","Algeria. La memoria negata","post",1634661697,[62,63,64,65,66,67,68,69,70,71,72],"http://radioblackout.org/tag/17-ottobre-1961/","http://radioblackout.org/tag/algeria/","http://radioblackout.org/tag/cabilia/","http://radioblackout.org/tag/de-gaulle/","http://radioblackout.org/tag/fln/","http://radioblackout.org/tag/francia/","http://radioblackout.org/tag/macron/","http://radioblackout.org/tag/memoria/","http://radioblackout.org/tag/papon/","http://radioblackout.org/tag/permessi-di-sorvolo/","http://radioblackout.org/tag/strage-degli-algerini/",[74,20,75,76,77,15,18,78,79,80,81],"17 ottobre 1961","cabilia","de gaulle","Fln","memoria","papon","permessi di sorvolo","strage degli algerini",{"post_content":83,"tags":89},{"matched_tokens":84,"snippet":87,"value":88},[85,86],"De","Gaulle","Papon, su ordine del presidente \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark>, non esitò a massacrare i","La guerra in Algeria stava avviandosi alla fine. Il braccio di ferro militare era a favore dell’esercito francese, ma il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino aveva segnato dei punti, aprendo un fronte interno alla stessa Francia. Il 17 ottobre, l’FLN lanciò un appello per manifestare a Parigi contro il coprifuoco etnico imposto agli algerini nella capitale francese. Il prefetto Papon, su ordine del presidente \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark>, non esitò a massacrare i manifestanti inermi. Non si è mai saputo il numero esatto dei morti, ma pare che il bilancio sia stato di oltre duecento persone. Questa strage è stata negata per decenni nonostante la Senna, in cui erano stati gettati tanti cadaveri, li restituisse agli occhi della “patria dei diritti umani”. Uno dei tanti crimini che segnarono quasi otto anni di guerra di indipendenza in Algeria, dove il ricorso alla tortura e alle uccisioni extragiudiziali fu sistematico.\r\nDomenica scorsa Macron ha provato maldestramente a metterci una pezza, riconoscendo pubblicamente gli orrori commessi nel cuore di Parigi. Macron è in grande difficoltà politica con il governo algerino, dopo alcune dichiarazioni giudicate offensive e per le quali l’Algeria ha deciso il ritiro dell’ambasciatore e il divieto di sorvolo per i velivoli militari francesi diretti in Mali e Niger. La partita tra Francia e l’Algeria è decisamente complessa e va ben al di là degli opposti nazionalismi, per investire direttamente questioni cruciali come il rifiuto dell’Algeria di accettare Jihadisti con passaporto francese e con il ruolo strategico dell’Algeria per il controllo del Sahel.\r\n\r\nCe ne ha parlato Karim Metref, insegnante, blogger di origine Cabila\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/10/2021-10-18-metref-algeria.mp3\"][/audio]",[90,92,94,96,101,103,105,107,109,111,113],{"matched_tokens":91,"snippet":74},[],{"matched_tokens":93,"snippet":20},[],{"matched_tokens":95,"snippet":75},[],{"matched_tokens":97,"snippet":100},[98,99],"de","gaulle","\u003Cmark>de\u003C/mark> \u003Cmark>gaulle\u003C/mark>",{"matched_tokens":102,"snippet":77},[],{"matched_tokens":104,"snippet":15},[],{"matched_tokens":106,"snippet":18},[],{"matched_tokens":108,"snippet":78},[],{"matched_tokens":110,"snippet":79},[],{"matched_tokens":112,"snippet":80},[],{"matched_tokens":114,"snippet":81},[],[116,121],{"field":36,"indices":117,"matched_tokens":118,"snippets":120},[14],[119],[98,99],[100],{"field":122,"matched_tokens":123,"snippet":87,"value":88},"post_content",[85,86],1157451471441625000,{"best_field_score":126,"best_field_weight":127,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":48,"score":128,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":48},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":130,"highlight":156,"highlights":175,"text_match":183,"text_match_info":184},{"cat_link":131,"category":132,"comment_count":48,"id":133,"is_sticky":48,"permalink":134,"post_author":135,"post_content":136,"post_date":137,"post_excerpt":54,"post_id":133,"post_modified":138,"post_thumbnail":139,"post_thumbnail_html":140,"post_title":141,"post_type":59,"sort_by_date":142,"tag_links":143,"tags":150},[45],[47],"54199","http://radioblackout.org/2019/05/gilets-noires-e-gilets-jaunes/","info2","I Gilets Noires, a centinaia hanno occupato domenica scorsa il terminal 2uno degli scali dell’aeroporto Charles De Gaulle a Roissy per protestare contro le deportazioni che vi vengono effettuate.