","Il lavoro al tempo del virus","post",1582634315,[60,61,62,63,64],"http://radioblackout.org/tag/decreto-conte-coronavirus/","http://radioblackout.org/tag/emergenze-e-controllo-sociale/","http://radioblackout.org/tag/telelavoro/","http://radioblackout.org/tag/telelavoro-e-cottimo/","http://radioblackout.org/tag/virus/",[31,33,19,29,15],{"post_content":67,"tags":73},{"matched_tokens":68,"snippet":71,"value":72},[69,70],"decreto","Conte","di infortunio. Oggi, grazie al \u003Cmark>decreto\u003C/mark> emanato dal governo \u003Cmark>Conte\u003C/mark> per fronteggiare l’epidemia di Covid","In Lombardia Veneto e Piemonte sono state chiuse scuole, università, musei e servizi pubblici.\r\nIl governo investe in sicurezza e promette sostegno alle imprese. I lavoratori lasciati a casa riceveranno lo stipendio? Come saranno considerate le giornate non lavorate per lo stop imposto dal governo e dalle regioni?\r\nPer i lavoratori normati si prevedono cassa integrazione e fondi integrativi, per i precari, le partite IVA e i parasubordinati non ci saranno coperture.\r\nNon solo.\r\nLe aziende ne approfittano per imporre lo “smart working”. Si sta a casa e si lavora via internet. Il telelavoro è regolato da una legge del 2017 che prevede che le aziende possano proporlo ma non imporlo ai dipendenti. Sarebbe quindi soggetto ad un accordo che dia ai lavoratori garanzie su orario, forme di controllo, diritto alla copertura delle spese di connessione, copertura in caso di infortunio. Oggi, grazie al \u003Cmark>decreto\u003C/mark> emanato dal governo \u003Cmark>Conte\u003C/mark> per fronteggiare l’epidemia di Covid 19, le aziende possono imporre lo smart working senza accordi né garanzie per i lavoratori, che devono anche essere grati per la possibilità di stare in casa. L’epidemia diventa quindi pretesto per l’imposizione senza resistenze di nuove forme di sfruttamento.\r\nNel frattempo la Borsa di Milano scommette sul virus e crolla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con l’economista Francesco Fricche\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/2020-02-25-lavoro-virus-fricche.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica il podcast",[74,79,81,83,85],{"matched_tokens":75,"snippet":78},[69,76,77],"conte","coronavirus","\u003Cmark>decreto\u003C/mark> \u003Cmark>conte\u003C/mark> \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark>",{"matched_tokens":80,"snippet":33},[],{"matched_tokens":82,"snippet":19},[],{"matched_tokens":84,"snippet":29},[],{"matched_tokens":86,"snippet":15},[],[88,93],{"field":34,"indices":89,"matched_tokens":90,"snippets":92},[46],[91],[69,76,77],[78],{"field":94,"matched_tokens":95,"snippet":71,"value":72},"post_content",[69,70],1736172819517538300,{"best_field_score":98,"best_field_weight":99,"fields_matched":100,"num_tokens_dropped":46,"score":101,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},"3315704398080",13,2,"1736172819517538410",{"document":103,"highlight":120,"highlights":126,"text_match":129,"text_match_info":130},{"cat_link":104,"category":106,"comment_count":46,"id":108,"is_sticky":46,"permalink":109,"post_author":49,"post_content":110,"post_date":111,"post_excerpt":52,"post_id":108,"post_modified":112,"post_thumbnail":113,"post_thumbnail_html":114,"post_title":115,"post_type":57,"sort_by_date":116,"tag_links":117,"tags":119},[105],"http://radioblackout.org/category/notizie/",[107],"Blackout Inside","59497","http://radioblackout.org/2020/04/microfoni-aperti-14-17-aprile/","Venerdì 17 aprile\r\n\r\nPuntata di open mic dedicata al tema della paura, partendo dal testo La paura liquida di Z.Bauman:\r\n“Questa nostra vita si è rivelata ben diversa da quella che avevano previsto e iniziato a progettare i saggi dell’Illuminismo e i loro eredi discepoli. Nella vita nuova che essi immaginavano e intendevano creare, si sperava che l’impresa di domare le paure e di imbrigliare i pericoli da cui esse derivano potesse realizzarsi. Nel contesto liquido-moderno, invece, la lotta contro le paure si è rivelata un compito a vita, mentre i pericoli che innescano le paure hanno finito per apparire come compagni permanenti e inseparabili della vita umana, anche quando si sospetta che nessuno di essi sia insormontabile.\r\nLa nostra vita è tutt’altro che priva di paure, e il contesto liquido-moderno in cui essa va vissuta è tutt’altro che esente da pericoli e minacce. Tutta la vita è ormai diventata una lotta, lunga e probabilmente impossibile da vincere, contro l’impatto potenzialmente invalidante delle paure, e contro i pericoli, veri o presunti, che temiamo.\"\r\n“Il secolo che viene può essere un’epoca di catastrofe definitiva. O può essere un’epoca in cui si stringerà e si darà vita a un nuovo patto tra intellettuali e popolo, inteso ormai come umanità. Speriamo di poter ancora scegliere tra questi due futuri”.\r\nAscolta il contributo di Paolo:\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/paolo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDopo la giornata di giovedì 16 in solidarietà con i detenuti alla Dozza di Bologna e al carcere di Rebibbia di Roma, oggi c'è stato un saluto al carcere delle Vallette di Torino, Larry ci fa un breve resoconto:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/larry.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nGiovedì 16 aprile\r\n\r\nUna puntata di microfoni aperti interamente dedicata alle prospettive di lotta dentro-e-contro al lavoro.\r\nCosa succederebbe se provassimo a immaginare un presente e un futuro al di fuori della logica del lavoro fondata su espropriazione e alienazione?\r\n\r\nPrendendo spunto dallo scritto di Fabio Vighi La causa assente: tempo e lavoro all'epoca del Coronavirus: \"(...) dobbiamo ammettere che il virus ci consegna un oggetto sempre più raro nella nostra epoca, ovvero un tempo almeno parzialmente liberato dalla ‘passione conformistica’ che ci lega al nostro mondo. Improvvisamente diventa possibile, in un certo senso inevitabile, sottrarci agli imperativi (o ‘aperitivi’) categorici che regolano le nostre vite. Alla fissità dello spazio in cui siamo costretti fa da contraltare una temporalità svincolata dai regimi di comportamento coattivo del turbocapitalismo. (...) Chiunque si pone criticamente nei confronti del capitalismo – e, sottolineo, che può permettersi di farlo in questi giorni così drammatici – non può lasciarsi sfuggire l’opportunità di una riflessione a tutto campo su cos’è in gioco in un mondo tenuto sotto scacco da un virus partorito dal ventre ipertrofico del ‘più efficiente sistema economico che ci sia dato conoscere’\".