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A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.\r\nTre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti.\r\nUno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nDopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano. Napolitano, come il suo collega Violante, che equiparò i partigiani ai fascisti di Salò, riscrive la storia.\r\nNel 2009 cercò di mettere una pietra tombale sulle vicende di quegli anni invitando alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino.\r\nPoi è arrivato Cucchiarelli con il suo libro di fantasie spacciate per verità. Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio.\r\nAl centro la tesi folle che nello stesso giorno nella medesima banca qualcuno avesse piazzato due bombe, una più debole, fatta mettere da settori dello Stato che volevano un irrigidimento della morsa disciplinare sui movimenti, l’altra, cattiva ed assassina, fatta sistemare dalla NATO per provocare il golpe in Italia. Prove? Nessuna! Lo scopo? Chiarissimo! Inventarsi la tesi degli opposti stragismi, uno anarchico, l’altro fascista, entrambi burattini manovrati nel buio di trame oscure.\r\nNel romanzo di Giordana ci sono due santi e martiri, che ci lasceranno la pelle ma salveranno lo Stato. Nell’improbabile ruolo, il commissario Luigi Calabresi e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro.\r\nAldo Moro, tra i protagonisti dell’attacco ai movimenti sociali, che stavano mettendo in seria discussione un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’autoritarismo, la violenza di Stato, si trasforma in un mistico con la premonizione del martirio, antesignano di quel compromesso storico tra democrazia cristiana e partito comunista, dove oggi il PD, riconosce le proprie radici. Peccato che del suo ruolo di salvatore della democrazia non vi sia alcuna traccia né nei documenti né nelle testimonianze. Una delle tante libertà letterarie di Giordana.\r\nCalabresi era un noto persecutore di anarchici: fu lui a puntare il dito contro gli anarchici milanesi, sin dai tempi delle bombe del 25 aprile alla Fiera Campionaria di Milano.\r\nGiuseppe Pinelli, interrogato per tre giorni e tre notti, quando i termini legali del fermo erano ormai scaduti, venne gettato dalla finestra della stanza di Calabresi. Forse era già morto per le botte ricevute, forse morì dopo. Calabresi, Guida, il questore di Milano già a capo del confino di Ventotene, e gli altri poliziotti e carabinieri sostennero che si era ammazzato.\r\nLo fecero tanto male, che Gerardo D’ambrosio, allora giovane PM, oggi senatore PD, chiuderà l’inchiesta sostenendo che Pinelli era morto per “un malore attivo”. Tesi edulcorata e ridicola che Giordana riprende nel suo film.\r\nI giudici “perbene” sono i comprimari nella classifica dei buoni. Peccato che dopo 43 anni dalle aule di tribunale non sia uscito nulla. E nulla poteva uscire, perché lo Stato non condanna se stesso.\r\n\r\nQuesto film è uno dei tanti tasselli di un revisionismo di “sinistra” che ha tentato di riscrivere quegli anni all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile.\r\nUno dei tanti modi di liquidare un’intera epoca di lotte e passioni civili, trasformando gli anarchici in macchiette, un po’ sciocchi, utili idioti magari un po’ criminali.\r\nIl grande essente, volutamente rimosso, cancellato, nascosto è il 1969.\r\nIl grande freddo del mese della strage, seguiva l’autunno caldissimo di quell’anno. Di quell’autunno di lotte operaie oggi resta ben poco. L’articolo 18 è l’ultimo frammento rimasto: PD e PDL, uniti contro chi vive di lavoro, lo stanno cancellando.\r\nNoi, tenaci, ricordiamo: se in Italia non ci fu il golpe, se il disegno dei Calabresi, Guida, Rumor non funzionò fu grazie ad un paese, dove le menzogne di Stato avevano le gambe corte, fu grazie ai movimenti sociali che riempirono le piazze per gridare una verità, allora evidente a tutti.\r\n“La strage è di Stato, Valpreda è innocente. Pinelli è stato assassinato e Calabresi è uno dei suoi assassini.”\r\nIl destino dei vinti non è solo la sconfitta ma anche l’oblio. Quell’oblio al quale Giordana, Cucchiarelli e il partito del Presidente Napolitano vogliono consegnare quegli anni.\r\nQuella di Giordana è una vera strage della memoria.\r\nA noi tutti il compito di mantenerla viva. Finché gli sfruttati e gli oppressi di questo paese sapranno ricordare la loro Storia, non saranno ancora sconfitti. Finché gli sfruttati e gli oppressi sapranno alzare la testa, lottare per una società di liberi ed eguali, senza Stati, giudici, poliziotti, la strada sarà ancora aperta.\r\nOgni anno, ogni giorno, ogni momento può essere una nuova stagione delle ciliegie. Cogliamole e facciamone dono a chi verrà dopo.","17 Aprile 2012","Nel dicembre del 1969 Paolo aveva appena compiuto diciottanni. \r\nDopo la strage alla banca dell’Agricoltura – 17 morti e 88 feriti - fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.\r\nLui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.\r\n\r\nVenerdì 20 aprile ore 21\r\nnella sede della federazione anarchica torinese\r\nin corso Palermo 46\r\nIncontro con Paolo Finzi\r\n\r\nPrima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri \r\n“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli” \r\ncon Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.