazionalista e filo-americana del PDK è radicalmente in contrasto con le posizioni di PKK, PYD, KCK, in quanto principale stampella del neo-colonialismo e della balcanizzazione del Medio Oriente. Di fronte all’offensiva di I.S., i peshmerga di Barzani si sono distinti per una politica opportunista, che non ha sostanzialmente ostacolato l’avanzata di I.S. (fortemente sponsorizzata – tra gli altri – dall’amica Turchia) fino a quando non ha toccato i propri interessi, e anzi approfittando del conseguente indebolimento del governo centrale iracheno per allargare i confini del Kurdistan federale (ad esempio occupando la città petrolifera di Kirkuk quando I.S. occupava Mosul). Molteplici testimonianze dei civili scampati ai massacri di I.S., in particolare a Sinjar e a Makhmour, riferiscono di essere stati abbandonati dai miliziani di Barzani e di essersi salvati soltanto grazie all’intervento dei guerriglieri del PKK e del PYD. Diversi analisti inoltre – a proposito dell’immobilismo dei peshmerga del PDK – hanno sottolineato il fatto che mentre le forze del PKK dagli anni Ottanta non hanno mai smesso di combattere e di addestrarsi alla guerriglia, le truppe di Barzani, a oltre dieci anni dalla caduta di Saddam Hussein, si sono trasformate in un apparato burocratico di impiegati più che di guerriglieri.\r\n\r\n«Peshmerga». Significa genericamente «guerrigliero» o «soldato» curdo, ed è quindi il termine che, storicamente, definisce ogni combattente del Kurdistan. Col tempo però (con la formazione di un governo de facto nel nord Iraq e le profonde spaccature nel movimento curdo) questo termine è andato a definire in modo specifico i miliziani del PDK di Barzani, come quelli del PUK di Talabani, di Gorran e degli altri partiti curdi d’Iraq, mentre i partigiani del PKK o del PYD preferiscono definirsi col nome delle proprie organizzazioni (o “gerîlla”, “partîzan”…). La genericità del termine «peshmerga» comunque rimane, ed è anche sulla sua ambiguità che si è costruita molta della confusione diffusa dai media internazionali.\r\n\r\nIn campo avverso, tra i protagonisti del conflitto in corso, il califfato fondato da Abu Bakr Al-Baghdadi nei territori del Bilad ash Sham (a cavallo tra Siria e Iraq) si è ormai affermato come una vera e propria potenza militare, fondata sul terrore nei confronti delle popolazioni civili e dotata di una forza paramilitare più simile a un esercito mercenario che non a una “tradizionale” organizzazione “jihadista”.\r\n\r\nI.S. – Stato islamico. Nasce dall’arcipelago della resistenza islamista sunnita contro l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003, nello specifico dal gruppo “Al-Tawḥīd wa-al-Jihād” fondato dal giordano Abu Musab Al-Zarkawi (ucciso da un bombardamento USA nel 2006), poi divenuto Al Qaida in Iraq (AQI), poi Stato islamico in Iraq (ISI), in Siria (ISIS) e infine Stato islamico (IS). Ha praticato fin dagli esordi una politica ferocemente settaria, attaccando principalmente gli sciiti e le altre minoranze dell’area (ragione del disaccordo e delle continue frizioni con la dirigenza di Al Qaida), riuscendo a serrare le fila sunnite con migliaia di militanti soprattutto stranieri (dimostrando una capacità di attrattiva effettivamente internazionale). Nello scenario della guerra civile siriana, si è distinto per la ferocia dei suoi attacchi (e non solo contro le forze lealiste ma anche e soprattutto contro ogni fazione rivale del fronte dei “ribelli”) riuscendo a imporsi, dal 2013, come principale kurds_vs_Isisforza del campo fondamentalista sunnita (scalzando anche Jabat Al Nusra, ovvero il referente di Al Qaida in Siria). Qui controlla ormai diverse aree nel nord e nell’est del Paese, in particolare nelle zone petrolifere e lungo il corso dell’Eufrate, in guerra aperta contro le forze curde del Rojava. Nel 2014 incomincia l’avanzata in Iraq, dove trova l’appoggio di diverse forze sunnite emarginate e represse dal governo iracheno, il cui esercito a luglio si ritira disordinatamente abbandonando nelle mani dell’I.S. un vero e proprio arsenale (tra cui fucili M4 e M16, lanciagranate, visori notturni, mitragliatrici, artiglieria pesante, missili terra-aria Stinger e Scud, carri armati, veicoli corazzati Humvies, elicotteri Blackhawks, aerei cargo…). È così che l’I.S., sotto la guida di Abu Bakr Al-Baghdadi, si costituisce in Califfato, strutturandosi di fatto come un nuovo Stato che riscuote le tasse, paga i suoi miliziani e dipendenti, amministra centrali elettriche, depositi di grano, dighe, pozzi petroliferi, affrancandosi così anche dalla dipendenza da finanziamenti di Stati stranieri.\r\n\r\nIn questa rapida escalation dello Stato Islamico, l’appoggio logistico, economico, militare fornitogli dalla Turchia perlomeno dall’inizio della “crisi” del regime siriano, insieme all’atteggiamento delle milizie peshmerga di Barzani, e alla “vigile distanza” degli USA, potrebbero far sorgere ai più malfidenti qualche sospetto sull’esistenza di un disegno pro I.S. condiviso da tale “asse”. Ciò anche senza scomodare le voci secondo cui il califfo Al-Baghdadi (che risulta essere stato in un campo di prigionia statunitense in Iraq dal 2004 al 2009, per poi esserne rilasciato ed assumere la leadership di ISIS in seguito all'uccisione del precedente leader da parte di forze statunitensi) sarebbe stato addestrato da Mossad, CIA e MI6. Anche senza bisogno di perdersi nelle immancabili elucubrazioni su complotti e cospirazioni a tavolino, non è affatto impensabile un’alleanza di fatto, una convergenza di interessi (che si saldano nel sollecitare alcune dinamiche, nel non ostacolarne altre…) tra Turchia, USA, PDK (oltre ad Arabia saudita, Qatar…), per “suscitare” e impiantare una presenza fondamentalista sunnita nel cuore del Medio Oriente (uno nuovo Stato, o un Califfato, o un territorio in guerra permanente...) in funzione anti Iran (e dunque anti Al-Assad, Hezbollah… e Russia); qualcosa che – già che c’è – vada a spezzare sul campo ogni tentativo di rivolta, di autogoverno, di gestione diretta, e diversa, del territorio…\r\n\r\nUna controrivoluzione preventiva, insomma, contro quella resistenza popolare che costituisce oggi (fuori dalle menzogne della propaganda) l'unica vera resistenza sul campo contro lo Stato Islamico; una resistenza che vede in prima fila le milizie autorganizzate dalle donne, e in cui stanno confluendo gli abitanti delle regioni sotto attacco rompendo le divisioni etniche, religiose, culturali, in una prospettiva politica che assume un significato universale... Questo movimento, che partendo dai curdi di Rojava rischia di dilagare oltre confini che non tengono più, è qualcosa di dirompente nel panorama mediorientale, comprensibilmente preoccupante per qualsiasi potere con mire di controllo o egemonia nell'area, e proprio perciò, per noi, tanto più interessante.","3 Settembre 2014","2014-09-08 19:44:33","Oltre le frontiere. 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La notizia della decapitazione di un giornalista statunitense, il trentunenne Steven Sotloff occupa le prime pagine dei giornali, sia pure con enfasi minore rispetto alla decapitazione del collega James Foley, che metteva in scena per la prima volta, uno spettacolo comunicativo il cui obiettivo è ben al di là della minaccia agli Stati Uniti, per investire direttamente una più vasta platea internazionale, la stessa da cui provengono i miliziani dell'IS.