\r\n\r\nSiamo partite dalla lettura di alcuni stralci dell'articolo di Veronica Gago e Luci Cavallero Crack Up! Femminismo, pandemia e il futuro che verrà, scritto a partire dal contesto argentino, dove si legge: \"La quarantena amplifica la scena della riproduzione sociale, cioè l’evidenza dell’infrastruttura che sostiene la vita collettiva e della precarietà di cui si fa carico. Chi sono coloro che rendono possibile la quarantena? Tutti i lavori di cura, di pulizia e di mantenimento, le molteplici attività del sistema sanitario e agricolo compongono oggi l’infrastruttura imprescindibile. Qual è il criterio per dichiararli tali? Essi esprimono il limite del capitale: quello da cui non può prescindere la vita sociale per continuare ad andare avanti. Esiste anche una vasta area della logistica e un settore del capitalismo delle piattaforme che, nonostante riponga la sua fiducia nella metafisica degli algoritmi e del Gps, si sostiene su corpi concreti. Questi corpi, generalmente migranti, sono quelli che attraversano la città deserta, quelli che permettono – con la propria esposizione – di sostenere e rifornire i rifugi di molti e molte. (...) Sono queste infrastrutture collettive a essere le vere trame dell’interdipendenza, a cui viene delegata la riproduzione nel momento stesso in cui continuano a essere disprezzate. (...). A partire da questa constatazione, è necessario pensare alla riorganizzazione globale dei lavori – al loro riconoscimento, ai salari e alle gerarchie – durante e dopo la pandemia. Detto diversamente: la pandemia può anche essere una prova generale di una diversa organizzazione del lavoro. Non possiamo essere ingenui su questo.\"\r\n\r\nA questo proposito abbiamo ricevuto alcuni contributi dal mondo del lavoro di cura...\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/WhatsApp-Audio-2020-04-15-at-18.32.30.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/WhatsApp-Audio-2020-04-15-at-12.19.05-online-audio-converter.com_.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/aaa.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n...per poi porre uno sguardo sul lavoro sessuale ai tempi di Covid-19, nel momento in cui le sex workers hanno abbandonato quasi del tutto le vie delle città. Come riportato nell'articolo di Grips Sex worker nella pandemia: \"Per chi lavora nei mercati del sesso, senza reti familiari e di protezione, il lockdown significa mancanza di soldi per sopravvivere, fare la spesa e pagare affitti o bollette. Per chi è implicato in reti di sfruttamento, la situazione è ulteriormente aggravata dalla mancanza di autonomia e dalla pendenza del debito da pagare. (...) la rete delle unità di strada assieme ai collettivi a sostegno delle e dei sex worker, come il collettivo Ombre Rosse, ha lanciato una campagna di raccolta fondi per supportarle nelle spese quotidiane e di sopravvivenza\".\r\nAscolta il contributo che abbiamo ricevuto:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/WhatsApp-Audio-2020-04-16-at-22.31.02-online-audio-converter.com_.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nPrendendo spunto dall'articolo di Coniare Rivolta Campi vuoti e campioni di ipocrisia: basta salari da fame, abbiamo poi parlato del ritorno alla ribalta dello sfruttamento nel settore agricolo, apertamente invocato dalla ministra delle politiche agricole Bellanova, così come dai sindaci del Cuneese con le associazioni del padronato (Coldiretti, Confagricoltura, Cia, Confcooperative), che propongono, fronte alla carenza di manodopera migrante, sgravi fiscali e l’assunzione di cassintegrati, pensionati, studenti, percettori di reddito di cittadinanza. \"Il nodo centrale è uno: senza i braccianti agricoli sottopagati, cioè senza manodopera a basso costo da importare, l’agricoltura italiana non va avanti. I già citati episodi non fanno quindi che mettere a nudo la realtà del sistema di produzione agricolo, fatta di salari da fame per lavoratrici e lavoratori, italiani e stranieri. L’agricoltura si fonda sul sistematico impiego di lavoro precario e discontinuo\".\r\nAbbiamo ricevuto in proposito la testimonianza da un bracciante che vive in una tendopoli nella piana di Gioia Tauro :\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/audio.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nInfine, un punto di vista sulle prospettive aperte dalla pandemia, in termini di riorganizzazione del lavoro:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/PTT-20200416-WA0007-online-audio-converter.com_.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMentre i padroni già affilano i coltelli per un “ritorno alla normalità” che significherà ancora più sfruttamento e povertà, che futuro immaginiamo dentro e contro al lavoro durante e dopo questa crisi? Quali forme di libertà possiamo o potremmo costruire e praticare?\r\n\r\nLo Stato e i padroni, individualmente o attraverso le loro associazioni, hanno gettato la maschera se ancora ce ne fosse bisogno. A fronte di proteste, scioperi spontanei, assenteismo (fino al 40%) che si sono manifestati nelle scorse settimane nelle fabbriche di fronte all’obbligo del continuare la produzione, anche in assenza di qualunque tutela per la salute di chi è costretto a lavorare per sopravvivere, Conte e il suo governo hanno appoggiato in toto le richieste di Confindustria.\r\nLa repressione nel frattempo colpiva chi si ribellava, chi scioperava per avere protezioni e tutele, per non ammalarsi in fabbrica o in magazzino. Come le rivolte nelle carceri partite pochi giorni prima, si è trattato di lotte contro la gestione dell’emergenza sulla pelle degli sfruttati, dei sacrificabili.\r\nSappiamo che oltre a quelle autorizzate per decreto tramite i codici ATECO, già oggi sono 71 mila le aziende che si sono autocertificate come “essenziali” per poter continuare a produrre. A chi si è lasciato il compito di valutare le deroghe? Ai prefetti. Secondo l’Istat, in Italia è rimasto aperto per tutto il tempo oltre il 52% delle imprese.\r\n\r\nMai sazi, i padroni però continuano a minacciare e vogliono al più presto la riapertura generalizzata della produzione in barba alla precauzione e alla sicurezza, mettendo così in pericolo milioni di lavoratrici e lavoratori. Ripartire subito, senza aspettare il 4 maggio. Questo il messaggio che Confindustria Piemonte ha recapitato al governatore Cirio. “E’ il sistema che deve mettere insieme le cose: fornire le mascherine, il gel igienizzante e i guanti, organizzare i trasporti” aggiungono gli industriali.