","FOIBE CONTINUA IL REVISIONISMO REVANSCISTA","post",1696873467,[64,65,66],"http://radioblackout.org/tag/foibe/","http://radioblackout.org/tag/giornata-del-ricordo/","http://radioblackout.org/tag/nazionalismi/",[15,18,23],{"post_content":69,"post_title":73,"tags":77},{"matched_tokens":70,"snippet":71,"value":72},[15],"impone che la \"tragedia delle \u003Cmark>foibe\u003C/mark> \" debba essere maggiormente conosciuta nelle","Martedi si è consumata l'ennesima pagina nera della memoria pubblica italiana con l'approvazione in senato all'unanimità del decreto legge che inserendo finanziamenti pubblici di diversi milioni di euro impone che la \"tragedia delle \u003Cmark>foibe\u003C/mark> \" debba essere maggiormente conosciuta nelle scuole attraverso iniziative dedicate, compresa l’organizzazione di “viaggi del ricordo\".\r\n\r\nl fatto che il DDL sia passato all’unanimità (147 sì e 2 astenuti) al Senato non stupisce particolarmente, considerato il malfermo stato di salute della memoria pubblica di questo Paese, l’incultura storica della sua classe dirigente e la palese sudditanza ideologica al revisionismo fascista , cavallo di Troia del revanscismo missino, neofascista e postfascista negli ultimi tre quarti di secolo, il tema delle “\u003Cmark>foibe”\u003C/mark> (cappello onnicomprensivo all’interno del quale si conteggiano grossolanamente tutte le vittime delle violenze, solo una parte delle quali effettivamente “infoibate”) è diventato bipartisan.\r\n\r\n \r\n\r\nNe parliamo con Eric Gobetti ,storico studioso della storia jugoslava .\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/gobetti.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n ",{"matched_tokens":74,"snippet":76,"value":76},[75],"FOIBE","\u003Cmark>FOIBE\u003C/mark> CONTINUA IL REVISIONISMO REVANSCISTA",[78,81,83],{"matched_tokens":79,"snippet":80},[15],"\u003Cmark>foibe\u003C/mark>",{"matched_tokens":82,"snippet":18},[],{"matched_tokens":84,"snippet":23},[],[86,91,94],{"field":38,"indices":87,"matched_tokens":88,"snippets":90},[50],[89],[15],[80],{"field":92,"matched_tokens":93,"snippet":76,"value":76},"post_title",[75],{"field":95,"matched_tokens":96,"snippet":71,"value":72},"post_content",[15],578730123365712000,{"best_field_score":99,"best_field_weight":100,"fields_matched":27,"num_tokens_dropped":50,"score":101,"tokens_matched":102,"typo_prefix_score":50},"1108091339008",13,"578730123365711979",1,{"document":104,"highlight":128,"highlights":150,"text_match":97,"text_match_info":160},{"cat_link":105,"category":106,"comment_count":50,"id":107,"is_sticky":50,"permalink":108,"post_author":53,"post_content":109,"post_date":110,"post_excerpt":111,"post_id":107,"post_modified":112,"post_thumbnail":113,"post_thumbnail_html":114,"post_title":115,"post_type":61,"sort_by_date":116,"tag_links":117,"tags":123},[47],[49],"66613","http://radioblackout.org/2021/02/memoria-di-stato-foibe-e-revisionismi/","[caption id=\"attachment_66619\" align=\"alignleft\" width=\"300\"] Bambini nel campo di concentramento italiano sull'isola di Rab, in Jugoslavia[/caption]\r\n\r\nL’Italia non ha mai fatto i conti con la propria storia coloniale, con il fascismo, con la guerra in Jugoslavia, in Grecia, in Africa. Il mito degli “italiani brava gente”, assunto in modo trasversale a destra come a sinistra, fonda il nazionalismo italiano, un nazionalismo che si nutre di un’aura di innocenza e bonarietà “naturali”.\r\nIn Italia la memoria è la prima vittima del nazionalismo, che impone una sorta di memoria di stato, che diviene segno culturale condiviso. Una sorta di marchio di fabbrica. Si sacrificano le virtù eroiche ma si eleva l’antieroismo dei buoni a cifra di un’identità collettiva.\r\nPeccato che sia tutto falso. Falso come i fondali di cartone dei film di qualche anno fa. Eppure, nonostante le ricerche storiche abbiamo mostrato la ferocia della trama sottesa al mito, questo sopravvive e si riproduce negli anni.\r\nLa gestione delle giornate della “memoria” e del “ricordo” assunte in modo bipartisan dalle varie forze politiche ha contribuito ad alimentare questa favola rassicurante, impedendo una riflessione collettiva che individuasse nei nazionalismi la radice culturale del male.\r\nSiamo di fronte ad una “memoria di Stato”. Una Memoria che unifica il ricordo del genocidio di milioni di ebrei nei lager nazisti con quello di una violenza molto più circoscritta e di significato profondamente diverso.\r\nI vertici dello Stato cercano di istituire una assonanza tra due eventi incomparabili per un fine ben preciso: sacralizzare l’identità nazionale.\r\nIl 10 febbraio è stato scelto come rievocazione del Trattato di pace del 1947, quello che ha sancito per l’Italia sconfitta la perdita di qualche fetta di territorio al confine orientale. A questa data sono collegate le uccisioni di un paio di migliaia di abitanti, prevalentemente italiani, delle zone istriane e l’emigrazione forzata dei giuliano-dalmati che sono stimati attorno alle 250.000 unità (dal 1944 alla fine degli anni Cinquanta). Ma soprattutto nell’immaginario collettivo sono ormai entrate, come un incubo, le voragini carsiche delle foibe in cui una parte dei morti vennero gettati. Qui vi è un evidente elemento di psicologia sociale inconscia: queste fosse comuni improvvisate, dove erano stati già gettati cadaveri di soldati tedeschi e animali, rappresentano agli occhi di molti italiani di oggi una cavità infernale e un’ulteriore motivo di rivendicazione nazionalista.