","Liberalizzazioni degli orari nei centri commerciali: testimonianze dal Veneto","post",1550746800,[60,61,62],"http://radioblackout.org/tag/decreto-monti/","http://radioblackout.org/tag/governo-gialloverde/","http://radioblackout.org/tag/lavoro-domenicale/",[64,65,66],"decreto monti","governo gialloverde","lavoro domenicale",{"post_content":68,"tags":73},{"matched_tokens":69,"snippet":71,"value":72},[70,19],"decreto","si-salvi-chi-può di fine 2011, il \u003Cmark>decreto\u003C/mark> \u003Cmark>Monti\u003C/mark> ha determinato una liberalizzazione completa","Una delle tante promesse, per ora disattese, del governo gialloverde è quella relativa alla regolamentazione degli orari del commercio. Approvato nell'atmosfera da si-salvi-chi-può di fine 2011, il \u003Cmark>decreto\u003C/mark> \u003Cmark>Monti\u003C/mark> ha determinato una liberalizzazione completa degli orari e la generalizzazione del lavoro domenicale, soprattuto nella grande distribuzione. Le due forze oggi al governo avevano in programma una la limitazione delle aperture a 8 domeniche l'anno, altra a 12 domeniche. La proposta di legge discussa in commissione invece prevede 30 domenica di apertura con notevoli eccezione per non meglio precisate zone turistiche. Soprattutto, la proposta ha subito un ennesimo retrofront, invece di passare alla camera è tornata alle consultazioni con gli operatori del settore, tra cui proprio quelli della grande distribuzione che vorrebbero avere le mani libere. Tutta la questione è affrontata soltanto in termini di numeri e di crescita, dietro i quali si nascondono interessi di parte, quelli di chi si arricchisce sul tempo di vita degli altri. Davanti alla palese latitanza dei sindacati si sono formati dal basso alcuni gruppi FB che hanno dato voce a chi subisce le conseguenze delle liberalizzazioni selvagge.\r\n\r\nAbbiamo raggiunta Valeria, commessa di un grande centro commerciale e partecipante a uno di questi gruppi, \"Domenica no, grazie\"\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/02/domenicano.mp3\"][/audio]",[74,78,80],{"matched_tokens":75,"snippet":77},[70,76],"monti","\u003Cmark>decreto\u003C/mark> \u003Cmark>monti\u003C/mark>",{"matched_tokens":79,"snippet":65},[],{"matched_tokens":81,"snippet":66},[],[83,88],{"field":34,"indices":84,"matched_tokens":85,"snippets":87},[46],[86],[70,76],[77],{"field":89,"matched_tokens":90,"snippet":71,"value":72},"post_content",[70,19],1157451471441625000,{"best_field_score":93,"best_field_weight":94,"fields_matched":95,"num_tokens_dropped":46,"score":96,"tokens_matched":95,"typo_prefix_score":46},"2211897868544",13,2,"1157451471441625194",{"document":98,"highlight":127,"highlights":154,"text_match":163,"text_match_info":164},{"cat_link":99,"category":100,"comment_count":46,"id":101,"is_sticky":46,"permalink":102,"post_author":49,"post_content":103,"post_date":104,"post_excerpt":52,"post_id":101,"post_modified":105,"post_thumbnail":106,"post_thumbnail_html":107,"post_title":108,"post_type":57,"sort_by_date":109,"tag_links":110,"tags":121},[43],[45],"29979","http://radioblackout.org/2015/05/renzi-e-lelemosina-elettorale-ai-pensionati/","Matteo Renzi è in calo di consensi e certo l'imposizione di una stretta autoritaria a scuola potrebbe fargliene perdere parecchi. In dirittura d'arrivo ha lanciato uno spot elettorale sulle pensioni.\r\n\r\nIeri il Consiglio dei ministri ha approvato il bonus che dovrebbe garantirgli di fermare una possibile emorragia elettorale: 500 euro medie una tantum solo per le pensioni comprese tra i 1.500 e i 3.200 euro lordi. Un provvedimento che riguarda da 3,7 milioni di italiani.\r\n\r\nRenzi prende due piccioni con una fava. Distribuisce una manciata di quattrini alla vigilia della consultazione locale e mette una pezza alla sentenza della Corte costituzionale depositata lo scorso 30 aprile che dichiara illegittimo il blocco delle rivalutazioni delle pensioni per il biennio 2012–2013.\r\nIl governo se la cava sborsando 2 dei 18 miliardi che Elsa Fornero e Mario Monti avrebbero fatto risparmiare allo Stato.\r\n\r\nIl bonus sarà elargito il primo agosto solo per le pensioni fino a 3.200 euro lordi — 6 volte il minimo Inps. Per addolcire l’amara pillola ai 2,3 milioni di pensionati esclusi, il premier ha usato le sue solite armi: le promesse e gli annunci. I primi sono già stati smentiti. Molti avevano pensato che il decreto modificasse i criteri di indicizzazione.\r\nInvece no. Sul sistema di calcolo delle rivalutazioni non c’è alcuna modifica. Si tratta semplicemente di aggiungere il bonus una tantum al montante su cui si calcola la indicizzazione (500 milioni di costo l’anno).\r\n\r\nLa promessa invece riguarda la prossima legge di stabilità. Lì, sostiene Renzi, verrà affrontato il tema della «flessibilità in uscita». Ma le premesse non sono di certo positive per chi vorrebbe andare in pensione un po' prima rispetto all'innalzamento di sei anni fissato dalla riforma Fornero. Pare chiaro che il prezzo del pensionamento anticipato sarà molto alto: chi smette di lavorare prima percepirà una pensione sensibilmente più bassa.\r\n\r\nIl mancato rispetto delle indicazioni della Corte Costituzionale è stato motivato dal ministro Padoan in base al principio che i vincoli europei sarebbero prevalenti rispetto al dettato Costituzionale, che così diviene, nei fatti, carta straccia.\r\nNulla di nuovo in un paese in cui le garanzie di libertà e tutela sono, e non da oggi, servono solo a dare lustro alla retorica istituzionale.\r\nLa democrazia reale si mostra sempre più spoglia di orpelli formali.\r\nI soldi per l'una tantum, secondo Renzi, usciranno dal «tesoretto». Ma Padoan ha corretto il premier perché il tesoretto è di soli 1,6 miliardi e il costo è invece 2 miliardi e 180 milioni.\r\n\r\nAscolta la diretta con Renato Strumia:\r\n\r\npensioni strumia","19 Maggio 2015","2015-05-20 18:44:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/05/pensionati-renzi-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"176\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/05/pensionati-renzi-300x176.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/05/pensionati-renzi-300x176.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/05/pensionati-renzi.jpg 480w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Renzi e l'elemosina elettorale ai pensionati",1432051606,[111,112,113,114,115,116,117,118,119,120],"http://radioblackout.org/tag/bonus/","http://radioblackout.org/tag/corte-costituzionale/","http://radioblackout.org/tag/eta-pensionabile/","http://radioblackout.org/tag/monti/","http://radioblackout.org/tag/padoan/","http://radioblackout.org/tag/pensioni/","http://radioblackout.org/tag/renzi/","http://radioblackout.org/tag/riforma-fornero/","http://radioblackout.org/tag/tesoretto/","http://radioblackout.org/tag/una-tantum/",[17,122,31,19,123,124,125,126,23,25],"corte costituzionale","padoan","pensioni","renzi","riforma fornero",{"post_content":128,"tags":132},{"matched_tokens":129,"snippet":130,"value":131},[19],"che Elsa Fornero e Mario \u003Cmark>Monti\u003C/mark> avrebbero fatto risparmiare allo Stato.\r","Matteo Renzi è in calo di consensi e certo l'imposizione di una stretta autoritaria a scuola potrebbe fargliene perdere parecchi. 