\r\nCome scritto su un foglio murale, ai tempi della pandemia: 'qualcuno parla di “suddivisione squilibrata del rischio”. Altri, che guardano all’intero pianeta e alle sue gigantesche ingiustizie, di “apocalisse differenziata”'.\r\nNé mascherine, né gel o guanti potranno camuffare lo sfruttamento e la schiavitù. Mai come adesso il ricatto del lavoro si manifesta in tutta la sua evidenza, laddove gli scopi, gli obiettivi, i prodotti delle attività sono espropriati. 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Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark> deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark>, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark>, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark> porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark> sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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L’ipotesi di gran lunga più probabile sull’accaduto è che ci sia stato un banale errore di configurazione sul sito, ma di questo ne parliamo dopo questo pezzo per darvi il buongiorno e mettervi nel giusto mood. buon ascolto.\r\ndichiarazioni pubbliche e reazioni istituzionali\r\n\r\n \tsul sito dell’inps, ad un certo punto si spegne tutto e viene mostrato un messaggio: Al fine di consentire una migliore e piu’ efficace canalizzazione delle richieste di servizio, il sito e’ temporaneamente non disponibile. Si assicura che tutti gli aventi diritto potranno utilmente presentare la domanda per l’ottenimento delle prestazioni. il tutto con un html raffazzonato, accrocchiatissimo con dei tag tipo il center che non si vedevano dal ’94. con gli apostrofi sbagliati. https://blog.mestierediscrivere.com/2020/04/01/in-tempi-difficili-parole-che-graffiano\r\n\r\ncomunque il succo dei messaggi e’ come sempre, e’ colpa vostra che siete arrivati tutti insieme, mica nostra. in generale non c’e’ mai un’assunzione di responsabilita’, un dire che ne so, raga scusate abbiamo fatto una cagata, c’era poco tempo, abbiamo dovuto arrangiarci e non abbiamo potuto fare delle prove. e’ sempre il solito approccio per cui i cittadini sono visti come sospetti e potenziali criminali o alla meglio come bambini, più che come soggetti responsabili, capaci di collaborazione, dotati di neuroni, quando gli unici atteggiamenti infantili sono proprio quelli per cui si cerca sempre qualcuno a cui addossare la colpa, un capro espiatorio, il runner, quello che porta a pisciare il cane, in questo caso gli hacker.\r\n\r\nebbene si’, hanno stato gli hacker!@@!@!1 “Abbiamo avuto nei giorni scorsi e anche stamattina violenti attacchi hacker”, ha detto Pasquale Tridico \" questa la dichiarazione ufficiale di quanto accaduto dal presidente dell’INPS ripresa anche da conte. cosi’ senza un minimo di pudore o vergogna, sparare cazzate per cercare di coprire la propria inettitudine. anche i bambini vi hanno sgamato. e’ talmente grande e palese come cazzata che non ci hanno creduto neanche i giornali e infatti abbiamo fatto fatica a trovare l’audio perche’ pochissimi giornali l’hanno ripresa come notizia. Un credulone che invece ci ha creduto e’ il vicesegretario del Partito democratico, Andrea Orlando, in merito alla falla del sito dell’Inps denuncia che “alcune infrastrutture strategiche sono state sotto attacco di hacker” e su Twitter sollecita: “Bisogna subito convocare il Copasir per chiedere al Dis quale reazione è in atto. Questi sciacalli vanno fermati immediatamente”. A questo punto piovono messaggi di scherno, anonymous italia scrive “vorremmo prenderci il merito, ma la verita’ e’ che siete incapaci e avete fatto tutto da soli togliendoci il divertimento”, addirittura pornhub (per la sua immagine ovviamente) offre aiuto all’inps per potenziare il sito grazie ai suoi server.\r\ndopo il breach l’altro comunicato e’ stato il seguente\r\n“L’INPS informa gli utenti di avere prontamente notificato il data breach al Garante per la protezione dei dati personali ed assicura che, fin dal momento in cui si è avuta conoscenza della possibilità che vi sia stata violazione di dati personali, sta assumendo tutte le misure atte a porre rimedio alla situazione di rischio, attenuare i possibili effetti negativi e tutelare i diritti e le libertà delle persone fisiche. In tale ambito è istituita la seguente casella di posta elettronica violazionedatiGDPR@inps.it utilizzabile, esclusivamente dai soggetti i cui dati siano stati interessati dalla violazione, per le segnalazioni all’INPS, allegando eventuali evidenze documentali. L’Istituto si impegna a verificare tutte le segnalazioni ricevute e ad adottare ogni ulteriore misura tecnica e organizzativa adeguata di protezione dei dati personali che dovesse rendersi necessaria.”\r\n\r\na parte che il sito dell’inps ha una normativa della privacy ferma al 2013, ancora non c’era la gdpr, forse non lo sanno che in questi casi sono loro a dover informare chi ha subito un leak e non viceversa. infatti le normative, in particolare la gdpr prevede sicuramente il nominativo di un responsabile dei dati personali e raga, l’inps non ce l’ha. l’inps non ha un responsabile dei dati personali di cosa stiamo parlando. anche il tabacchino sotto casa vostra deve averlo per le registrazioni di videosorveglianza. e invece no, il Data Protection Officer e’ andato in pensione. Una delle altre questioni e’ relativa alle risposte dopo un merdone cosi’ che ad oggi si sono limitate alla creazione di una casella di posta dove poter inviare le segnalazioni. Come scrive il giornalista Raffaele Angius su Wired citando un avvocato specializzato in tutela della privacy: “Sembra quasi che la creazione della casella di posta elettronica sia essa stessa la misura adottata per risolvere il problema Di fatto mancano tutti i contenuti previsti dal Gdpr, che prescrive chiaramente l’identificazione di un responsabile e le soluzioni proposte per la risoluzione dell’incidente” Ma ancora di più qua si inverte l’onere dell’identificazione degli interessati coinvolti nella violazione: sarebbero infatti questi ultimi a dover ricevere un avviso nel quale si informa che i loro dati personali sono stati visibili a una quantità imprecisata di persone”.