\r\nAttorno alle foibe ruotava per decenni la propaganda nazionalista e neofascista a Trieste e dintorni, esagerando a dismisura il numero degli uccisi e degli esuli e presentando l’evento come un atto di “barbarie slavo-comunista”. Ora i termini sono meno esplicitamente razzisti, ma in compenso il tema è stato assunto come proprio da quasi tutte le forze politiche. Anzi buona parte dei politici di sinistra, a cominciare dai vertici istituzionali, recita l’autocritica per la “cecità ideologica” che avrebbe fatto dimenticare questi italiani, e quindi fratelli, povere vittime innocenti. Sempre più spesso si ignorano volutamente le pesanti responsabilità dell’esercito italiano che occupò la regione di Lubiana e che non fu meno feroce dei nazisti. Incendi, impiccagioni, fucilazioni, deportazioni e torture furono praticate su larga scala per domare la resistenza partigiana. Tutto ciò si sommò alla valanga di misure repressive, linguistiche e penali, che aveva caratterizzato, per un ventennio, il dominio dei fascisti italiani sulle popolazioni slave.\r\nOgni storico con un minimo di dignità sa che le violenze rivolte agli italiani sconfitti di queste zone vanno inquadrate nel contesto bellico e postbellico e che si spiegano, in buona parte, come risposta all’oppressione nazionale precedente. Per motivi di opportunismo politico e di consenso elettorale, molti politici confermano però l’immagine degli “italiani brava gente” ingiustamente colpiti solo per motivi di odio e malvagità nazionale. Questo odio certamente esisteva, e procurò anche delle ingiustizie individuali, ma aveva forti radici e ragioni nell’esperienza patita collettivamente da chi, con un enorme costo umano, aveva sostenuto la lotta degli antifascisti.\r\nLa comoda etichetta dell’italiano, militare o civile, buono e umanitario (molto migliore del tedesco cattivo e feroce) si basa sull’esaltazione di pochi casi isolati di non collaborazione con i piani della repressione sanguinaria. Lo scopo inconfessabile di tale propaganda è di oscurare il collaborazionismo di massa con la politica della terra bruciata che, anche in Jugoslavia, fu condotta senza incertezze né pietà dall’esercito italiano di occupazione.\r\nIl diffuso vittimismo nazionale nell’Italia di oggi vuole nascondere la verità storica proprio mentre i politici gareggiano nel pentimento per la propria amnesia del passato sul tema delle foibe. Il Ricordo di Stato deve essere unilaterale, aumentare le dimensioni, condire la rievocazione con particolari raccapriccianti e spesso non dimostrati. Gli infoibati sarebbero stati delle persone senza alcun coinvolgimento nell’occupazione fascista, scelti solo come italiani, colpiti in quanto non si piegavano al vincitore slavo e alla dittatura comunista. Anche se è ben vero che il nuovo potere jugoslavo era il risultato di un totalitarismo politico fuso con un esercito particolarmente gerarchico nato in durissimi scontri armati, non va dimenticato quanto gli italiani, quasi tutti, di queste regioni giuliano-dalmate si fossero identificati nel regime fascista che li favoriva in tutti i modi.\r\nPer dovere storico, non va cancellato il fatto che i responsabili italiani, militari e funzionari di polizia, di molti crimini di guerra in Jugoslavia furono protetti dai regimi democratici italiani e che “per carità di patria” i processi a tali imputati non furono mai svolti. L’Italia democratica e formalmente antifascista del 1946, anche con il sostanziale accordo delle sinistre, dapprima promise di consegnare i criminali di guerra italiani agli stati che li richiedevano, poi dichiarò di processarli in patria, infine favorì la loro fuga all’estero. Vi furono anche casi di reintegro nell’apparato statale e di folgorante carriera, fino alla carica di prefetto. È l’ennesima prova della permanenza nelle istituzioni post 1945 di un’intera generazione di funzionari fascisti in grado di difendere il loro passato di “servitori dello stato”.\r\nSe le vicende drammatiche delle foibe e le volontà di non dimenticare non fossero un alibi per rimuovere i lati oscuri dell’Italia fascista e postfascista, tutti gli “armadi della vergogna” delle violenze belliche di parte italiana dovrebbero essere aperti. Essi offrirebbero le informazioni documentate per una vera e non vittimistica storia del ruolo di molti italiani durante e dopo il tragico regime la cui responsabilità non fu certamente solo di un tale nato a Predappio.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, storico triestino\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/2021-02-09-foibe-venza.mp3\"][/audio]","9 Febbraio 2021","","2021-02-09 16:49:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/arbe-lager-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"206\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/arbe-lager-300x206.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/arbe-lager-300x206.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/arbe-lager.jpg 512w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Memoria di Stato. 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Diciamo subito che le parole stesse con cui dieci anni fa Napolitano istituì \"La giornata del ricordo\" sono inaccettabili sotto molti punti di vista e concernono molto più la sua cattiva coscienza di stalinista incline a giustificare ogni atrocità di stato piuttosto che l'adesione a qualche bagliore di verità storica. In quel discorso Napolitano decide scientemente di utilizzare una categoria che gli storici seri e onesti hanno deciso di espungere dall'interpretazione storica di quelle vicende dalmate e istriane in prevalenza: la pulizia etnica. L'evento, impiantato in maniera forzosa su un discorso indennitario, finisce col riportare tutta la vicenda nell'alveo puzzolente e nazionalista dei \"torti\" subiti dai soliti \"italiani brava gente\".\r\n\r\nSiamo partiti dalla fine della guerra mondiale, passando per l'invasione della Iugoslavia voluta da Hitler e per i lager costruiti dagli italiani in Iugoslavia e in Italia, nonché per le leggi fasciste di Gentile. Una divagazione doverosa al fine di ricostruire il terreno su cui maturò la repressione che con motivazioni diverse caratterizzò entrambe le fasi delle \"foibe\" che interessarono cittadini italiani o di origini italiane (anche se il termine non è sempre preciso).