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Le grandi fabbriche dell'automotive tedesche sono già entrate da anni in una irreversibile crisi di produzione, con effetti sociali \"collaterali\" devastanti (come gli oltre 30 000 licenziamenti annunciati da Volkswagen): da un lato, quindi, il gigante dell'economia europea che rischia di collassare insieme al suo settore industriale in crisi - dall'altra, le conseguenze drammatiche di una tensione sociale che darebbe il colpo di grazia alla (già fragile) situazione politica tedesca. Anche in Italia (dove oltre alla produzione primaria esistono centinaia di fabbriche di indotto che prendono commesse dalle sorelle maggiori tedesche e italiane) la produzione industriale continua a calare: il dato di gennaio dice meno 0,6 su dicembre, e meno 3,6% su base annua, ed ecco che anche a Torino tutti, da Leonardo a Stellantis, puntano sulla riconversione in stabilimenti per la produzione militare. È la ristrutturazione del capitale industriale europeo, o quel che ne rimane, nel tentativo di salvare i profitti in caduta libera. I fondi privati, però, non bastano né in Italia né in Germania: ecco dunque arrivare l'avallo del governo italiano, l'arrivo provvidenziale del piano ReArm EU e le giravolte delle varie manovre finanziarie europee finalizzate a trovare 800 miliardi di euro da spendere per la difesa. Non una \"necessità della democrazia\" per difendersi dalla \"guerra in arrivo da Est\", bensì una scelta economica precisa a sostegno dei tentativi dei padroni di un settore industriale in crisi drammatica di salvare la produzione passando dal costruire macchine allo sfornare bombe - e guarda caso, a doversi salvare per prima all'interno delle \"democrazie\" europee è proprio la produzione economica tedesca, proprio come durante la crisi del 2010, quando pur di non cedere qualche spicciolo il governo Merkel obbligava la Grecia ad andare a fondo.\r\n\r\n\r\nSolo la Germania, infatti, ha al momento pronto un piano industriale di riarmo in grado di riassorbire completamente la crisi dell'industria e una politica finanziaria sufficiente a sostenerlo. In Italia si naviga a vista come nel resto d'Europa, senza sapere da dove dovrebbero venire i miliardi necessari: l'unica cosa certa è che una tale maxi-operazione di riconversione industriale non si fa dall'oggi al domani, ed avrebbe probabilmente conseguenze disastrose sui posti di lavoro e sulla tenuta sociale di territori come Torino, in cui l'automotive è un settore produttivo centrale. Capire a fondo i meccanismi economici della ristrutturazione di capitale europea e soprattutto la loro incidenza sulla città in cui viviamo ci può aiutare a tracciare qualche idea per un futuro che non si rassegni al riarmo come unica soluzione per salvare la nave che affonda, tra inquietudine dei sindacati e la vecchia, eppure imprescindibile, dialettica tra salute (quella di chi vedrà arrivarsi addosso le bombe made in Italy) e posti di lavoro (quelli, quantomeno, che si riusciranno a salvare).\r\n\r\n\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Alberti, giornalista ed autore di un servizio su questi argomenti per Radio Popolare:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/massimoalberti.mp3\"][/audio]","21 Marzo 2025","2025-03-21 16:08:34","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/Filiera-automotive-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"196\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/Filiera-automotive-300x196.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/Filiera-automotive-300x196.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/Filiera-automotive.jpeg 680w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Dall'automotive al militare: Torino, la ristrutturazione industriale europea e noi",1742573258,[101,102,103],"http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/lavoro/","http://radioblackout.org/tag/riarmo/",[105,106,107],"guerra","lavoro","riarmo",{"post_content":109},{"matched_tokens":110,"snippet":111,"value":112},[72],"e insieme a loro dell'enorme \u003Cmark>galassia\u003C/mark> dell'indotto. 