\r\n\r\nTestimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita. \r\n\r\nAscolta la chiacchierata con Paolo a radio Blackout ","2018-10-17 22:11:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/pinelli_anarchiac-200x110.jpg","La strage della memoria. 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Gli stragisti sedevano sui banchi","Nel dicembre del 1969 Paolo aveva appena compiuto diciottanni.\r\nDopo la strage alla banca dell’Agricoltura – 17 morti e 88 feriti - fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.\r\nLui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.\r\n\r\nTestimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita.\r\n\r\nAscolta la chiacchierata con Paolo a radio Blackout: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/2012-04-15-finzi-corto.mp3|titles=2012 04 15 finzi corto]\r\n\r\nScarica l'audio \r\n\r\nVenerdì 20 aprile ore 21\r\nincontro con Paolo Finzi\r\nnella sede della federazione anarchica torinese\r\nin corso Palermo 46\r\n\r\nPrima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri\r\n“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli” \r\ncon Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.\r\n\r\nTorniamo indietro. A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.\r\nTre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti.\r\nUno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta con la favola dei “servizi segreti \u003Cmark>deviati”\u003C/mark>! Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nDopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano. Napolitano, come il suo collega Violante, che equiparò i partigiani ai fascisti di Salò, riscrive la storia.\r\nNel 2009 cercò di mettere una pietra tombale sulle vicende di quegli anni invitando alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino.\r\nPoi è arrivato Cucchiarelli con il suo libro di fantasie spacciate per verità. Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio.\r\nAl centro la tesi folle che nello stesso giorno nella medesima banca qualcuno avesse piazzato due bombe, una più debole, fatta mettere da settori dello Stato che volevano un irrigidimento della morsa disciplinare sui movimenti, l’altra, cattiva ed assassina, fatta sistemare dalla NATO per provocare il golpe in Italia. Prove? Nessuna! Lo scopo? Chiarissimo! Inventarsi la tesi degli opposti stragismi, uno anarchico, l’altro fascista, entrambi burattini manovrati nel buio di trame oscure.\r\nNel romanzo di Giordana ci sono due santi e martiri, che ci lasceranno la pelle ma salveranno lo Stato. Nell’improbabile ruolo, il commissario Luigi Calabresi e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro.\r\nAldo Moro, tra i protagonisti dell’attacco ai movimenti sociali, che stavano mettendo in seria discussione un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’autoritarismo, la violenza di Stato, si trasforma in un mistico con la premonizione del martirio, antesignano di quel compromesso storico tra democrazia cristiana e partito comunista, dove oggi il PD, riconosce le proprie radici. Peccato che del suo ruolo di salvatore della democrazia non vi sia alcuna traccia né nei documenti né nelle testimonianze. Una delle tante libertà letterarie di Giordana.\r\nCalabresi era un noto persecutore di anarchici: fu lui a puntare il dito contro gli anarchici milanesi, sin dai tempi delle bombe del 25 aprile alla Fiera Campionaria di Milano.\r\nGiuseppe Pinelli, interrogato per tre giorni e tre notti, quando i termini legali del fermo erano ormai scaduti, venne gettato dalla finestra della stanza di Calabresi. Forse era già morto per le botte ricevute, forse morì dopo. Calabresi, Guida, il questore di Milano già a capo del confino di Ventotene, e gli altri poliziotti e carabinieri sostennero che si era ammazzato.\r\nLo fecero tanto male, che Gerardo D’ambrosio, allora giovane PM, oggi senatore PD, chiuderà l’inchiesta sostenendo che Pinelli era morto per “un malore attivo”. Tesi edulcorata e ridicola che Giordana riprende nel suo film.\r\nI giudici “perbene” sono i comprimari nella classifica dei buoni. Peccato che dopo 43 anni dalle aule di tribunale non sia uscito nulla. E nulla poteva uscire, perché lo Stato non condanna se stesso.\r\n\r\nQuesto film è uno dei tanti tasselli di un revisionismo di “sinistra” che ha tentato di riscrivere quegli anni all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile.\r\nUno dei tanti modi di liquidare un’intera epoca di lotte e passioni civili, trasformando gli anarchici in macchiette, un po’ sciocchi, utili idioti magari un po’ criminali.\r\nIl grande essente, volutamente rimosso, cancellato, nascosto è il 1969.\r\nIl grande freddo del mese della strage, seguiva l’autunno caldissimo di quell’anno. Di quell’autunno di lotte operaie oggi resta ben poco. L’articolo 18 è l’ultimo frammento rimasto: PD e PDL, uniti contro chi vive di lavoro, lo stanno cancellando.\r\nNoi, tenaci, ricordiamo: se in Italia non ci fu il golpe, se il disegno dei Calabresi, Guida, Rumor non funzionò fu grazie ad un paese, dove le menzogne di Stato avevano le gambe corte, fu grazie ai movimenti sociali che riempirono le piazze per gridare una verità, allora evidente a tutti.