\r\n\r\nLa questione delle \"foibe\" non può prescindere, pur nel rispetto della verità storica, dalla valutazione degli interessi politici che le si agitano alle spalle: la riabilitazione dei vari schieramenti neofascisti, la costruzione di un discorso nazionalista che scarichi le responsabilità delle atrocità commesse nelle avventure coloniali, la riabilitazione di un establishment ex comunista colluso con lo stalinismo e aduso a difendere i massacri di stato.\r\n\r\nChiarito questo, appare comunque miope oltre che ingiusto ai nostri occhi, lasciare campo libero, nella costruzione della memoria di quelle vicende, ai pruriti nazionalisti o ai veri fascismi minimizzando la tragedia dell'esodo di centinaia di migliaia di persone e la morte di altre migliaia.\r\n\r\nAbbiamo raggiunto al telefono un giovane e bravo storico torinese, Enrico Miletto, poco incline al revisionismo di matrice fascista, e Claudio Venza, un compagno, anch'egli storico di mestiere, ma dell'università di Trieste.\r\n\r\nFoibe\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","11 Febbraio 2014","2014-02-17 13:38:55","Le \"foibe\" tra mito e realtà",1392148111,[64,65,66],[15,18,23],{"post_content":175,"post_title":179,"tags":182},{"matched_tokens":176,"snippet":177,"value":178},[15],"delle due stagioni delle cosiddette \"\u003Cmark>foibe\u003C/mark>\" e dell'esodo che ne scaturì,","Cerchiamo di mettere un po' di ordine nella ricostruzione delle due stagioni delle cosiddette \"\u003Cmark>foibe\u003C/mark>\" e dell'esodo che ne scaturì, senza che però l'esodo stesso possa essere interamente ricondotto a quelle vicende. 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Non solo. C’era anche l’esplicito invito a comunicare in prefettura tutte le iniziative intraprese.\r\nUn veloce ritorno alla storia di stato. Una riedizione del fascistissimo Ministero della cultura popolare? Un segnale inquietante dell’avanzare del revisionismo imposto dai prefetti ai territori.\r\nNe abbiamo parlati con Cosimo della Cub scuola.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/2023-02-14-coco-minculpop.mp3\"][/audio]","14 Febbraio 2023","2023-02-14 20:10:22","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico-1024x682.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico-1536x1024.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/02/Revisionismo-Historico.jpg 1688w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Torino. 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Perché non si può parlare di “pulizia etnica”? Cosa sono le foibe? Quali sono i contesti politici di questi avvenimenti? E della ricostruzione dei fatti?\r\n\r\nLo facciamo attraverso la lettura di alcuni pezzi scelti dal libro di Eric Gobetti, “E allora le foibe?”, edito da Laterza (2021).\r\n\r\nUn estratto:\r\n\r\n«Con la fine della Guerra Fredda, infatti, anche il contesto politico italiano è cambiato. Gli eredi del Partito comunista, fondatori del PDS, poi DS, riescono ad uscire quasi indenni dagli scandali di Mani Pulite. Hanno tuttavia urgente bisogno di una nuova legittimazione politica non più basata sull’ideologia. Per poter diventare partito di governo, è necessario presentarsi come forza politica nazionale e il riconoscimento ufficiale della vicenda delle foibe sembra funzionale a questa strategia. Esso consente di deplorare un “crimine del comunismo” e al tempo stesso di mostrarsi paladini della nazione, celebrando le vittime italiane della repressione straniera. Questa operazione politica trova ampia e comprensibile accoglienza dalla parte opposta dello spettro parlamentare, ovvero in quella forza neofascista che a sua volta ha necessità di legittimarsi come partito di governo, ovvero Alleanza nazionale.\r\n\r\nÈ dunque una particolare congiuntura politica che porta alla ribalta la questione delle foibe e dell’esodo, che da tema storico tabù per tutti gli schieramenti entra improvvisamente nell’agenda politica dei principali partiti. Tutto ciò conduce, nel giro di pochi anni, all’istituzione di una giornata commemorativa. Con la legge n. 92 del 30 marzo 2004, votata in maniera bipartisan dalla stragrande maggioranza del parlamento, “la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale ‘Giorno del Ricordo’ al “fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. [...] Nel momento in cui questo tema è entrato nel discorso pubblico lo ha fatto con il linguaggio, gli slogan, le parole d’ordine degli unici che ne avevano fatto un uso politico fino ad allora: i nazisti fra il 1943 e il 1945, e in seguito i neofascisti. Solo in parte sono state ascoltate le esigenze di espressione e di riconoscimento avanzate dall’associazionismo degli esuli, spesso d’altronde diviso al suo interno. Basti pensare alla visione univoca dell’italianità, certamente molto distante dalla percezione che ne hanno le persone che provengono da quelle regioni. Il complesso di stereotipi (la barbarie slava contrapposta alla civiltà italiana, l’estremismo ideologico comunista contrapposto alla pacifica società fascista...) e la ricostruzione parziale degli eventi (l’assenza del contesto, l’identificazione delle vittime da una parte sola) fanno parte del bagaglio memoriale dell’estrema destra».\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/Feb10-approfondimento-foibe.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nPlaylist contro chi foibeh:\r\n\r\nhttps://www.youtube.com/watch?v=NmEcgDykBO4\r\n\r\nhttps://www.youtube.com/watch?v=foLw7yuDuGg\r\n\r\nhttps://www.youtube.com/watch?v=-Vo11u-INoY ","10 Febbraio 2022","2022-02-10 14:40:40","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/jugoslavia-dance-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/jugoslavia-dance-300x169.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/jugoslavia-dance-300x169.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/jugoslavia-dance-1024x576.jpeg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/jugoslavia-dance-768x432.jpeg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/02/jugoslavia-dance.jpeg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","\"E allora le foibeh?!