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Ancora una volta a tener banco è la preoccupazione di trovare una strada per evitare \"un impatto negativo sull'economia stimato in 8 miliardi di euro annui\" più che la tutela della salute dei lavoratori. Intanto ieri sera a Genova dopo un'assemblea dei lavoratori dello stabilimento al termine del vertice a Roma tra Governo e sindacati sul decreto legge 'salva-Ilva' e dopo i tafferugli davanti alla prefettura durante i quali un operaio è rimasto ferito, gli operai e gli impiegati, un migliaio di persone, si sono mossi in corteo bloccando la rampa di accesso dell'aeroporto di Genova.\r\nQuello che risulta essere un vero e proprio ricatto per i lavoratori sembra essere il destino degli altri stabilimenti del gruppo che sarebbe \"segnato\" (Novi Ligure sopravivrebbe due settimane, Racconigi tre) facendo crollare \"tutto l'indotto\" poichè da quello di Taranto sembrerebbe che dipendano le attività condotte negli altri stabilimenti. A Taranto intanto, stamattina si piange il ritrovamento dell'operaio disperso due giorni fa dopo la tromba d'aria scgliatasi sulla cittadina pugliese, a dimostrazione, se ancora ve ne fosse visogno, che quell'impianto è obsoleto, produce morte dentro e fuori dalle mura della fabbrica\r\nGli operai e i cittadini non si fanno ingannare da Ilva e Governo Monti, si preparano a difendere salute e lavoro contro ricatti e prese di giro, preparando lo sciopero generale autorganizzato per il 15 Dicembre\r\n\r\n\r\nAscolta il commentodi Beppe, del Comitato Operai e Cittadini Liberi e Pensanti, sulle vicende degli ultimi giorni\r\n\r\n[audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/ilva.mp3\"]\r\n\r\nScarica il file\r\n\r\n ","30 Novembre 2012","2025-09-24 22:00:58","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/detail-ilva-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/detail-ilva-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/detail-ilva-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/detail-ilva.jpg 440w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Ilva, il giorno del decreto salva-azienda. 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Impegno preso, obtorto collo, dopo la condanna dell'UE per il mancato pagamento della vecchia ICI?\r\nNon se ne fa niente: il governo dei \"tecnici\" non ha trovato in sette mesi il tempo per stabilire quali immobili siano soggetti a tassazione, quindi, per quest'anno difficilmente la chiesa pagherà. Se il decreto dovesse arrivare all'ultimo momento la chiesa avrebbe buon gioco a presentare ricorso. Poi si vedrà: a pagare c'é sempre tempo.\r\nLa legge approvata dal Parlamento nell'inverno scorso non è utilizzabile, perché manca l'atto amministrativo del Tesoro che stabilisca effettivamente quando l'attività \"dichiarata\" non profit di chiese, partiti e fondazioni è da considerarsi esclusivamente non commerciale e quanto debba essere versato al fisco. Non un dettaglio secondario: senza il decreto del ministro Grilli la nuova Ici è una pistola caricata a salve, o meglio, a salmi.\r\n\r\nNulla di cui stupirsi: tra gli infiniti tagli imposti dal governo Monti in questi mesi non un euro è stato tagliato alla chiesa cattolica, la cui influenza sul potere politico è stata di recente confermata dalla decisione del governo di presentare ricorso contro la condanna della Corte Europea della norma della legge 40 sulla fecondazione assistita, che proibisce la diagnosi preimpianto degli embrioni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Francesco che ha evidenziato i meccanismi di una vera truffa di Stato.\r\n\r\nAscolta l’intervista: [audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/09/Frsncesco-Imu.mp3\"]\r\n\r\nScarica il file","6 Settembre 2012","Vi ricordate dell'impegno del governo italiano a far pagare l'IMU alla chiesa cattolica? 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Se il \u003Cmark>decreto\u003C/mark> dovesse arrivare all'ultimo momento la","Vi ricordate dell'impegno del governo italiano a far pagare l'IMU alla chiesa cattolica? Impegno preso, obtorto collo, dopo la condanna dell'UE per il mancato pagamento della vecchia ICI?\r\nNon se ne fa niente: il governo dei \"tecnici\" non ha trovato in sette mesi il tempo per stabilire quali immobili siano soggetti a tassazione, quindi, per quest'anno difficilmente la chiesa pagherà. Se il \u003Cmark>decreto\u003C/mark> dovesse arrivare all'ultimo momento la chiesa avrebbe buon gioco a presentare ricorso. Poi si vedrà: a pagare c'é sempre tempo.\r\nLa legge approvata dal Parlamento nell'inverno scorso non è utilizzabile, perché manca l'atto amministrativo del Tesoro che stabilisca effettivamente quando l'attività \"dichiarata\" non profit di chiese, partiti e fondazioni è da considerarsi esclusivamente non commerciale e quanto debba essere versato al fisco. Non un dettaglio secondario: senza il \u003Cmark>decreto\u003C/mark> del ministro Grilli la nuova Ici è una pistola caricata a salve, o meglio, a salmi.\r\n\r\nNulla di cui stupirsi: tra gli infiniti tagli imposti dal governo \u003Cmark>Monti\u003C/mark> in questi mesi non un euro è stato tagliato alla chiesa cattolica, la cui influenza sul potere politico è stata di recente confermata dalla decisione del governo di presentare ricorso contro la condanna della Corte Europea della norma della legge 40 sulla fecondazione assistita, che proibisce la diagnosi preimpianto degli embrioni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Francesco che ha evidenziato i meccanismi di una vera truffa di Stato.\r\n\r\nAscolta l’intervista: [audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/09/Frsncesco-Imu.mp3\"]\r\n\r\nScarica il file",[234,236,238],{"matched_tokens":235,"snippet":227},[],{"matched_tokens":237,"snippet":15},[],{"matched_tokens":239,"snippet":240},[76],"mario \u003Cmark>monti\u003C/mark>",[242,244],{"field":89,"matched_tokens":243,"snippet":231,"value":232},[70],{"field":34,"indices":245,"matched_tokens":246,"snippets":248},[95],[247],[76],[240],{"best_field_score":165,"best_field_weight":166,"fields_matched":95,"num_tokens_dropped":46,"score":167,"tokens_matched":95,"typo_prefix_score":46},{"document":251,"highlight":273,"highlights":278,"text_match":163,"text_match_info":281},{"cat_link":252,"category":253,"comment_count":46,"id":254,"is_sticky":46,"permalink":255,"post_author":49,"post_content":256,"post_date":257,"post_excerpt":52,"post_id":254,"post_modified":258,"post_thumbnail":259,"post_thumbnail_html":260,"post_title":261,"post_type":57,"sort_by_date":262,"tag_links":263,"tags":268},[43],[45],"89616","http://radioblackout.org/2024/05/villa-san-giovanni-corteo-no-ponte/","L’idea di realizzare un ponte che unisse la Sicilia alle coste della Calabria venne per primo al re Ferdinando II delle Due Sicilie. Restò solo un’idea, della quale si continuò a parlare anche dopo l’unità d’Italia, quando si valutò anche la possibilità di un collegamento sottomarino, analogo a quello che Napoleone immaginava di realizzare sotto la Manica per unire la Francia all’Inghilterra.\r\nIl primo vero progetto di ponte sospeso fu presentato da un gruppo di ingegneri delle ferrovie nel 1883, ma le condizioni sismiche della zona, testimoniate dal terremoto che si era verificato in Calabria nel 1783 e confermate da quello di Messina del 1908, costrinsero tutti a valutare i rischi della costruzione di un ponte.