\r\nLa coreografia (la tunica arancio che richiama le tute dei prigionieri di Guantanamo), la demolizione del mito del \"nero\" Obama e le sue promesse mancate, le minacce all'islam sciita, sono messaggi semplici ma potenti, capaci di dare forza all'immaginario dell'islam radicale.\r\nSui media main stream ci sono diversi attori: i feroci seguaci del califfo Al Baghdadi, i \"curdi\", \"l'imbelle\" governo iracheno. Più sullo sfondo il regime dell'alawita Bashar el Hassad, contro il quale gli Stati Uniti hanno armato le formazioni islamiste che concorrono alla conquista del paese, il maggior sponsor di Hassad, la Russia putiniana, la Turchia che ha finanziato l'Is.\r\nIl termine \"curdi\" nasconde più di quanto non riveli. I curdi di cui narrano i media nostrani - diversa è l'informazione negli stessi Stati Uniti - sono quelli della zona dell'Iraq sotto il controllo del PDK di Mas’ud Barzani, alleati con gli Stati Uniti, e \"naturali\" destinatari delle armi promesse anche dal governo italiano.\r\nMai entrate nella scena mediatica le formazioni guerrigliere del Rojava (Siria nord orientale) protagoniste della \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> che ha liberato numerose zone occupate dell'IS, che, curiosamente, ha interrotto la propria marcia su Baghdad per attaccare le zone curde controllate dalle formazioni libertarie, federaliste e femministe del Rojava e di alcune zone dello stesso Iraq.\r\nNon per caso nel mirino dell'IS è entrato il campo profughi di Makhmur, che da vent'anni ospita curdi sfuggiti alle persecuzioni contro il PKK in Turchia.\r\n\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Daniele Pepino, un compagno che conosce bene le zone curde che stanno sperimentando il confederalismo democratico.\r\n\r\nAscolta l'intervista:\r\n\r\n2014 09 03 daniele guerra is pkk\r\n\r\nDi seguito un lungo articolo di Daniele che ci fornisce il lessico essenziale per meglio capire la partita che si sta giocando tra Siria, Iraq. E non solo.\r\nPer la prima volta da decenni il percorso intrapreso in Rojavà narra una storia che apre prospettive che vanno ben al di là delle montagne curde.\r\n\r\nLe notizie dal Vicino e Medio Oriente si susseguono a un ritmo incalzante. Il Kurdistan si trova, ancora una volta, nell’occhio del ciclone, dilaniato dall’esplodere delle tensioni tra le potenze regionali che si spartiscono il suo territorio.\r\n\r\nNon è semplice, in un simile scenario, fornire un quadro della situazione che non sia immediatamente superato dall’incedere degli eventi. I quintali di notizie, parole, immagini, vomitati dai mass media, invece di chiarire la complessità dello scenario mediorientale, contribuiscono a spargere una confusione che è tutt’altro che casuale.\r\n\r\nPerciò ci sembra prioritario – nei limiti di quanto è possibile fare in un breve articolo – provare a fornire qualche strumento interpretativo utile a comprendere le dinamiche in corso con uno sguardo di più lungo periodo rispetto alla cronaca emergenziale del giorno dopo giorno.\r\n\r\nDa un lato, è necessario ricordare come quel che accade in Kurdistan (e più in generale in Medio Oriente) sia sempre, anche, il precipitato dell’interazione di forze esterne, a cominciare dagli Stati che ne occupano il territorio, ossia la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran (a loro volta, peraltro, veicoli di uno scontro di interessi su scala mondiale).\r\n\r\nDall’altro, è bene sottolineare come ciò non precluda l’esistenza di specifiche dinamiche locali, le quali, anzi, dimostrano sempre più spesso come proprio questi momenti di crisi e disfacimento possano rappresentare le crepe da cui emergono nuovi percorsi di autonomia, rivolta e protagonismo popolare.\r\n\r\nL’immagine costruita dal discorso mediatico dominante racconta, sostanzialmente, di una folle guerra di fanatici terroristi musulmani contro i quali l’Occidente è costretto a intervenire (per ragioni umanitarie, ça va sans dire!) appoggiando le uniche forze al momento in grado di opporvisi, ovvero “i curdi”. Per fornire qualche antidoto alle ambiguità e ai silenzi che caratterizzano tale ricostruzione, ci pare utile, in primo luogo, delineare chi sono realmente le forze in campo, cosa rappresentano, quali identità e progettualità incarnano (in particolare nel campo curdo). In secondo luogo [nella prossima “puntata”], proveremo a sondare i percorsi di autonomia popolare che nonostante tutto – compresa una censura mediatica impressionante – resistono e rappresentano una forza di rottura per niente trascurabile (sia da un punto di vista politico che militare), in particolare nel Kurdistan siriano (Rojava). Infine, cercheremo di abbozzare qualche riflessione di portata più generale sul senso degli eventi in corso\r\n\r\nGli attori in campo\r\n15 agosto 2014. Le televisioni del mondo intero riportano con orrore i massacri, le esecuzioni, i rapimenti di bambini e donne venduti come schiavi, le pulizie etniche e le angherie di ogni tipo dispiegate dalle bande dello “Stato Islamico” (I.S.) in nord Iraq contro minoranze religiose e oppositori, ad esempio contro i curdi yezidi a Sinjar (Şengal in curdo). Tale escalation di violenza settaria sarebbe, ufficialmente, all’origine del sostegno militare che Stati Uniti ed Europa si apprestano a fornire (apertamente) “ai curdi” – dopo averlo fornito a lungo (dietro le quinte) alle milizie “jihadiste”. Peccato però che l’espressione “i curdi” non significhi nulla, essendo “i kurds_mapcurdi” una realtà nient'affatto omogenea. Oltre al fatto – tutt’altro che trascurabile – che il popolo curdo è diviso da circa un secolo dalle frontiere artificiali di Turchia, Siria, Iraq e Iran, nel movimento curdo si sovrappongono, com’è ovvio che sia, profonde divisioni che hanno origini storiche, linguistiche, tribali, religiose, oltre che contrapposizioni politiche talvolta laceranti e foriere di conflitti anche armati. Quando, dunque, gli Stati Uniti parlano di “armare i curdi”, si riferiscono ovviamente ai loro alleati sul campo, ovvero ai filo-americani del PDK, e non certo ai “terroristi” del PKK e ai suoi alleati. E ciò anche se, come emerge sempre più chiaramente dalle fonti sul campo e dalle testimonianze dei sopravvissuti, ad accorrere per aiutare le minoranze aggredite e a organizzare la resistenza armata contro le bande paramilitari di I.S., sono stati proprio quelli che Washington e Bruxelles definiscono “terroristi”, e non i miliziani fedeli a PDK e USA, i quali hanno invece lasciato campo libero all’avanzata di I.S., sostanzialmente spartendosi le spoglie del territorio abbandonato dallo squagliarsi dell’esercito di Baghdad. Del resto, anche i tanto decantati quanto limitati bombardamenti finora sferrati dagli Stati Uniti non sembrano proprio avere l’obbiettivo di stroncare le forze “islamiste”, quanto piuttosto quello di contenerle e indirizzarle (altrimenti, con le tecnologie e le informazioni in mano all’aviazione USA, sarebbe stato un “gioco da ragazzi” annientarne le postazioni e le colonne nel campo aperto del deserto iracheno).\r\n\r\nÈ proprio per cercare di dissipare tali ambiguità che riportiamo qui di seguito, in modo inevitabilmente sintetico e schematico, una descrizione delle organizzazioni coinvolte a vario titolo nel conflitto in corso, una sorta di glossario per aiutare a districarsi nella confusione mediatica.