","Turchia. Dalla democratura alla dittatura democratica","post",1468946831,[65,66,67,68,69,70,71],"http://radioblackout.org/tag/colpo-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/erdogan/","http://radioblackout.org/tag/gulen/","http://radioblackout.org/tag/nato/","http://radioblackout.org/tag/purghe/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[73,18,38,74,75,26,15],"colpo di stato","nato","purghe",{"post_content":77,"tags":82},{"matched_tokens":78,"snippet":80,"value":81},[79],"Gulen","accusato di dare asilo a \u003Cmark>Gulen\u003C/mark>, l'ex alleato di Erdogan, che","Purghe di massa, arresti: la vendetta di Erdogan contro gli oppositori del suo governo, considerati tutti, a torto o a ragione, autori o sostenitori del fallito colpo di Stato militare è durissima.\r\nAmmassati per terra seminudi e con mani e piedi legati, probabilmente nella palestra di un edificio militare. Sono le immagini che circolano in queste ore sui social network, sulle condizioni di detenzione di decine di militari turchi, arrestati in questi giorni. In altre foto si vedono soldati golpisti arrestati con evidenti segni di percosse.\r\nL'ex capo dell'aviazione turca Akin Ozturk avrebbe confessato, durante un interrogatorio, di aver preso parte alla pianificazione del fallito golpe in Turchia.\r\nLe immagini del suo volto, le ferite al capo e al petto inducono a ritenere che la confessione sia stata fatta sotto tortura. \r\n\r\nA Istanbul è stato ucciso a fucilate il vice sindaco Cemil Candas contro il quale due persone hanno aperto il fuoco nella sede della municipalità di Sisli, nel centro di Istanbul.\r\nOltre ai militari e ai giudici, le purghe coinvolgono la polizia e l'amministrazione. Secondo alcune stime, il provvedimento riguarderebbe quasi il 5% della popolazione turca. Le autorità turche hanno sospeso 30 prefetti su 81. In totale, i dipendenti del ministero dell'Interno sollevati dai loro incarichi sono 8.777, di cui - oltre ai prefetti - 7.899 poliziotti, 614 gendarmi e 47 governatori di distretti provinciali. Ma le prughe toccano anche dipendenti pubblici non direttamente legati alla sicurezza. Oltre alle quasi 12 mila persone già sospese da polizia e magistratura, circa 1.500 dipendenti sono stati sollevati dai loro incarichi dal ministero delle Finanze.\r\nLe autorità turche hanno introdotto una nuova regolamentazione che vieta l'espatrio ai dipendenti pubblici, con alcune eccezioni per alcuni passaporti speciali, che necessiteranno comunque dell'approvazione dell'istituzione presso cui si lavora.\r\nErdogan sostiene la reintroduzione della pena di morte.\r\n\r\nMolto forte è la tensione tra il governo turco e quello statunitense, accusato di dare asilo a \u003Cmark>Gulen\u003C/mark>, l'ex alleato di Erdogan, che il sultano di Ankara accusa di essere il deus ex machina del fallito colpo di stato. 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L'accusa? Aver cercato di rovesciare il sistema democratico del paese, costruendo prove false contro il presidente Erdogan e il suo partito, ed effettuando intercettazioni telefoniche illegali.\r\nNel mirino: giornalisti, sceneggiatori e produttori dei telefilm e alcuni poliziotti.\r\nCosi si nasconde dietro l'ultima operazione repressiva del governo turco?\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Murat Cinar, giornalista indipendente turco.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nmurat cinar\r\n\r\nIl testo che segue è liberamente ispirato un suo articolo sull'operazione\r\n\r\nOrmai è palpabile il conflitto tra il governo, composto dal partito unico AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e la fratellanza religiosa guidata dall’esiliato Fettullah Gülen. Dopo un rimpasto che ha portato alla sostituzione dei ministri della comunità di Gülen, all’interno dell’AKP c’è stata una scissione. Ad innescarla le operazioni anti corruzione che, a novembre e dicembre di quest'anno, hanno coinvolto quattro ministri ed varie persone vicine al Governo.