\r\n\r\nCosì per decenni si alternarono le proposte di ponti e tunnel sottomarini, fino al 1955 quando alcune imprese di costruzioni (Fiat, Pirelli, Italcementi, Finsider, Italstrade) costituirono il Gruppo Ponte di Messina S.p.A. per realizzare studi per la costruzione di un collegamento viario e ferroviario fra la Sicilia e il continente. Nel 1981 il gruppo diventerà la società concessionaria Stretto di Messina S.p.A. (Italstat e IRI con il 51%, Ferrovie dello Stato, ANAS, Regione Sicilia e Regione Calabria con il 12,25% ciascuno) con la competenza esclusiva della progettazione dell’opera, della realizzazione e dell’esercizio.\r\nIntanto nel 1969 il Ministero dei Lavori Pubblici aveva bandito un “Concorso internazionale di idee” per un progetto di attraversamento dello Stretto, stanziando un fondo di 3,2 miliardi di lire per gli studi preliminari. Furono presentati 143 progetti da studi di progettazione di tutto il mondo. La commissione giudicatrice composta da esperti di ogni disciplina assegnò 12 premi, 6 primi premi e 6 secondi premi ex aequo.\r\nGli esiti del concorso furono ignorati, mentre il progetto redatto dal Gruppo Ponte di Messina S.p.A. che prevedeva una campata unica di 3.300 metri diventò la base per sviluppare negli anni ’80 e ’90 il progetto preliminare per la gara d’appalto.\r\nFu il terzo governo Berlusconi ad assegnare nel 2006 la costruzione del ponte a Eurolink, capitanata da Impregilo S.p.A. che aveva presentato un’offerta per 3,88 miliardi di euro.\r\nL’anno dopo il nuovo governo guidato da Prodi bloccò di nuovo tutto l’iter, che ripartì con il nuovo governo Berlusconi, il quale dichiarò che i lavori sarebbero iniziati nel 2010 per concludersi nel 2016. Il costo previsto per l’opera era intanto diventato di 6,1 miliardi di euro.\r\nNel febbraio 2013 il governo Monti dichiarò il progetto chiuso per mancanza di fondi e avviò la proceduta di liquidazione della società Stretto di Messina che si sarebbe dovuta completare nel 2014. Ancora oggi la procedura non si è conclusa, per la pendenza di questioni irrisolte. La società chiede 300 milioni allo Stato per le attività che ha svolto, mentre in tribunale si difende dalle richieste dei fornitori non pagati. Adesso per riavviare la realizzazione del ponte decisa dal governo Meloni è prevista la riattivazione della società.\r\nIn tutti questi anni la società non ha lavorato gratis. Il personale incaricato di gestire la procedura di liquidazione è costato 214mila euro l’anno di stipendi, al quale vanno aggiunti i costi per il compenso del commissario nominato, per il collegio sindacale, per la società di revisione, per le spese legali…\r\nIl 16 marzo del 2023 il governo Meloni con decreto legge ha stabilito la realizzazione del Ponte sullo Stretto, il MIT stima un costo per la realizzazione dell’opera e di tutte le opere complementari di 15 miliardi di euro. L’inizio dei lavori è fissato nel 2024.\r\nPer il Ponte che non c’è sinora sono stati spesi 300 milioni di euro. Alla sua realizzazione si oppongono da sempre le realtà locali. Il movimento #No Ponte, costituito da comitati, singoli cittadini e movimenti della Sicilia nasce negli anni 2000, per opporsi alla devastazione ambientale e alle attività speculative legate a questa grande opera.\r\nNell’ultimo anno l’opposizione al Ponte si è rianimata, intorno a richieste più ampie che riguardano non solo la salvaguardia del territorio, ma anche la contrarietà a un modello di sviluppo che spaccia per progresso ogni grande opera.\r\nAd agosto del 2023 una grande manifestazione ha chiesto di potenziare le infrastrutture del tutto carenti in Sicilia, la messa in sicurezza della rete idrogeologica e il potenziamento del servizio sanitario, rifiutando la definizione di “ponte green” per quella infrastruttura che distruggerà gli ecosistemi e la biodiversità su un’area di straordinaria importanza ecologica e paesaggistica.\r\nAnche sull’altra sponda dello Stretto si è formata la rete No Ponte Calabria, per opporsi agli espropri che partiranno appena sarà approvato il progetto definitivo, per il quale il comitato scientifico ha espresso parere positivo, ma segnalando ben 68 punti critici. Ha chiesto maggiori verifiche sugli effetti del vento e della resistenza sismica, insieme alle analisi sui materiali che saranno utilizzati. Non proprio dettagli irrilevanti!\r\nIntanto chi si oppone si organizza.\r\nPer il 18 maggio è stata convocata una grande manifestazione che partirà alle 9,30 dalla stazione di Villa San Giovanni con lo slogan che unifica le due sponde: “Difendiamo lo Stretto, difendiamo il nostro futuro”.\r\nNel manifesto di convocazione scrivono: «Dopo decenni di depredazione del meridione e della Calabria in cui è stata smantellata la sanità, i servizi sono stati ridotti al di sotto del livello di sopravvivenza e l’economia è stata impoverita determinando l’emigrazione forzata di intere generazioni, adesso vorrebbero realizzare un’opera priva di qualsiasi utilità pubblica, il tanto famigerato Ponte sullo Stretto che, quand’anche fosse realizzabile, non servirebbe né alla Calabria né alla Sicilia».\r\nNe abbiamo parlato con Gino Sturniolo del movimento No Ponte\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/2024-05-14-sturniolo-no-ponte.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","14 Maggio 2024","2024-05-14 16:47:25","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/no-ponte-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/no-ponte-300x169.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/no-ponte-300x169.png 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/no-ponte-768x432.png 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/no-ponte.png 1000w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Villa San Giovanni. 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La commissione giudicatrice composta da esperti di ogni disciplina assegnò 12 premi, 6 primi premi e 6 secondi premi ex aequo.\r\nGli esiti del concorso furono ignorati, mentre il progetto redatto dal Gruppo Ponte di Messina S.p.A. che prevedeva una campata unica di 3.300 metri diventò la base per sviluppare negli anni ’80 e ’90 il progetto preliminare per la gara d’appalto.\r\nFu il terzo governo Berlusconi ad assegnare nel 2006 la costruzione del ponte a Eurolink, capitanata da Impregilo S.p.A. che aveva presentato un’offerta per 3,88 miliardi di euro.\r\nL’anno dopo il nuovo governo guidato da Prodi bloccò di nuovo tutto l’iter, che ripartì con il nuovo governo Berlusconi, il quale dichiarò che i lavori sarebbero iniziati nel 2010 per concludersi nel 2016. 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Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. 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Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo \u003Cmark>decreto\u003C/mark>, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da \u003Cmark>Monti\u003C/mark> decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? 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Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. 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Una novità per il nostro paese, che peraltro ha già ampiamente sperimentato la gestione privata di strutture di reclusione, affidando ad associazioni del cosiddetto “privato sociale” la gestione dei centri per tossicodipendenti.\r\nIn Gran Bretagna e negli Stati Uniti si tratta di un percorso intrapreso ormai da anni.