\"",1644503305,[255,256,64,65,257,66,258],"http://radioblackout.org/tag/antifa/","http://radioblackout.org/tag/eric-gobetti/","http://radioblackout.org/tag/jugoslavia/","http://radioblackout.org/tag/regione-piemonte/",[21,260,15,18,261,23,262],"eric gobetti","jugoslavia","regione piemonte",{"post_content":264,"post_title":268,"tags":271},{"matched_tokens":265,"snippet":266,"value":267},[15],"pulizia etnica”? 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Uno dei più grandi falsi storici mai messi in piedi dalle organizzazioni di estrema destra con la complicità del centrosinistra, che storic* e militant* studiano e decostruiscono da anni (leggi a tal proposito un po' di debunking militante de* compagn* del Gabrio sul 10 febbraio).\r\n\r\nRaggiungiamo al telefono Vinz del CSOA Gabrio per farci raccontare della biciclettata rumorosa indetta per sabato 8 febbraio contro la fiaccolata di ALIUD - Destra Identitaria nei pressi del carcere Le Nuove di corso Vittorio. Insieme a lui parliamo anche dell'assemblea antifascista che si è tenuta mercoledì con lo storico Eric Gobetti e del \"debunking\" necessario sul fenomeno foibe e esodo istriano-dalmata.\r\n\r\nConcludiamo con una carrellata di notizie e riflessioni dal torinese, costellato di iniziative apologetiche dell'operato colonialista italiano nei Balcani occidentali.\r\n\r\nAscolta la diretta con Vinz:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/Vinz.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAscolta la rassegna stampa su foibe e fasciume vario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/Rassegna.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n ","7 Febbraio 2020","2020-02-07 11:37:16","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/83555598_1533455186810958_4682752669020848128_n-e1581070671609-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"154\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/83555598_1533455186810958_4682752669020848128_n-e1581070671609-300x154.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/83555598_1533455186810958_4682752669020848128_n-e1581070671609-300x154.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/83555598_1533455186810958_4682752669020848128_n-e1581070671609-768x395.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/83555598_1533455186810958_4682752669020848128_n-e1581070671609.jpg 960w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Giorno del ricordo (fascista): 10 febbraio tra Torino e dintorni",1581075436,[311,312,255,313,314,315,316,256,64,120,317,318,319,320,321,322,323,324,325],"http://radioblackout.org/tag/aliud/","http://radioblackout.org/tag/anpi/","http://radioblackout.org/tag/antifascismo/","http://radioblackout.org/tag/biciclettata/","http://radioblackout.org/tag/biella/","http://radioblackout.org/tag/c-s-o-a-gabrio/","http://radioblackout.org/tag/grugliasco/","http://radioblackout.org/tag/juve/","http://radioblackout.org/tag/quotidiani/","http://radioblackout.org/tag/rassegna/","http://radioblackout.org/tag/roma/","http://radioblackout.org/tag/sanremo/","http://radioblackout.org/tag/stampa/","http://radioblackout.org/tag/torino/","http://radioblackout.org/tag/traini/",[35,33,21,25,327,328,329,260,15,30,330,331,332,333,334,335,336,28,337],"biciclettata","biella","C.S.O.A Gabrio","grugliasco","juve","quotidiani","rassegna","Roma","sanremo","stampa","traini",{"post_content":339,"tags":343},{"matched_tokens":340,"snippet":341,"value":342},[15],"nel 2004, delle \"vittime delle \u003Cmark>foibe\u003C/mark>\". 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Insieme a lui parliamo anche dell'assemblea antifascista che si è tenuta mercoledì con lo storico Eric Gobetti e del \"debunking\" necessario sul fenomeno \u003Cmark>foibe\u003C/mark> e esodo istriano-dalmata.\r\n\r\nConcludiamo con una carrellata di notizie e riflessioni dal torinese, costellato di iniziative apologetiche dell'operato colonialista italiano nei Balcani occidentali.\r\n\r\nAscolta la diretta con Vinz:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/Vinz.mp3\"][/audio]\r\n\r\nAscolta la rassegna stampa su \u003Cmark>foibe\u003C/mark> e fasciume vario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/Rassegna.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n ",[344,346,348,350,352,354,356,358,360,362,364,366,368,370,372,374,376,378,380],{"matched_tokens":345,"snippet":35},[],{"matched_tokens":347,"snippet":33},[],{"matched_tokens":349,"snippet":21},[],{"matched_tokens":351,"snippet":25},[],{"matched_tokens":353,"snippet":327},[],{"matched_tokens":355,"snippet":328},[],{"matched_tokens":357,"snippet":329},[],{"matched_tokens":359,"snippet":260},[],{"matched_tokens":361,"snippet":80},[15],{"matched_tokens":363,"snippet":30},[],{"matched_tokens":365,"snippet":330},[],{"matched_tokens":367,"snippet":331},[],{"matched_tokens":369,"snippet":332},[],{"matched_tokens":371,"snippet":333},[],{"matched_tokens":373,"snippet":334},[],{"matched_tokens":375,"snippet":335},[],{"matched_tokens":377,"snippet":336},[],{"matched_tokens":379,"snippet":28},[],{"matched_tokens":381,"snippet":337},[],[383,389],{"field":38,"indices":384,"matched_tokens":386,"snippets":388},[385],8,[387],[15],[80],{"field":95,"matched_tokens":390,"snippet":341,"value":342},[15],{"best_field_score":99,"best_field_weight":100,"fields_matched":32,"num_tokens_dropped":50,"score":240,"tokens_matched":102,"typo_prefix_score":50},6646,{"collection_name":61,"first_q":15,"per_page":394,"q":15},6,{"facet_counts":396,"found":428,"hits":429,"out_of":662,"page":102,"request_params":663,"search_cutoff":39,"search_time_ms":664},[397,407],{"counts":398,"field_name":405,"sampled":39,"stats":406},[399,401,403],{"count":17,"highlighted":400,"value":400},"anarres",{"count":102,"highlighted":402,"value":402},"arsider",{"count":102,"highlighted":404,"value":404},"metix