","Libia. Una matassa sempre più intricata",1474418366,[122,65,123,67,124,125,126],"http://radioblackout.org/tag/al-sarraj/","http://radioblackout.org/tag/haftar/","http://radioblackout.org/tag/milizie-di-misurata/","http://radioblackout.org/tag/rapimento-di-convenienza/","http://radioblackout.org/tag/tripolitania/",[128,70,18,15,129,130,32],"Al Sarraj","milizie di misurata","rapimento di convenienza",{"post_content":132,"tags":136},{"matched_tokens":133,"snippet":134,"value":135},[74],"anche dopo la caduta di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark>, alleato imbarazzante ma fidato per","Il rapimento di due tecnici italiani, dipendenti di una società (Gruppo CON.I.COS) impiegata nella manutenzione di un aeroporto a Ghat, nell Fezzan ha riacceso i riflettori sulla Libia.\r\n\r\nL’Italia ha ancora notevoli interessi nella ex colonia libica, anche dopo la caduta di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark>, alleato imbarazzante ma fidato per i governi di Roma, cui garantiva buoni contratti ed il controllo dei flussi migratori.\r\nLa guerra del 2011 che Gran Bretagna e Francia hanno scatenato, nell’auspicio che la caduta del regime favorisse i propri interessi, non è mai finita. Il paese è sempre più frantumato e la storica cesura tra una Cirenaica orientata verso l’Egitto e una Tripolitania che guarda ad ovest si ripropone oggi nella contrapposizione tra il governo di Al Serraj e quello di Haftar.\r\nLa scorsa domenica la milizia di Haftar ha attaccato e conquistato due grossi porti tra Sirte e Bengasi nell'area della Mezzaluna petrolifera, fondamentali per esportazione del greggio. Non a caso la stessa Is tentò invano di conquistarle all’inizio di quest’anno.\r\nDopo questa mossa di Haftar il governo italiano ha inviato a Misurata un contingente di 200 paracadutisti della Folgore. Ufficialmente sono lì per difendere un ospedalino da campo, dove verranno curati i miliziani del posto, ponendo così le basi di una più solida alleanza con Fayez al-Sarraj, che controlla nell'effettivo solo una parte del territorio libico.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-09-20-stefano-libia\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ",[137,139,141,143,145,147,149],{"matched_tokens":138,"snippet":128},[],{"matched_tokens":140,"snippet":85},[70],{"matched_tokens":142,"snippet":18},[],{"matched_tokens":144,"snippet":15},[],{"matched_tokens":146,"snippet":129},[],{"matched_tokens":148,"snippet":130},[],{"matched_tokens":150,"snippet":32},[],[152,157],{"field":40,"indices":153,"matched_tokens":154,"snippets":156},[93],[155],[70],[85],{"field":101,"matched_tokens":158,"snippet":134,"value":135},[74],{"best_field_score":105,"best_field_weight":106,"fields_matched":160,"num_tokens_dropped":52,"score":161,"tokens_matched":93,"typo_prefix_score":52},2,"578730123365711978",{"document":163,"highlight":186,"highlights":191,"text_match":194,"text_match_info":195},{"cat_link":164,"category":165,"comment_count":52,"id":166,"is_sticky":52,"permalink":167,"post_author":55,"post_content":168,"post_date":169,"post_excerpt":58,"post_id":166,"post_modified":170,"post_thumbnail":171,"post_thumbnail_html":172,"post_title":173,"post_type":61,"sort_by_date":174,"tag_links":175,"tags":181},[49],[51],"95244","http://radioblackout.org/2025/01/il-boia-libico/","La scorsa settimana l’info si è occupata degli aspetti giuridici del caso del capo della polizia giuridica libica Elmasry, arrestato a Torino, in seguito ad un mandato della corte internazionale dell’Aja, ma subito fatto rilasciare da Nordio, ed immediatamente riportato in Libia da un aereo dell’aeronautica militare italiana .\r\nOggi proveremo a raccontarvi chi è Elmasry.\r\nL’uomo, signore assoluto del famigerato carcere di Mitiga, dove sono rinchiusi prigionieri politici ed apostati, ha costruito la sua reputazione su un regime del terrore fatto di continui abusi, stupri, omicidi e riduzione in schiavitù.\r\nUn trafficante di petrolio, armi ed esseri umani la cui carriera comincia ai tempi di Gheddafi e prende il volo con la “nuova” Libia.