\r\nIl Primo Ministro all’epoca dei fatti, Recep Tayyip Erdoğan, per aveva usato il concetto di “Stato parallelo” in riferimento alla comunità di Gülen. Secondo l’AKP e, soprattutto, secondo Erdoğan, da tempo, in Turchia, esisteva un sistema parallelo allo Stato legittimo e questo si era infiltrato nel sistema giuridico, nelle forze dell’ordine ed in una serie di enti pubblici. Da quel momento il vessillo della comunità di Gülen è stata la “lotta contro la corruzione per il bene della patria”, amplificato dai video messaggi pubblicati sul sito Herkul dalla Pennsylvania, ove tuttora risiede Gülen. Obiettivo dichiarato del Governo era la lotta contro un sistema oscuro che tenta di ottenere il potere in modo illegittimo ed illegale. Lo scontro con la comunità di Gülen è stato al centro della campagna elettorale che ha portato Recep Tayyip Erdoğan a diventare il Presidente della Repubblica.\r\nLo stesso Erdoğan aveva promesso che dopo le elezioni sarebbero state prese misure contro la comunità di Gülen.\r\n\r\nIl flirt tra due movimenti conservatori di destra è arrivato al capolinea.\r\nCirca una settimana fa, il misterioso account Twitter aperto a nome di Fuat Avni, forse Parlamentare dell’AKP vicinissimo alla comunità Gülen, aveva annunciato con chiarezza l’operazione che si sarebbe svolta di lì a poco. Avni aveva previsto l’arresto di circa 400 persone, di cui 150 giornalisti quasi tutti di media vicini alla comunità guidata dall’ex imam Gülen. Veniva così annunciata la resa dei conti tra Fettullah Gülen, fondatore, nel lontano 1965, della prima associazione per la lotta contro il comunismo ad Erzurum ed, Recep Tayyip Erdoğan, esponente di spicco della destra turca.\r\n\r\nIl 13 ed il 14 Dicembre sono state arrestate 31 persone. Tre quelle più note: Ekrem Dumanli, direttore generale del quotidiano nazionale Zaman, Hidayet Karaca, presidente del Canale Televisivo Samanyolu, e Tufan Erduger, ex presidente dell’ufficio per la lotta contro il terrorismo di Istanbul. L’arresto dei primi due servirebbe ad avallare la tesi del governo che sostiene che alcuni mezzi di comunicazione di massa siano stati utilizzati per sostenere il tentativo di rovesciare il sistema democratico del paese. L’ultimo nome è un colpo messo a segno contro il gruppo di persone che, sempre secondo la teoria complottista del governo, avrebbe sistematicamente procurato prove false e effettuato intercettazioni illegali per creare altre prove mendaci e permettere l’apertura di inchieste contro il Governo stesso. Le operazioni contro i poliziotti semplici e ufficiali, fino ad oggi, avevano già coinvolto, in meno di un anno, circa 2500 membri delle forze dell’ordine.\r\n\r\nLe reazioni delle due parti sono state immediate: con un video messaggio, Fettulah Gülen, dagli USA, ha espresso la propria solidarietà agli arrestati, incoraggiandoli con un: “evidentemente siete sulla pista giusta”. Dal canto suo, il Presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan, ha preferito usare parole al vetriolo: “Non troveremo mai un punto comune con chi minaccia la stabilità della Turchia! Queste operazioni fanno parte del nostro progetto per la Nuova Turchia. Spero che così anche i media abbandonino i lavori sporchi a cui si stanno dedicando. Tutti quelli che sono contrari all’indipendenza del Paese, prima o poi, perderanno. Questo popolo non si lascerà mai soggiogare da minacce e ricatti delle forze internazionali!”.\r\nNel mirino di Erdoğan è anche l’Unione Europea che, attraverso il Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, aveva definito preoccupanti le operazioni contro i giornalisti perpetrate dalla Turchia. La reazione di Erdoğan in merito a questa comunicazione è stata forte: “Non siamo preoccupati di quello che può pensare o dire l’UE. Non siamo preoccupati all’idea di essere o meno inclusi nell’UE. Per favore, tenete per voi i vostri consigli!”