\r\nI collettivi dei Gilet Neri, cui partecipano immigrati per lo più africani che vivono in strada e dei vari centri d’accoglienza della regione parigina e il gruppo di solidali del quartiere la Chapelle, hanno intrapreso l’azione per fermare le deportazioni e sostenere la richiesta di documenti per tutti.\r\nHanno chiesto di parlate con l’amministratore delegato di Air France e con il primo ministro Edouard Philippe.\r\nNon si è trattato di una contestazione simbolica, perché l’aeroporto è insieme l’avamposto e la retrovia della guerra ai senza carte e a tutte le persone che le politiche governative hanno trasformato in irregolari. In 500 hanno preso il treno, raggiungendo insieme l’aeroporto. Dopo un parapiglia con la polizia hanno ottenuto che una delegazione si incontrasse con l’amministratore delegato di Air France.\r\nI Gilets Jaunes continuano la lotta mentre la repressione si fa sempre più forte. Il movimento il cui nerbo sono le rotonde automobilistiche, divenute punto di incontro, conoscenza ed organizzazione delle lotte in aree del paese, dove sono scomparsi i più banali punti di riferimento, come i bar di paese.\r\nDopo la durissima repressione di piazza del Primo Maggio e i tentativi falliti di ulteriore criminalizzazione del movimento, la pressione disciplinare si è un po’ allentata. In giugno è prevista un’assemblea generale dei Gilets Jaunes nrl cuore della Francia profonda.\r\nLe elezioni europee sono imminenti e i sondaggi danno in vantaggio per un incollatura la destra sovranista di Marine Le Pen.\r\nNe abbiamo parlato con Gianni Carrozza di Radio Paris Plurielle, dove conduce “Vive la sociale!”.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/2019-05-21-gilet-noire-carrozza.mp3\"][/audio]","21 Maggio 2019","2019-05-21 15:21:15","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gilets-noires-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"188\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gilets-noires-300x188.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gilets-noires-300x188.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gilets-noires-768x480.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/gilets-noires.jpg 1000w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Gilets Noires e Gilets Jaunes",1558452075,[144,145,146,147,148,149],"http://radioblackout.org/tag/aeroporto-charles-de-gaulle-a-roissy/","http://radioblackout.org/tag/gilets-jaunes/","http://radioblackout.org/tag/gilets-noires/","http://radioblackout.org/tag/immigrati/","http://radioblackout.org/tag/primo-maggio-a-parigi/","http://radioblackout.org/tag/san-papiers/",[151,152,153,154,155,33],"aeroporto charles de gaulle a roissy","gilets jaunes","gilets noires","immigrati","primo maggio a parigi",{"post_content":157,"tags":161},{"matched_tokens":158,"snippet":159,"value":160},[85,86],"2uno degli scali dell’aeroporto Charles \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark> a Roissy per protestare contro","I Gilets Noires, a centinaia hanno occupato domenica scorsa il terminal 2uno degli scali dell’aeroporto Charles \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark> a Roissy per protestare contro le deportazioni che vi vengono effettuate.\r\nI collettivi dei Gilet Neri, cui partecipano immigrati per lo più africani che vivono in strada e dei vari centri d’accoglienza della regione parigina e il gruppo di solidali del quartiere la Chapelle, hanno intrapreso l’azione per fermare le deportazioni e sostenere la richiesta di documenti per tutti.\r\nHanno chiesto di parlate con l’amministratore delegato di Air France e con il primo ministro Edouard Philippe.\r\nNon si è trattato di una contestazione simbolica, perché l’aeroporto è insieme l’avamposto e la retrovia della guerra ai senza carte e a tutte le persone che le politiche governative hanno trasformato in irregolari. 