\r\nViene nominato capo della polizia giudiziaria nel 2015. E’ capo della milizia RADA, Forze Speciali di deterrenza, che controllano un’area che va da Tripoli sino a Zintan,\r\n“Nel carcere di Elmasry si sono verificati 34 omicidi e un bimbo è stato stuprato”, è scritto nel fascicolo dell’indagine della Corte penale internazionale dell’Aja, che ha spiccato il mandato di cattura nei suoi confronti. Secondo i giudici, Elmasry “ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli”.\r\nSono decine le testimonianze raccolte tra le vittime di Elmasry ed altri 12 torturatori ed assassini.\r\n\r\nIn Libia, dopo la firma, nel 2017, del memorandum di intesa – ministro dell’Interno era Minniti – i migranti sono una merce da spremere all’osso, senza alcun riguardo per la vita e la dignità di donne, bambin e uomini. L’Italia esternalizza i propri confini e paga la Libia per il contrasto dell’Immigrazione nei deserti del sud e nel Mediterraneo.\r\nOggi chi guadagna non sono tanto gli scafisti ma gli attori statali. Business della L’intercettazione e detenzione dei migranti è un business molto lucroso.\r\nLe milizie fanno a gara su chi gestisce più centri per avere accesso ai fondi stanziati dall’Italia. Ogni singolo migrante tenta più volte di passare, tornando nei centri più volte. Un tragico gioco dell’oca. Siriani, eritrei, yemeniti, eritrei ed etiopi vengono sottoposti a ricatto economico: i torturatori riprendono le proprie vittime ed inviano ai parenti richieste di riscatto. Per gli altri ci sono i lavori forzati.\r\nVi è una stretta relazione tra chi gestisce le prigioni per migranti ed Elmasry, che aveva il via libera per reclutare con la forza migranti per sottoporli a lavori forzati.\r\n\r\nUn processo con protagonista Elmasry avrebbe messo allo scoperto quello che tutti sappiamo ma che sarebbe stato imbarazzante per il governo Meloni sentire nelle aule di tribunale. Elmasry e quelli come lui sono solo gli esecutori di piani che da decenni vengono elaborati a Roma ed eseguiti a Tripoli.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Nancy Porsia, giornalista free lance e profonda conoscitrice della Libia\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/2025-01-28-almasry-porsia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","30 Gennaio 2025","2025-01-30 13:41:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/arton25015-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"138\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/arton25015-300x138.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/arton25015-300x138.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/arton25015-1024x472.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/arton25015-768x354.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/01/arton25015.jpg 1500w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Il boia libico",1738243728,[176,177,67,178,179,180],"http://radioblackout.org/tag/corte-dellaja/","http://radioblackout.org/tag/elmasry/","http://radioblackout.org/tag/memorandum-italia-libia/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/nordio/",[182,183,15,184,26,185],"corte dell'Aja","elmasry","memorandum italia libia","nordio",{"post_content":187},{"matched_tokens":188,"snippet":189,"value":190},[74],"carriera comincia ai tempi di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> e prende il volo con","La scorsa settimana l’info si è occupata degli aspetti giuridici del caso del capo della polizia giuridica libica Elmasry, arrestato a Torino, in seguito ad un mandato della corte internazionale dell’Aja, ma subito fatto rilasciare da Nordio, ed immediatamente riportato in Libia da un aereo dell’aeronautica militare italiana .\r\nOggi proveremo a raccontarvi chi è Elmasry.\r\nL’uomo, signore assoluto del famigerato carcere di Mitiga, dove sono rinchiusi prigionieri politici ed apostati, ha costruito la sua reputazione su un regime del terrore fatto di continui abusi, stupri, omicidi e riduzione in schiavitù.\r\nUn trafficante di petrolio, armi ed esseri umani la cui carriera comincia ai tempi di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> e prende il volo con la “nuova” Libia.\r\nViene nominato capo della polizia giudiziaria nel 2015. 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Ma cosa si può immaginare in trasparenza dietro a questa sorprendente iniziativa? in quale contesto nei due paesi si va a inserire?