\r\nLe carceri sono enormi discariche sociali, destinate a continuare a riempirsi, al di là delle nuove procedure messe in atto dal governo \u003Cmark>Monti\u003C/mark>, prima tra tutte le possibilità anche per i recidivi di trascorrere parte della pena ai domiciliari.\r\nGrazie alla legge Fini Giovanardi sulle droghe e alla Bossi Fini sull’immigrazione la popolazione carceraria si è dilatata e continuerà ad aumentare.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri della redazione di Psycoattiva: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/01/2012-01-22-Robertino-Barbieri-carceri.mp3|titles=2012 01 22 Robertino Barbieri carceri]\r\n\r\nscarica il file",{"matched_tokens":378,"snippet":379,"value":379},[19],"\u003Cmark>Monti\u003C/mark> da il via alle carceri private",[381,383],{"field":89,"matched_tokens":382,"snippet":375,"value":376},[70,19],{"field":205,"matched_tokens":384,"snippet":379,"value":379},[19],1157451471172665300,{"best_field_score":387,"best_field_weight":166,"fields_matched":95,"num_tokens_dropped":46,"score":388,"tokens_matched":95,"typo_prefix_score":46},"2211897737216","1157451471172665458",{"document":390,"highlight":407,"highlights":412,"text_match":163,"text_match_info":415},{"comment_count":46,"id":391,"is_sticky":46,"permalink":392,"podcastfilter":393,"post_author":394,"post_content":395,"post_date":396,"post_excerpt":52,"post_id":391,"post_modified":397,"post_thumbnail":398,"post_title":399,"post_type":364,"sort_by_date":400,"tag_links":401,"tags":406},"17500","http://radioblackout.org/podcast/italiakazachstan-petrolio-e-diritti-umani/",[],"anarres","La vicenda di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Ablyazov, fermata, richiusa al CIE, portata dal giudice di pace, espulsa con volo speciale pagato dall'ambasciata del Kazachstan, ha messo nei guai il governo Letta, obbligato ad una rapida marcia indietro. Il ministro degli Esteri Bonino e quello dell'Interno Alfano hanno fatto lo scaricabarile e non è certo il ritiro del decreto di espulsione a modificare la situazione.\r\nOrmai la donna e sua figlia sono nelle mani dell'autocrate kazako Nazarbayev, che difficilmente mollerà i due ostaggi che lo Stato italiano gli ha consegnato.\r\nI fragili equilibri nella grosse coalition all’italiana si sono ulteriormente incrinati, con il pressing nei confronti di Alfano da parte del PD. Sapremo nelle prossime ore se la testa Procaccini, il capo di Gabinetto del vice premier, dimessosi oggi basterà a chiudere la vicenda o se sarà solo l’innesco di una crisi che è ormai nell’aria da giorni. L’accelerazione l’ha data il mini aventino del PDL che si è arroccato in difesa di Berlusconi, cui la Cassazione potrebbe comminare in via definitiva l’interdizione dai pubblici uffici.\r\nUn fatto è certo. Questa vicenda poteva rimanere tra le tante denunce nel deserto di blog e siti di informazione di nicchia. Invece ha fatto irruzione sui principali quotidiani, che, con La Stampa, in prima fila, mantengono viva l’attenzione sul caso.\r\nSe a questo si aggiunge la pressione della governance economica a livello mondiale, che ha mal gradito la decisione di far slittare l’aumento dell’IVA e la questione dell’IMU a settembre, si ha un quadro che ricorda i giorni precedenti la caduta di Berlusconi e la nascita del governo Monti.\r\nDifficile tuttavia che in questo caso sia ipotizzabile un nuovo governo senza ricorso alle urne. D’altra parte l’indebolimento del paggio del Cavaliere potrebbe essere un obiettivo sufficiente a soddisfare la compagine guidata da Epifani.\r\nSu ben altro piano la vicenda dell’espulsione a tempo di record di Alma Slalabayeva dovrebbe indurre ad una riflessione sulla legislazione nei confronti degli immigrati nel nostro paese, che invece nessuno fa.\r\nLe norme che regolano l'espulsione degli stranieri senza documenti consentono ogni sorta di arbitrio. Uomini e donne possono essere rinchiusi nei CIE sino a 18 mesi solo per verificarne l'identità. Di fatto si tratta di una pena detentiva comminata per via amministrativa come strumento di punizione nei confronti degli immigrati che vi vengono rinchiusi e di minaccia a tutti gli altri. All'occorrenza le procedure possono essere rapidissime. I giudici di pace convalidano quasi sempre e in poche ore ci si può ritrovare all'altro capo del pianeta.\r\nCapita ogni giorno a uomini e donne senza storia, tritati da una macchina oliata negli anni per funzionare senza inceppi.\r\nUna macchina usata anche per questa espulsione eccellente, nei confronti di una donna che viveva con la figlia, il cognato e vari domestici in una villa a Casalpalocco.\r\nD'altra parte il dissidente Ablyazov è una figura tipica del panorama post sovietico: un imprenditore dai modi spicci e dall'attitudine a sostituire nel suo ruolo il primo ed unico presidente del Kazachstan indipendente.\r\nNei prossimi giorni capiremo le reali ripercussioni di questa vicenda sul governo, che gioca a scaricabarile, sperando che qualcuno possa bersi la storiella di un’operazione condotta da funzionari senza consultare il ministro.\r\n\r\nLa domanda che ci siamo posti noi è invece semplice. Perché? Perché il governo italiano ha condotto quest'operazione? Perché tanta fretta?\r\nLa risposta è altrettanto semplice: la trovate sul sito dell'ENI, i cui interessi sul gas e il petrolio kazako sono stati garantiti negli anni prima dal governo Prodi, poi, in successione, da Berlusconi Monti e Letta. Uno dei maggiori investimenti del colosso energetico italiano, dovrebbe cominciare a dare i primi frutti proprio quest'anno: è una gigantesca piattaforma off shore di pompaggio del greggio nel mare Caspio.\r\n\r\nAbbiamo cercato di capirne di più parlandone con Marco Tafel, che da molti anni si occupa di questioni energetiche e degli enormi interessi che le accompagnano.\r\nAscolta il suo intervento:\r\n2013 07 12 tafel kazachstan\r\n\r\nIl primo e unico capo di Stato dell’ex repubblica sovietica ha improntato la sua politica di sviluppo economico e commerciale, con un nucleo centrale costituito dalla risorse energetiche, uno esterno rappresentato da infrastrutture, tecnologia e know-how. Con l’Italia vi è un rapporto privilegiato che risale ai primi anni dopo l’indipendenza nel 1990.\r\nIl paese ha registrato negli ultimi vent’anni un tasso di crescita medio tra i più dinamici al mondo, circa l’8%, secondo soltanto alla Cina e al Qatar. A rendere attraente il Kazakhstan è la posizione strategica, l’ampiezza del territorio - il nono del Pianeta - e la grande ricchezza del sottosuolo. Occupa il 12 esimo posto al mondo per le riserve di petrolio e il 14 esimo per quelle di gas. Non guasta la stabilità politica garantita da una dittatura travestita da democrazia.