\r\n\r\nPKK – Partito dei lavoratori del Kurdistan (Turchia). Le sue ali militari sono: HPG (Forze di difesa del popolo) e YJA-Star (Unità delle donne libere - Star). Opera nel Kurdistan settentrionale (in curdo “Bakûr”, sud-est della Turchia) da oltre trent’anni, per sostenere l’autodeterminazione e la stessa sopravvivenza del popolo curdo contro l’occupazione militare da parte dello Stato turco. È stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata da USA ed Europa. Dagli anni Novanta, in particolare grazie all’elaborazione teorica del suo presidente Abdullah Öcalan (tuttora detenuto nell’isola-prigione di Imrali in Turchia), il PKK ha superato l’originaria ideologia nazionalista e marxista-leninista attraverso una radicale critica degli stessi concetti di Stato, Nazione, Partito, e abbandonando l’obiettivo della costruzione di uno Stato curdo indipendente. La sua proposta politica, denominata Confederalismo democratico, auspica la costruzione di una federazione di comunità autogovernantisi al di là dei confini nazionali, religiosi, etnici, le cui colonne portanti sono la partecipazione dal basso, la parità di genere e il rispetto della natura. Il suo esercito di guerriglia (HPG e YJA-Star) conta diverse migliaia di uomini e donne nelle montagne del sud-est della Turchia (sui confini con Siria, Iraq e Iran) e sui monti Qandil in territorio iracheno. Attualmente in un precario cessate il fuoco unilaterale con la Turchia, è impegnato nel sostegno dei propri fratelli in Siria (Rojava) e nella difesa della popolazione civile in Iraq contro I.S.\r\n\r\nPYD – Partito dell’unione democratica (Siria). Le sue ali militari sono: YPG (Unità di difesa popolare) e YPJ (Unità di difesa delle donne). È il partito maggioritario nel Kurdistan occidentale (“Rojava”, Siria del nord). Stretto alleato del PKK, sia dal punto di vista militare che politico, ne condivide la proposta del Confederalismo democratico, prospettiva che sta concretizzando nei territori del Rojava. Qui, dall’insurrezione contro il regime siriano, non si è schierato né con il regime di Al-Assad né con i “ribelli siriani”, praticando una “terza via” consistente nel liberare e difendere il proprio territorio per amministrarlo, insieme agli altri partiti e realtà della società civile non solo curda, in una sorta di “democrazia cantonale dal basso”. La sua forza militare (YPG e YPJ) oltre a difendere il Rojava da chiunque l’attacchi (lealisti di Al-Assad, “ribelli” siriani, I.S. e “jihadisti” vari) ha recentemente operato in territorio iracheno contro i tentativi di pulizia etnica di I.S. – in particolare nelle aree di Sinjar, Makhmour (Maxmur, in curdo) –, soccorrendo la popolazione in fuga e organizzando anche lì, come in Siria, una resistenza armata di autodifesa popolare.\r\n\r\nKCK – Raggruppamento delle comunità del Kurdistan. È il coordinamento che raggruppa i vari partiti e organizzazioni della società civile delle quattro parti del Kurdistan per portare avanti il progetto del Confederalismo democratico. Oltre a PKK e PYD, ne fanno parte anche il PÇDK (Iraq) e il PJAK (Iran).\r\n\r\nPÇDK – Partito della soluzione democratica in Kurdistan (Iraq), per il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq); forza attualmente minoritaria anche a causa della repressione che subisce da parte del governo regionale del PDK.\r\n\r\nPJAK – Partito della vita libera del Kurdistan (Iran), per il Kurdistan orientale (“Rojhelat”, nord-ovest dell’Iran). La sua ala militare è composta dalle HRG (Forze di difesa del Kurdistan orientale) e quella femminile dall’YJRK (Unione delle donne del Kurdistan orientale), le cui forze sono anch’esse attualmente impegnate nella resistenza contro l’I.S. in Iraq e in Rojava.\r\n\r\nPDK – Partito democratico del Kurdistan (Iraq). È il partito di Mas’ud Barzani, che governa il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq), divenuto regione autonoma (KRG) in seguito all’invasione americana del 2003 e alla caduta del regime di Saddam Hussein. La famiglia Barzani, leader storici del movimento nazionalista curdo, governa di fatto la regione come un proprio feudo, rappresentando una vera e propria mafia del petrolio, in grado di garantire l’ordine nella regione e perciò sostenuta e armata dagli Stati Uniti, oltre che da Israele e Turchia (con cui ha importanti rapporti economici e a cui vende il petrolio). L’ala militare del PDK è formata dai «peshmerga», in parte integrati nell’esercito regolare iracheno, ma soprattutto nelle milizie che costituiscono le forze di sicurezza del KRG (Governo regionale del Kurdistan). La politica nazionalista e filo-americana del PDK è radicalmente in contrasto con le posizioni di PKK, PYD, KCK, in quanto principale stampella del neo-colonialismo e della balcanizzazione del Medio Oriente. Di fronte all’offensiva di I.S., i peshmerga di Barzani si sono distinti per una politica opportunista, che non ha sostanzialmente ostacolato l’avanzata di I.S. (fortemente sponsorizzata – tra gli altri – dall’amica Turchia) fino a quando non ha toccato i propri interessi, e anzi approfittando del conseguente indebolimento del governo centrale iracheno per allargare i confini del Kurdistan federale (ad esempio occupando la città petrolifera di Kirkuk quando I.S. occupava Mosul). Molteplici testimonianze dei civili scampati ai massacri di I.S., in particolare a Sinjar e a Makhmour, riferiscono di essere stati abbandonati dai miliziani di Barzani e di essersi salvati soltanto grazie all’intervento dei guerriglieri del PKK e del PYD. Diversi analisti inoltre – a proposito dell’immobilismo dei peshmerga del PDK – hanno sottolineato il fatto che mentre le forze del PKK dagli anni Ottanta non hanno mai smesso di combattere e di addestrarsi alla guerriglia, le truppe di Barzani, a oltre dieci anni dalla caduta di Saddam Hussein, si sono trasformate in un apparato burocratico di impiegati più che di guerriglieri.\r\n\r\n«Peshmerga». Significa genericamente «guerrigliero» o «soldato» curdo, ed è quindi il termine che, storicamente, definisce ogni combattente del Kurdistan. Col tempo però (con la formazione di un governo de facto nel nord Iraq e le profonde spaccature nel movimento curdo) questo termine è andato a definire in modo specifico i miliziani del PDK di Barzani, come quelli del PUK di Talabani, di Gorran e degli altri partiti curdi d’Iraq, mentre i partigiani del PKK o del PYD preferiscono definirsi col nome delle proprie organizzazioni (o “gerîlla”, “partîzan”…). La genericità del termine «peshmerga» comunque rimane, ed è anche sulla sua ambiguità che si è costruita molta della confusione diffusa dai media internazionali.\r\n\r\nIn campo avverso, tra i protagonisti del conflitto in corso, il califfato fondato da Abu Bakr Al-Baghdadi nei territori del Bilad ash Sham (a cavallo tra Siria e Iraq) si è ormai affermato come una vera e propria potenza militare, fondata sul terrore nei confronti delle popolazioni civili e dotata di una forza paramilitare più simile a un esercito mercenario che non a una “tradizionale” organizzazione “jihadista”.