flow","podcastfilter",{"total_values":27},{"counts":408,"field_name":38,"sampled":39,"stats":426},[409,410,412,414,416,417,418,420,422,424],{"count":32,"highlighted":15,"value":15},{"count":102,"highlighted":411,"value":411},"ricordo",{"count":102,"highlighted":413,"value":413},"macerata",{"count":102,"highlighted":415,"value":415},"fascisti",{"count":102,"highlighted":127,"value":127},{"count":102,"highlighted":37,"value":37},{"count":102,"highlighted":419,"value":419},"italiani brava gente",{"count":102,"highlighted":421,"value":421},"giorno della memoria",{"count":102,"highlighted":423,"value":423},"villaggio santa caterina",{"count":102,"highlighted":425,"value":425},"militari italiani in africa",{"total_values":427},19,7,[430,485,539,582,610,637],{"document":431,"highlight":450,"highlights":473,"text_match":97,"text_match_info":484},{"comment_count":50,"id":432,"is_sticky":50,"permalink":433,"podcastfilter":434,"post_author":400,"post_content":435,"post_date":436,"post_excerpt":111,"post_id":432,"post_modified":437,"post_thumbnail":438,"post_title":439,"post_type":440,"sort_by_date":441,"tag_links":442,"tags":448},"33894","http://radioblackout.org/podcast/foibe-esodo-nazionalismi/",[400],"“Nazionalismo: cancro dei popoli”. Questo sarà uno degli striscioni del corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno hanno voluto fosse il culmine di una settimana di informazione e lotta. I fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le armi della retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il 1943 e il 1956.\r\nPer gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e “loro”. Chiunque essi siano.\r\n\r\nSino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle foibe, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle destre, che liquidavano le ultime convulse fasi della seconda guerra mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle zone.\r\nOggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle popolazioni giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della “giornata del ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.\r\nIl dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite durante la conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento, Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste “italiana”. Una città poliglotta e vivace stava smarrendo la propria peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.\r\nIl fascismo accentuò la repressione nei confronti delle popolazioni di lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.\r\nNelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste. Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità, perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.\r\n\r\nPiù significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate. Città come Pola e Zara persero oltre il 80% della popolazione. Accolti bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga. Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”.\r\n\r\nLa radice del male, oggi come allora, è nel nazionalismo che divide, separa, spezza.\r\n\r\nA ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri, all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.\r\nRicordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che, ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una nazione, di una frontiera fatta di nulla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all'università di Trieste, anarchico e antifascista.\r\n\r\nAscolta la diretta realizzata da Anarres:\r\n\r\n2016-02-05-venza-foibe\r\n\r\nDi seguito una scheda sull'esodo istriano e un'intervista a Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”. Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase della fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni della popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o della lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa della costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, della dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. Alphabeta, 2015.","5 Febbraio 2016","2018-10-17 22:59:24","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/esuli_istriani-200x110.jpg","Foibe, esodo, nazionalismi","podcast",1454691319,[443,444,64,445,122,446,447],"http://radioblackout.org/tag/corteo-antifascista/","http://radioblackout.org/tag/fascisti/","http://radioblackout.org/tag/giorno-della-memoria/","http://radioblackout.org/tag/vallette/","http://radioblackout.org/tag/villaggio-santa-caterina/",[37,415,15,421,127,449,423],"vallette",{"post_content":451,"post_title":455,"tags":458},{"matched_tokens":452,"snippet":453,"value":454},[15],"fucilazioni e successivo seppellimento nelle \u003Cmark>foibe\u003C/mark>, le cavità tipiche del Carso,","“Nazionalismo: cancro dei popoli”. Questo sarà uno degli striscioni del corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno hanno voluto fosse il culmine di una settimana di informazione e lotta. I fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le armi della retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il 1943 e il 1956.\r\nPer gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e “loro”. Chiunque essi siano.\r\n\r\nSino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle \u003Cmark>foibe\u003C/mark>, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle destre, che liquidavano le ultime convulse fasi della seconda guerra mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle zone.\r\nOggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle popolazioni giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della “giornata del ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.\r\nIl dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite durante la conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento, Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste “italiana”. Una città poliglotta e vivace stava smarrendo la propria peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.