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I marines americani opereranno insieme con i reparti anfibi della Brigata San Marco e con le truppe da sbarco di Spagna e Francia. I francesi schiereranno la loro ammiraglia, la portaerei Charles De Gaulle. È la più grande esercitazione militare internazionale mai coordinata nel Mediterraneo dalla Marina italiana. Esercitazioni hanno luogo ogni anno, ma quest'anno è (ancora più) imponente dell'anno scorso: sono impegnati 9.500 militari di 22 nazioni e 65 studenti. Una prova muscolare in un quadrante, il Mediterraneo, che la guerra in Palestina e le tensioni in Medio Oriente hanno reso cruciale. Circa quattro settimane di intenso addestramento, con oltre cento tra navi, caccia, sommergibili e droni. Coinvolti anche 13 atenei italiani: Bari, Alma Mater Studiorum Bologna, Genova, Trieste, Statale Milano, Cattolica Milano, Politecnico Milano, Iulm Milano, Federico II Napoli, Sant’Anna Pisa, La Sapienza Roma, Luiss Roma, Università della Tuscia. \r\n\r\n \r\n\r\nNe parliamo in diretta su radio blackout con una compagna dalla Sardegna:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/a-foras-sa-nato-def.mp3\"][/audio]","9 Maggio 2024","2024-05-09 13:29:12","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/a-foras-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"201\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/a-foras-300x201.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/a-foras-300x201.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/a-foras-768x516.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/a-foras.jpg 800w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","(A)mare aperto: esercitazioni militari in Sardegna",1715261352,[202,203,204],"http://radioblackout.org/tag/aforas/","http://radioblackout.org/tag/militarizzazione-scuola/","http://radioblackout.org/tag/nato/",[206,207,208],"#aforas","#militarizzazione scuola","nato",{"post_content":210},{"matched_tokens":211,"snippet":212,"value":213},[85,86],"loro ammiraglia, la portaerei Charles \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark>. 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Uno di loro, Giuseppe Pinelli, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di Pinelli, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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Uno di loro, Giuseppe Pinelli, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark> che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di Pinelli, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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La decisione, presa sulla base dell' art.8 della CEDU, non è stata ben accolta in Italia dai sostenitori della pena infinita che avrebbero voluto portare a termine la vendetta su chi ha preso parte a un ciclo di lotte terminato da decenni. Abbiamo parlato di come si è passati dalla \"dottrina Mitterand\" ad un'applicazione uniforme della CEDU In Europa, toccando anche come questa tendenza all'uniformità porta a collaborazioni comunitarie tra forze dell'ordine come il mandato di arresto europeo (MAE). Abbiamo anche ricordato di quando l'Italia diede asilo agli attentatori di De Gaulle negli anni '60. Ne abbiamo parlato con Paolo Persichetti.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/persichetti.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer approfondire sul blog di Paolo:\r\n\r\nhttps://insorgenze.net/2022/04/24/quando-litalia-dava-asilo-agli-attentatori-de-gaulle/\r\n\r\nhttps://insorgenze.net/2023/03/29/i-mal-di-pancia-dellex-procuratore-giancarlo-caselli/","5 Aprile 2023","2023-04-05 15:25:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"131\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-300x131.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-300x131.png 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-1024x448.png 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-768x336.png 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-1170x512.png 1170w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-690x302.png 690w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827-100x44.png 100w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/04/striscione-contro-extraditions-e1680700008827.png 1189w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La Francia rifiuta di estradare i militanti italiani. 