. Anche il nuovo Primo Ministro Ahmet Davutoğlu ha espresso la propria opinione in merito all’operazione: “Lo Stato ha il compito di prevenire. Sia prima delle elezioni sia durante i lavori per la risoluzione della questione curda qualcuno ha provato a provocare. Noi dobbiamo prendere le misure necessarie. Quelli che intercettano il Primo Ministro, il Presidente della Repubblica, il capo dei Servizi Segreti, quelli che bloccano i tir che portano gli aiuti in Siria non pensino che tutto ciò che hanno fatto e stanno facendo resterà senza risposta. Che sia oggi o domani presenteremo loro il conto da pagare a questo popolo ed alla storia. Noi non guardiamo con pregiudizio nessuno per l’attività che svolge. In questa operazione non sono state fermate le persone per via della loro professione di giornalisti, bensì per le altre attività in cui sono state coinvolte”.\r\n\r\nSenz’altro queste ultime parole di Davutoğlu ricordano fortemente le storiche dichiarazioni di Recep Tayyip Erdoğan e dei Parlamentari all’epoca in cui l’AKP avrebbe dovuto rispondere dell’accusa di limitare la libertà di stampa in Turchia, quando più di 60 giornalisti si trovavano in carcere a causa dei maxi processi Ergenekon, Balyoz, OdaTV e KCK, tra il 2008 ed il 2014. Oltre al governo, tra i sostenitori di questa tesi complottista figura anche Ekrem Dumanlı. Nel 2011, il direttore del quotidiano nazionale Zaman sostenne che le operazioni non avevano coinvolto i giornalisti per la loro attività professionale bensì per eventuali legami con le organizzazioni che volevano rovesciare il sistema democratico della Repubblica. Le battute sono le stesse, cambia solo il pulpito dal quale vengono pronunciate.\r\n\r\nTra le dichiarazioni del primo ministro Davutoğlu spicca il concetto di “prevenzione del delitto”. Non a caso, il 12 dicembre, grazie alla firma definitiva del Presidente della Repubblica, diventò legge il nuovo pacchetto sicurezza, fortemente sostenuto dal governo, che conferisce alla polizia il diritto di arrestare le persone legittimamente sospettate, al fine di prevenire il delitto prima che venga compiuto, sostituendo in questo modo il concetto di “fortemente sospettato”. Infatti, secondo le prime dichiarazioni di Ekrem Dumanlı, egli stesso era stato condotto in detenzione provvisoria perché ritenuto un sospettato legittimo.\r\n\r\nIl 15 Dicembre, diversi parlamentari dei partiti all’opposizione hanno espresso la propria contrarietà all’arresto dei giornalisti coinvolti nell’operazione. Ertugrul Kurkcu, del Partito Democratico dei Popoli (HDP), ha definito tutto ciò come un “colpo basso alla libertà di stampa”. Ha poi aggiunto: “Le operazioni in atto dimostrano che il conflitto tra il Governo e la comunità di Gülen continua. Si tratta di una lotta di potere tra parti che non hanno ragione. Tuttavia, nonostante le posizioni ostili che ha sempre assunto il quotidiano nazionale Zaman nei confronti dei maxi processi che hanno coinvolto, negli ultimi anni, diversi giornalisti, è necessario che vengano immediatamente rilasciati i giornalisti arrestati negli ultimi tre giorni”. Anche le organizzazioni dei giornalisti hanno espresso la propria contrarietà all’arresto dei colleghi.\r\n\r\nLo scontro di potere tra Gulen, protetto dagli Stati Uniti e Erdogan, fautore di un progetto di egemonia turca in chiave neo-ottomana, si spiega nel desiderio dell'islamico Erdogan di non avere briglie e lacci imposti da oltreoceano.\r\nNei fatti siamo di fronte ad uno scontro di potere molto duro, che finisce con l'infliggere un ulteriore colpo alle già esili libertà a tutele dei cittadini turchi.","18 Dicembre 2014","2015-01-08 12:35:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/erdogan-in-versione-imperatore-ottomano-615619_tn-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/erdogan-in-versione-imperatore-ottomano-615619_tn-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/erdogan-in-versione-imperatore-ottomano-615619_tn-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/erdogan-in-versione-imperatore-ottomano-615619_tn.jpg 310w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Turchia. 