\r\n\r\nLo abbiamo chiesto contemporaneamente a Murat Cinar e a Nancy Porsia, creando un bel cortocircuito che coinvolge l'intero scacchiere mediorientale.\r\n\r\nIn entrambi i casi da quell'episodio si è potuto allargare il campo, ai molti motivi di scontro e guerra aperta, di repressione e strategie, alleanze e affinità religiose (piegate a fare da foglia di fico per gli interessi geopolitici): il parlamentare Demirtaş malato non curato nel carcere di Edirne dove è ostaggio del regime, banche nazionalizzate per svuotarne i forzieri e sovvenzionare le infrastrutture che fanno da bacino di voti per l'Akp, e poi l'arabizzazione forzata del Rojava negli intenti di Erdoğan – e in questo ambito si registrano le affermazioni di Assad, disponibile a incontrare il presidente turco ma solo per ricordargli che è un invasore (ma in fondo anche Assad padre aveva operato un'arabizzazione della regione ai danni dei curdi); le due fazioni che si contendono il potere in quella che era la Libia sono sempre più internazionalizzate, con precisi appoggi agli uni o agli altri, con la presenza russa che condiziona protagonisti di entrambi i campi di questa guerra per procura, che è un risvolto di quanto è successo e sta accadendo in Siria, un paese che sta diventando modello anche per una nazione che non esiste più dalla fine di Gheddafi; l’attenzione turca si sta da tempo concentrando anche sul Nordafrica e la Libia dove Arabia Saudita ed Emirati, insieme all’Egitto del generale al-Sisi, sostengono il capo della Cirenaica Khalifa Haftar. Mentre Ankara, con il Qatar e in parte l’Italia, appoggia il governo di Tripoli, la città di Misurata e la Fratellanza Musulmana.\r\n\r\n \r\n\r\nAscoltate questa interessante disamina dei tanti problemi che si vanno a toccare a partire dai dubbi che sorgono spontanei di fronte alla notizia di un accordo unilaterale nascosta tra le pieghe di notiziari indaffarati:\r\n\r\nSi delineano chiaramente le strategie di alleanze e spartizioni mediorientali","12 Dicembre 2019","2019-12-14 10:21:20","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/spartizione_corridoio-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"287\" height=\"175\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/spartizione_corridoio.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","La spartizione del Mediterraneo e strategie mediorientali",1576167757,[213,214,215,216,123,67,217,218,219],"http://radioblackout.org/tag/assad/","http://radioblackout.org/tag/curdi/","http://radioblackout.org/tag/demirtas/","http://radioblackout.org/tag/erdogan/","http://radioblackout.org/tag/serraj/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[221,222,223,37,18,15,224,225,35],"assad","curdi","Demirtas","Serraj","Siria",{"post_content":227},{"matched_tokens":228,"snippet":229,"value":230},[74],"esiste più dalla fine di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark>; l’attenzione turca si sta da","Lo spunto per questa doppia diretta ci è stato offerto dall'accordo intercorso tra Erdoğan e Serraj per spartirsi il petrolio del Mediterraneo. 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E la marina militare italiana li consegnava con l'inganno alle motovedette libiche. Lager, botte, torture... fuga. Un pool di avvocati dell'Asgi mantiene i contatti e riesce a intentare una causa: dopo dieci anni arriva la sentenza che sancisce l'illegittimità di respingimenti dei richiedenti asilo senza dare la possibilità di redigere la richiesta; una sentenza storica che farà giurisprudenza e che potrà essere estesa alle molte migliaia di persone respinte dalla Fortezza Europa. Nell’accogliere il ricorso i giudici del Tribunale civile di Roma, spiega una nota di Amnesty: «Si sono riferiti a quanto previsto dall’articolo 10 comma 3 della nostra Costituzione che riconosce allo straniero il diritto di asilo». Il risultato è che ai 14 eritrei che hanno intentato la causa va riconosciuto lo status di rifugiato e 15mila euro di risarcimento.\r\n\r\nA raccontare i dettagli di questa buona notizia dal fronte migrazione abbiamo coinvolto Loredana Leo, avvocata asgi che ha collaborato al ricorso e che sottolinea aspetti tecnici, ma anche risvolti politici, sviluppi in futuro e conseguenze di questo riconoscimento.