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L’ultimo a giocare questa carta era stato De Gaulle nel 1962, quando aveva imposto il passaggio ad una repubblica presidenziale. De Gaulle ne uscì bene perché vinse il referendum indetto subito dopo. A Macron potrebbe non andare tutto così liscio.\r\nIeri pomeriggio la mozione di sfiducia al governo Borne non è passata per una manciata di voti: per ora la poltrona della prima ministra è salva, ma continua a vacillare.\r\nLa risposta non si è fatta attendere: nelle strade e nelle piazze francesi è subito dilagata la protesta, che non accenna ad affievolirsi dal 7 di marzo. Nella capitale e nelle altre città migliaia di persone hanno risposto all’appello dei sindacati a non mollare finché la riforma, che prolunga da 62 a 64 anni l’età pensionabile, non verrà ritirata. Non c’è margine di negoziazione. Le immagini diffuse dai media puntano l’attenzione sugli scontri con la polizia ed i cassonetti incendiati, ma il fronte della lotta è molto più ampio dei manifestanti che praticano l’azione diretta.\r\nGià dal 16 marzo c’erano state manifestazioni di piazza ovunque. A Parigi la polizia ha imposto la chiusura delle stazioni delle metropolitana sulle linee che toccano le sedi dei ministeri e del parlamento.\r\nOgni giorno ci sono stati centinaia di fermi: una tecnica adottata per per ridurre il numero dei manifestanti, più che per effettuare arresti. La maggior parte dei fermati è stata rilasciata senza denunce dopo 24/48 ore in guardina ma con il divieto a partecipare a manifestazioni o con foglio di via. La scorsa notte ci sono stati 234 fermi solo a Parigi.\r\nLa violenza poliziesca è molto forte con l’impiego massiccio di lacrimogeni e pestaggi selvaggi. Nelle piazze e nel paese vi è grande solidarietà diffusa tra diversi gruppi di manifestanti, anche se in qualche occasione il servizio d’ordine del sindacato è intervenuto contro i manifestanti che agivano in nero e con il volto coperto. Per ora si tratta di episodi limitati, ma bisognerà vedere cosa accadrà nei prossimi giorni.\r\nIn ballo non c’è solo l’aumento dell’età pensionabile ma l’introduzione di fondi pensione privati con introduzione di meccanismi di capitalizzazione, perché i fondi pensione sarebbero quotati in borsa..\r\nGiovedì 23 marzo è stato nuovamente lanciato uno sciopero intercategoriale, che, in Francia, equivale allo sciopero generale. Intanto l’operazione “Città morte” lanciata dai sindacati sta mettendo in ginocchio 1.200 pompe di benzina, rimaste a secco. Due grandi raffinerie hanno gli impianti spenti dallo sciopero dei dipendenti. A questo si devono aggiungere blocchi stradali, azioni di “pedaggio gratis” sulle autostrade, treni a singhiozzo e il 20% dei voli cancellati anche ieri, oltre ai cumuli di immondizia che si moltiplicano non solo a Parigi, mentre sono bloccati gli impianti di incenerimento, che rendono inutile l’utilizzo di crumiri per la raccolta dei rifiuti.\r\nIl blocco delle raffinerie e dei distributori potrebbe portare ad una paralisi delle principali città e dei circuiti di distribuzione delle merci.\r\n\r\nQuella di ieri in parlamento potrebbe essere una vittoria di Pirro per Macron, che ha salvato il governo con soli 9 voti e la cui legittimità agli occhi del paese è ormai a zero. I sindacati attendono il responso del consiglio costituzionale che è chiamato a rispondere sulla costituzionalità della riforma. Per le strade si respira un clima insurrezionale anche se è presto per valutare la capacità di generalizzarsi di questo movimento. Una novità di questa settimana è la discesa in campo di settori dell’università con sue atenei bloccati e di vari istituti superiori. Se la protesta dovesse estendersi significativamente anche agli studenti la salita per Macron sarebbe ancora di più ardua.\r\nNe abbiamo parlato con Gianni Carrozza di Radio Fréquence Paris Plurielle, dove conduce “Vive la Sociale!”