\r\nIl fascismo accentuò la repressione nei confronti delle popolazioni di lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.\r\nNelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste. Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità, perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.\r\n\r\nPiù significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate. Città come Pola e Zara persero oltre il 80% della popolazione. Accolti bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga. Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”.\r\n\r\nLa radice del male, oggi come allora, è nel nazionalismo che divide, separa, spezza.\r\n\r\nA ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri, all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.\r\nRicordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che, ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una nazione, di una frontiera fatta di nulla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all'università di Trieste, anarchico e antifascista.\r\n\r\nAscolta la diretta realizzata da Anarres:\r\n\r\n2016-02-05-venza-foibe\r\n\r\nDi seguito una scheda sull'esodo istriano e un'intervista a Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”. Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase della fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni della popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o della lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa della costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, della dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. 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Una settimana di informazione e lotta transfemminista\r\n\r\nLunedì 2 marzo\r\nore 16,30\r\nSul mio corpo decido io, non lo Stato non il vostro dio\r\npresidio in piazza Vittorio Veneto 10 di fronte alla farmacia Algostino & Demicheli che rifiuta di vendere contraccettivi. \r\nMercoledì 4 marzo\r\nore 16,30\r\npresidio in via Roma vicino alla sede di Repubblica\r\nTi amo da (farti) morire\r\nUccise due volte. La narrazione che nega e cancella le vite delle donne\r\n\r\nSabato 7 marzo\r\nore15,30\r\nin via Montebello – area pedonale – sotto la Mole\r\npresidio “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-Genere”\r\n\r\nDomenica 8 marzo\r\ngiornata di lotta in giro per la città\r\n\r\nVenerdì 13 marzo\r\nLa truffa della Green Economy\r\nore 21 in corso Palermo 46\r\nInterverrà l’economista Francesco Fricche\r\n\r\nVenerdì 20 marzo\r\nQuestioni di specie\r\nore 21 in corso Palermo 46\r\nInterverrà Massimo Filippi, l’autore del libro\r\nIn risposta all'animalismo da talk show, questo libro sostiene una tesi molto chiara: lo sfruttamento e la messa a morte dei corpi animali sono parte integrante dell'ideologia e delle prassi di potere. La società in cui viviamo utilizza la carne dei non umani (e di chi a questi è equiparato) come materiale da costruzione per le sue architetture gerarchiche, al fine di riprodurre la struttura sacrificale su cui si erge. La risposta a questo orrore non può che tradursi in un antispecismo politico; un antispecismo che dovrebbe ibridarsi con le acquisizioni teoriche e pratiche degli altri movimenti di liberazione e, al contempo, guadagnare credibilità per smascherare l'antropocentrismo che in quelle acquisizioni si annida. Il movimento antispecista non è più chiamato a dimostrare l'inconfutabile sofferenza degli animali, ma a interrogarsi su come realizzare la liberazione dei corpi sensuali. È da qui che potrebbe prendere forma un movimento politico capace di non farsi assorbire nel ventre del sistema.\r\n\r\nOgni giorno in giro per la città…\r\nSalta il Tornello!\r\nCon la lotta, il mutuo appoggio e la solidarietà rendiamo gratuiti sin da ora i trasporti pubblici. \r\n\r\nWild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\nRiunioni ogni giovedì alle 18 presso la FAT in corso Palermo 46\r\nFB https://www.facebook.com/Wild.C.A.T.anarcofem/\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","13 Febbraio 2020","2020-02-13 14:19:06","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/decoro-colori-e1581599857884.jpg","Anarres del 7 febbraio. Ferrovie: i tagli che uccidono. La scuola va in guerra. Foibe: il buio sui crimini fascisti. Pedagogia libertaria e trasformazione sociale...",1581603112,[551],"http://radioblackout.org/tag/anarres-foibe-pedagogia-sovversiva/",[553],"anarres foibe pedagogia sovversiva",{"post_content":555,"post_title":559,"tags":562},{"matched_tokens":556,"snippet":557,"value":558},[135],"meglio glorifica gli assassini volanti. \r\n\r\n\u003Cmark>Foibe\u003C/mark>: il buio sui crimini fascisti.","Come ogni venerdì abbiamo fatto il nostro viaggio settimanale su Anarres, il pianeta delle utopie concrete. 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Ce ne ha parlato Claudio Venza, docente di storia all’università di Trieste\r\n\r\nPedagogia libertaria: una pratica sovversiva. Ne abbiamo parlato con Francesco Codello, pedagogista, tra i fondatori della Rete della Pedagogia Libertaria\r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nVenerdì 21 febbraio\r\nIl decoro illustrato\r\nspettacolo di e con Filomena Sottile\r\nore 21 in corso Palermo 46\r\nIl futuro, la cui ombra pesante ha segnato tanta parte del Secolo Breve, oggi si è stinto nell’eterno presente delle merci. La politica istituzionale, incapace di offrire qualche briciola dalla tavola imbandita dei ricchi e dei potenti di cosa si occupa?\r\nDi paura. E di decoro.\r\nSi occupa di fioriere, aiuole recintate, di panchine antibivacco, di scritte sui muri, di videosorveglianza, di controllo e soprattutto di selezionare chi può stare in città e chi non se lo merita. Sotto la maschera compita e sorridente della buona educazione, del buonsenso, dell’ordine c’è il cipiglio severo di chi si è autonominato “persona per bene” e lo sguardo paranoico di chi, dall’alto del suo privilegio, continua a condurre la lotta di classe contro i poveri.