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Cosa succede al gigante tedesco? Il mito della stabilità politica tedesca è ormai un ricordo, i partiti storici risultano molto indeboliti e la CDU in particolare è quasi scomparsa. Come le elezioni in Sassonia, Turingia e Brandeburgo insegnano il pericolo da tenere d'occhio, com'era prevedibile, è AFD, che è risultato essere il primo partito tra i giovani votanti nella fascia 18-24. Un partito nato sull'onda delle crisi del debito europee, in rottura con l'euro zona e le politiche di solidarietà verso l'Europa del Sud, Grecia e Italia soprattutto. Un partito di accademici che presto si è trasformato in altro, raccogliendo molte forze della galassia di estrema destra, da realtà storiche dell'identitarismo tedesco ai naziskin, ma diventando ben presto il referente politico dei settori più poveri e rancorosi della parte bianca della società tedesca e continuando a crescere fino a raccogliere quasi tutto il malcontento della parte orientale del Paese per le politiche neoliberiste e di austerità inaugurate da Schroeder con l'Agenda 2010 e che hanno trasformato la Germania.\r\n\r\nL'impennata di AFD parla di una crisi ormai endemica alle democrazie occidentali, sempre più incapaci di una qualche autonomia strette tra vincoli di bilancio ed equilibri finanziari ma parla anche di un modello, quello tedesco, entrato pesantemente in crisi e alla ricerca di un'identità, in un Paese mai uscito del tutto dalla batosta della pandemia e azzoppato pesantemente dalla guerra russo ucraina con la crisi di approvvigionamento energetico che ne è seguita con il sabotaggio del North Stream 2.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Lorenzo Monfregola, giornalista residente on Germania, studioso dei gruppi dell'ultradestra tedesca.\r\n\r\n \r\n\r\n ","30 Ottobre 2024","2024-10-30 18:46:39","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/ww-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/ww-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/ww-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/ww-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/ww-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/ww.jpg 1200w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Crisi Volkswagen: crolla un altro pezzo del mito tedesco",1730313930,[131,132,133,134,135],"http://radioblackout.org/tag/europa/","http://radioblackout.org/tag/fascismi/","http://radioblackout.org/tag/germania/","http://radioblackout.org/tag/neonazisti/","http://radioblackout.org/tag/rossobrunismo/",[137,138,139,140,141],"europa","fascismi","germania","neonazisti","rossobrunismo",{"post_content":143},{"matched_tokens":144,"snippet":145,"value":146},[72],"altro, raccogliendo molte forze della \u003Cmark>galassia\u003C/mark> di estrema destra, da realtà","Per la prima volta nella sua storia sembra che la Wolkswagen, il simbolo dell'automotive tedesco, stia per chiudere ben tre stabilimenti., A rischio 120.000 posti di lavoro e promesse di tagli salariali per tutti. 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L’Isis, nonostante la sconfitta del Califfato nato tra Siria e Iraq, continua ad essere forte nel Caucaso, nel cosiddetto Khorasan e in Africa. La Russia ha avuto un ruolo importante nella sconfitta del Califfato garantendo il proprio costante appoggio al partito nazionalsocialista al governo in Siria, il Baas di Bashar al Hassad.\r\nLe rivendicazioni dell’attentato sia per le indicazioni fornite, sia per i canali i comunicazioni utilizzati rendono del tutto credibile la rivendicazione dell’Isis. Non abbiamo tuttavia elementi che rendano credibile che si tratti dell’Isis-K ossia l’Isis Khorasan e non di altro nucleo della galassia dello Stato Islamico. In ogni caso\r\nPutin, sia per sminuire le scacco subito dalla propria intelligence, sia per buttare altra benzina sul fuoco della guerra in Ucraina, indica il governo di Kiev come possibile complice.\r\nResta il fatto che l’ISIS continua a puntare sulla Jihad per il califfato globale contro infedeli e traditori.\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Giuliano Battiston che da anni si occupa di ISIS. Vi copiamo sotto anche il testo dell’articolo uscito domenica sul Manifesto.