\r\n\r\nLoredana Leo","6 Dicembre 2019","2019-12-06 01:42:00","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/Mano-migranti-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"151\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/Mano-migranti-300x151.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/Mano-migranti-300x151.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/Mano-migranti-768x386.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/Mano-migranti-1024x515.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/12/Mano-migranti.jpg 1074w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","«Illegittimo respingere rifugiati», una sentenza che fa giurisprudenza",1575596520,[249,250,251,252,253,254],"http://radioblackout.org/tag/asgi/","http://radioblackout.org/tag/libici/","http://radioblackout.org/tag/migrazioni/","http://radioblackout.org/tag/no-border/","http://radioblackout.org/tag/respingimenti/","http://radioblackout.org/tag/rifugiati/",[256,257,258,259,260,261],"asgi","libici","migrazioni","no border","respingimenti","rifugiati",{"post_content":263},{"matched_tokens":264,"snippet":265,"value":266},[74],"Era il 2009 nel Mediterraneo, \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> era nella sua tenda, Maroni","Era il 2009 nel Mediterraneo, \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> era nella sua tenda, Maroni al Viminale... già persone eritree arrivavano a chiedere rifugio da guerre e persecuzioni in qualche modo collegabili alle scorrerie occidentali. 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Per trovarla assimilabile alle pulsioni di liberazione che caratterizzano le giornate della cacciata di al Bashir dopo 30 anni di potere.\r\n\r\n \r\n\r\nIn questa sorta di viaggio ricognitivo in giro per l'Africa abbiamo preso le mosse dalla situazione più incandescente: quella sudanese in evoluzione [successivamente a questa nostra chiacchierata con Cornelia Toelgyes si è dimesso da leader dei golpisti Ahmed Awad Ibn Auf, dopo sole 24 ore di potere, in seguito alle proteste della piazza] dove un despota islamista è al potere da quasi 30 anni, portatovi da Usa, sauditi e Francia e che la condizione economica a seguito della secessione del Sud Sudan ha portato alla deposizione da parte del suo sistema militare nel tentativo di perpetuarsi, nonostante le proteste quotidiane dei dimostranti che ininterrottamente da 4 mesi manifestano la loro volontà di cambiamento. Abbiamo fatto il punto a venerdì mattina con la redattrice di Africa ExPress, ma soprattuto abbiamo cercato di analizzare attraverso quale percorso si è arrivati fin qui (composizione delle masse di protesta, loro dislocazione territoriale, flussi migratori, condizionamenti dall'estero), cercando di capire le molteplici e oscure possibili evoluzioni di una situazione molto incerta. Per ora sarà difficile che al-Bashir possa venire estradato all'Aja, dove è già stato condannato per crimini di guerra, stupri e massacri\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/Sudan-Toelgyes.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nSiamo rimasti nella fascia del Sahel, rivolgendoci a Luca Raineri, ricercatore all'Università Sant'Anna di Pisa e analista dell'Ispi, per sviscerare che tipo di conflitti dal punto di vista tribale si scatenano soprattutto in quelle nazioni dove il controllo politico è debole (segnatamente il Mali ne è un esempio palese); questi conflitti si intersecano con la politica nazionale e internazionale, creando situazioni difficilmente solvibili anche per la eterogeneità dei sistemi di riferimento, per quanto duttili e adattabili essi siano: infatti il più delle volte la violenza si scatena per motivi esterni alle contrapposizioni claniche e solo in seguito vengono ascritte ai dissidi etnici, dandogli corpo. Poi ogni nazione ha meccanismi propri e quindi Luca Raineri ci ha accompagnato attraverso il Ciad (dove il regime si basa su un'etnia particolare), la Mauritania (dove la polarizzazione etnica non si capisce prescindendo dalla costruzione del regime, che ammette la schiavitù perché fondata su un modello