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Mentre pubblichiamo questo podcast siamo in attesa dell'ottava puntata.\r\nQuasi un anno di latitanza, esiliato dapprima nei Balcani e poi rocambolescamente in Marocco da dove è fuggito in fretta e furia a seguito di una fornitura di droni a Mohammed VI da parte del genero di Erdoġan in cambio della sua estradizione, a seguito di una maxinchiesta che lo vede protagonista, orchestrata per bloccare questa serie di rivelazioni che colpiscono in particolare il ministro degli interni Suleyman Soylu, talmente potente da costringere Erdoġan a silurare il suo stesso genero (rivale di Soylu, che è diventato il delfino del Sultano) a novembre, come abbiamo raccontato: https://www.spreaker.com/user/ogzero/murat-04-le-dimissioni-di-albayrak-dimos.\r\nPare che il successo di Peker, da sempre vicino ai Lupi Grigi, presso gli ambienti governativi provenga anche dalla sostituzione nel 2016 del gruppo di Gulen, di cui Erdoġan si serviva per i lavori sporchi e criminali, con clan mafiosi. Peker rappresenta uno di questi, finché cadde in disgrazia per qualche motivo per ora sconosciuto. Nei suoi video ce n'è per tutti e lo può fare da una posizione di forza, avendo documenti che riguardano tutti, compresi gli americani della Dea con cui, da narcotrafficante, aveva avuto rapporti; l'intrigo si fa internazionale.\r\nPeker in particolare racconta di come sia stato il demiurgo delle fortune di Soylu, senza lesinare riguardo a episodi narrati, misteri irrisolti, figure di spicco, forniture di armi, blindati...\r\nCon Murat cerchiamo di districarci in questo mare di rivelazioni e di misfatti che si allargano a macchia d'olio toccando ogni aspetto della storia degli ultimi anni non solo turchi: Cipro, i Balcani, il Venezuela, il Marocco, gli Usa... tutto proposto con i ritmi, le figure, dettagli che provengono dal più lontano passato come dall'attualità più stringente, avvalendosi delle professionalità delle serie televisive più accattivanti.\r\n\r\nMurat ha dedicato l'intera rubrica \"Caffè turco con Murat\" di questa settimana, perché la serie sta scuotendo la società turca\r\n\r\n\"La sulfurea serie di videorivelazioni di Sedat Peker\".","30 Maggio 2021","2021-05-30 13:18:23","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/05/Sedat-Peker_01-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"176\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/05/Sedat-Peker_01-300x176.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/05/Sedat-Peker_01-300x176.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/05/Sedat-Peker_01-768x451.jpeg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/05/Sedat-Peker_01.jpeg 986w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Sedat Peker: rivelazioni pericolose di un mafioso panturco",1622380703,[172,173,174,175,176,66,71],"http://radioblackout.org/tag/sedatpekerimm/","http://radioblackout.org/tag/sedatpeker/","http://radioblackout.org/tag/soylu/","http://radioblackout.org/tag/soyluyasoruyorum/","http://radioblackout.org/tag/albayrak/",[178,179,180,181,182,18,15],"#@sedatpekerimm","#sedatpeker","#soylu","#soyluyasoruyorum","Albayrak",{"post_content":184},{"matched_tokens":185,"snippet":186,"value":187},[79],"nel 2016 del gruppo di \u003Cmark>Gulen\u003C/mark>, di cui Erdoġan si serviva","https://youtu.be/04aIE7XXkzk\r\n\r\nTelenovela YouTube mafiosa panturchista con oltre 80 milioni di visualizzazioni, che ha appassionato i turchi in poco più di un mese. Mentre pubblichiamo questo podcast siamo in attesa dell'ottava puntata.