\r\ncosa e’ successo in realta’\r\nc’e’ nel merito un succosissimo thread su reddit da cui rubero’ una spiegazione introduttiva per spiegare il problema:\r\n\r\nEsistono principalmente due tipi di pagine web: quelle statiche e quelle dinamiche La classica pagina statica potrebbe essere https://www.corriere.it/. Anche se può cambiare più volte nel corso della giornata, tutte le volte che la carichi tra una modifica e l’altra sia tu sia chiunque altro vedranno la stessa cosa Una pagina dinamica invece è per esempio quella di gestione del tuo conto in banca. L’impaginazione e l’URL son gli stessi per tutti, ma il contenuto varia per ogni utente. Per ottimizzare le performance di un sito il materiale statico può essere messo in cache, ovvero una memoria esterna più performante del server normale perchè non deve fare nessun controllo, semplicemente ti restituisce i dati che ha già visto. Una rete di cache viene generalmente definita CDN, o Content Delivery Network\r\n\r\nEcco il ragionamento che fa: Tu: “Salve vorrei una mascherina per favore” CDN: “Aspetti che controllo nel retro” CDN: “Server di backend, abbiamo mascherine?” Server Backend: “No” CDN: “Mi dispiace abbiamo finito le mascherine” D’ora in poi CDN sa che non ci sono mascherine e risponderà “no” subito a chiunque venga a chiederne Quale è il problema? Che Server Backend non ha mai informato CDN che tra 10 minuti arriva il camion delle consegne che potrebbe consegnare altre mascherine, quindi CDN andrà beatamente avanti fino a sera a dire che “non abbiamo mascherine” anche se potrebbero essercene Questo è quello che è successo con le pagine dell’INPS. Gli URL erano uguali per tutti, Server Backend non ha mai informato CDN “prossima volta che te lo chiedono torna comunque da me” e CDN semplicemente ha fornito la pagina di dettaglio a Mario Rossi, il primo in coda la mattina… e anche a tutti gli altri, che fossero Mario Rossi o no.\r\n\r\nLa mattina del 1 aprile, per qualche ora (e non “5 minuti” come ha dichiarato l’INPS), è stata impostata la CDN Microsoft Azure Edge davanti al server del sito dell’INPS. www.inps.it era diventato un CNAME a inps-cdn-a.azureedge.net. Poi hanno ripristinato l’IP diretto senza CDN, “risolvendo l’attacco hacker” e il “data breach” (autoinflitti?!?!) Ecco svelato il mistero, una volta per tutte. Niente “hacker”, e nessun database fallito in modi improbabili e assurdi, come sosterrebbero alcuni sedicenti “esperti” (non esiste che si possano “confondere” le richieste al database…) Ci sta solo un’incredibile (e ingiustificabile) incompetenza da parte sia di chi ha realizzato il portale dell’INPS senza nemmeno saper impostare gli HTTP Cache Headers, che anche da parte di chi l’altro giorno vi ha impostato una CDN davanti senza accorgersene prima. Non è possibile che i dati personali di tutti gli italiani vengano affidati a gente come questa. Soprattutto sapendo che gli appalti (anche per il “nuovoportaleinps”) sono costati addirittura 360 milioni di euro di soldi dell’INPS.\r\n\r\nLista dettagliata delle società che hanno vinto appalti da INPS\r\nIl sistema degli appalti nella storia dell’INPS\r\nE torniamo sulle libere frequenze di radio blackout 105.25, siamo su stakkastakka e ricordiamo i contatti. Come abbiamo detto in precedenza quindi le cause del collasso del sito INPS sono puramente tecniche, ma la politica istituzionale ha deciso comunque di inventarsi un nemico, un gruppo di cattivi, i fantomatici hacker su cui far partire l’ennesima caccia alle streghe. Questo ovviamente ricalca il copione vecchio e stantio di una politica che deve scaricare le proprie responabilità su un nemico invisibile.\r\n\r\nMa ancora più divertente della politica c’è Pornhub, che in un tweet ha chiesto all’INPS se avesse bisogno di un paio di server in prestito, o magari di una mano a configurarli. Sicuramente a livello di marketing avrà funzionato, anche grazie al fatto che poggia su un assunto comune alla società capitalista, ovvero che in ogni caso il privato è molto più efficiente ed innovativo del pubblico. In quest’ultimo pezzo vorremmo cercare di portare i dati degli appalti dell’INPS per sfatare un attimo il mito dell’eccellenza, perché se scaviamo un attimo in fondo scopriamo a fare i milioni sull’INPS non è stato il cugino con partita IVA del consigliere comunale. Proprio nell’ottica di arginare il clientelismo nella spesa pubblica si stanno obligando gli enti ad emettere bandi di gara per affidare a terzi la propria infrastruttura, visto che assumere del personale competente sarebbe troppo inefficiente. E allora via a lanciare gare pubbliche, l’INPS negli ultimi 20 anni ha pubblicato bandi nel settore informatico per quasi mezzo miliardo di euro. Sembra una cifra non da poco, ma se il sito e tutta l’infrastruttura che c’è dietro fa tanto schifo, a chi sono andati tutti questi soldi?\r\n\r\nBeh, possiamo iniziare a vedere uno dei bandi più ricchi, un maxiappalto da 170 milioni del 2013, diviso in sette lotti:\r\n\r\nFinmeccanica. Il lotto 4, per complessivi 29,7 milioni di euro, è andato per esempio a un drappello di imprese in cui spicca Selex Elsag, del gruppo Finmeccanica. Al suo fianco troviamo la Hp Enterprise Services, che fa capo al colosso americano dell’informatica Hewlett Packard, e la multinazionale della consulenza Deloitte.\r\n\r\nIl lotto 5, il cui valore finale si è attestato sui 24 milioni di euro, è stato conquistato da un raggruppamento in cui è presente Telecom Italia, il gruppo al tempo guidato da Franco Bernabè che raramente manca all’appuntamento delle grosse commesse di stato.\r\n\r\nIl lotto 2, che l’Inps remunererà con 33,8 milioni, ha visto tra i vincitori un gruppo particolarmente folto all’interno del quale si segnala la presenza degli spagnoli di Indra Sistemas (attraverso la Indra Italia). Accanto a loro compaiono la multinazionale Accenture, che ha sede a Dublino, e la Avanade Italy, ossia la sussidiaria italiana della joint venture che vede insieme la stessa Accenture e gli americani di Microsoft. Accenture che si vanta anche sul suo sito di aver aiutato l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) a modernizzare le applicazioni per promuovere le prestazioni e ridurre i costi, nella pagina (CASI DI SUCCESSO DEI CLIENTI), consentendo all’ente di registrare una netta riduzione dei costi operativi e di sviluppo e di migliorare sia l’efficienza che la produttività.\r\n\r\nNomi di assoluto rilievo internazionale li troviamo anche all’interno del raggruppamento che ha incamerato il lotto 3, per un totale di 21,7 milioni di euro. In questo caso troviamo gli americani di Ibm, in compagnia dei francesi di Sopra Group e della multinazionale della consulenza Ernst & Young.\r\n\r\nE visto che sono riusciti a spuntare un bella fetta di torta tutti i principali gruppi della consulenza e dei servizi Ict, nel novero non poteva mancare Kpmg, presente nel raggruppamento con Exprivia e Sintel Italia.