coloniale), attraverso paesaggi saheliani dove gli stati appoggiano internamente su classi sociali aristocratiche, più che fondate su singole etnie, fino ad arrivare in Libia, in cui l'elemento tribale è stato soggetto a pressioni e modifiche lungo la storia del secolo scorso, destrutturato fino alla fine di Gheddafi, quando è emerso come protagonista, con le conseguenze illustrateci da Luca, arrivando a Haftar, che si fida solo dei suoi famigliari sirtini:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/Raineri-Tribalismi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nConcludiamo il nostro viggio nell'Africa settentrionale in Algeria con la guida di Karim Metref, che avevamo interpellato varie volte sul suo paese per i più svariati eventi e sempre rimaneva un qualche sospeso dovuto a questa ingombrante presenza di Bouteflika. Rimosso questo peso, rimane il suo sistema e di nuovo – come in Sudan– una popolazione insorta in tutto il paese che richiede un cambiamento reale e non è soddisfatta delle semplici elezioni fissate per il 4 luglio da un potere che si presenta in continuità e costituito dai soliti militari che hanno seguito, appoggiato e diretto il presidente da loro deposto per mantenere il controllo.\r\n\r\nQui son gli apparati e gli oligarchi, i due partiti al potere: i blocchi di cui la popolazione vuole il dégagez (come si legge sul cartello qui a fianco), la cacciata. Un sostegno quello del sistema che ha bisogno di lobbies, sempre le stesse, di clan e di militari. Karim ci ha riassunto precisamente e sinteticamente il percorso compiuto da Bouteflika e dalla sua famiglia: figure secondarie ma sempre presenti.\r\n\r\nE poi ci ha raccontato con precisione la composizione dei milioni di manifestanti pacifici e eterogenei. L'obiettivo comune dei 6-7 milioni di manifestanti è costituire un'assemblea che possa gestire le questioni reali del paese... e tutto il paese è sceso in piazza uniformemente. Anche l'economia (compreso il ruolo cinese) e l'industria del petrolio sono entrati nel raconto ad ampio raggio di Karim, toccando il rischio che lo stato si indebiti nuovamente, anche a seguito delle prebende che si devono distribuire per mantenere il controllo del potere, come le infrastrutture imposte per foraggiare lobbies, i progetti inutili da bloccare e riconvertire. Il discorso di Karim è stato a tuttotondo e ne è sortito un affresco dell'Algeria preciso e lucido:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/Algeria-Metref.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","13 Aprile 2019","2019-04-13 11:38:47","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/2019-04-12_sudan-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"162\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/2019-04-12_sudan-300x162.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/2019-04-12_sudan-300x162.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/2019-04-12_sudan-768x414.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/2019-04-12_sudan.jpg 800w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Africa in ebollizione: dégage et dégagez",1555154287,[285,286,287,288,289,290,123,291,67,292,293,294],"http://radioblackout.org/tag/al-bashir/","http://radioblackout.org/tag/algeria/","http://radioblackout.org/tag/bashir/","http://radioblackout.org/tag/bouteflika/","http://radioblackout.org/tag/ciad/","http://radioblackout.org/tag/degage/","http://radioblackout.org/tag/insurrezioni/","http://radioblackout.org/tag/mauritania/","http://radioblackout.org/tag/sudan/","http://radioblackout.org/tag/tribalismo/",[296,297,298,299,300,301,18,302,15,303,304,305],"al-Bashir","Algeria","Bashir","Bouteflika","Ciad","degage","insurrezioni","mauritania","Sudan","tribalismo",{"post_content":307},{"matched_tokens":308,"snippet":309,"value":310},[74],"destrutturato fino alla fine di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark>, quando è emerso come protagonista,"," \r\n\r\nIn queste giornate in cui l'Africa si trova al centro dell'attenzione internazionale e si prende persino degli spazi sulle prime pagine dei quotidiani abbiamo pensato che fosse doveroso ampliare lo sguardo che normalmente riserviamo al continente, producendo un ideale viaggio che prende le mosse dagli eventi della più stretta attualità del Sudan e quindi passando per il Sahel, seguendo l'itinerario di traffici di merci e umani giungere in Libia attraverso le lotte tribali, diversamente articolate e declinate secondo i localismi e le realtà socio-economiche di quella striscia di territorio che passa dal Sahel al Sahara, giungendo infine nell'Algeria del dopo Bouteflika. Per trovarla assimilabile alle pulsioni di liberazione che caratterizzano le giornate della cacciata di al Bashir dopo 30 anni di potere.