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/2024-03-26-battiston-isis.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nIl sanguinoso attentato terroristico è un colpo clamoroso per lo Stato islamico, ma non è così inaspettato. Chi si sorprende che l’obiettivo sia la Russia ha perso di vista da tempo non solo la propaganda dello Stato islamico \"centrale\" e delle sue branche regionali, ma anche le loro attività militari, e deve aver dimenticato un pezzo importante di storia recente.\r\n\r\nSTORIA RECENTE, propaganda e attività militari - così certificano tutti gli studiosi che hanno continuato a occuparsene, anche dopo la caduta del \"Califfato\" edificato in Siria e Iraq e la fisiologica disattenzione dei media - ci dicono che la Russia è un nemico centrale, prioritario. La Russia infedele, ortodossa, la Russia di Putin e delle sue sanguinose guerre in Cecenia, della repressione degli islamisti in Daghestan, in Inguscezia, dentro e fuori i confini della Federazione, la Russia alleata del siriano Bashar al-Assad e che bombarda le roccaforti jihadiste in Siria, o che, più di recente, contribuisce alla campagna contro lo Stato islamico in Mali e Burkina Faso: la Russia come minaccia all’Islam.\r\nPutin, i cui apparati di sicurezza hanno fatto flop, prova ad approfittarne, omettendo di menzionare lo Stato islamico e provando ad attribuire responsabilità agli ucraini. Ma è un inganno.\r\nSi dovrebbe guardare altrove. Alla branca locale dello Stato islamico, la «provincia del Caucaso», o più probabilmente alla «provincia del Khorasan».\r\n\r\nIL NOME RIMANDA, come in molta pubblicistica jihadista, ai gloriosi tempi andati, al Khorasan storico, un’ampia area che copriva gli attuali Iran, Afghanistan e parte dell’Asia centrale. Formata da militanti perlopiù pachistani ma anche centroasiatici e arabi nell’area di confine tra Afghanistan e Pakistan tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, la «provincia del Khorasan» ha subito la repressione contestuale del governo afghano, degli americani che lo sostenevano e dei Talebani, quando questi ultimi facevano ancora la guerra alla Repubblica collassata nel 2021 e avevano capito che quei jihadisti erano una minaccia al loro monopolio. Ma anche un’opportunità di avvicinamento ai nemici americani.\r\nNon è un caso che la caduta della principale roccaforte dello Stato islamico in Afghanistan, la valle di Mamand, nel distretto di Achin, nella provincia orientale di Nangarhar, lì dove l’allora presidente Usa Donald Trump il 13 aprile 2017 aveva fatto sganciare la più potente bomba non nucleare mai usata in combattimento (11 tonnellate su un complesso di tunnel e cave usati dal Khorasan), sia avvenuta nel no- vembre 2019. Tre mesi prima che Washington e i Talebani firmassero nella capitale del Qatar l’accordo di Doha, viatico per il loro ritorno al potere.\r\n\r\nCOSTRETTO AD ABBANDONARE il territorio che deteneva nell’est e nel nord del Paese, spiega tra gli altri Antonio Giustozzi, autore di un libro troppo poco conosciuto, Il laboratorio senza fine. Il ruolo dell’Afghanistan tra passato e futuro (Mondadori Strade blu), il Khorasan ha fatto poi ricorso a una campagna di guerriglia urbana e ad attacchi terroristici per dimostrare l’incapacità dei Talebani di garantire la sicurezza ed erodere la loro legittimità.\r\nDiminuiti nel 2023, gli attentati sono ripresi nel 2024. Pochi giorni fa lo Stato islamico ha rivendicato un attentato a Kandahar, capitale simbolica dell’Emirato dei Talebani. I quali si sono affrettati a condannare la strage di Mosca. Ma potrebbero subire dei contraccolpi, se le indagini condurranno a verificare la responsabilità della provincia del Khorasan.\r\n\r\nMOSCA, COME TUTTE LE CAPITALI regionali, garantisce la propria sponda diplomatica all’Emirato, ancora senza riconoscimento ufficiale, a una condizione: che i Talebani facciano da cintura di sicurezza contro la minaccia dello Stato islamico nella regione. L’Emirato afghano rivendica le azioni di «repressione chirurgica» che hanno portato alla distruzione delle cellule dello Stato islamico nelle principali città afghane, ma a Mosca potrebbe non bastare.