\r\n\r\nI.S. – Stato islamico. Nasce dall’arcipelago della resistenza islamista sunnita contro l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003, nello specifico dal gruppo “Al-Tawḥīd wa-al-Jihād” fondato dal giordano Abu Musab Al-Zarkawi (ucciso da un bombardamento USA nel 2006), poi divenuto Al Qaida in Iraq (AQI), poi Stato islamico in Iraq (ISI), in Siria (ISIS) e infine Stato islamico (IS). Ha praticato fin dagli esordi una politica ferocemente settaria, attaccando principalmente gli sciiti e le altre minoranze dell’area (ragione del disaccordo e delle continue frizioni con la dirigenza di Al Qaida), riuscendo a serrare le fila sunnite con migliaia di militanti soprattutto stranieri (dimostrando una capacità di attrattiva effettivamente internazionale). Nello scenario della guerra civile siriana, si è distinto per la ferocia dei suoi attacchi (e non solo contro le forze lealiste ma anche e soprattutto contro ogni fazione rivale del fronte dei “ribelli”) riuscendo a imporsi, dal 2013, come principale kurds_vs_Isisforza del campo fondamentalista sunnita (scalzando anche Jabat Al Nusra, ovvero il referente di Al Qaida in Siria). Qui controlla ormai diverse aree nel nord e nell’est del Paese, in particolare nelle zone petrolifere e lungo il corso dell’Eufrate, in guerra aperta contro le forze curde del Rojava. Nel 2014 incomincia l’avanzata in Iraq, dove trova l’appoggio di diverse forze sunnite emarginate e represse dal governo iracheno, il cui esercito a luglio si ritira disordinatamente abbandonando nelle mani dell’I.S. un vero e proprio arsenale (tra cui fucili M4 e M16, lanciagranate, visori notturni, mitragliatrici, artiglieria pesante, missili terra-aria Stinger e Scud, carri armati, veicoli corazzati Humvies, elicotteri Blackhawks, aerei cargo…). È così che l’I.S., sotto la guida di Abu Bakr Al-Baghdadi, si costituisce in Califfato, strutturandosi di fatto come un nuovo Stato che riscuote le tasse, paga i suoi miliziani e dipendenti, amministra centrali elettriche, depositi di grano, dighe, pozzi petroliferi, affrancandosi così anche dalla dipendenza da finanziamenti di Stati stranieri.\r\n\r\nIn questa rapida escalation dello Stato Islamico, l’appoggio logistico, economico, militare fornitogli dalla Turchia perlomeno dall’inizio della “crisi” del regime siriano, insieme all’atteggiamento delle milizie peshmerga di Barzani, e alla “vigile distanza” degli USA, potrebbero far sorgere ai più malfidenti qualche sospetto sull’esistenza di un disegno pro I.S. condiviso da tale “asse”. Ciò anche senza scomodare le voci secondo cui il califfo Al-Baghdadi (che risulta essere stato in un campo di prigionia statunitense in Iraq dal 2004 al 2009, per poi esserne rilasciato ed assumere la leadership di ISIS in seguito all'uccisione del precedente leader da parte di forze statunitensi) sarebbe stato addestrato da Mossad, CIA e MI6. Anche senza bisogno di perdersi nelle immancabili elucubrazioni su complotti e cospirazioni a tavolino, non è affatto impensabile un’alleanza di fatto, una convergenza di interessi (che si saldano nel sollecitare alcune dinamiche, nel non ostacolarne altre…) tra Turchia, USA, PDK (oltre ad Arabia saudita, Qatar…), per “suscitare” e impiantare una presenza fondamentalista sunnita nel cuore del Medio Oriente (uno nuovo Stato, o un Califfato, o un territorio in guerra permanente...) in funzione anti Iran (e dunque anti Al-Assad, Hezbollah… e Russia); qualcosa che – già che c’è – vada a spezzare sul campo ogni tentativo di rivolta, di autogoverno, di gestione diretta, e diversa, del territorio…\r\n\r\nUna controrivoluzione preventiva, insomma, contro quella resistenza popolare che costituisce oggi (fuori dalle menzogne della propaganda) l'unica vera resistenza sul campo contro lo Stato Islamico; una resistenza che vede in prima fila le milizie autorganizzate dalle donne, e in cui stanno confluendo gli abitanti delle regioni sotto attacco rompendo le divisioni etniche, religiose, culturali, in una prospettiva politica che assume un significato universale... 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Il problema non è infatti solo quello di combattere l'emergenza di una nuova moneta internazionale di riferimento (l'Euro, appunto, ossessione di lungo corso degli Usa) ma anche impedire che i capitali finanziari vengano attrattida altri lidi oltre ai consueti approdi anglo-americani.\r\nIl rischio di queste manovre - ben individuato da alcuni osservatori statunitensi - è però l'aumento di spinte speculative che rischierebbero di provocare una nuova bolla finanziaria, forse più potente di quella dei subprime del 2008. 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Il padrone di casa, Sulktan Al Jaber, ha subito fatto intuire l’aria che tira con un sorprendente fuori onda in odore di negazionismo climatico, sostenendo che nessuna scienza ci dice che la rinuncia al carbon-fossile impedirà l’aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi, traguardo che forse abbiamo già mancato e si parla già del prossimo target: evitare l’aumento di 2 gradi centigradi.\r\n\r\nLa conferenza si chiuderà il 12 dicembre e fino ad allora non sapremo quali trattative andranno in porto e con che forza. Per il momento le dichiarazioni ci lasciano scorgere scenari abbastanza foschi. Venti paesi hanno firmato una dichiarazione con cui si chiede di triplicare il ricorso all'energia nucleare entro il 2050 e di riconoscere ufficialmente il ruolo dell'atomo nel raggiungere le zero emissioni nette, in testa Usa, Gran Bretagna e Francia. Si insite molto sulla cosiddetta “povertà energetica”, ovvero quel decimo del mondo che ancora non ha accesso alla corrente elettrica, che sono poi quasi sempre Paesi sub-sahariani.\r\n\r\nSi è parlato molto della creazione del fondo per risarcire i Paesi che già vivono gli effetti disastrosi del cambiamento climatico come alcune isole del Pacifico o alcune zone africane che già vedono processi di desertificazione. Peccato che questi disastri si misurino nell’ordine dei miliardi di dollari e finora il fondo abbia raccolto qualche centinaio di milioni, grazie all’impegno di Italia, Francia e Germania ma con gli Usa che mettono appena qualche milione di dollari.\r\n\r\nInfine sembrano confermati gli impegni, ma senza vincoli, a triplicare entro il 2030 il ricorso alle energie rinnovabili che nel frattempo diventano sempre più economiche. Ha diffuso un certo allarme uno studio della Banca Mondiale che stima in 25 milioni le vite perse entro il 2050 a causa dei cambiamenti climatici, disastri ma soprattutto nuove e vecchie malattie.\r\n\r\nNe abbiamo discusso con Andrea Capocci, collaboratore de “Il Manifesto” e della rivista “Le Scienze”.\r\n\r\nPer parlare del rilancio del nucleare, che come una fenice risorge costantemente, abbiamo sentito Gian Piero Godio di Legambiente Piemonte, con il quale affrontiamo la questione delle nuove centrali nucleari a fissione, più piccole e diffuse, e del miraggio del nucleare \"pulito\" da fusione.\r\n\r\n***\r\n\r\nChiudiamo la puntata commentando la lunga inchiesta uscita in due parti sulle pagine del Washington Post del 4 e 5 dicembre.\r\n\r\nLa prima cosa che capiamo è che l’Ucraina era molto esitante di fronte all’ipotesi della controffensiva perché sapeva dei dover sopportare perdite enormi, mentre erano gli Usa a spronare all’attacco, sostenendo che bisognasse partire presto per evitare che le linee russe si fortificassero troppo e troppo in profondità. Quindi con qualche ritardo e malumore alla fine si è partiti. Si è partiti come desideravano gli Usa ma con la tattica decisa dagli Ucraini perché gli Usa volevano un attacco massiccio ma concentrato in un solo punto del fronte, l’area di Melitopol, per raggiungere il mare di Azov mentre gli Ucraini optavano per insistere su tre fronti alla ricerca di un punto debole nei 600 miglia di frontiera.\r\n\r\nEsisteva davvero un ipotesi vincente?