\r\nQuasi un anno di latitanza, esiliato dapprima nei Balcani e poi rocambolescamente in Marocco da dove è fuggito in fretta e furia a seguito di una fornitura di droni a Mohammed VI da parte del genero di Erdoġan in cambio della sua estradizione, a seguito di una maxinchiesta che lo vede protagonista, orchestrata per bloccare questa serie di rivelazioni che colpiscono in particolare il ministro degli interni Suleyman Soylu, talmente potente da costringere Erdoġan a silurare il suo stesso genero (rivale di Soylu, che è diventato il delfino del Sultano) a novembre, come abbiamo raccontato: https://www.spreaker.com/user/ogzero/murat-04-le-dimissioni-di-albayrak-dimos.\r\nPare che il successo di Peker, da sempre vicino ai Lupi Grigi, presso gli ambienti governativi provenga anche dalla sostituzione nel 2016 del gruppo di \u003Cmark>Gulen\u003C/mark>, di cui Erdoġan si serviva per i lavori sporchi e criminali, con clan mafiosi. 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Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. Ora sì che i due possono tornare amici.”","29 Ottobre 2019","2019-10-29 12:53:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1.jpg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","ll trofeo di Trump nel Grande Gioco mediorientale",1572353591,[209,210,211,212,213,70,214],"http://radioblackout.org/tag/al-baghdadi/","http://radioblackout.org/tag/grande-gioco/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/trump/",[216,217,218,24,21,26,36],"al baghdadi","grande gioco","iraq",{"post_content":220},{"matched_tokens":221,"snippet":222,"value":223},[79],"dagli Stati Uniti di Fethullah \u003Cmark>Gulen\u003C/mark>, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo","Il grande gioco per il controllo dei territori e delle risorse tra Russia, Turchia e Stati Uniti a cavallo tra Siria e Iraq in queste settimane ha avuto un’accelerazione dopo l’attacco turco all’area del confederalismo democratico nel nord della Siria.\r\nLa morte di Baghdadi, celebrata con grande enfasi e plastica inventiva da “The Donald”, mette in mano al presidente statunitense una carta importante in vista delle elezioni negli States.\r\nSia il New York Times sia il Guardian hanno dato messo in dubbio la versione del Paperone della Casa Bianca.\r\nCome già Osama bin Laden, anche Al Baghdadi, non è stato catturato vivo. Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. 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Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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E monito contro ogni velleità curda.\r\n\r\nOra il Pyd e le Ypg/Ypj – ma anche tutte le altre forze inserite nella Fds ben descritte da Murat – si sono rivolti ai francesi (ex potenza coloniale in Siria, che già in un'occasione nel 1946 non aveva ostacolato la voglia di autonomia curda) per ottenere supporto politico e militare contro le prepotenze di Erdoǧan; potrebbe essere un'occasione anche per Macron per uscire dalle secche dei Gilets Jaunes, giocando anche lui la carta nazionalista e trovando spalancate le porte per rientrare in Medio Oriente. In fondo per salvare il confederalismo democratico in Rojava messo in atto dai curdi vale qualsiasi cinica mossa per superare l'ennesimo tradimento perpetrato ai danni dei curdi, dopo averne sfruttato le abilità militari sul terreno.\r\n\r\nIl motivo per cui abbiamo optato per Murat come interlocutore per analizzare l’attuale situazione mediorientale è la lettura più immediata della mossa di Trump – contrastata anche dal dimissionario Mattis, tutt'altro che una colomba – è il disimpegno in funzione antirussa, nel senso che era diventata prioritaria la riconquista dell’alleato turco, riportando nell’alveo della Nato chi si stava orientando sempre più verso gli S400 russi piuttosto che gli F35 americani (interessante la notizia in sordina dello sblocco della vendita ai turchi imposto da Trump contemporaneamente all’altro regalo a Erdoǧan di sgomberare Mambij da truppe americane, senza dimenticare la eventuale estradizione di Fetullah Gülen, per l'elezione turca di primavera). Perciò risultava essenziale andare in Turchia per capire meglio gli sviluppi della mossa di Trump: considerare anche gli aspetti economici interni allo stato anatolico, che si dibatte in una crisi economica e finanziaria annosa e che morde la classe media, il debito publico a quasi 200 miliardi che vanno rinnovati proprio entro la primavera.