\r\nNella leadership talebana, inoltre, c’è chi non gradisce il sostegno della Russia, per le stesse ragioni per cui i jihadisti dalla vocazione globale la ritengono un obiettivo legittimo e prioritario. Mentre tra i Talebani tagichi del nord-est qualcuno ha cambiato casacca.","26 Marzo 2024","2024-03-26 15:46:18","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/crocus-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/crocus-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/crocus-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/crocus-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/crocus.jpg 774w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La Russia, l’Isis e lo scacchiere della Jihad internazionale",1711467943,[165,166,167,168,169,170,171,172,173],"http://radioblackout.org/tag/afganistan/","http://radioblackout.org/tag/crocus/","http://radioblackout.org/tag/fratelli-musulmani/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/isis-k/","http://radioblackout.org/tag/mosca/","http://radioblackout.org/tag/pakistan/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/talebani/",[175,176,177,12,178,179,180,181,21],"afganistan","crocus","fratelli musulmani","isis-k","Mosca","pakistan","russia",{"post_content":183},{"matched_tokens":184,"snippet":185,"value":186},[72],"non di altro nucleo della \u003Cmark>galassia\u003C/mark> dello Stato Islamico. 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La Russia infedele, ortodossa, la Russia di Putin e delle sue sanguinose guerre in Cecenia, della repressione degli islamisti in Daghestan, in Inguscezia, dentro e fuori i confini della Federazione, la Russia alleata del siriano Bashar al-Assad e che bombarda le roccaforti jihadiste in Siria, o che, più di recente, contribuisce alla campagna contro lo Stato islamico in Mali e Burkina Faso: la Russia come minaccia all’Islam.\r\nPutin, i cui apparati di sicurezza hanno fatto flop, prova ad approfittarne, omettendo di menzionare lo Stato islamico e provando ad attribuire responsabilità agli ucraini. Ma è un inganno.\r\nSi dovrebbe guardare altrove. Alla branca locale dello Stato islamico, la «provincia del Caucaso», o più probabilmente alla «provincia del Khorasan».\r\n\r\nIL NOME RIMANDA, come in molta pubblicistica jihadista, ai gloriosi tempi andati, al Khorasan storico, un’ampia area che copriva gli attuali Iran, Afghanistan e parte dell’Asia centrale. 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Tre mesi prima che Washington e i Talebani firmassero nella capitale del Qatar l’accordo di Doha, viatico per il loro ritorno al potere.\r\n\r\nCOSTRETTO AD ABBANDONARE il territorio che deteneva nell’est e nel nord del Paese, spiega tra gli altri Antonio Giustozzi, autore di un libro troppo poco conosciuto, Il laboratorio senza fine. Il ruolo dell’Afghanistan tra passato e futuro (Mondadori Strade blu), il Khorasan ha fatto poi ricorso a una campagna di guerriglia urbana e ad attacchi terroristici per dimostrare l’incapacità dei Talebani di garantire la sicurezza ed erodere la loro legittimità.\r\nDiminuiti nel 2023, gli attentati sono ripresi nel 2024. Pochi giorni fa lo Stato islamico ha rivendicato un attentato a Kandahar, capitale simbolica dell’Emirato dei Talebani. I quali si sono affrettati a condannare la strage di Mosca. Ma potrebbero subire dei contraccolpi, se le indagini condurranno a verificare la responsabilità della provincia del Khorasan.\r\n\r\nMOSCA, COME TUTTE LE CAPITALI regionali, garantisce la propria sponda diplomatica all’Emirato, ancora senza riconoscimento ufficiale, a una condizione: che i Talebani facciano da cintura di sicurezza contro la minaccia dello Stato islamico nella regione. L’Emirato afghano rivendica le azioni di «repressione chirurgica» che hanno portato alla distruzione delle cellule dello Stato islamico nelle principali città afghane, ma a Mosca potrebbe non bastare.\r\nNella leadership talebana, inoltre, c’è chi non gradisce il sostegno della Russia, per le stesse ragioni per cui i jihadisti dalla vocazione globale la ritengono un obiettivo legittimo e prioritario. 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