\r\n\r\nAlla cuccagna del superbando Inps del 2013, tra l’altro, hanno partecipato anche società di estrazione editoriale. Può sembrare un po’ strano, me è proprio così. Basta guardare alla storia del lotto 1, assegnato alla fine per 35,6 milioni di euro. Al suo interno spunta Innovare 24 spa, che da qualche mese ha cambiato ragione sociale in 24 Ore Software e che altro non è se non la società informatica del Sole 24 ore, e quindi in ultima analisi del sistema Confindustria. Chiudono la composizione del lotto 1 Engineering spa e Inmatica spa. Insomma, solo per partecipare a questo bando la controllata del Sole24 ore ha preferito tuffarsi nel’informatica, e creare una divisione apposita, vedi come si scoprono le proprie passioni.\r\n\r\nInsomma vediamo tante grandi società, multinazionali e aziende di consulenza quotate in borsa, non esattamente la municipalizzata in mano al cognato del consigliere comunale. E queste mega aziende le ritroviamo nuovamente al banchetto dell’INPS, infattoi nel 2016 poi ci sarà un altro bando dell’INPS, stavolta con un valore stimato molto più succoso, di ben 359,9 milioni di euro:\r\n\r\n \tLeonardo, ex Finmeccanica, sarà nuovamente protagonista del bando del 2016, con i lotti 3 e 4, che comprendono la gestione di tutte le altre prestazioni dell’Inps (come sussidi, assegni di maternità, indennità), insieme ad Ibm, la società di revisione contabile e consulenza Ernst & Young e Sistemi informatici srl.\r\n \tIl gruppo di consulenza e revisione Kpmg, ritorna anche nel bando del 2016, con le società informatiche Exprivia, Wemake e Inmatica, e vince per 26 milioni di euro il lotto 5 (valore sulla carta: 41 milioni). A loro spetta tenere in piedi le reti dell’istituto: quindi integrazione dei dati, gestione del personale e fiscale, potenziamento dei servizi antifrode nonché, si legge nel capitolato, “l’evoluzione dell’infrastruttura di sicurezza e protezione dei dati”.\r\n\r\nIn questa voce dovrebbe rientrare il rispetto per l’INPS delle direttive europee sulla GDPR, che si preoccupano del rispetto della riservatezza e della privacy utente, la stessa GDPR per cui adesso l’INPS adesso rischia una multa di 20 milioni di euro. E adesso chi la pagherà la maxi-multa, l’INPS o l’eccellenza della consulenza Kpmg, che ha già dichiarato di non aver lavorato direttamente sul sito in sé?\r\n\r\nEh già perché solitamente, come chiunque lavori nel campo vi portà confermare, le maxi-società che vincono appalti non lavorano mai sulle commesse, al massimo si preoccupano di “Business Intelligence”, ovvero licenziare personale per evitare che un ente abbia delle maestranze competenti e sia ancora più dipendente dalla consulenza esterna, ma andranno semplicemente a subappaltarle a compagnie più piccole, le quali a loro volta andranno a subappaltare a terzi a prezzi ancora inferiori, fino a rivendere lo stesso lavoro ad una frazione del prezzo.\r\n\r\nIl meccanismo per le grandi multinazionali è ben oliato: nell’emettere un bando si mettono una serie di prerequisiti che sono irragiungibili e ovviamente superlfui, come ad esempio avere qualsiasi certificazioni possibile (es il bando richiede certificazione CEH, anche solo un dipendente ha la CEH, quindi automaticamente l’azienda è certificata, anche se poi tizio non lavorerà al bando), o avere un centinaio di dipendenti laureati in ingegneria informatica o lavorare da 50 anni nel campo.\r\n\r\nOvviamente questi requisiti sono realistici solo per le mega-corporazioni, e dato che sono palesemente superflui, vengono poi sbolognati a compagnie più piccole che quei requisiti semplicemente non li hanno. Solitamente i bandi includono delle clausole per impedire il secondo o terzo subappalto, ma questo è facilmente aggirabile quando le corporazioni decidono di chiedere a loro volta consulenze esterne, o assumono personale da agenzie di ricollocamento, che solitamente a livello legale risultano come cooperative, con contratti occasionali o a prestazione, che fanno però il lavoro di un consulente esterno.\r\n\r\nQuindi, alla fine della catena alimentare, dopo il terzo o quarto subappalto, ci si ritrova con del personale che non ha mai lavorato a quel progetto in particolare, che dovrà reimparare come funziona tutta la bestia senza mai averla toccata, e che probabilmente sarà assunto a tempo determinato da una cooperativa o magari come libero professionista, che se dell’ammontare dell’appalto originale se ne ritrova un millesimo è già fortunato, e non essendo assunto sa già che a breve un’altra persona dovrà lavorare sul suo hackrocchio (RIP :’( insegna agli angeli a smarmellare )\r\n\r\nQuesto meccanismo malato non è una peculiarità italiana, ma anzi è una regola perfettamente razionale nella logica capitalista, che se da un lato vede nell’ottimizzazione dei costi e dei tempi il pretesto per impoverire e precarizzare il lavoro, dall’altro accumula le risorse in degli oligopoli inamovibili, che non potranno mai subire una vera concorrenza dato che definiscono le regole del gioco. A questo scopo potremmo citare altri data breach nel pubblico che sono stati ben più gravi del caso INPS in Italia, come per Equifax, l’agenzia delle entrate statunitense, o nel 2018 del NHS, il sistema sanitario inglese, ma anche no perché…\r\n\r\nCome si diceva prima infatti, è palese che il codice oltre ad essere scritto con i piedi è anche frutto del lavoro di una dozzina di persone che si sono susseguite nel tempo e non si sono mai parlate. Capite che è ben diverso farsi curare dallo stesso medico o ritrovarsene uno diverso ogni giorno. Il meccanismo è ben oliato anche per funzionare per mantenere la cricca dell’intermediazione, dove ovviamente se nessuno ha colpe queste al massimo verranno riversato sull’ultimno povero cristo.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","8 Aprile 2020","2020-04-08 16:20:21","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/inps-200x110.png","Stakka Stakka #63 – INPS [8 Aprile 2020]","podcast",1586358143,[],[],{"post_content":198},{"matched_tokens":199,"snippet":200,"value":201},[77],"Abbiamo fatto due chiacchere su \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark> e soluzioni tech leggendo dei","Posta del ♥ dell’Internet\r\nAbbiamo fatto due chiacchere su \u003Cmark>coronavirus\u003C/mark> e soluzioni tech leggendo dei pezzi di un articolo curato da Carola Frediani su Valigia Blu.