\r\n\r\nEcco come Murat ci ha dipanato i ruoli di ciascun attore nella commedia geopolitica, evidenziando le debolezze, le dipendenze e le potenze di ciascuno per poter comprendere ogni loro scelta.\r\n\r\nRitiro Usa, cui prodest?","22 Dicembre 2018","2018-12-22 11:45:26","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/12/2012-12-21_trump.jog_-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"168\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/12/2012-12-21_trump.jog_-300x168.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","Le promesse populiste in Usa producono scelte assurde in Rojava",1545479126,[242,243,244,245,246,212,71],"http://radioblackout.org/tag/geopolitica/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/medio-oriente/","http://radioblackout.org/tag/ritiro-usa/","http://radioblackout.org/tag/rojava/",[248,249,250,251,31,24,15],"geopolitica","guerra","medio oriente","ritiro Usa",{"post_content":253},{"matched_tokens":254,"snippet":255,"value":256},[135],"la eventuale estradizione di Fetullah \u003Cmark>Gülen\u003C/mark>, per l'elezione turca di primavera).","Abbiamo chiesto a Murat di analizzare le conseguenze del disimpegno militare americano in Siria, perché le reazioni più trionfanti sono quelle di Erdoǧan, che promette di ripulire la Siria del Nord da terroristi e curdi, Dalle parole del nostro interlocutore si evince che per entrambi i leader populisti (Trump ed Erdoǧan che hanno ordito questa situazione a margine del G20 argentino) si tratta di un espediente per stornare l'attenzione del loro elettorato dal malcontento interno.\r\n\r\nFini strateghi invece gli altri due del gruppo di Astana, Putin e Rohani, sono riusciti nel loro intento finora di volgere le sorti della guerra di Siria secondo le loro mire di controllo territoriale e di potenza regionale; l'Iran poi, trovandosi con una importante comunità curda all'interno dei propri confini, dal contrasto della esperienza delle zone liberate dal Daesh nel Nord della Siria trae vantaggio lasciando ai turchi il lavoro sporco di eccidi, distruzioni, impegno militare, invasione di una nazione confinante, spese in vite e armi. 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Il ritiro delle truppe russe dall’area di Afrin ha dato il via libera all’operazione “Ramoscello d’Ulivo”. La scelta di Assad pone i russi di fronte al fatto compiuto: ora dovranno decidere se sostenere Damasco o cedere alla mire della Turchia.\r\nLa guerra per il controllo della Siria non è finita. La caduta di Raqqa e di buona parte dello Stato Islamico ha solo aperto un nuovo capitolo dello scontro imperialista che si sta combattendo nel paese da ormai 7 anni.\r\nLa rivolta non violenta e democratica durò un soffio, subito soppiantata dall’insurrezione jihaidista, favorita da Turchia e Stati Uniti, che hanno fatto del confine turco-siriano l’autostrada dei volontari islamisti, accorsi in Siria da ogni dove. La debacle afgana non ha insegnato nulla agli statunitensi. La Turchia di Erdogan invece ha lavorato ad un progetto egemonico nell’area, che pur fallito nell’obiettivo principale di spodestare Assad, si riposiziona intorno al disciplinamento dei curdi siriani. Erdogan ha vinto la battaglia interna con il ferro, il fuoco e la galera ma ha bisogno di eliminare la spina nel fianco rappresentata dal Rojava.\r\n\r\nI rapporti tra Stati Uniti e Turchia, i due più potenti eserciti della NATO. Sono sempre più tesi.