\r\n\r\nForse, quello che WP non dice è che le insistenze Usa non erano tanto rivolte al successo reale della controffensiva quanto ad agire presto, per lanciare uno spot sulla vitalità della resistenza ucraina, mostrare che era ancora viva e aveva delle ambizioni, soprattutto perché non arrivasse presto una guerra di logoramento che avrebbe favorito i Russi e fatto scemare l’attenzione e il sostegno occidentali, costruiti con fatica, che avevano negli Usa e in GB il centro propulsore mentre il resto del mondo già graduava da una larga perplessità europea, che seguiva il padrone Usa obtorto collo, a una vera e propria contrarietà di quasi tutto il resto del mondo.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/La_fine_7_dic_23.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nhttps://www.cop28.com\r\n\r\nCop28, a Dubai i lobbisti del fossile sono quadruplicati\r\n\r\nGli affari nucleari di Bill Gates hanno fatto irruzione alla COP28 sul clima\r\n\r\nNuclear Now - lo spot nuclearista di Oliver Stone\r\n\r\n**\r\n\r\nWashington Post Miscalculations, divisions marked offensive planning by U.S., Ukraine\r\n\r\nA Dubai russi e ucraini gomito a gomito in nome degli affari\r\n\r\nhttps://www.theuardian.com/environment/video/2023/dec/04/cop28-president-al-jaber-no-science-fossil-fuels-remarks-misrepresented-video","8 Dicembre 2023","2023-12-08 13:57:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/1702026360544-200x110.png","LA FINE DELLA FINE DELLA STORIA S.2 #11 - CONTROFFENSIVA NUCLEARE","podcast",1702043297,[],[],{"post_content":302,"post_title":306},{"matched_tokens":303,"snippet":304,"value":305},[65],"esitante di fronte all’ipotesi della \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> perché sapeva dei dover sopportare","Si è aperta il 30 novembre la COP 28 a Dubai. Il padrone di casa, Sulktan Al Jaber, ha subito fatto intuire l’aria che tira con un sorprendente fuori onda in odore di negazionismo climatico, sostenendo che nessuna scienza ci dice che la rinuncia al carbon-fossile impedirà l’aumento della temperatura globale di 1,5 gradi centigradi, traguardo che forse abbiamo già mancato e si parla già del prossimo target: evitare l’aumento di 2 gradi centigradi.\r\n\r\nLa conferenza si chiuderà il 12 dicembre e fino ad allora non sapremo quali trattative andranno in porto e con che forza. Per il momento le dichiarazioni ci lasciano scorgere scenari abbastanza foschi. Venti paesi hanno firmato una dichiarazione con cui si chiede di triplicare il ricorso all'energia nucleare entro il 2050 e di riconoscere ufficialmente il ruolo dell'atomo nel raggiungere le zero emissioni nette, in testa Usa, Gran Bretagna e Francia. 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Tocca essere cauti perché se da un lato sembra fuori discussione che l'Ucraina possa costringere la Russia a rientrare dentro i confini precedenti al 2014 non pare nemmeno possibile che l'Ucraina possa al momento riprendersi il Donbass per poi mantenerlo, perché si tratterebbe poi di difenderlo. Se anche il supporto occidentale si rivelasse tanto rilevante da costringere i russi a rinculare, è abbastanza certo che questo innescherebbe solo una mobilitazione di massa tra i giovani russi che potrebbero triplicare i propri effettivi. Insomma, ancora una volta non si tratta di ribaltare le sorti militari sul campo ma di dissanguare la Russia di Putin, dal punto di vista dei costi umani ed economici, per rendere il futuro di Putin più incerto e costringerlo a mitigare le sue posizioni. A che prezzo, ammesso che accada, l'Ucraina e la Nato potrebbero conseguire obiettivi di questo tipo? Si prospetta una carneficina anche peggiore di quella vista finora, mentre già molti analisti del campo occidentale rimasticano il solito adagio sentito nei mesi scorsi sugli Himars e poi sugli Abrahms e i Leopard, ovvero: “Eh, però, senza l'aviazione...”. Di linea rossa in linea rossa si vuole forse prender tempo mentre i piloti ucraini completano l'addestramento per dispiegare la forza aerea? In ogni caso ci aspettano tempi lunghi e il pericolo escalation (nel senso del livello distruttivo e dell'allargamento) è sempre dietro l'angolo.\r\n\r\nNe parliamo con Francesco Dall'Aglio, ricercatore presso l'Accademia delle Scienze di Sofia.\r\n\r\nNella seconda parte di trasmissione alcuni spunti e riflessioni critiche dalla recente, lunga ed approfondita intervista rilasciata dal centenario Henry Kissinger alla rivista The Economist, nella quale l'ex Segretario di Stato Americano, una delle figure drammaticamente più influenti della politica estera americana del secolo scorso, si esprime a tutto campo sugli scenari e le sfide del presente: dal rischio di una Terza Guerra Mondiale alla sfida fra Stati Uniti e Cina, dall'impatto dirompente delle nuove tecnologie al declino dell'egemonia americana. Lo sguardo di parte del consigliere del Principe per antonomasia, certo, ma ahinoi, a tratti ben più lucido e ficcante di tante analisi di segno opposto.\r\n\r\nIn chiusura di puntata un nuovo episodio de Il Perno Originario\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/fine-della-storia-06-06.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\nThe Economist - A conversation with Henry Kissinger\r\nWolfgang Streeck - A Bipolar Order?\r\n\r\nAppello di un gruppo di ex diplomatici e funzionari militari americani associati all’Eisenhower Media Network - Gli Stati Uniti dovrebbero essere una forza di pace nel mondo\r\n\r\nDomenico Quirico - Nella guerra senza limiti né deterrenza si vince solo rovesciando i fronti","7 Giugno 2023","2023-06-07 12:30:57","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/1686126022089-200x110.png","LA FINE DELLA FINE DELLA STORIA #21 - QUALE CONTROFFENSIVA?",1686141057,[],[],{"post_content":334,"post_title":338},{"matched_tokens":335,"snippet":336,"value":337},[65],"Sembrerebbe partita la \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> ucraina quando ormai la primavera","Sembrerebbe partita la \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> ucraina quando ormai la primavera volge al termine. 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I due paesi si scambiano accuse e spiccano mandati di arresto reciproci tra i due presidenti, intanto sul piano diplomatico il Messico non invita la corona di Spagna alla cerimonia d'insediamento della nuova presidente Claudia Sheinbaum a causa delle sue mancate scuse per i crimini commessi dagli spagnoli durante la conquista ,ferite che ancora bruciano.\r\n\r\nIl modello Bukele adotatto in El Salvador si propone come soluzione alla violenza diffusa ,meno diritti piu' repressione ,ma le conseguenze di queste politiche repressive si riflettono sullo stato della società civile stretta tra la violenza istituzionale e quella dei narcos che acquisiscono sempre più potere e influenza economica sul continente.\r\n\r\nUn quadro complesso in chiaroscuro che ci rimanda un America Latina nel pieno di un processo di transizione in cui si sovrappongono diversi modelli di società a volte contrapposti , con contraddizioni e fratture sociali derivate dalle eterne disuguaglianze che sono ben lungi dal ricomporsi.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/BASTIONI-26092024-BATTISTESSA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nCon Matteo Miavaldi ,profondo conoscitore della realtà indiana, parliamo dell'India e dei sommovimenti alla sua periferia in Sri Lanka e Bangladesh.