\r\n\r\n \r\n\r\nIn questa sorta di viaggio ricognitivo in giro per l'Africa abbiamo preso le mosse dalla situazione più incandescente: quella sudanese in evoluzione [successivamente a questa nostra chiacchierata con Cornelia Toelgyes si è dimesso da leader dei golpisti Ahmed Awad Ibn Auf, dopo sole 24 ore di potere, in seguito alle proteste della piazza] dove un despota islamista è al potere da quasi 30 anni, portatovi da Usa, sauditi e Francia e che la condizione economica a seguito della secessione del Sud Sudan ha portato alla deposizione da parte del suo sistema militare nel tentativo di perpetuarsi, nonostante le proteste quotidiane dei dimostranti che ininterrottamente da 4 mesi manifestano la loro volontà di cambiamento. Abbiamo fatto il punto a venerdì mattina con la redattrice di Africa ExPress, ma soprattuto abbiamo cercato di analizzare attraverso quale percorso si è arrivati fin qui (composizione delle masse di protesta, loro dislocazione territoriale, flussi migratori, condizionamenti dall'estero), cercando di capire le molteplici e oscure possibili evoluzioni di una situazione molto incerta. Per ora sarà difficile che al-Bashir possa venire estradato all'Aja, dove è già stato condannato per crimini di guerra, stupri e massacri\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/Sudan-Toelgyes.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nSiamo rimasti nella fascia del Sahel, rivolgendoci a Luca Raineri, ricercatore all'Università Sant'Anna di Pisa e analista dell'Ispi, per sviscerare che tipo di conflitti dal punto di vista tribale si scatenano soprattutto in quelle nazioni dove il controllo politico è debole (segnatamente il Mali ne è un esempio palese); questi conflitti si intersecano con la politica nazionale e internazionale, creando situazioni difficilmente solvibili anche per la eterogeneità dei sistemi di riferimento, per quanto duttili e adattabili essi siano: infatti il più delle volte la violenza si scatena per motivi esterni alle contrapposizioni claniche e solo in seguito vengono ascritte ai dissidi etnici, dandogli corpo. Poi ogni nazione ha meccanismi propri e quindi Luca Raineri ci ha accompagnato attraverso il Ciad (dove il regime si basa su un'etnia particolare), la Mauritania (dove la polarizzazione etnica non si capisce prescindendo dalla costruzione del regime, che ammette la schiavitù perché fondata su un modello coloniale), attraverso paesaggi saheliani dove gli stati appoggiano internamente su classi sociali aristocratiche, più che fondate su singole etnie, fino ad arrivare in Libia, in cui l'elemento tribale è stato soggetto a pressioni e modifiche lungo la storia del secolo scorso, destrutturato fino alla fine di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark>, quando è emerso come protagonista, con le conseguenze illustrateci da Luca, arrivando a Haftar, che si fida solo dei suoi famigliari sirtini:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/04/Raineri-Tribalismi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nConcludiamo il nostro viggio nell'Africa settentrionale in Algeria con la guida di Karim Metref, che avevamo interpellato varie volte sul suo paese per i più svariati eventi e sempre rimaneva un qualche sospeso dovuto a questa ingombrante presenza di Bouteflika. Rimosso questo peso, rimane il suo sistema e di nuovo – come in Sudan– una popolazione insorta in tutto il paese che richiede un cambiamento reale e non è soddisfatta delle semplici elezioni fissate per il 4 luglio da un potere che si presenta in continuità e costituito dai soliti militari che hanno seguito, appoggiato e diretto il presidente da loro deposto per mantenere il controllo.