\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/2023-03-21-carrozza-francia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","21 Marzo 2023","2023-03-21 14:31:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/06europa-europa-francia-sciopero-francia-f-afp-v-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/06europa-europa-francia-sciopero-francia-f-afp-v-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/06europa-europa-francia-sciopero-francia-f-afp-v-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/06europa-europa-francia-sciopero-francia-f-afp-v-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/06europa-europa-francia-sciopero-francia-f-afp-v-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/06europa-europa-francia-sciopero-francia-f-afp-v.jpg 1170w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Francia. 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La vigilia, sul tardi, era stata diffusa la notizia della resa: l’esercito tedesco aveva ufficialmente depositato le armi, ovunque. Al mattino scoppiarono festeggiamenti in tutta l’Europa occidentale e negli Stati Uniti. In Unione Sovietica quando giunse la notizia della resa dei tedeschi era già l’8 e quindi i festeggiamenti della fine della guerra furono organizzati il 9 maggio. L’incubo era finito per l’Europa. Ma non era così per tutto il mondo.\r\nL’Algeria era a quell’epoca «territorio francese d’oltremare» come si dice ancora per la Nuova Caledonia o per la Guiana. L’amministrazione coloniale di Algeri prese subito la parte del governo collaborazionista di Vichy. Durante il regno del generale Pétain l’ordine coloniale già molto ingiusto divenne ferreo. Gli indigeni erano merce a disposizione del colono. Ogni voce di dissenso era soffocata. Quando nel 1942 sbarcarono in Algeria gli statunitensi, l’amministrazione coloniale salì subito sul carro del più forte e rientrò sotto l’ala protettrice dell’alleanza. Ma la morsa sulla popolazione indigena non si alleggerì, anzi. Centinaia di migliaia di ragazzi furono mobilitati per andare a combattere. De Gaulle non avendo truppe di «veri» francesi al seguito, si inventò un esercito francese fatto principalmente di marocchini, senegalesi e algerini. Carne da macello da mandare allo sbaraglio senza troppi rimorsi. I suoi pochi soldati bianchi se li teneva stretti per l’ingresso trionfale in ogni città liberata dai combattenti africani.\r\nOltre alla partenza di molti uomini per il mattatoio europeo, le popolazioni algerine subirono tutto il peso dello sforzo bellico francese. I magri raccolti (ricavati grazie al lavoro di vecchi, donne e bambini) e gli animali erano requisiti e mandati verso la metropoli per sfamare la popolazione stremata dal 4 anni di conflitto ad altissima intensità.\r\nDurante l’incredibile inverno del 1945, l’isolamento a causa delle nevicate eccezionali, la fame, il freddo e le malattie spazzarono via migliaia di persone nelle zone montuose del Nord Est del Paese. Mentre nelle pianure ricche, i coloni europei non sembravano soffrire di nessuna mancanza. Appena tornata la primavera, molte città manifestarono pacificamente contro la fame e le ingiustizie. L’amministrazione coloniale rispose arrestando i leader nazionali. È in queste condizioni che giunse la fine della guerra.\r\nCome tutti i popoli toccati dalla guerra, gli algerini escono a festeggiare l’8 maggio 1945. Gli indigeni ancora più degli europei. I partiti nazionalisti, in modo particolare il Ppa (Partito del popolo algerino) di Messali El Hadj, ne approfitta per ricordare all’amministrazione coloniale le promesse fatte per facilitare l’arruolamento dei giovani algerini nell’esercito: la vittoria alleata avrebbe portato uguaglianza e giustizia per tutti. Bisogna sapere che in Algeria all’epoca c’erano due categorie di persone: i cittadini, tutti quelli di origine europea, e i sudditi, cioè tutti gli indigeni (meno gli algerini di religione ebraica che furono ammessi come cittadini dopo il decreto Crémieux del 1870). Davanti alle leggi, ai tribunali e alle urne elettorali della Repubblica Francese, culla dello