\r\n\r\nNel contesto frammentato ed attraversato dagli eventi bellici che sta ridefinendo gli equilibri internazionali ,l'India ha una postura di equidistanza fra i blocchi che si stanno profilando. Da una parte è integrata nei BRICS dall'altra è all'interno del QUAD un'alleanza militare anti-cinese guidata dagli americani e comprendente anche giapponesi, indiani e australiani. Questa politica è erede della posizione di non allineamento (quando c'erano i due blocchi contrapposti ) di Nehru e di Indira Ghandi, ma il contesto è molto diverso e l'India è un partner commerciale importante della Cina ,nonostante le tensioni ai confini , e al contempo un rivale regionale . Intanto le cose si muovono ai confini del continente indiano ,le dinastie che hanno governato il Bangladesh e lo Sri Lanka sono state estromesse dalle rivolte popolari ,Sheikh Hasina la presidente dal pugno di ferro del Bangladesh è in esilio in India con grave imbarazzo di Modi ,mentre a Dacca il governo ad interim sostenuto dai movimenti studenteschi che hanno promosso la rivolta contro Hasina è guidato dal premio nobel Yunus con la benevola momentanea tolleranza dell'esercito.\r\n\r\nIn Sri Lanka è stato eletto nuovo presidente Anura Kumara Dissanayake leader del Partito nazionale del popolo, coalizione di sinistra che raccoglie anche i JVP il partito del presidente di tendenza marxista rivoluzionaria fondato nel 1965. Dissanayake ha promesso di sviluppare il settore manifatturiero, quello tecnologico e l’agricoltura, ma soprattutto in campagna elettorale si è posto come il candidato anticorruzione, vicino al popolo e garante della trasparenza. Sta rinegoziando con il FMI il prestito che a condizionalità insostenibili per il paese aveva contrattato Rajapaksa, rappresentante della dinastia al potere , le aspettative sono molte dopo il default sul debito ed anche le ferite della guerra civile contro i Tamil durata dal 1983 al 2009 attendono di essere rimarginate .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/Miavaldi_2024-09-27.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nCon Matteo Pamidesse ,di Focus on Africa , approfondiamo la situazione in Sudan e in Corno d'Africa. In Sudan giovedì l’esercito regolare ha iniziato una controffensiva particolarmente intensa, la più grande degli ultimi mesi, nelle zone del paese controllate dal gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF), che sono concentrate soprattutto nella capitale Khartum. Furiosi combattimenti si registrano a Omdurman, la città gemella di Khartoum nel pieno del centro abitato con conseguenze disastrose per i civili . La guerra che sembrava congelata in una divisione del paese che ricordava lo scenario libico ha avuto quindi un accelerazione dovuta forse al rifornimento di materiale bellico ulteriore da parte degli alleati di Al Burhan (Egitto) e ad un tentativo di acquisire vantaggi sul campo in vista di una eventuale trattativa .\r\n\r\nLe condizioni della popolazione sono spaventose ,è la più grave crisi umanitaria nel mondo e oltre alle devastazioni dovute alla guerra ,le migliaia di sfollati , la carestia che affligge varie parti del paese , le violazioni dei diritti umani e le violenze esercitate dalle parti in conflitto contro la popolazione civile si aggiunge l'epidemia di colera che sta colpendo la capitale.\r\n\r\nTutto ciò avviene in un contesto regionale sempre più teso con l'Egitto che si appresta a trasferire truppe in Somalia in seguito ad un accordo con Mogadiscio in funzione anti Etiopia che invece reclama un accesso al mare in seguito agli accordi con il Somaliland per l'utilizzo in concessione di un tratto di costa sul Mar Rosso. Sullo sfondo le tensioni mai sopite tra Egitto ed Etiopia a proposito della diga del Gerd sul fiume Nilo Azzurro il cui riempimento in atto dal 2020 sta provocando le proteste dell'Egitto e del Sudan che si ritengono danneggiati nell'utilizzo delle risorse idriche del Nilo.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/BASTIONI-26092024-PALAMIDESSE.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n ","29 Settembre 2024","2024-09-29 13:02:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 26/09/2024-AMERICA LATINA DISILLUSIONI E RUMORI DI SCIABOLE-SRI LANKA E BANGLADESH ,SOMMOVIMENTI NELLA PERIFERIA INDIANA -SUDAN AL BURHAN ATTACCA KHARTOUM MENTRE IL CORNO D'AFRICA E' SEDUTO SU UNA POLVERIERA.",1727614931,[360],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[283],{"post_content":363},{"matched_tokens":364,"snippet":365,"value":366},[65],"l’esercito regolare ha iniziato una \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> particolarmente intensa, la più grande","In questa puntata di Bastioni di Orione con Diego Battistessa ,nostro interlocutore privilegiato per quanto concerne il continente latinoamericano, guardiamo all'insieme dell'America Latina in una fase di ridefinizione degli equilibri regionali scandita anche da cupe reminescenze golpiste che inquietano il presidente della Colombia Petro e l'Honduras di Xiomara Castro .Inoltre ci sono tensioni sempre più acute fra il Venezuela di Maduro ,deluso dal mancato sostegno di alcuni governi latinoamericani supposti amici , e L'Argentina di Milei dove il tasso di povertà è arrivato al 52,9 % grazie alle politiche ultraliberiste del \"loco\". I due paesi si scambiano accuse e spiccano mandati di arresto reciproci tra i due presidenti, intanto sul piano diplomatico il Messico non invita la corona di Spagna alla cerimonia d'insediamento della nuova presidente Claudia Sheinbaum a causa delle sue mancate scuse per i crimini commessi dagli spagnoli durante la conquista ,ferite che ancora bruciano.\r\n\r\nIl modello Bukele adotatto in El Salvador si propone come soluzione alla violenza diffusa ,meno diritti piu' repressione ,ma le conseguenze di queste politiche repressive si riflettono sullo stato della società civile stretta tra la violenza istituzionale e quella dei narcos che acquisiscono sempre più potere e influenza economica sul continente.\r\n\r\nUn quadro complesso in chiaroscuro che ci rimanda un America Latina nel pieno di un processo di transizione in cui si sovrappongono diversi modelli di società a volte contrapposti , con contraddizioni e fratture sociali derivate dalle eterne disuguaglianze che sono ben lungi dal ricomporsi.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/BASTIONI-26092024-BATTISTESSA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nCon Matteo Miavaldi ,profondo conoscitore della realtà indiana, parliamo dell'India e dei sommovimenti alla sua periferia in Sri Lanka e Bangladesh.\r\n\r\nNel contesto frammentato ed attraversato dagli eventi bellici che sta ridefinendo gli equilibri internazionali ,l'India ha una postura di equidistanza fra i blocchi che si stanno profilando. Da una parte è integrata nei BRICS dall'altra è all'interno del QUAD un'alleanza militare anti-cinese guidata dagli americani e comprendente anche giapponesi, indiani e australiani. Questa politica è erede della posizione di non allineamento (quando c'erano i due blocchi contrapposti ) di Nehru e di Indira Ghandi, ma il contesto è molto diverso e l'India è un partner commerciale importante della Cina ,nonostante le tensioni ai confini , e al contempo un rivale regionale . Intanto le cose si muovono ai confini del continente indiano ,le dinastie che hanno governato il Bangladesh e lo Sri Lanka sono state estromesse dalle rivolte popolari ,Sheikh Hasina la presidente dal pugno di ferro del Bangladesh è in esilio in India con grave imbarazzo di Modi ,mentre a Dacca il governo ad interim sostenuto dai movimenti studenteschi che hanno promosso la rivolta contro Hasina è guidato dal premio nobel Yunus con la benevola momentanea tolleranza dell'esercito.