\r\nDal 1992 in poi i rapporti tra Italia e Kazakhstan si sono rafforzati progressivamente in particolare con il Trattato di partenariato strategico firmato in occasione della visita a Roma di Nazarbaev, nel novembre 2009. In base ai dati kazaki, l’Italia è il secondo Paese destinatario dell’export (petrolio in larghissima parte), con una quota del 18% sul suo interscambio totale, seconda solo alla Cina. I dati del ministero degli Esteri la confermano al secondo posto come Paese esportatore in Kazakhstan - dopo la Germania - in ambito Ue, ed il sesto in assoluto, con oltre 900 milioni di euro nel 2012 (oltre il 70% di tutta l’Asia Centrale), ovvero cinque volte rispetto a dieci anni fa. Inoltre l’Unione doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakhstan, offre all’Italia opportunità per 34 miliardi di euro. L’Italia ha in Kazakhstan un ruolo centrale. La parte del leone l’ha recitata l’ENI. Il colosso degli idrocarburi è co-operatore del giacimento in produzione di Karachaganak, e partecipa al consorzio North Caspian Sea Psa per lo sviluppo del giacimento Kashagan. \r\n«Il Kazakhstan è per noi un impegno prioritario di lungo termine, dal punto di vista degli investimenti e della produzione futura - spiega Claudio Descalzi, direttore generale del settore Esplorazioni e Produzione -».\r\nDietro all’ Eni in Kazakhstan sono arrivate anche molte e piccole e medie imprese del settore «oil and gas», e in seguito, aziende del settore infrastrutturale o impegnate nelle costruzioni come Salini-Todini, Impregilo, Italcementi, Renco ed altre ancora. Sono 53 le società italiane con sede in Kazakhstan, secondo le stime 2013 dell’Ice, la maggior parte ad Almaty e Astana, oltre a un centinaio di joint-venture italo-kazake. Dal 2007 c’é anche Unicredit che controlla la quinta banca del Paese.\r\nIn prospettiva altri fronti di interscambio potrebbero aprirsi con la collaborazione tra Milano Expo 2015 e Astana 2017 per lo scambio di know-how italiano. Potrebbe registrarsi una crescita di esportazioni nei settori abbigliamento, lusso e arredo.\r\nIn questo quadro i diritti umani della moglie e della figlia di Mukhtar Ablyazov, il capitalista kazako, prima alleato e poi avversario acerrimo di Nazarbayev, contano davvero poco.","16 Luglio 2013","2018-10-17 22:10:40","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/07/eni-kasakistan-copy-200x110.jpg","Italia/Kazakhstan. 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[…] Sarebbe occorsa, come scrisse Malatesta da vecchio insurrezionalista, una «resistenza energica, metodica, organizzata contro la violenza avversaria». […] Invece, di fronte a tale inedita sistematica aggressione prevalse una sorta di fuga dalla realtà: «erano tutti d’accordo – secondo le parole di Emilio Lussu - nel valutare la violenza fascista come antistorica: non bisognava dunque contrapporre ad essa un’altra violenza antistorica, ma attendere il crearsi dell’ambiente favorevole ad una violenza storica».\r\n[…] La direzione del Partito socialista aveva preso presto le distanze dagli Arditi del popolo, malgrado le sincere simpatie manifestate dalla base, quali risultavano dalle pagine dell’«Avanti!»; ma tale decisione politica si rivelò ancora più grave con l’accettazione del cosiddetto Patto di pacificazione che il 2 agosto, nello studio romano del presidente della Camera De Nicola, venne unitamente sottoscritto dal Partito socialista, dalla Confederazione generale del lavoro e dai Fasci, e condiviso dall’Associazione nazionale combattenti, dal Partito popolare e dalla direzione di quello repubblicano. Il cosiddetto patto di Roma, infatti, all’art. 5 recitava: «Il PSI dichiara di essere estraneo all’organizzazione e all’opera degli Arditi del popolo, come del resto risulta già dallo stesso convegno di questi che si proclamano al di fuori di tutti i partiti». A distanza di pochi anni, Nenni molto lucidamente definì il Trattato «un grave errore di valutazione» persino «grottesco se si pensa che il Partito nello stesso momento, rifiutava qualsiasi intesa coi gruppi antifascisti».\r\nAl contrario, l’organo dei Fasci poteva esprimere la propria soddisfazione: «gli arditi del popolo, i quali ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e dai socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera».\r\nQuattro giorni dopo la firma del Patto di pacificazione pure il Partito comunista, attraverso un comunicato dell’Esecutivo datato 7 agosto, si “chiamava fuori” minacciando i «più severi provvedimenti» per i militanti comunisti che avessero fatto parte degli Arditi del popolo, lasciando questi ultimi in un sempre più pesante isolamento, specie dopo la dissociazione del Partito repubblicano avvenuta alla fine di luglio.\r\n\r\nIl discorso è diverso per il movimento anarchico che, invece, respinse decisamente ogni ipotesi di pacificazione, continuando a sostenere gli Arditi del popolo. Sino ad allora, a differenza degli altri raggruppamenti politici, gli anarchici non avevano sentito l’esigenza di dare vita a proprie strutture di difesa, in quanto la loro prassi era già improntata ad una lunga consuetudine di azione diretta e organizzazione semi-legale; ma la comparsa dell’arditismo popolare rappresentava per loro un’occasione per dare impulso all’iniziativa rivoluzionaria.\r\n[…] Pur risultando l’unica realtà del movimento di classe ad appoggiare sino all’ultimo gli Arditi del popolo - come attestato dai comunicati dell’Associazione regolarmente ospitati sia su «Umanità Nova» che sulla stampa libertaria in genere - anche in seno all’anarchismo vi fu un dibattito in merito, a causa soprattutto della struttura militarista (disinvoltamente accettata da molti anarchici di tendenza individualista e antiorganizzatrice), ma anche per la sua composizione non esclusivamente proletaria (vista invece con diffidenza dai comunisti anarchici). L’esistenza di alcune divergenze teoriche si può intuire da un articolo pubblicato, in data 20 luglio 1921, su «Il Seme», settimanale livornese dell’Uniona anarchica italiana, di cui si riporta uno stralcio: «Chi sono cotesti Arditi del popolo? Sento già questa domanda affiorare alle labbra di qualcuno di quei compagni ingenui o forse troppo puritani, che vedono dappertutto l’incoerenza che nuoce ai principi della incorruttibile Anarchia nostra [...] La rivoluzione non si affretta leggendo filosofia o scrivendo articoli di giornale, ma scendendo sul terreno dell’azione. Ed era l’ora. Anche l’anarchismo divenuto troppo giornalaio minacciava di irretirsi di rinunce, e troppo lasciava correre imponendosi un pericoloso isolamento [...] Possiamo adunque pensare che gli Arditi del popolo, sorti dalla fraterna riconciliazione dei rivoluzionari romani, sono sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Dobbiamo aiutarli, incoraggiarli, imitarli». In un altro articolo, seppure favorevole agli AdP, pubblicato su «Il Libertario» del 21 luglio, veniva premesso che «Noi, lo si sa, non abbiamo troppe simpatie per l’apparato militaresco e per la sottomissione e disciplina che consegue all’organizzazione di questi eserciti proletari».\r\n\r\nNel 1922, a Roma, probabilmente per rafforzare la difesa delle proprie sedi e manifestazioni, i preesistenti Nuclei libertari «Arditi Anarchici» costituirono il 1° battaglione «Arditi Anarchici» e fu avviata la formazione del 2° e del 3°, come si apprende dagli articoli pubblicati nella cronaca romana di «Umanità Nova» del 21 e 28 ottobre. Da un fonogramma della questura di Roma al Ministero dell’Interno, in data 14 novembre, si apprende della perquisizione e dell’arresto di Raffaele De Angelis, ritenuto uno dei principali organizzatori dei «Nuclei giovanili arditi anarchici».