\r\nINPS\r\nhttps://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/stakkastakka-63-inps.mp3\r\nIniziamo con una breve spiegazione di quanto successo:\r\ncome molte e molti di voi sapranno, una delle misure incluse nel \u003Cmark>decreto\u003C/mark> cura italia e’ un bonus di 600 euro per partite iva, autonomi, artigiani, commercianti, etc. l’ente che in questi casi si deve occupare di queste questioni operativamente e’ l’inps, che ha comunicato l’apertura di queste richieste di indennita’ per l’1 aprile. solo che ha capito male la storia degli assembramenti e ha lanciato l’operazione #noassembramentidigitali visto che per tutta la notte il sito e’ andato a singhizzi, fino a chiudere del tutto i battenti in tarda mattinata. questo perche’ ad un certo punto iniziano ad arrivare delle segnalazioni sul fatto che il sito mostra dati di altre persone. cioe’ entranto per la richiesta di indennita’ sul sito dell’inps, mettendo il pin e facendo due preghiere, venivano mostrati dati personali di altre persone. se questo gia’ sarebbe grave in generale, e’ particolarmente grave perche’ ha interessato il sito di un ente che gestisce e maneggia un’enorme mole di informazioni personali e che mannaggia dovrebbe garantire rigorose misure di sicurezza e non affidare al cuggino dello stagista tutte cose. L’ipotesi di gran lunga più probabile sull’accaduto è che ci sia stato un banale errore di configurazione sul sito, ma di questo ne parliamo dopo questo pezzo per darvi il buongiorno e mettervi nel giusto mood. buon ascolto.\r\ndichiarazioni pubbliche e reazioni istituzionali\r\n\r\n \tsul sito dell’inps, ad un certo punto si spegne tutto e viene mostrato un messaggio: Al fine di consentire una migliore e piu’ efficace canalizzazione delle richieste di servizio, il sito e’ temporaneamente non disponibile. Si assicura che tutti gli aventi diritto potranno utilmente presentare la domanda per l’ottenimento delle prestazioni. il tutto con un html raffazzonato, accrocchiatissimo con dei tag tipo il center che non si vedevano dal ’94. con gli apostrofi sbagliati. https://blog.mestierediscrivere.com/2020/04/01/in-tempi-difficili-parole-che-graffiano\r\n\r\ncomunque il succo dei messaggi e’ come sempre, e’ colpa vostra che siete arrivati tutti insieme, mica nostra. in generale non c’e’ mai un’assunzione di responsabilita’, un dire che ne so, raga scusate abbiamo fatto una cagata, c’era poco tempo, abbiamo dovuto arrangiarci e non abbiamo potuto fare delle prove. e’ sempre il solito approccio per cui i cittadini sono visti come sospetti e potenziali criminali o alla meglio come bambini, più che come soggetti responsabili, capaci di collaborazione, dotati di neuroni, quando gli unici atteggiamenti infantili sono proprio quelli per cui si cerca sempre qualcuno a cui addossare la colpa, un capro espiatorio, il runner, quello che porta a pisciare il cane, in questo caso gli hacker.\r\n\r\nebbene si’, hanno stato gli hacker!@@!@!1 “Abbiamo avuto nei giorni scorsi e anche stamattina violenti attacchi hacker”, ha detto Pasquale Tridico \" questa la dichiarazione ufficiale di quanto accaduto dal presidente dell’INPS ripresa anche da \u003Cmark>conte\u003C/mark>. cosi’ senza un minimo di pudore o vergogna, sparare cazzate per cercare di coprire la propria inettitudine. anche i bambini vi hanno sgamato. e’ talmente grande e palese come cazzata che non ci hanno creduto neanche i giornali e infatti abbiamo fatto fatica a trovare l’audio perche’ pochissimi giornali l’hanno ripresa come notizia. Un credulone che invece ci ha creduto e’ il vicesegretario del Partito democratico, Andrea Orlando, in merito alla falla del sito dell’Inps denuncia che “alcune infrastrutture strategiche sono state sotto attacco di hacker” e su Twitter sollecita: “Bisogna subito convocare il Copasir per chiedere al Dis quale reazione è in atto. Questi sciacalli vanno fermati immediatamente”. A questo punto piovono messaggi di scherno, anonymous italia scrive “vorremmo prenderci il merito, ma la verita’ e’ che siete incapaci e avete fatto tutto da soli togliendoci il divertimento”, addirittura pornhub (per la sua immagine ovviamente) offre aiuto all’inps per potenziare il sito grazie ai suoi server.\r\ndopo il breach l’altro comunicato e’ stato il seguente\r\n“L’INPS informa gli utenti di avere prontamente notificato il data breach al Garante per la protezione dei dati personali ed assicura che, fin dal momento in cui si è avuta conoscenza della possibilità che vi sia stata violazione di dati personali, sta assumendo tutte le misure atte a porre rimedio alla situazione di rischio, attenuare i possibili effetti negativi e tutelare i diritti e le libertà delle persone fisiche. In tale ambito è istituita la seguente casella di posta elettronica violazionedatiGDPR@inps.it utilizzabile, esclusivamente dai soggetti i cui dati siano stati interessati dalla violazione, per le segnalazioni all’INPS, allegando eventuali evidenze documentali. L’Istituto si impegna a verificare tutte le segnalazioni ricevute e ad adottare ogni ulteriore misura tecnica e organizzativa adeguata di protezione dei dati personali che dovesse rendersi necessaria.”\r\n\r\na parte che il sito dell’inps ha una normativa della privacy ferma al 2013, ancora non c’era la gdpr, forse non lo sanno che in questi casi sono loro a dover informare chi ha subito un leak e non viceversa. infatti le normative, in particolare la gdpr prevede sicuramente il nominativo di un responsabile dei dati personali e raga, l’inps non ce l’ha. l’inps non ha un responsabile dei dati personali di cosa stiamo parlando. anche il tabacchino sotto casa vostra deve averlo per le registrazioni di videosorveglianza. e invece no, il Data Protection Officer e’ andato in pensione. Una delle altre questioni e’ relativa alle risposte dopo un merdone cosi’ che ad oggi si sono limitate alla creazione di una casella di posta dove poter inviare le segnalazioni. Come scrive il giornalista Raffaele Angius su Wired citando un avvocato specializzato in tutela della privacy: “Sembra quasi che la creazione della casella di posta elettronica sia essa stessa la misura adottata per risolvere il problema Di fatto mancano tutti i contenuti previsti dal Gdpr, che prescrive chiaramente l’identificazione di un responsabile e le soluzioni proposte per la risoluzione dell’incidente” Ma ancora di più qua si inverte l’onere dell’identificazione degli interessati coinvolti nella violazione: sarebbero infatti questi ultimi a dover ricevere un avviso nel quale si informa che i loro dati personali sono stati visibili a una quantità imprecisata di persone”.