Stato di diritto, un cittadino valeva 10 sudditi. Gli striscioni e gli slogan per lo più inneggiano all’uguaglianza e alla giustizia ma in mano ad alcuni gruppi di militanti si leggono anche alcune rivendicazioni di autonomia. A Setif, in testa allo spezzone degli scout algerini svolazza addirittura la bandiera algerina, il simbolo degli indipendentisti. Il commissario della città, un certo Olivieri, figlio di migranti italiani, interviene di persona per confiscare il simbolo. Ma gli scout rifiutano di consegnarlo. Un giovane militante del Ppa, Bouzid Saad, difende la bandiera con il proprio corpo ed è abbattuto a freddo da un poliziotto. Altri spari partono contro la folla che si raduna minacciosa. I manifestanti corrono in tutte le direzioni. In tutta la città scoppiano scontri fra coloni e indigeni, cadono decine di morti da entrambe le parti. La popolazione indigena è più numerosa ma i coloni sono ben armati.\r\nIn tutto il dipartimento di Costantina (Nord Est) la notizia dei morti di Setif si sparge come una scia di fuoco e scoppiano scontri in molte città. In modo particolare a Guelma e a Kherata. Nelle campagne molte proprietà di coloni isolati sono prese d’assalto. Le più piccole vengono espugnate ed è un massacro. Le più grosse e quelle che riescono a radunarsi sono assediate ma resistono. Centinaia di morti. La situazione rischia di degenerare in tutto il Paese.\r\nL’11 maggio, De Gaulle chiede l’intervento militare. Gli statunitensi lo appoggiano e offrono i loro mezzi aerei per trasportare truppe provenienti da tutto il nord Africa verso l’est algerino.\r\nIl giorno dopo comincia il massacro vero e proprio. Interi villaggi sono fatti fuori. Esecuzioni sistematiche, bombardamenti con l’artiglieria pesante, due corazzate in stanza nella baia di Bejaia sparano centinaia di missili sui paesi dell’entroterra: è un vero e proprio scempio commesso da un esercito in assetto di guerra contro civili disarmati.\r\nLe stime ufficiali francesi parlano di un migliaio di morti. Un rapporto dei servizi segreti Usa parla di circa 17mila-20mila morti. La versione del movimento nazionalista algerino porterà questo numero a 45.000.\r\nNon si avrà mai una certezza sui numeri di morti. Anche perché se l’amministrazione coloniale ha stabilito un elenco preciso del centinaio di morti europei, non fece nessun censimento degli indigeni sepolti nelle fosse comuni o gettati nei fiumi, nei burroni e nel mare.\r\nQuel che si sa è che quando i combattenti algerini tornano dalla guerra trovano villaggi vuoti e famiglie devastate. Molti di loro salgono in montagna con armi e bagagli e formano i primi nuclei di quello che diventerà, 7 anni dopo, l’Esercito di Liberazione Nazionale.","8 Maggio 2015","2018-10-17 22:09:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/05/8-mai-200x110.jpeg","8 maggio 1945. Guerra finita, nazi-fascisti sconfitti. Ma in Algeria non sembra…","podcast",1431092845,[369,63,370,371],"http://radioblackout.org/tag/8-maggio-1945/","http://radioblackout.org/tag/rivolta/","http://radioblackout.org/tag/strage/",[343,20,373,335],"rivolta",{"post_content":375},{"matched_tokens":376,"snippet":377,"value":378},[85,86],"strage coloniale della Francia di \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark>.\r\n\r\nDi seguito l'intervista all'autore dell'articolo,","In occasione del 70esimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale, il blog La Bottega del Barbieri ha voluto ricordare la prima strage coloniale della Francia di \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark>.\r\n\r\nDi seguito l'intervista all'autore dell'articolo, Karim Metref, torinese di origine algerina.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2015_05_08_karim_algeria\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\nL’8 maggio 1945 è festeggiato in tutto il mondo nordoccidentale come la fine della seconda guerra mondiale. La vigilia, sul tardi, era stata diffusa la notizia della resa: l’esercito tedesco aveva ufficialmente depositato le armi, ovunque. Al mattino scoppiarono festeggiamenti in tutta l’Europa occidentale e negli Stati Uniti. In Unione Sovietica quando giunse la notizia della resa dei tedeschi era già l’8 e quindi i festeggiamenti della fine della guerra furono organizzati il 9 maggio. L’incubo era finito per l’Europa. Ma non era così per tutto il mondo.