\r\n[…] Numerosi furono i militanti anarchici, sia di tendenza individualista che comunista, promotori dell’organizzazione ardito-popolare e con responsabilità di comando in essa, ad iniziare dalla sezione romana con A. Paolinelli, A. Eluisi, V. Santarelli, R. Gentilezza, C. Mannarelli, G. Gallinella, A. Di Giacomo, N. Rita, A. Mastrosanti, U. Piermattei, S. Stagnetti, G. Luzzi e, in provincia, Del Prete a Genzano e V. De Fazi a Civitavecchia. Altri anarchici con ruoli dirigenti furono A. Del Sole a Orte (Vt); P. Ranieri a Tavernelle (Pu); A. Cieri a Parma; G. Tenaglia, P. Tripol, A. Poggiani e M. Camin a Trento; I. Margherita a Torino; M. Corona a Vercelli; N. Prina a Gattinara (Vc); E. Lelli a Bologna; E. Canzi a Piacenza; P. Binazzi a La Spezia; U. Marzocchi a La Spezia e a Savona; G. Del Freo e G. Raffaelli a Montignoso (Ms); R. Sarti e A. Raspini a Firenze; V. Mazzoni, O. Buoncristiani, R. Corucci e A. Fontana a Pisa; A. Consani, V. Recchi e L. Filippi a Livorno; T. Eschini a Pistoia; G. Lessi a Piombino (Li). Molti anche gli anarchici che, militando negli AdP, rimasero uccisi, tra i quali: A. Baldasseroni, F. Nardi e F. Filippetti a Livorno; S. Rossi a Castagneto Carducci (Li); L. Landi, A. Lucarelli, G. Morelli a Piombino (Li); C. Fava e A. Puzzarini a Parma; Nello Rossi a Rimini, F. Raffaelli a Terni (Pg); R. Semenzato a Dolo (Ve); G. Bonci a Spello (Pg); C. Comaschi a Cascina (Pi).\r\n[…] L’intransigenza dell’Unione sindacale italiana era nota allo stesso Mussolini che, nel 1920, commentando un progetto insurrezionale “dannunziano”, ebbe ad osservare: «Bisogna dunque fare il possibile perché la fulminea marcia su Roma non sia complicata da uno sciopero generale […] Ora, per evitare lo sciopero generale o analoghi movimenti di masse e per non essere costretti a reprimerli, occorre, se non convincere i capi, dividerli: il che disorienterà le masse stesse.\r\nNon si può contare sulla Unione sindacale italiana, ma si può contare, sino un certo punto, sulla Confederazione Generale del Lavoro».\r\nPer la sua attività l’USI subì innumerevoli distruzioni e l’uccisione di numerosi militanti: tra le Camere del lavoro e le sezioni dell’organizzazione “anarco-sindacalista” devastate od occupate dagli squadristi, in camicia nera o in uniforme, vi furono quelle di Milano, Varese, Suzzara, Monastero, Brescia, Crema, Mantova, Piacenza, Rovereto, Vicenza, Bologna, Ferrara, Imola, Parma, Modena, Genova, Sampierdarena, Sestri Ponente, Savona, La Spezia, Firenze, Arezzo, Pisa, Carrara, Lucca, Viareggio, Livorno, Pistoia, Piombino, San Giovanni Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Terni, Fano, Roma, Andria, Taranto, Cerignola, Minervino Murge, Iglesias, nonché quelle di Bari e Verona, da poco fuoriuscite dall’Unione.\r\nIl prefetto di Genova, legittimando l’invasione fascista della Camera del lavoro di Sestri Ponente, difesa anche dagli Arditi del popolo, sottolineò che questa «non è socialista ufficiale, ma sindacalista anarchica comunista ed ha sempre dato motivo a pericolo di disordini per suo carattere violento e rivoluzionario».\r\nIl 7 gennaio 1925 il prefetto di Milano decretò lo scioglimento definitivo dell’USI su tutto il territorio nazionale in quanto «organizzazione sovvertitrice e antinazionale», anche se poi questa avrebbe continuato a operare in clandestinità e all’estero.","23 Aprile 2012","Il prossimo 28 aprile si svolgerà a Reggio Emilia un convegno sugli Arditi del popolo.\r\n\r\nIl convegno si svolgerà in via Dom Minzoni dalle 15.\r\nInterverranno Luigi Balsamini, Antonio Zambonelli e Marco Rossi.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Marco Rossi, autore di “Arditi non gendarmi!”\r\n\r\nAscolta l’approfondimento: \r\n\r\nDi seguito l’estratto di un articolo di Marco comparso su Arivista:\r\n\r\nLe battute d’arresto e i rovesci che i fascisti subirono avvennero quasi sempre in contesti urbani (Roma, Bari, Parma...) dove la moderna classe operaia, reduce dall’esperienza dell’occupazione delle fabbriche, e il combattentismo rivoluzionario poterono opporre “guerra alla guerra” trasformando le strade e i quartieri in campi trincerati, difesi da solidali moltitudini popolari, tanto che si dovette ricorrere alle artiglierie, alle autoblindo e persino agli aerei.\r\nPer questi motivi, l’isolamento e il controllo politico imposto agli Arditi del popolo dai partiti socialista, repubblicano e comunista, costituì oggettivamente un grave fattore di indebolimento dell’antifascismo, in quanto l’arditismo popolare era in grado di contrastare con efficacia - ossia in termini militari e di massa - «la più atroce e difficile guerriglia che classe operaia abbia mai dovuto combattere» (come ebbe a definirla Gramsci). […] Sarebbe occorsa, come scrisse Malatesta da vecchio insurrezionalista, una «resistenza energica, metodica, organizzata contro la violenza avversaria». […] Invece, di fronte a tale inedita sistematica aggressione prevalse una sorta di fuga dalla realtà: «erano tutti d’accordo – secondo le parole di Emilio Lussu - nel valutare la violenza fascista come antistorica: non bisognava dunque contrapporre ad essa un’altra violenza antistorica, ma attendere il crearsi dell’ambiente favorevole ad una violenza storica».\r\n[…] La direzione del Partito socialista aveva preso presto le distanze dagli Arditi del popolo, malgrado le sincere simpatie manifestate dalla base, quali risultavano dalle pagine dell’«Avanti!»; ma tale decisione politica si rivelò ancora più grave con l’accettazione del cosiddetto Patto di pacificazione che il 2 agosto, nello studio romano del presidente della Camera De Nicola, venne unitamente sottoscritto dal Partito socialista, dalla Confederazione generale del lavoro e dai Fasci, e condiviso dall’Associazione nazionale combattenti, dal Partito popolare e dalla direzione di quello repubblicano. Il cosiddetto patto di Roma, infatti, all’art. 5 recitava: «Il PSI dichiara di essere estraneo all’organizzazione e all’opera degli Arditi del popolo, come del resto risulta già dallo stesso convegno di questi che si proclamano al di fuori di tutti i partiti». A distanza di pochi anni, Nenni molto lucidamente definì il Trattato «un grave errore di valutazione» persino «grottesco se si pensa che il Partito nello stesso momento, rifiutava qualsiasi intesa coi gruppi antifascisti».\r\nAl contrario, l’organo dei Fasci poteva esprimere la propria soddisfazione: «gli arditi del popolo, i quali ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e dai socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera».\r\nQuattro giorni dopo la firma del Patto di pacificazione pure il Partito comunista, attraverso un comunicato dell’Esecutivo datato 7 agosto, si “chiamava fuori” minacciando i «più severi provvedimenti» per i militanti comunisti che avessero fatto parte degli Arditi del popolo, lasciando questi ultimi in un sempre più pesante isolamento, specie dopo la dissociazione del Partito repubblicano avvenuta alla fine di luglio.\r\n\r\nIl discorso è diverso per il movimento anarchico che, invece, respinse decisamente ogni ipotesi di pacificazione, continuando a sostenere gli Arditi del popolo. Sino ad allora, a differenza degli altri raggruppamenti politici, gli anarchici non avevano sentito l’esigenza di dare vita a proprie strutture di difesa, in quanto la loro prassi era già improntata ad una lunga consuetudine di azione diretta e organizzazione semi-legale; ma la comparsa dell’arditismo popolare rappresentava per loro un’occasione per dare impulso all’iniziativa rivoluzionaria.