\r\nl ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, con un riferimento velato anche al caso di Fethullah Gülen, l'imam in esilio negli Stati Uniti, la bestia nera del governo turco, ha parlato di “rischio di frattura insanabile”. Erdogan ha minacciato di muovere anche verso Manbij dove stazionano gli americani.\r\n\r\nGli statunitensi hanno sostenuto le milizie curde contro il Califfato, le hanno utilizzate nell’assedio di Raqqa, le tengono schierate per contenere Assad e adesso le vedono bersagliate dalle truppe turche e dalle formazioni che appoggiano Ankara, addestrate a suo tempo proprio dagli Stati Uniti in funzione anti-Assad.\r\nL’obiettivo finale della Turchia sembra abbastanza evidente: intende scavare una fascia di sicurezza dentro al confine siriano per tenere a bada le milizie dei curdi, considerati terroristi alleati del Pkk turco-curdo.\r\nLa mossa di Assad scompagina nuovamente le carte, rendendo difficile una tregua che garantisca alla Turchia il cuscinetto oltre la frontiera\r\n\r\nCi sono quattro attori principali in campo: la Turchia, gli Stati Uniti, la Russia e la Siria di Assad. E, defilato ma potente, l’Iran. Tutti hanno obiettivi diversi sul breve medio termine. La Russia avrebbe dato il suo assenso all’operazione militare di Erdogan per avere mano libera con Bashar al Assad nella regione di Idlib dove sono concentrate le forze dell’opposizione tra cui le milizie jihadiste e quella affiliate ad Al Qaeda.\r\nL’obiettivo minimo degli Usa è proteggere i curdi siriani altrimenti il loro prestigio nella regione verrà pericolosamente scalfito. È vero che gli Usa hanno annunciato un progressivo ritiro delle truppe dall’Iraq, ma il disimpegno di Washington non può essere certo totale: non è da escludere, secondo alcune fonti diplomatiche, che gli Usa possano chiedere ai loro alleati occidentali che si trovano già in Iraq – come l’Italia – di fare un’azione smile di stabilizzazione anche in Siria: ma qui naturalmente la situazione è ancora più complessa e necessita del consenso di molti attori. Siamo quindi ancora nel campo delle ipotesi, non confermate, che sarebbero affiorate durante la visita del ministro della Difesa statunitense James Mattis venuto a Roma nei giorni scorsi per una riunione di 15 di ministri della Difesa della coalizione internazionale anti-Isis.\r\n\r\nIl groviglio siriano è sempre più inestricabile.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, collaboratore dell'Espresso e analista geopolitico per l’ISPI.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 02 20 negri siria","20 Febbraio 2018","2018-02-23 14:05:44","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/risiko_medio_oriente-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/risiko_medio_oriente-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/risiko_medio_oriente-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/risiko_medio_oriente-768x513.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/risiko_medio_oriente-1024x684.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/risiko_medio_oriente.jpg 1200w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Afrin. 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Sigla e si parte con Michael Prophet, Desi Roots & Ras Flabba, Eek A Mouse & Barrington Levy, anche con Trinity, Winston Francis, Groundation, Mr. Bobcat, RZee Jackson, Pupajim, Arkaingelle, Jalifa, Micah Shemaiah, Jesse Royal, Glen Washington sun una produzione Zion I Kings, poi un altro riddim con Hark, Don Fe, Zed Regal e Ashanti Selah, Afrikan Simba per Professor Skank, e in chiusura Delta Dub con Mr. Shammi, Alpha Steppa con Leno Banton, Dubateers con Creation Stepper, e il nuovo singolo di Horace Andy & Jah Wobble.