\r\nL’Algeria era a quell’epoca «territorio francese d’oltremare» come si dice ancora per la Nuova Caledonia o per la Guiana. L’amministrazione coloniale di Algeri prese subito la parte del governo collaborazionista di Vichy. Durante il regno del generale Pétain l’ordine coloniale già molto ingiusto divenne ferreo. Gli indigeni erano merce a disposizione del colono. Ogni voce di dissenso era soffocata. Quando nel 1942 sbarcarono in Algeria gli statunitensi, l’amministrazione coloniale salì subito sul carro del più forte e rientrò sotto l’ala protettrice dell’alleanza. Ma la morsa sulla popolazione indigena non si alleggerì, anzi. Centinaia di migliaia di ragazzi furono mobilitati per andare a combattere. \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark> non avendo truppe di «veri» francesi al seguito, si inventò un esercito francese fatto principalmente di marocchini, senegalesi e algerini. Carne da macello da mandare allo sbaraglio senza troppi rimorsi. I suoi pochi soldati bianchi se li teneva stretti per l’ingresso trionfale in ogni città liberata dai combattenti africani.\r\nOltre alla partenza di molti uomini per il mattatoio europeo, le popolazioni algerine subirono tutto il peso dello sforzo bellico francese. I magri raccolti (ricavati grazie al lavoro di vecchi, donne e bambini) e gli animali erano requisiti e mandati verso la metropoli per sfamare la popolazione stremata dal 4 anni di conflitto ad altissima intensità.\r\nDurante l’incredibile inverno del 1945, l’isolamento a causa delle nevicate eccezionali, la fame, il freddo e le malattie spazzarono via migliaia di persone nelle zone montuose del Nord Est del Paese. Mentre nelle pianure ricche, i coloni europei non sembravano soffrire di nessuna mancanza. Appena tornata la primavera, molte città manifestarono pacificamente contro la fame e le ingiustizie. L’amministrazione coloniale rispose arrestando i leader nazionali. È in queste condizioni che giunse la fine della guerra.\r\nCome tutti i popoli toccati dalla guerra, gli algerini escono a festeggiare l’8 maggio 1945. Gli indigeni ancora più degli europei. I partiti nazionalisti, in modo particolare il Ppa (Partito del popolo algerino) di Messali El Hadj, ne approfitta per ricordare all’amministrazione coloniale le promesse fatte per facilitare l’arruolamento dei giovani algerini nell’esercito: la vittoria alleata avrebbe portato uguaglianza e giustizia per tutti. Bisogna sapere che in Algeria all’epoca c’erano due categorie di persone: i cittadini, tutti quelli di origine europea, e i sudditi, cioè tutti gli indigeni (meno gli algerini di religione ebraica che furono ammessi come cittadini dopo il decreto Crémieux del 1870). Davanti alle leggi, ai tribunali e alle urne elettorali della Repubblica Francese, culla dello Stato di diritto, un cittadino valeva 10 sudditi. Gli striscioni e gli slogan per lo più inneggiano all’uguaglianza e alla giustizia ma in mano ad alcuni gruppi di militanti si leggono anche alcune rivendicazioni di autonomia. A Setif, in testa allo spezzone degli scout algerini svolazza addirittura la bandiera algerina, il simbolo degli indipendentisti. Il commissario della città, un certo Olivieri, figlio di migranti italiani, interviene di persona per confiscare il simbolo. Ma gli scout rifiutano di consegnarlo. Un giovane militante del Ppa, Bouzid Saad, difende la bandiera con il proprio corpo ed è abbattuto a freddo da un poliziotto. Altri spari partono contro la folla che si raduna minacciosa. I manifestanti corrono in tutte le direzioni. In tutta la città scoppiano scontri fra coloni e indigeni, cadono decine di morti da entrambe le parti. La popolazione indigena è più numerosa ma i coloni sono ben armati.