\r\n[…] Pur risultando l’unica realtà del movimento di classe ad appoggiare sino all’ultimo gli Arditi del popolo - come attestato dai comunicati dell’Associazione regolarmente ospitati sia su «Umanità Nova» che sulla stampa libertaria in genere - anche in seno all’anarchismo vi fu un dibattito in merito, a causa soprattutto della struttura militarista (disinvoltamente accettata da molti anarchici di tendenza individualista e antiorganizzatrice), ma anche per la sua composizione non esclusivamente proletaria (vista invece con diffidenza dai comunisti anarchici). L’esistenza di alcune divergenze teoriche si può intuire da un articolo pubblicato, in data 20 luglio 1921, su «Il Seme», settimanale livornese dell’Uniona anarchica italiana, di cui si riporta uno stralcio: «Chi sono cotesti Arditi del popolo? Sento già questa domanda affiorare alle labbra di qualcuno di quei compagni ingenui o forse troppo puritani, che vedono dappertutto l’incoerenza che nuoce ai principi della incorruttibile Anarchia nostra [...] La rivoluzione non si affretta leggendo filosofia o scrivendo articoli di giornale, ma scendendo sul terreno dell’azione. Ed era l’ora. Anche l’anarchismo divenuto troppo giornalaio minacciava di irretirsi di rinunce, e troppo lasciava correre imponendosi un pericoloso isolamento [...] Possiamo adunque pensare che gli Arditi del popolo, sorti dalla fraterna riconciliazione dei rivoluzionari romani, sono sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Dobbiamo aiutarli, incoraggiarli, imitarli». In un altro articolo, seppure favorevole agli AdP, pubblicato su «Il Libertario» del 21 luglio, veniva premesso che «Noi, lo si sa, non abbiamo troppe simpatie per l’apparato militaresco e per la sottomissione e disciplina che consegue all’organizzazione di questi eserciti proletari».\r\n\r\nNel 1922, a Roma, probabilmente per rafforzare la difesa delle proprie sedi e manifestazioni, i preesistenti Nuclei libertari «Arditi Anarchici» costituirono il 1° battaglione «Arditi Anarchici» e fu avviata la formazione del 2° e del 3°, come si apprende dagli articoli pubblicati nella cronaca romana di «Umanità Nova» del 21 e 28 ottobre. Da un fonogramma della questura di Roma al Ministero dell’Interno, in data 14 novembre, si apprende della perquisizione e dell’arresto di Raffaele De Angelis, ritenuto uno dei principali organizzatori dei «Nuclei giovanili arditi anarchici».\r\n[…] Numerosi furono i militanti anarchici, sia di tendenza individualista che comunista, promotori dell’organizzazione ardito-popolare e con responsabilità di comando in essa, ad iniziare dalla sezione romana con A. Paolinelli, A. Eluisi, V. Santarelli, R. Gentilezza, C. Mannarelli, G. Gallinella, A. Di Giacomo, N. Rita, A. Mastrosanti, U. Piermattei, S. Stagnetti, G. Luzzi e, in provincia, Del Prete a Genzano e V. De Fazi a Civitavecchia. Altri anarchici con ruoli dirigenti furono A. Del Sole a Orte (Vt); P. Ranieri a Tavernelle (Pu); A. Cieri a Parma; G. Tenaglia, P. Tripol, A. Poggiani e M. Camin a Trento; I. Margherita a Torino; M. Corona a Vercelli; N. Prina a Gattinara (Vc); E. Lelli a Bologna; E. Canzi a Piacenza; P. Binazzi a La Spezia; U. Marzocchi a La Spezia e a Savona; G. Del Freo e G. Raffaelli a Montignoso (Ms); R. Sarti e A. Raspini a Firenze; V. Mazzoni, O. Buoncristiani, R. Corucci e A. Fontana a Pisa; A. Consani, V. Recchi e L. Filippi a Livorno; T. Eschini a Pistoia; G. Lessi a Piombino (Li). Molti anche gli anarchici che, militando negli AdP, rimasero uccisi, tra i quali: A. Baldasseroni, F. Nardi e F. Filippetti a Livorno; S. Rossi a Castagneto Carducci (Li); L. Landi, A. Lucarelli, G. Morelli a Piombino (Li); C. Fava e A. Puzzarini a Parma; Nello Rossi a Rimini, F. Raffaelli a Terni (Pg); R. Semenzato a Dolo (Ve); G. Bonci a Spello (Pg); C. Comaschi a Cascina (Pi).\r\n[…] L’intransigenza dell’Unione sindacale italiana era nota allo stesso Mussolini che, nel 1920, commentando un progetto insurrezionale “dannunziano”, ebbe ad osservare: «Bisogna dunque fare il possibile perché la fulminea marcia su Roma non sia complicata da uno sciopero generale […] Ora, per evitare lo sciopero generale o analoghi movimenti di masse e per non essere costretti a reprimerli, occorre, se non convincere i capi, dividerli: il che disorienterà le masse stesse.\r\nNon si può contare sulla Unione sindacale italiana, ma si può contare, sino un certo punto, sulla Confederazione Generale del Lavoro».\r\nPer la sua attività l’USI subì innumerevoli distruzioni e l’uccisione di numerosi militanti: tra le Camere del lavoro e le sezioni dell’organizzazione “anarco-sindacalista” devastate od occupate dagli squadristi, in camicia nera o in uniforme, vi furono quelle di Milano, Varese, Suzzara, Monastero, Brescia, Crema, Mantova, Piacenza, Rovereto, Vicenza, Bologna, Ferrara, Imola, Parma, Modena, Genova, Sampierdarena, Sestri Ponente, Savona, La Spezia, Firenze, Arezzo, Pisa, Carrara, Lucca, Viareggio, Livorno, Pistoia, Piombino, San Giovanni Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Terni, Fano, Roma, Andria, Taranto, Cerignola, Minervino Murge, Iglesias, nonché quelle di Bari e Verona, da poco fuoriuscite dall’Unione.\r\nIl prefetto di Genova, legittimando l’invasione fascista della Camera del lavoro di Sestri Ponente, difesa anche dagli Arditi del popolo, sottolineò che questa «non è socialista ufficiale, ma sindacalista anarchica comunista ed ha sempre dato motivo a pericolo di disordini per suo carattere violento e rivoluzionario».\r\nIl 7 gennaio 1925 il prefetto di Milano decretò lo scioglimento definitivo dell’USI su tutto il territorio nazionale in quanto «organizzazione sovvertitrice e antinazionale», anche se poi questa avrebbe continuato a operare in clandestinità e all’estero.\r\n","2018-10-17 22:11:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/arditi_28_04_2012-200x110.jpg","Siam del popolo gli arditi",1335177189,[429,430,431,432,433],"http://radioblackout.org/tag/antifascismo/","http://radioblackout.org/tag/arditi-del-popolo/","http://radioblackout.org/tag/convegno/","http://radioblackout.org/tag/reggio-emilia/","http://radioblackout.org/tag/resistenza/",[435,349,337,343,339],"antifascismo",{"post_content":437},{"matched_tokens":438,"snippet":439,"value":440},[19],"Freo e G. 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[…] Sarebbe occorsa, come scrisse Malatesta da vecchio insurrezionalista, una «resistenza energica, metodica, organizzata contro la violenza avversaria». […] Invece, di fronte a tale inedita sistematica aggressione prevalse una sorta di fuga dalla realtà: «erano tutti d’accordo – secondo le parole di Emilio Lussu - nel valutare la violenza fascista come antistorica: non bisognava dunque contrapporre ad essa un’altra violenza antistorica, ma attendere il crearsi dell’ambiente favorevole ad una violenza storica».\r\n[…] La direzione del Partito socialista aveva preso presto le distanze dagli Arditi del popolo, malgrado le sincere simpatie manifestate dalla base, quali risultavano dalle pagine dell’«Avanti!»; ma tale decisione politica si rivelò ancora più grave con l’accettazione del cosiddetto Patto di pacificazione che il 2 agosto, nello studio romano del presidente della Camera De Nicola, venne unitamente sottoscritto dal Partito socialista, dalla Confederazione generale del lavoro e dai Fasci, e condiviso dall’Associazione nazionale combattenti, dal Partito popolare e dalla direzione di quello repubblicano. Il cosiddetto patto di Roma, infatti, all’art. 5 recitava: «Il PSI dichiara di essere estraneo all’organizzazione e all’opera degli Arditi del popolo, come del resto risulta già dallo stesso convegno di questi che si proclamano al di fuori di tutti i partiti». A distanza di pochi anni, Nenni molto lucidamente definì il Trattato «un grave errore di valutazione» persino «grottesco se si pensa che il Partito nello stesso momento, rifiutava qualsiasi intesa coi gruppi antifascisti».