\r\ncosa e’ successo in realta’\r\nc’e’ nel merito un succosissimo thread su reddit da cui rubero’ una spiegazione introduttiva per spiegare il problema:\r\n\r\nEsistono principalmente due tipi di pagine web: quelle statiche e quelle dinamiche La classica pagina statica potrebbe essere https://www.corriere.it/. Anche se può cambiare più volte nel corso della giornata, tutte le volte che la carichi tra una modifica e l’altra sia tu sia chiunque altro vedranno la stessa cosa Una pagina dinamica invece è per esempio quella di gestione del tuo conto in banca. L’impaginazione e l’URL son gli stessi per tutti, ma il contenuto varia per ogni utente. Per ottimizzare le performance di un sito il materiale statico può essere messo in cache, ovvero una memoria esterna più performante del server normale perchè non deve fare nessun controllo, semplicemente ti restituisce i dati che ha già visto. Una rete di cache viene generalmente definita CDN, o Content Delivery Network\r\n\r\nEcco il ragionamento che fa: Tu: “Salve vorrei una mascherina per favore” CDN: “Aspetti che controllo nel retro” CDN: “Server di backend, abbiamo mascherine?” Server Backend: “No” CDN: “Mi dispiace abbiamo finito le mascherine” D’ora in poi CDN sa che non ci sono mascherine e risponderà “no” subito a chiunque venga a chiederne Quale è il problema? Che Server Backend non ha mai informato CDN che tra 10 minuti arriva il camion delle consegne che potrebbe consegnare altre mascherine, quindi CDN andrà beatamente avanti fino a sera a dire che “non abbiamo mascherine” anche se potrebbero essercene Questo è quello che è successo con le pagine dell’INPS. Gli URL erano uguali per tutti, Server Backend non ha mai informato CDN “prossima volta che te lo chiedono torna comunque da me” e CDN semplicemente ha fornito la pagina di dettaglio a Mario Rossi, il primo in coda la mattina… e anche a tutti gli altri, che fossero Mario Rossi o no.\r\n\r\nLa mattina del 1 aprile, per qualche ora (e non “5 minuti” come ha dichiarato l’INPS), è stata impostata la CDN Microsoft Azure Edge davanti al server del sito dell’INPS. www.inps.it era diventato un CNAME a inps-cdn-a.azureedge.net. Poi hanno ripristinato l’IP diretto senza CDN, “risolvendo l’attacco hacker” e il “data breach” (autoinflitti?!?!) Ecco svelato il mistero, una volta per tutte. Niente “hacker”, e nessun database fallito in modi improbabili e assurdi, come sosterrebbero alcuni sedicenti “esperti” (non esiste che si possano “confondere” le richieste al database…) Ci sta solo un’incredibile (e ingiustificabile) incompetenza da parte sia di chi ha realizzato il portale dell’INPS senza nemmeno saper impostare gli HTTP Cache Headers, che anche da parte di chi l’altro giorno vi ha impostato una CDN davanti senza accorgersene prima. Non è possibile che i dati personali di tutti gli italiani vengano affidati a gente come questa. Soprattutto sapendo che gli appalti (anche per il “nuovoportaleinps”) sono costati addirittura 360 milioni di euro di soldi dell’INPS.\r\n\r\nLista dettagliata delle società che hanno vinto appalti da INPS\r\nIl sistema degli appalti nella storia dell’INPS\r\nE torniamo sulle libere frequenze di radio blackout 105.25, siamo su stakkastakka e ricordiamo i contatti. Come abbiamo detto in precedenza quindi le cause del collasso del sito INPS sono puramente tecniche, ma la politica istituzionale ha deciso comunque di inventarsi un nemico, un gruppo di cattivi, i fantomatici hacker su cui far partire l’ennesima caccia alle streghe. Questo ovviamente ricalca il copione vecchio e stantio di una politica che deve scaricare le proprie responabilità su un nemico invisibile.\r\n\r\nMa ancora più divertente della politica c’è Pornhub, che in un tweet ha chiesto all’INPS se avesse bisogno di un paio di server in prestito, o magari di una mano a configurarli. Sicuramente a livello di marketing avrà funzionato, anche grazie al fatto che poggia su un assunto comune alla società capitalista, ovvero che in ogni caso il privato è molto più efficiente ed innovativo del pubblico. In quest’ultimo pezzo vorremmo cercare di portare i dati degli appalti dell’INPS per sfatare un attimo il mito dell’eccellenza, perché se scaviamo un attimo in fondo scopriamo a fare i milioni sull’INPS non è stato il cugino con partita IVA del consigliere comunale. Proprio nell’ottica di arginare il clientelismo nella spesa pubblica si stanno obligando gli enti ad emettere bandi di gara per affidare a terzi la propria infrastruttura, visto che assumere del personale competente sarebbe troppo inefficiente. E allora via a lanciare gare pubbliche, l’INPS negli ultimi 20 anni ha pubblicato bandi nel settore informatico per quasi mezzo miliardo di euro. Sembra una cifra non da poco, ma se il sito e tutta l’infrastruttura che c’è dietro fa tanto schifo, a chi sono andati tutti questi soldi?\r\n\r\nBeh, possiamo iniziare a vedere uno dei bandi più ricchi, un maxiappalto da 170 milioni del 2013, diviso in sette lotti:\r\n\r\nFinmeccanica. Il lotto 4, per complessivi 29,7 milioni di euro, è andato per esempio a un drappello di imprese in cui spicca Selex Elsag, del gruppo Finmeccanica. Al suo fianco troviamo la Hp Enterprise Services, che fa capo al colosso americano dell’informatica Hewlett Packard, e la multinazionale della consulenza Deloitte.\r\n\r\nIl lotto 5, il cui valore finale si è attestato sui 24 milioni di euro, è stato conquistato da un raggruppamento in cui è presente Telecom Italia, il gruppo al tempo guidato da Franco Bernabè che raramente manca all’appuntamento delle grosse commesse di stato.\r\n\r\nIl lotto 2, che l’Inps remunererà con 33,8 milioni, ha visto tra i vincitori un gruppo particolarmente folto all’interno del quale si segnala la presenza degli spagnoli di Indra Sistemas (attraverso la Indra Italia). Accanto a loro compaiono la multinazionale Accenture, che ha sede a Dublino, e la Avanade Italy, ossia la sussidiaria italiana della joint venture che vede insieme la stessa Accenture e gli americani di Microsoft. Accenture che si vanta anche sul suo sito di aver aiutato l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) a modernizzare le applicazioni per promuovere le prestazioni e ridurre i costi, nella pagina (CASI DI SUCCESSO DEI CLIENTI), consentendo all’ente di registrare una netta riduzione dei costi operativi e di sviluppo e di migliorare sia l’efficienza che la produttività.\r\n\r\nNomi di assoluto rilievo internazionale li troviamo anche all’interno del raggruppamento che ha incamerato il lotto 3, per un totale di 21,7 milioni di euro. In questo caso troviamo gli americani di Ibm, in compagnia dei francesi di Sopra Group e della multinazionale della consulenza Ernst & Young.