\r\n\r\nIn Sri Lanka è stato eletto nuovo presidente Anura Kumara Dissanayake leader del Partito nazionale del popolo, coalizione di sinistra che raccoglie anche i JVP il partito del presidente di tendenza marxista rivoluzionaria fondato nel 1965. Dissanayake ha promesso di sviluppare il settore manifatturiero, quello tecnologico e l’agricoltura, ma soprattutto in campagna elettorale si è posto come il candidato anticorruzione, vicino al popolo e garante della trasparenza. Sta rinegoziando con il FMI il prestito che a condizionalità insostenibili per il paese aveva contrattato Rajapaksa, rappresentante della dinastia al potere , le aspettative sono molte dopo il default sul debito ed anche le ferite della guerra civile contro i Tamil durata dal 1983 al 2009 attendono di essere rimarginate .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/Miavaldi_2024-09-27.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nCon Matteo Pamidesse ,di Focus on Africa , approfondiamo la situazione in Sudan e in Corno d'Africa. In Sudan giovedì l’esercito regolare ha iniziato una \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> particolarmente intensa, la più grande degli ultimi mesi, nelle zone del paese controllate dal gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF), che sono concentrate soprattutto nella capitale Khartum. Furiosi combattimenti si registrano a Omdurman, la città gemella di Khartoum nel pieno del centro abitato con conseguenze disastrose per i civili . La guerra che sembrava congelata in una divisione del paese che ricordava lo scenario libico ha avuto quindi un accelerazione dovuta forse al rifornimento di materiale bellico ulteriore da parte degli alleati di Al Burhan (Egitto) e ad un tentativo di acquisire vantaggi sul campo in vista di una eventuale trattativa .\r\n\r\nLe condizioni della popolazione sono spaventose ,è la più grave crisi umanitaria nel mondo e oltre alle devastazioni dovute alla guerra ,le migliaia di sfollati , la carestia che affligge varie parti del paese , le violazioni dei diritti umani e le violenze esercitate dalle parti in conflitto contro la popolazione civile si aggiunge l'epidemia di colera che sta colpendo la capitale.\r\n\r\nTutto ciò avviene in un contesto regionale sempre più teso con l'Egitto che si appresta a trasferire truppe in Somalia in seguito ad un accordo con Mogadiscio in funzione anti Etiopia che invece reclama un accesso al mare in seguito agli accordi con il Somaliland per l'utilizzo in concessione di un tratto di costa sul Mar Rosso. 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Se è vero come ha scritto qualcuno che Putin si avvantaggerà internamente per aver chiuso bene la partita, senza grandi danni o spargimenti di sangue, è altrettanto vero che la cosa non può non aver ripercussioni sull'immagine internazionale della Russia e sull'efficacia del comando putiniano. Per quanto riconosciamo sia stata anche un'occasione per far venire allo scoperto i traditori, non è accettabile che una parte consistente dei tuoi corpi di élite (mercenari certo, ma cresciuti enormemente grazie a un filo diretto con Putin e alla legge sull'arruolamento dei detenuti che gli ha favoriti) ti si girino contro in mezzo a una guerra che gran parte del tuo Paese considera esistenziale. Immaginiamo se fosse successo agli americani in Iraq, avremmo parlato di agonia finale del gigante statunitense.\r\nIntanto la controffensiva va avanti ma non sembra in grado di regalarci altre sorprese, mentre ulteriori tasselli nel ragionamento che abbiamo fatto in una scorsa puntata (Una guerra che si poteva fermare), arrivano per comprendere come si sia arenato il processo di pace - largamente per volontà di Inghilterra e Usa, dopo il massacro di Bucha. Se crediamo al NYT, e il massacro è davvero ascrivibile ai russi - sostiene il giornale, sarebbe stata proprio la Wagner a eseguirlo - potrebbe essere anche letto come tentativo interno di boicottare il processo di pace. Sappiamo da sempre che la vera opposizione a Putin in questa guerra, è strisciante ma è tutta a destra, iperbellicista insomma. Il solito ginepraio che ci spinge irresistibilmente verso l'escalation bellica e l'allargamento.\r\n\r\nNella seconda parte di trasmissione abbiamo fatto una chiacchierata con Alessandro Russo e Claudia Pozzana, autori di una serie di contributi raccolti nel libricino “La Quarta Guerra Mondiale. E noi?” da poco edito da Ombre Corte.\r\nIl volume si divide in due parti: la prima, “Questa guerra”, analizza nello specifico cause e possibili sviluppi dell'attuale guerra (per procura) in Ucraina nel suo intreccio di locale e globale, individuando nella fine della politica novecentesca organizzata sulle linee globali della “guerra fredda” (per gli autori, “Terza guerra mondiale”), lo slancio per una nuova ipertrofia dell'economico (e quindi del militare) come segmenti separati e sovraordinanti il sociale e il politico. Nella seconda parte del libro dove sono raccolti alcuni scritti degli anni '90 e 2000 si analizzano invece gli \"antecedenti\" della guerra attuale, individuando nella prima guerra americana contro l'Irak, la rottura dell'ordine precedente e lo scatto verso una nuova epoca di guerre guerreggiate. Un punto importante della seconda parte del libro è quello dedicata alla fondazione dell'Euro, non mera unità monetaria ma nuova \"forma di governo\" delle popolazioni del continente europeo. Processo che gli autori leggono come contemporaneo all'esaurirsi del ruolo dei pariti storici del Novecento con la relativa funzione ordinatrice della società secondo la diade Destra/Sinistra.\r\nFilo rosso del testo è la ricerca dei processi che hanno storicamente funzionato come \"limitazione della guerra\" e che gli autori individuano nell'evento 1917 (compresi i suoi effetti sulle politiche sociale dell'Occidente capitalistico) e nel 1949 della rivoluzione cinese (e nei suoi sviluppi, con particolare attenzioni alla parentesi della “rivoluzione culturale”). Lettura interessante perché ribalta interpretazioni storiche di questi eventi come fondativi di guerra, dal punto di vista conservatore per legittimare la risposta alla \"minaccia rossa\", dal punto di vista rivoluzionario come guerra civile e rivoluzione permanente. Aperta resta la domanda sull'“E noi?” del titolo, dove il minimo che si può cogliere è l'urgenza di un'immenso lavoro collettivo che sappia legare la necessità di un'opposizione alla guerra globale in itinere alla contemporanea e ineliminabile propettiva di superamento del “Neolitico capitalista”.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/la-fine-della-storia-27-06.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nRoberto Iannuzzi - Come l’Occidente ha sabotato il negoziato fra Russia e Ucraina\r\n\r\nNey York Times - New Evidence Shows How Russian Soldiers Executed Men in Bucha\r\n\r\nVolodymyr Ishchenko - Russia’s military Keynesianism\r\n\r\nMichael Peck - Surprised That Ukraine Is Taking Combat Losses? You Shouldn’t Be \r\n\r\nClaudia Pozzana, Alessandro Russo - La Quarta guerra mondiale. 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Per quanto riconosciamo sia stata anche un'occasione per far venire allo scoperto i traditori, non è accettabile che una parte consistente dei tuoi corpi di élite (mercenari certo, ma cresciuti enormemente grazie a un filo diretto con Putin e alla legge sull'arruolamento dei detenuti che gli ha favoriti) ti si girino contro in mezzo a una guerra che gran parte del tuo Paese considera esistenziale. Immaginiamo se fosse successo agli americani in Iraq, avremmo parlato di agonia finale del gigante statunitense.