\r\nAl contrario, l’organo dei Fasci poteva esprimere la propria soddisfazione: «gli arditi del popolo, i quali ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e dai socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera».\r\nQuattro giorni dopo la firma del Patto di pacificazione pure il Partito comunista, attraverso un comunicato dell’Esecutivo datato 7 agosto, si “chiamava fuori” minacciando i «più severi provvedimenti» per i militanti comunisti che avessero fatto parte degli Arditi del popolo, lasciando questi ultimi in un sempre più pesante isolamento, specie dopo la dissociazione del Partito repubblicano avvenuta alla fine di luglio.\r\n\r\nIl discorso è diverso per il movimento anarchico che, invece, respinse decisamente ogni ipotesi di pacificazione, continuando a sostenere gli Arditi del popolo. Sino ad allora, a differenza degli altri raggruppamenti politici, gli anarchici non avevano sentito l’esigenza di dare vita a proprie strutture di difesa, in quanto la loro prassi era già improntata ad una lunga consuetudine di azione diretta e organizzazione semi-legale; ma la comparsa dell’arditismo popolare rappresentava per loro un’occasione per dare impulso all’iniziativa rivoluzionaria.\r\n[…] Pur risultando l’unica realtà del movimento di classe ad appoggiare sino all’ultimo gli Arditi del popolo - come attestato dai comunicati dell’Associazione regolarmente ospitati sia su «Umanità Nova» che sulla stampa libertaria in genere - anche in seno all’anarchismo vi fu un dibattito in merito, a causa soprattutto della struttura militarista (disinvoltamente accettata da molti anarchici di tendenza individualista e antiorganizzatrice), ma anche per la sua composizione non esclusivamente proletaria (vista invece con diffidenza dai comunisti anarchici). L’esistenza di alcune divergenze teoriche si può intuire da un articolo pubblicato, in data 20 luglio 1921, su «Il Seme», settimanale livornese dell’Uniona anarchica italiana, di cui si riporta uno stralcio: «Chi sono cotesti Arditi del popolo? Sento già questa domanda affiorare alle labbra di qualcuno di quei compagni ingenui o forse troppo puritani, che vedono dappertutto l’incoerenza che nuoce ai principi della incorruttibile Anarchia nostra [...] La rivoluzione non si affretta leggendo filosofia o scrivendo articoli di giornale, ma scendendo sul terreno dell’azione. Ed era l’ora. Anche l’anarchismo divenuto troppo giornalaio minacciava di irretirsi di rinunce, e troppo lasciava correre imponendosi un pericoloso isolamento [...] Possiamo adunque pensare che gli Arditi del popolo, sorti dalla fraterna riconciliazione dei rivoluzionari romani, sono sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Dobbiamo aiutarli, incoraggiarli, imitarli». In un altro articolo, seppure favorevole agli AdP, pubblicato su «Il Libertario» del 21 luglio, veniva premesso che «Noi, lo si sa, non abbiamo troppe simpatie per l’apparato militaresco e per la sottomissione e disciplina che consegue all’organizzazione di questi eserciti proletari».\r\n\r\nNel 1922, a Roma, probabilmente per rafforzare la difesa delle proprie sedi e manifestazioni, i preesistenti Nuclei libertari «Arditi Anarchici» costituirono il 1° battaglione «Arditi Anarchici» e fu avviata la formazione del 2° e del 3°, come si apprende dagli articoli pubblicati nella cronaca romana di «Umanità Nova» del 21 e 28 ottobre. Da un fonogramma della questura di Roma al Ministero dell’Interno, in data 14 novembre, si apprende della perquisizione e dell’arresto di Raffaele De Angelis, ritenuto uno dei principali organizzatori dei «Nuclei giovanili arditi anarchici».\r\n[…] Numerosi furono i militanti anarchici, sia di tendenza individualista che comunista, promotori dell’organizzazione ardito-popolare e con responsabilità di comando in essa, ad iniziare dalla sezione romana con A. Paolinelli, A. Eluisi, V. Santarelli, R. Gentilezza, C. Mannarelli, G. Gallinella, A. Di Giacomo, N. Rita, A. Mastrosanti, U. Piermattei, S. Stagnetti, G. Luzzi e, in provincia, Del Prete a Genzano e V. De Fazi a Civitavecchia. Altri anarchici con ruoli dirigenti furono A. Del Sole a Orte (Vt); P. Ranieri a Tavernelle (Pu); A. Cieri a Parma; G. Tenaglia, P. Tripol, A. Poggiani e M. Camin a Trento; I. Margherita a Torino; M. Corona a Vercelli; N. Prina a Gattinara (Vc); E. Lelli a Bologna; E. Canzi a Piacenza; P. 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Comaschi a Cascina (Pi).\r\n[…] L’intransigenza dell’Unione sindacale italiana era nota allo stesso Mussolini che, nel 1920, commentando un progetto insurrezionale “dannunziano”, ebbe ad osservare: «Bisogna dunque fare il possibile perché la fulminea marcia su Roma non sia complicata da uno sciopero generale […] Ora, per evitare lo sciopero generale o analoghi movimenti di masse e per non essere costretti a reprimerli, occorre, se non convincere i capi, dividerli: il che disorienterà le masse stesse.\r\nNon si può contare sulla Unione sindacale italiana, ma si può contare, sino un certo punto, sulla Confederazione Generale del Lavoro».\r\nPer la sua attività l’USI subì innumerevoli distruzioni e l’uccisione di numerosi militanti: tra le Camere del lavoro e le sezioni dell’organizzazione “anarco-sindacalista” devastate od occupate dagli squadristi, in camicia nera o in uniforme, vi furono quelle di Milano, Varese, Suzzara, Monastero, Brescia, Crema, Mantova, Piacenza, Rovereto, Vicenza, Bologna, Ferrara, Imola, Parma, Modena, Genova, Sampierdarena, Sestri Ponente, Savona, La Spezia, Firenze, Arezzo, Pisa, Carrara, Lucca, Viareggio, Livorno, Pistoia, Piombino, San Giovanni Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Terni, Fano, Roma, Andria, Taranto, Cerignola, Minervino Murge, Iglesias, nonché quelle di Bari e Verona, da poco fuoriuscite dall’Unione.\r\nIl prefetto di Genova, legittimando l’invasione fascista della Camera del lavoro di Sestri Ponente, difesa anche dagli Arditi del popolo, sottolineò che questa «non è socialista ufficiale, ma sindacalista anarchica comunista ed ha sempre dato motivo a pericolo di disordini per suo carattere violento e rivoluzionario».\r\nIl 7 gennaio 1925 il prefetto di Milano \u003Cmark>decretò\u003C/mark> lo scioglimento definitivo dell’USI su tutto il territorio nazionale in quanto «organizzazione sovvertitrice e antinazionale», anche se poi questa avrebbe continuato a operare in clandestinità e all’estero.",[442],{"field":89,"matched_tokens":443,"snippet":439,"value":440},[19],1155199637401895000,{"best_field_score":446,"best_field_weight":166,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":447,"tokens_matched":95,"typo_prefix_score":14},"1112369528832","1155199637401895025",6637,{"collection_name":364,"first_q":64,"per_page":321,"q":64},["Reactive",451],{},["Set"],["ShallowReactive",454],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fgZtOnAEdqC2oGWw0rlDbtt-gnQt82nciT6dQ7kH4B2s":-1},true,"/search?query=decreto+monti"]