\r\n\r\nQui son gli apparati e gli oligarchi, i due partiti al potere: i blocchi di cui la popolazione vuole il dégagez (come si legge sul cartello qui a fianco), la cacciata. Un sostegno quello del sistema che ha bisogno di lobbies, sempre le stesse, di clan e di militari. Karim ci ha riassunto precisamente e sinteticamente il percorso compiuto da Bouteflika e dalla sua famiglia: figure secondarie ma sempre presenti.\r\n\r\nE poi ci ha raccontato con precisione la composizione dei milioni di manifestanti pacifici e eterogenei. L'obiettivo comune dei 6-7 milioni di manifestanti è costituire un'assemblea che possa gestire le questioni reali del paese... e tutto il paese è sceso in piazza uniformemente. Anche l'economia (compreso il ruolo cinese) e l'industria del petrolio sono entrati nel raconto ad ampio raggio di Karim, toccando il rischio che lo stato si indebiti nuovamente, anche a seguito delle prebende che si devono distribuire per mantenere il controllo del potere, come le infrastrutture imposte per foraggiare lobbies, i progetti inutili da bloccare e riconvertire. 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Il processo di Astana (accordo fra Russia ,Turchia e Iran) ha disinnescato il conflitto congelandolo ,ma la crisi di egemonia dell'impero americanao si è rivelata ulteriormente con la constatazione che gli Stati Uniti non sono in grado di sostenere una guerra su più fronti. L'egemonia americana si esercita solo sul piano militare , grazie alla presenza di basi militari dislocate in tutto il mondo e alla bulimica spesa per la difesa che viene finanziata attraendo dollari che sono considerati un bene rifugio di fronte al caos che diventa funzionale al mantenimento dell'egemonia statunitense.\r\n\r\nIl capitale investito nella guerra ucraina ritorna per un 90% negli U.S.A. attraverso il complesso militare industriale che produce gli armamenti venduti al governo di Kiev , con la guerra per procura l'egemone americano ha ottenuto di dividere l'Europa dalla Russia, azzerare l'affluso di energia a basso costo proveniente dalla Russia che sosteneva la produzione tedesca con la distruzione dei gasdotti ,colpendo un potenziale concorrente e ha rivitalizzto la Nato . Nelle aspettative dei think tank neoconservatori come \"Heritage foundation\" che ancora condizionano la politica estera statunitense ,la guerra per procura contro la Russia avrebbe dovuto portare al collasso di Mosca e di conseguenza un indebolimento della Cina ,indicata come il nemico principale dal PNAC (Project for the New American Century) .\r\n\r\nL'operazione Maidan guidata da Victoria Nuland faceva parte del progetto di espansione della Nato fino ai confini della Russia e la guerra nel Donbass è stata alimentata ad arte depotenziando fino a renderli inefficaci gli accordi di Minsk come ha avuto modo di confermare pubblicamente la ex cancelliera tedesca Merkel.\r\n\r\nLe prospettive di un coinvolgimento nel conflitto della Nato sono reali considerando le difficoltà sul campo dell'esercito ucraino ,si sta preparando l'opinione pubblica a questa eventualità mutando attraverso la propaganda bellica la stessa percezione della guerra ,creando le premesse per un arruolamento anche delle coscienze .\r\n\r\nL'unica risposta alla classica domanda sul \"che fare\" rimane la guerra contro le borghesie nazionali che ci stanno portando alla catastrofe e la diserzione di massa contro la mobilitazione guerrafondaia che viene alimentata dalla propaganda bellicista.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/BASTIONI-110424-GUERRA-MONESTAROLO.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Matteo Palamidesse redattore della rivista Focus on Africa parliamo del Corno d'Africa in particolare del processo di dissoluzione dell'entità statale somala dopo le prese di posizione del Puntland ,(regione semiautonoma della Somalia) , che ha ritirato il 31 marzo il suo riconoscimento delle autorità federali somale, dopo che il parlamento di Mogadiscio ha approvato una riforma costituzionale che introduce, tra le altre cose, l’elezione diretta del presidente e gli permette di nominare il primo ministro senza l’approvazione del parlamento . Finora la Somalia aveva votato con un sistema indiretto, in cui i rappresentanti dei clan facevano da intermediari. Secondo il governo le riforme sono necessarie per la stabilità politica, ma chi le critica pensa che l’esecutivo stia cercando di accentrare il potere. Le autorità del Puntland chiedono un referendum nazionale sulle riforme.