\r\n\r\nE visto che sono riusciti a spuntare un bella fetta di torta tutti i principali gruppi della consulenza e dei servizi Ict, nel novero non poteva mancare Kpmg, presente nel raggruppamento con Exprivia e Sintel Italia.\r\n\r\nAlla cuccagna del superbando Inps del 2013, tra l’altro, hanno partecipato anche società di estrazione editoriale. Può sembrare un po’ strano, me è proprio così. Basta guardare alla storia del lotto 1, assegnato alla fine per 35,6 milioni di euro. Al suo interno spunta Innovare 24 spa, che da qualche mese ha cambiato ragione sociale in 24 Ore Software e che altro non è se non la società informatica del Sole 24 ore, e quindi in ultima analisi del sistema Confindustria. Chiudono la composizione del lotto 1 Engineering spa e Inmatica spa. Insomma, solo per partecipare a questo bando la controllata del Sole24 ore ha preferito tuffarsi nel’informatica, e creare una divisione apposita, vedi come si scoprono le proprie passioni.\r\n\r\nInsomma vediamo tante grandi società, multinazionali e aziende di consulenza quotate in borsa, non esattamente la municipalizzata in mano al cognato del consigliere comunale. E queste mega aziende le ritroviamo nuovamente al banchetto dell’INPS, infattoi nel 2016 poi ci sarà un altro bando dell’INPS, stavolta con un valore stimato molto più succoso, di ben 359,9 milioni di euro:\r\n\r\n \tLeonardo, ex Finmeccanica, sarà nuovamente protagonista del bando del 2016, con i lotti 3 e 4, che comprendono la gestione di tutte le altre prestazioni dell’Inps (come sussidi, assegni di maternità, indennità), insieme ad Ibm, la società di revisione contabile e consulenza Ernst & Young e Sistemi informatici srl.\r\n \tIl gruppo di consulenza e revisione Kpmg, ritorna anche nel bando del 2016, con le società informatiche Exprivia, Wemake e Inmatica, e vince per 26 milioni di euro il lotto 5 (valore sulla carta: 41 milioni). A loro spetta tenere in piedi le reti dell’istituto: quindi integrazione dei dati, gestione del personale e fiscale, potenziamento dei servizi antifrode nonché, si legge nel capitolato, “l’evoluzione dell’infrastruttura di sicurezza e protezione dei dati”.\r\n\r\nIn questa voce dovrebbe rientrare il rispetto per l’INPS delle direttive europee sulla GDPR, che si preoccupano del rispetto della riservatezza e della privacy utente, la stessa GDPR per cui adesso l’INPS adesso rischia una multa di 20 milioni di euro. E adesso chi la pagherà la maxi-multa, l’INPS o l’eccellenza della consulenza Kpmg, che ha già dichiarato di non aver lavorato direttamente sul sito in sé?\r\n\r\nEh già perché solitamente, come chiunque lavori nel campo vi portà confermare, le maxi-società che vincono appalti non lavorano mai sulle commesse, al massimo si preoccupano di “Business Intelligence”, ovvero licenziare personale per evitare che un ente abbia delle maestranze competenti e sia ancora più dipendente dalla consulenza esterna, ma andranno semplicemente a subappaltarle a compagnie più piccole, le quali a loro volta andranno a subappaltare a terzi a prezzi ancora inferiori, fino a rivendere lo stesso lavoro ad una frazione del prezzo.\r\n\r\nIl meccanismo per le grandi multinazionali è ben oliato: nell’emettere un bando si mettono una serie di prerequisiti che sono irragiungibili e ovviamente superlfui, come ad esempio avere qualsiasi certificazioni possibile (es il bando richiede certificazione CEH, anche solo un dipendente ha la CEH, quindi automaticamente l’azienda è certificata, anche se poi tizio non lavorerà al bando), o avere un centinaio di dipendenti laureati in ingegneria informatica o lavorare da 50 anni nel campo.\r\n\r\nOvviamente questi requisiti sono realistici solo per le mega-corporazioni, e dato che sono palesemente superflui, vengono poi sbolognati a compagnie più piccole che quei requisiti semplicemente non li hanno. Solitamente i bandi includono delle clausole per impedire il secondo o terzo subappalto, ma questo è facilmente aggirabile quando le corporazioni decidono di chiedere a loro volta consulenze esterne, o assumono personale da agenzie di ricollocamento, che solitamente a livello legale risultano come cooperative, con contratti occasionali o a prestazione, che fanno però il lavoro di un consulente esterno.\r\n\r\nQuindi, alla fine della catena alimentare, dopo il terzo o quarto subappalto, ci si ritrova con del personale che non ha mai lavorato a quel progetto in particolare, che dovrà reimparare come funziona tutta la bestia senza mai averla toccata, e che probabilmente sarà assunto a tempo determinato da una cooperativa o magari come libero professionista, che se dell’ammontare dell’appalto originale se ne ritrova un millesimo è già fortunato, e non essendo assunto sa già che a breve un’altra persona dovrà lavorare sul suo hackrocchio (RIP :’( insegna agli angeli a smarmellare )\r\n\r\nQuesto meccanismo malato non è una peculiarità italiana, ma anzi è una regola perfettamente razionale nella logica capitalista, che se da un lato vede nell’ottimizzazione dei costi e dei tempi il pretesto per impoverire e precarizzare il lavoro, dall’altro accumula le risorse in degli oligopoli inamovibili, che non potranno mai subire una vera concorrenza dato che definiscono le regole del gioco. A questo scopo potremmo citare altri data breach nel pubblico che sono stati ben più gravi del caso INPS in Italia, come per Equifax, l’agenzia delle entrate statunitense, o nel 2018 del NHS, il sistema sanitario inglese, ma anche no perché…\r\n\r\nCome si diceva prima infatti, è palese che il codice oltre ad essere scritto con i piedi è anche frutto del lavoro di una dozzina di persone che si sono susseguite nel tempo e non si sono mai parlate. Capite che è ben diverso farsi curare dallo stesso medico o ritrovarsene uno diverso ogni giorno. Il meccanismo è ben oliato anche per funzionare per mantenere la cricca dell’intermediazione, dove ovviamente se nessuno ha colpe queste al massimo verranno riversato sull’ultimno povero cristo.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ",[203],{"field":94,"matched_tokens":204,"snippet":200,"value":201},[77],{"best_field_score":131,"best_field_weight":132,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":133,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},6637,{"collection_name":193,"first_q":31,"per_page":168,"q":31},["Reactive",209],{},["Set"],["ShallowReactive",212],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$f6T3Eb7hMUW_FgY2bueiQPJZis6mDIPDsLAsNl9pgULg":-1},true,"/search?query=decreto+conte+coronavirus"]