\r\n“La strage è di Stato, Valpreda è innocente. Pinelli è stato assassinato e Calabresi è uno dei suoi assassini.”\r\nIl destino dei vinti non è solo la sconfitta ma anche l’oblio. Quell’oblio al quale Giordana, Cucchiarelli e il partito del Presidente Napolitano vogliono consegnare quegli anni.\r\nQuella di Giordana è una vera strage della memoria.\r\nA noi tutti il compito di mantenerla viva. Finché gli sfruttati e gli oppressi di questo paese sapranno ricordare la loro Storia, non saranno ancora sconfitti. Finché gli sfruttati e gli oppressi sapranno alzare la testa, lottare per una società di liberi ed eguali, senza Stati, giudici, poliziotti, la strada sarà ancora aperta.\r\nOgni anno, ogni giorno, ogni momento può essere una nuova stagione delle ciliegie. 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A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi. Fu poi gettato dalla finestra per simulare un suicidio.\r\nLa caccia all’anarchico era scattata subito dopo la strage in banca: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti. Uno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\n\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\n\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\n\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Ancora oggi viene diffusa la favola dei “servizi segreti deviati”. Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, allora giovane anarchico, testimone e protagonista di quei giorni.\r\n\r\n“Conobbi Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico per meno di due anni – tra la primavera del ’68 (quando lo incontrai ad una conferenza pubblica alla Casa della Cultura di Milano, mentre volantinava) ed il tardo autunno dell’anno successivo (quando ci ritrovammo in questura, nell’ambito della retata antianarchica subito dopo la strage di piazza Fontana). Eppure quei 21 mesi, incastonati tra la primavera libertaria che sarebbe poi esplosa nel maggio ’68 e la strage di stato che ne é stata – dopo l’autunno caldo – la risposta istituzionale, hanno segnato la mia vita.\r\nGiovane staffetta partigiana durante la Resistenza, anarchico da sempre, sindacalista libertario promotore del rilancio a Milano dell’Unione Sindacale Italiana, esperantista, tra i fondatori della Croce Nera Anarchica per aiutare gli anarchici detenuti, anticlericale, attivo e ben conosciuto nella sinistra milanese, era un punto di riferimento per tanti.\r\nL’ho rivisto l’ultima volta nelle stanze dell’ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre ’69, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là “fermati”, più o meno “sospettati” dell’attentato alla banca dell’Agricoltura. Come quasi tutti i fermati, fui rilasciato la sera successiva.\r\nPino no.” (Paolo Finzi)\r\n\r\nAscolta l’intervista [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2011/12/2011-12-11-Strage-di-Stato-Paolo-Finzi.mp3|titles=2011 12 11 Strage di Stato Paolo Finzi]","13 Dicembre 2011","Sono passati 42 anni da quel dicembre a Milano. 40 anni dal giorno che una bomba di Stato uccise 17 persone nella banca dell’Agricoltura in piazza Fontana. \r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, allora giovane anarchico, testimone e protagonista di quei giorni.\r\nPino Pinelli \"L’ho rivisto l’ultima volta nelle stanze dell’ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre ’69, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là “fermati”, più o meno “sospettati” dell’attentato alla banca dell’Agricoltura. 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Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\n\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\n\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\n\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Ancora oggi viene diffusa la favola dei “servizi segreti \u003Cmark>deviati”\u003C/mark>. Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo Finzi, allora giovane anarchico, testimone e protagonista di quei giorni.\r\n\r\n“Conobbi Giuseppe Pinelli, ferroviere anarchico per meno di due anni – tra la primavera del ’68 (quando lo incontrai ad una conferenza pubblica alla Casa della Cultura di Milano, mentre volantinava) ed il tardo autunno dell’anno successivo (quando ci ritrovammo in questura, nell’ambito della retata antianarchica subito dopo la strage di piazza Fontana). Eppure quei 21 mesi, incastonati tra la primavera libertaria che sarebbe poi esplosa nel maggio ’68 e la strage di stato che ne é stata – dopo l’autunno caldo – la risposta istituzionale, hanno segnato la mia vita.\r\nGiovane staffetta partigiana durante la Resistenza, anarchico da sempre, sindacalista libertario promotore del rilancio a Milano dell’Unione Sindacale Italiana, esperantista, tra i fondatori della Croce Nera Anarchica per aiutare gli anarchici detenuti, anticlericale, attivo e ben conosciuto nella sinistra milanese, era un punto di riferimento per tanti.\r\nL’ho rivisto l’ultima volta nelle stanze dell’ufficio politico della questura milanese, quella notte del 12 dicembre ’69, quando in tanti (certo più di un centinaio) ci ritrovammo là “fermati”, più o meno “sospettati” dell’attentato alla banca dell’Agricoltura. 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