\r\n\r\nSee the light!","24 Luglio 2024","2024-07-24 12:41:23","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/07/IMG_2599_edited-200x110.jpg","OverJoy 199",1721824883,[436,437,438],[325,329,327],{"post_content":464},{"matched_tokens":465,"snippet":466,"value":467},[443],"Jalifa, Micah Shemaiah, Jesse Royal, \u003Cmark>Glen\u003C/mark> Washington sun una produzione Zion","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/07/2024.07.23-OJ199-escopost.mp3\"][/audio]\r\nDOWNLOAD\r\nMartedì 23 Luglio 2024 - Overjoy 199 [S18E4]\r\n\r\nTroppa presa bene per il ritorno di Sara ai microfoni per la puntata di oggi e ci auguriamo per tutte le prossime future! in scaletta apriamo con Donald Fagen - straight from the 80s - e Sugar Minott per introdurre al fil rouje della giornata che è l'earthstrong di Haile Selassie, con Majical che canta Do You Know Who Haile Selassie Is. 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Dopo il consueto preludio troppo-pop con Jacko e Iniko, sigla e gran tributo alla compianta sister Sinead O'Connor con le sue interpretazioni di quattro brani di Buju Banton, Abyssinians, Devon Irons e Israel Vibration. Il programma continua con i due nuovi singoli di Jr. Gong e Soom T, con due singoli di Al Campbell di cui uno su Tuff Scout, con Ras Maxx David, Zion Kings Music con Glen Washington, un riddim per gli warriors con Skunkhead e Fyah Key, il bel suono di George Phang alla Power House con Barrington Levy ed Half Pint, il nuovo apprezzatissimo singolo di Lion Warriah, un interludio di Bush Chemist prima di ascoltare la nuova pubblicazione Taitu Records con Johnny Clarke e Russ Disciples, il mitico Gregory Isaacs dedicato al desaparecido ritrovato in argentina dopo 47 anni, un pezzo \"terrificante\" di Starf e la conclusione dove tutto ha incominciato con Alpha & Omega.\r\n\r\nAlpha & Omega.","2 Agosto 2023","2023-08-02 10:57:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/08/MK_DonovanMcleod_Mural_MG_2008-Edit-1-3FLAT-1-2-scaled-1-200x110.jpeg","Overjoy 154",1690973868,[436,437,438],[325,329,327],{"post_content":486},{"matched_tokens":487,"snippet":488,"value":489},[443],"David, Zion Kings Music con \u003Cmark>Glen\u003C/mark> Washington, un riddim per gli","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/08/2023.08.01-16.30.00-OJ154-escopost.mp3\"][/audio]\r\nDOWNLOAD\r\nMartedì 1 agosto 2023, Overjoy 154 [S14E6]\r\n\r\nNonostante l'oppressione del sistema costituito continui e insista con i sigilli messi dalla questura al CSA Murazzi (il lunedì subito dopo il festival Alta Felicità, guarda caso, da copione), la presa bene e il desiderio di rivoluzione non è stata intaccata, anzi è aumentata, a dire dalle inaspettate molteplici interazioni con gli ascoltatori in questo primo agosto. Dopo il consueto preludio troppo-pop con Jacko e Iniko, sigla e gran tributo alla compianta sister Sinead O'Connor con le sue interpretazioni di quattro brani di Buju Banton, Abyssinians, Devon Irons e Israel Vibration. Il programma continua con i due nuovi singoli di Jr. Gong e Soom T, con due singoli di Al Campbell di cui uno su Tuff Scout, con Ras Maxx David, Zion Kings Music con \u003Cmark>Glen\u003C/mark> Washington, un riddim per gli warriors con Skunkhead e Fyah Key, il bel suono di George Phang alla Power House con Barrington Levy ed Half Pint, il nuovo apprezzatissimo singolo di Lion Warriah, un interludio di Bush Chemist prima di ascoltare la nuova pubblicazione Taitu Records con Johnny Clarke e Russ Disciples, il mitico Gregory Isaacs dedicato al desaparecido ritrovato in argentina dopo 47 anni, un pezzo \"terrificante\" di Starf e la conclusione dove tutto ha incominciato con Alpha & Omega.\r\n\r\nAlpha & Omega.",[491],{"field":105,"matched_tokens":492,"snippet":488,"value":489},[443],{"best_field_score":370,"best_field_weight":43,"fields_matched":112,"num_tokens_dropped":51,"score":371,"tokens_matched":112,"typo_prefix_score":33},6637,{"collection_name":355,"first_q":38,"per_page":294,"q":38},["Reactive",497],{},["Set"],["ShallowReactive",500],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fZVbShi__jreSf3rpy7o0J-iCKJXeQjVyu75z7CVo5RY":-1},true,"/search?query=g%C3%BClen"]