\r\nFilomena “Filo” Sottile questa volta sviscera il libro La buona educazione degli oppressi di Wolf Bukowski e si presenta nei duplici panni della punkastorie e della guida turistica alla città decorosa.\r\n\r\nSabato 29 febbraio\r\nOgni scherzo vale!\r\nCarnevale S-catenato per le vie della città\r\nore 13 al Balon – via Borgodora ex Arsenale\r\npartenza della sfilata alle 14,30\r\n\r\nNé dio, né stato né patriarcato. Una settimana di informazione e lotta transfemminista\r\n\r\nLunedì 2 marzo\r\nore 16,30\r\nSul mio corpo decido io, non lo Stato non il vostro dio\r\npresidio in piazza Vittorio Veneto 10 di fronte alla farmacia Algostino & Demicheli che rifiuta di vendere contraccettivi. \r\nMercoledì 4 marzo\r\nore 16,30\r\npresidio in via Roma vicino alla sede di Repubblica\r\nTi amo da (farti) morire\r\nUccise due volte. La narrazione che nega e cancella le vite delle donne\r\n\r\nSabato 7 marzo\r\nore15,30\r\nin via Montebello – area pedonale – sotto la Mole\r\npresidio “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-Genere”\r\n\r\nDomenica 8 marzo\r\ngiornata di lotta in giro per la città\r\n\r\nVenerdì 13 marzo\r\nLa truffa della Green Economy\r\nore 21 in corso Palermo 46\r\nInterverrà l’economista Francesco Fricche\r\n\r\nVenerdì 20 marzo\r\nQuestioni di specie\r\nore 21 in corso Palermo 46\r\nInterverrà Massimo Filippi, l’autore del libro\r\nIn risposta all'animalismo da talk show, questo libro sostiene una tesi molto chiara: lo sfruttamento e la messa a morte dei corpi animali sono parte integrante dell'ideologia e delle prassi di potere. La società in cui viviamo utilizza la carne dei non umani (e di chi a questi è equiparato) come materiale da costruzione per le sue architetture gerarchiche, al fine di riprodurre la struttura sacrificale su cui si erge. 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Israele usa queste politiche discriminatorie di pianificazione e suddivisione in zone per creare condizioni di vita insopportabili per costringere le e i palestinesi a lasciare le loro case per permettere l’espansione degli insediamenti ebraici.\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo\r\n\r\nNaturalizzare lo stato\r\nLe frontiere sono linee di nulla su una mappa, che diventano vere solo grazie alla presenza di uomini in armi.\r\nO, meglio, appena c’è una mappa con delle linee di separazione, ci sono le condizioni per un controllo militare del territorio.\r\nLa naturalizzazione di queste linee, che trasformano montagne, fiumi, laghi e mari in limiti, limes, confini mira a costruire lo spazio politico, quindi squisitamente culturale, dove ila frontiera definisce un ambito di potere esclusivo, il luogo della sovranità.\r\nL’approccio dei geografi anarchici e della geografia critica decostruiscono i processi di naturalizzazione dei confini, dove affondano la retorica delle nazioni, del suolo e del sangue, dell’esclusione e della guerra.\r\nCe ne ha parlato Federico Ferretti, geografo, docente all’università di Bologna\r\n\r\nUna Barriera contro militari e padroni\r\nNei quartieri poveri il controllo militare imposto durante il lockdown è diventato normale. Anzi! Ogni giorno è peggio.\r\nIntere aree del quartiere vengono messe sotto assedio militare, con continue retate di persone senza documenti o che vivono grazie ad un’economia informale.\r\nPersino gli allegri festeggiamenti per la vittoria del Senegal nella coppa Africa si sono trasformati in occasione per criminalizzare chi vi aveva partecipato e gradito poco lo scorrazzare di auto della polizia.\r\n\r\nPolonia. Sciopero della fame in un centro di detenzione\r\nMuri, filo spinato, barriere, finestre sbarrare e, fuori, carri armati, spari ed esplosioni.\r\nLi chiamano centri, ma sono campi di concentramento. Centinaia di persone sono state trattenute per mesi in queste prigioni, senza avere informazioni sul loro destino, senza avvocati, con un trattamento da vero lager, dove sono considerati numeri e non persone. La conseguenza sono stati tentativi di suicidio, crolli nervosi, peggioramento delle condizioni di salute.\r\nMa c’è anche la lotta! Dalla mattina del 9 febbraio, nel campo di concentramento di Wędrzyn i migranti hanno cominciato uno sciopero della fame. 130 persone di uno dei blocchi, si sono chiuse nelle loro camere ed hanno appeso all’esterno dei cartelli con la scritta “libertà”.\r\n\r\nMemoria di Stato. Foibe e nazionalismi\r\nIl mito degli “italiani brava gente”, assunto in modo trasversale a destra come a sinistra, fonda il nazionalismo italiano, un nazionalismo che si nutre di un’aura di innocenza e bonarietà “naturali”.\r\nIn Italia la memoria è la prima vittima del nazionalismo, che impone una sorta di ricordo di Stato, che diviene segno culturale condiviso. Una sorta di marchio di fabbrica. Si sacrificano le virtù eroiche ma si eleva l’antieroismo dei buoni a cifra di un’identità collettiva.\r\nNonostante le ricerche storiche abbiamo mostrato la ferocia della trama sottesa al mito, questo sopravvive e si riproduce negli anni.\r\nUn mito falso e consolatorio, che apre la via al revisionismo fascista. La giornata del Ricordo viene cavalcata ogni anno dalla destra xenofoba e razzista.\r\nLa gestione delle giornate della “memoria” e del “ricordo”, assunte in modo bipartisan dalle varie forze politiche, ha contribuito ad alimentare questa favola rassicurante, impedendo una riflessione collettiva che individuasse nei nazionalismi la radice culturale del male. \r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nMercoledì 2 marzo\r\nassemblea contro il carovita\r\nore 18 alla tettoia dei contadini a Porta Palazzo\r\n\r\nSabato 5 marzo\r\nGender Strike! 