\r\nIn tutto il dipartimento di Costantina (Nord Est) la notizia dei morti di Setif si sparge come una scia di fuoco e scoppiano scontri in molte città. In modo particolare a Guelma e a Kherata. Nelle campagne molte proprietà di coloni isolati sono prese d’assalto. Le più piccole vengono espugnate ed è un massacro. Le più grosse e quelle che riescono a radunarsi sono assediate ma resistono. Centinaia di morti. La situazione rischia di degenerare in tutto il Paese.\r\nL’11 maggio, \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark> chiede l’intervento militare. Gli statunitensi lo appoggiano e offrono i loro mezzi aerei per trasportare truppe provenienti da tutto il nord Africa verso l’est algerino.\r\nIl giorno dopo comincia il massacro vero e proprio. Interi villaggi sono fatti fuori. Esecuzioni sistematiche, bombardamenti con l’artiglieria pesante, due corazzate in stanza nella baia di Bejaia sparano centinaia di missili sui paesi dell’entroterra: è un vero e proprio scempio commesso da un esercito in assetto di guerra contro civili disarmati.\r\nLe stime ufficiali francesi parlano di un migliaio di morti. Un rapporto dei servizi segreti Usa parla di circa 17mila-20mila morti. 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Un tempo, quando era capo della Causa in Normandia, si riconosceva il suo materasso di gomma piuma, nella comune, dal fatto che ci aveva attaccato sopra con una puntina un ritratto di Stalin.\" Un'occasione per rivisitare l'opposizione alla guerra d'Algeria, la rivolta dell'università di Nanterre, gli scontri del Quartiere Latino, gli operai della Renault, slogan divenuti storici come \"La vita é altrove\", \"Sotto il selciato la spiaggia\" e \"Vietato vietare\", senza dimenticare film, poster e fumetti, Olivier Rolin é nato nel 1947, é stato dirigente della Gauche Proletarienne, poi giornalista di \"Liberation\". \"E poi? E poi niente. Ce ne andiamo, non vi preoccupate.\" Buon ascolto.\r\nPer chi vuole saperne di più (selezione molto personale in una bibliografia sterminata):\r\nDaniel Cohn-Bendit \"L'estremismo, rimedio alla malattia senile del comunismo\" Einaudi\r\nJeunesse communiste revolutionnaire \"La rivoluzione in Francia\" Samonà e Savelli\r\nPaolo Flores d'Arcais (a cura di) \"Il maggio rosso di Parigi - Cronologia e documenti delle lotte studentesche e operaie in Francia\" Marsilio Editori\r\nSergio Bologna e Giairo Daghini \"Maggio '68 in Francia\" in Quaderni Piacentini n. 35 anno VII luglio 1968\r\nFilm (uno per tutti):\r\n\"Crepa, padrone, tutto va bene\" (1972) regia di Jean-Luc Godard con Yves Montand, Vittorio Caprioli e Jane Fonda\r\n\r\nUnknown\r\n\r\nUnknown\r\n\r\nUnknown","27 Gennaio 2018","2018-10-24 18:47:18","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/tumblr_ldrw1mwor81qdkfpco1_500-200x110.jpg","la Perla di Labuan - 13 dicembre 2017 - Il maggio 68 di Olivier Rolin",1517057576,[63,396,397,398,399,400,401,402],"http://radioblackout.org/tag/charles-de-gaulle/","http://radioblackout.org/tag/daniel-cohn-bendit/","http://radioblackout.org/tag/gauche-proletarienne/","http://radioblackout.org/tag/nanterre/","http://radioblackout.org/tag/olivier-rolin/","http://radioblackout.org/tag/quartiere-latino/","http://radioblackout.org/tag/sante/",[20,347,349,351,339,341,345,337],{"tags":405},[406,408,411,413,415,417,419,421],{"matched_tokens":407,"snippet":20,"value":20},[],{"matched_tokens":409,"snippet":410,"value":410},[85,86],"Charles \u003Cmark>De\u003C/mark> \u003Cmark>Gaulle\u003C/mark>",{"matched_tokens":412,"snippet":349,"value":349},[],{"matched_tokens":414,"snippet":351,"value":351},[],{"matched_tokens":416,"snippet":339,"value":339},[],{"matched_tokens":418,"snippet":341,"value":341},[],{"matched_tokens":420,"snippet":345,"value":345},[],{"matched_tokens":422,"snippet":337,"value":337},[],[424],{"field":36,"indices":425,"matched_tokens":426,"snippets":428,"values":429},[22],[427],[85,86],[410],[410],{"best_field_score":185,"best_field_weight":127,"fields_matched":22,"num_tokens_dropped":48,"score":431,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":48},"1157451471441100905",6637,{"collection_name":366,"first_q":76,"per_page":321,"q":76},["Reactive",435],{},["Set"],["ShallowReactive",438],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fi0-YOVfaKA-ns-zva6Ox0_cPeOPBe0--duyT4UzdKek":-1},true,"/search?query=de+gaulle"]