\r\nIntanto la \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> va avanti ma non sembra in grado di regalarci altre sorprese, mentre ulteriori tasselli nel ragionamento che abbiamo fatto in una scorsa puntata (Una guerra che si poteva fermare), arrivano per comprendere come si sia arenato il processo di pace - largamente per volontà di Inghilterra e Usa, dopo il massacro di Bucha. 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Abbiamo provato a ricostruire il processo guidato dalla Germania che a partire dalla riunificazione, attraverso un vasto programma di politiche economiche, ha portato alla costruzione del cosiddetto blocco tedesco, ovvero un'ampia area di Paesi ad ovest e ad est della Germania, che formano una specialissima area di integrazione economica, costituita da enormi flussi commerciali, hub logistici, poli industriali, infrastrutture, siti di delocalizzazione o reshoring. Ad Ovest della Germania abbiamo sostanzialmente Austria, Svizzera, Belgio e Olanda. Ad Est Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, Slovenia e Polonia. La Slovacchia, per dire, ha raggiunto una struttura quasi monoproduttiva, funzionalizzando completamente la propria industria meccanica al settore dell'automotive tedesco. Dal 2021 il commercio tedesco in entrata e uscita con la Polonia ha superato il volume complessivo dei commerci con l'Italia. Le forze dinamiche di questo blocco hanno la particolarità di rivolgersi con forza verso la Cina, mentre in questa dinamica la Russia ha svolto sino ad oggi un ruolo cruciale di ponte, ruolo che la guerra sta inesorabilmente distruggendo. Uno \"spazio economico\", questo, che non ha alcuna connotazione politica particolare, avverte lo stesso Halevi, e ciò appare chiaro dal fatto che la guerra non ha solo scombinato giochi e flussi, ma ha anche esacerbato le tensioni tra il blocco dei vecchi satelliti sovietici e l'antico padrone russo.\r\n\r\nGiungono sparute notizie sulla cosiddetta controffensiva ucraina, che come era prevedibile non ha un impatto strategico sul futuro della guerra ma il solo scopo di sfiancare economicamente e politicamente i russi a costi umani esorbitanti. Nel frattempo i falchi volano sempre più bassi: le ultime dichiarazioni di quel sociopatico guarrafondaio di Rasmussen minacciano un ingresso in guerra di Baltici e Polonia al di fuori dell'articolo 5 della Carta della Nato, nel caso al vertice di Vilnius non emerga concretamente la possibilità di un ingresso dell'Ucraina nell'Alleanza Atlantica.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/fine-della-storia-1306.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nJoseph Halevi - Il neomercantilismo tedesco alla prova della guerra\r\n\r\n Giacomo Mariotto - La Germania inerte\r\n\r\nMario Deaglio - Ecco perché è iniziato il crepuscolo della globalizzazione\r\n\r\nPaul Street - The Continuing Carnage in Ukraine\r\n\r\nNato members may send troops to Ukraine, warns former alliance chief","14 Giugno 2023","2023-06-16 11:32:22","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/1686691098504-200x110.png","LA FINE DELLA FINE DELLA STORIA #22 - IL BLOCCO TEDESCO ALLA PROVA DELLA GUERRA",1686757593,[],[],{"post_content":407},{"matched_tokens":408,"snippet":409,"value":410},[65],"Giungono sparute notizie sulla cosiddetta \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> ucraina, che come era prevedibile","In questa puntata presentiamo una lunga chiacchierata realizzata con Joseph Halevi, economista, Honorary Professor presso la Macquarie University di Sidney. 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Si è appena concluso il G7 di Hiroshima, che pretende di rappresentare un Occidente compatto ma che più che altro appare totalmente isolato dal resto del mondo. Qualcuno addirittura parla di “disgelo” raccogliendo le dichiarazioni di Biden, che se è vero che modera gli accenti di guerra nell'Indo-Pacifico, ben più nettamente affila le armi della guerra commerciale, consegnando forse al Giappone una nuova centralità nell'ottica di sostituire Taiwan, troppo instabile, nella lunga e frammentata supply chain dei semiconduttori.\r\n\r\nE' giunta intanto la notizia ufficiale della caduta di Bakhmut, questa piccola città che è diventata via via il simbolo della resistenza e della possibilità ucraina di una controffensiva che è sempre più chiaro... non ci sarà! Almeno non nei termini di una vera riconquista. Il punto è chiaro, per quante tecnologie possiamo fornire all'Ucraina, e questa guerra è anche diventata un laboratorio irrinunciabile per tutte le potenze in campo, questa guerra continua a essere inevitabilmente novecentesca e cioè un fatto di proiettili e uomini sul campo. Si tratta solo di infliggere alla Russia un numero tale di perdite da far vacillare Putin. Nessuno crede alla vittoria ucraina ed è straordinario come la propaganda abbia sostituito le ragioni dalla guerra anche nella testa dei decisori politici. In ultima istanza gli Usa ci stanno anche mostrando che gli obiettivi delle guerre cambiano e con essa cambiano le tecnologie e che non sono solo le tecnologie russe a mostrarsi obsolete ma, forse, proprio i loro obiettivi.\r\n\r\nPer fare qualche ragionamento abbiamo raggiunto ai nostri microfoni Alberto Negri, storico giornalista e corrispondente di guerra.\r\n\r\nIn chiusura di puntata un nuovo episodio de Il Perno Originario.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/la-fine-23-maggio.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nI generosi samaritani occidentali ai piedi di Zelensky\r\n\r\nChip, il G7 scommette sul Giappone per svincolarsi da Taiwan\r\n\r\n“Da esponente del ‘partito unico bellicista’ vi racconto la controffensiva che mi aspetto”. 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Si tratta solo di infliggere alla Russia un numero tale di perdite da far vacillare Putin. Nessuno crede alla vittoria ucraina ed è straordinario come la propaganda abbia sostituito le ragioni dalla guerra anche nella testa dei decisori politici. In ultima istanza gli Usa ci stanno anche mostrando che gli obiettivi delle guerre cambiano e con essa cambiano le tecnologie e che non sono solo le tecnologie russe a mostrarsi obsolete ma, forse, proprio i loro obiettivi.\r\n\r\nPer fare qualche ragionamento abbiamo raggiunto ai nostri microfoni Alberto Negri, storico giornalista e corrispondente di guerra.\r\n\r\nIn chiusura di puntata un nuovo episodio de Il Perno Originario.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/la-fine-23-maggio.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nI generosi samaritani occidentali ai piedi di Zelensky\r\n\r\nChip, il G7 scommette sul Giappone per svincolarsi da Taiwan\r\n\r\n“Da esponente del ‘partito unico bellicista’ vi racconto la \u003Cmark>controffensiva\u003C/mark> che mi aspetto”. Parsi a 360 gradi sulla guerra (e sugli italiani)\r\n\r\nL’uso dei missili ipersonici in Ucraina è stato un azzardo della Russia: ecco perché il loro abbattimento è una vittoria Usa\r\n\r\n ",[434],{"field":88,"matched_tokens":435,"snippet":431,"value":432},[65],{"best_field_score":129,"best_field_weight":130,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":131,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},6637,{"collection_name":297,"first_q":65,"per_page":265,"q":65},4,["Reactive",441],{},["Set"],["ShallowReactive",444],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$f7CnIqIbuS4Xd4tj87fULoL1lkqk2jCvLvjJmLyr9o5U":-1},true,"/search?query=controffensiva"]