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Continuità e rotture”; Daniele Ratti “L’ENI Armata”; inizio discussione/pausa pranzo\r\nore 14,30\r\ninterventi di: Antonio Mazzeo “Le avventure neocoloniali dell'Italia dal Sahel al Mozambico”; Andrea Turco “La colonizzazione mentale, il caso ENI a Gela”; Massimo Varengo “Uno sguardo antimperialista sulla guerra in Ucraina” Interventi aperti\r\n\r\nContatti:\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni mercoledì dalle 20,30\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nWild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","2 Marzo 2022","2022-03-02 13:28:03","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/migranti-polonia-1-690x362-1-200x110.jpg","Anarres dell’11 febbraio. Apartheid in Palestina. 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Una riflessione su violenza di genere, patriarcato, famiglia\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nVenerdì 8 febbraio\r\nVivere senza padroni\r\nNegli ultimi decenni lo sguardo ambientalista è divenuto uno cardini più robusti su cui si articola una critica radicale al capitalismo, la cui natura distruttiva porta alla catastrofe.\r\nStato e capitale, ciascuno nel proprio ambito, mirano al controllo globale, pervasivo, totalizzante delle nostre vite, messe al lavoro anche nel tempo dell'ozio e della libertà dalla schiavitù salariata.\r\nSottrarsi è possibile. Ed urgente\r\nIncontro con Stefano Boni, antropologo, docente all’università di Modena e Reggio Emilia, autore di “Homo confort”, “Vivere senza padroni” e curatore di “Lo sguardo dello Stato”, di James Scott, docente di antropologia a Yale.\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nSabato 9 febbraio\r\nsaremo al corteo in solidarietà con gli anarchici dell’asilo sgomberati ed arrestati\r\nore 16 piazza Castello\r\n\r\nDomenica 10 febbraio\r\nsaremo al presidio e corteo\r\ncontro l’iniziativa fascista alle Vallette nella giornata del Ricordo\r\nore 16 corso Cincinnato angolo strada di Altessano\r\n\r\nMercoledì 20 febbraio\r\npunto info contro le leggi di guerra e la truffa di quota 100 e reddito di cittadinanza\r\na Palazzo Nuovo\r\n\r\nVenerdì 22 febbraio\r\nBergoglio, un gesuita in Vaticano\r\nIncontro con Daniele Ratti dell'Ateneo Libertario di Milano\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nVenerdì 15 marzo\r\nIntelligenza artificiale\r\nLe nuove frontiere del controllo\r\nIncontro con Lorenzo Coniglione della redazione di Umanità Nova\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nLe riunioni della Federazione Anarchica Torinese, aperte a tutti gli interessati, sono ogni giovedì dalle 21 in corso Palermo 46\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","8 Febbraio 2019","2019-02-08 18:47:30","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/02/libro-volo-200x110.jpg","Anarres dell’8 febbraio. Vivere senza padroni. Sgombero a 5Stelle. Foibe, esodo e nazionalismi. Violenza di genere, patriarcato, famiglia...",1549651091,[],[],{"post_content":624,"post_title":628},{"matched_tokens":625,"snippet":626,"value":627},[135],"violenta di un’eccentrica periferia torinese.\r\n\r\n\u003Cmark>Foibe\u003C/mark>, esodo e nazionalismi. Ne parliamo","Come ogni venerdì abbiamo fatto fatto il nostro viaggio settimanale sul pianeta delle utopie concrete. Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/02/2019-02-08-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nNella puntata di oggi:\r\n\r\nVivere senza padroni. Con Stefano Boni, antropologo ed anarchico affrontiamo un tema cruciale per chi pensa e pratica l’esodo conflittuale dall’esistente.\r\n\r\nLe frontiere uccidono\r\n\r\nSgombero a 5 Stelle. L’attacco all’Asilo, l’accusa di associazione sovversiva, la normalizzazione violenta di un’eccentrica periferia torinese.\r\n\r\n\u003Cmark>Foibe\u003C/mark>, esodo e nazionalismi. Ne parliamo con Claudio Venza, docente di storia all’università di Trieste\r\n\r\nAgli incroci del labirinto. Una riflessione su violenza di genere, patriarcato, famiglia\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nVenerdì 8 febbraio\r\nVivere senza padroni\r\nNegli ultimi decenni lo sguardo ambientalista è divenuto uno cardini più robusti su cui si articola una critica radicale al capitalismo, la cui natura distruttiva porta alla catastrofe.\r\nStato e capitale, ciascuno nel proprio ambito, mirano al controllo globale, pervasivo, totalizzante delle nostre vite, messe al lavoro anche nel tempo dell'ozio e della libertà dalla schiavitù salariata.\r\nSottrarsi è possibile. Ed urgente\r\nIncontro con Stefano Boni, antropologo, docente all’università di Modena e Reggio Emilia, autore di “Homo confort”, “Vivere senza padroni” e curatore di “Lo sguardo dello Stato”, di James Scott, docente di antropologia a Yale.\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nSabato 9 febbraio\r\nsaremo al corteo in solidarietà con gli anarchici dell’asilo sgomberati ed arrestati\r\nore 16 piazza Castello\r\n\r\nDomenica 10 febbraio\r\nsaremo al presidio e corteo\r\ncontro l’iniziativa fascista alle Vallette nella giornata del Ricordo\r\nore 16 corso Cincinnato angolo strada di Altessano\r\n\r\nMercoledì 20 febbraio\r\npunto info contro le leggi di guerra e la truffa di quota 100 e reddito di cittadinanza\r\na Palazzo Nuovo\r\n\r\nVenerdì 22 febbraio\r\nBergoglio, un gesuita in Vaticano\r\nIncontro con Daniele Ratti dell'Ateneo Libertario di Milano\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nVenerdì 15 marzo\r\nIntelligenza artificiale\r\nLe nuove frontiere del controllo\r\nIncontro con Lorenzo Coniglione della redazione di Umanità Nova\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nLe riunioni della Federazione Anarchica Torinese, aperte a tutti gli interessati, sono ogni giovedì dalle 21 in corso Palermo 46\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org",{"matched_tokens":629,"snippet":630,"value":630},[135],"Anarres dell’8 febbraio. 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Non mancate. 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