\r\n\r\nA questo si aggiunge l'accordo tra Etiopia e Somaliland che prevede per l’Etiopia l'accesso ai porti del Somaliland, che in cambio otterrà il riconoscimento ufficiale da parte di Addis Abeba (al momento il Somaliland non è riconosciuto dalla comunità internazionale).\r\n\r\nPer quanto non legalmente vincolante, il memorandum d’intesa è considerato un passo molto importante sia per l’Etiopia, che così avrà uno sbocco commerciale e navale sul Mar Rosso – che gli è precluso dal 1993, anno dell'indipendenza dell'Eritrea – sia per il Somaliland, che uscirebbe ufficialmente per la prima volta dall'isolamento internazionale in cui si trova. L'accordo ha scatenato la reazione ostile da parte della Somalia con una crisi diplomatica con l'Etiopia ,a dimostrazione delle tensioni che si addensano sul Corno d'Africa ,un area estremamente sensibile rispetto agli equilibri strategici e commerciali globali in via di ridefinizione.\r\nParliamo anche del Sudan ad un anno dallo scoppio della guerra tra l'esercito sudanese e le RSF (le forze di supporto rapido) di Hemmeti , la situazione dal punto di vista militare è di stallo con il paese diviso in due ,la diplomazia internazionale è totalmente inefficace ,si richiede la riapertura dei colloqui fra le parti per far ripartire le trattative ,la società civile sudanese che 5 anni fa ersa stata protagonista delle mobilitazione che avevano portato alla caduta di Al Bashir è schiacciata dalla guerra che ha un impatto devastante sulla popolazione.\r\n\r\nNell'indifferenza generale dell'informazione si sta producendo in Sudan un vera e propria catastrofe umanitaria ,metà della popolazione sudanese è bisognosa di assistenza sanitaria ,otto milioni di profughi interni e più di un milione e mezzo di rifugiati nei paesi confinanti non hanno accesso ai presidi sanitari ,hanno difficoltà a reperire cibo ,si stanno diffondendo epidemie ,si assiste a ripetute violazioni dei diritti umani da parte di entrambi i contendenti con stupri di massa ed episodi di pulizia etnica sempre più frequenti.\r\n\r\nNessuno dei contendenti puo' vincere militarmente e gli interessi dei paesi coinvolti nel sostegno della guerra alimentano il conflitto nel silenzio complice delle diplomazie occidentali , mentre il popolo sudanese è sprofondato in un incubo senza fine dopo le speranze alimentate dalla caduta del dittatore Al Bashir 5 anni fa.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/BASTIONI-110424-MATTEO.mp3\"][/audio]","14 Aprile 2024","2024-04-14 12:10:01","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-2-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 11/04/2024- GUERRA IN UCRAINA,DECLINO DELL'IMPERO E CONTESA PER L'EGEMONIA GLOBALE -SUDAN AD UN ANNO DALLA GUERRA FRA WARLORDS NESSUN VINCITORE POSSIBILE E UNA CRISI UMANITARIA DEVASTANTE .","podcast",1713096601,[365],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[367],"Bastioni di Orione",{"post_content":369},{"matched_tokens":370,"snippet":371,"value":372},[74],"Siria dove la fine di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> è stata un campanello di","Bastioni di Orione con Giorgio Monestarolo che si occupa principalmente di storia economica e socio-culturale dell’età moderna, con particolare attenzione ai rapporti tra capitalismo, economia di mercato e dinamiche sociali e ambientali nonchè autore del libro \"Ucraina ,Europa mondo \" parliamo della guerra in Ucraina e i riflessi del conflitto sulla contesa per l'egemonia globale in corso.\r\n\r\nSi parte con un collegamento tra il conflitto ucraino e la guerra in Libia e in Siria dove la fine di \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> è stata un campanello di allarme per Putin e il tentativo di cambio di regime in Siria è fallito a causa dell'intervento militare russo che ha sostenuto il suo cliente storico Assad per tutelare la propria proiezione nel Mediterraneo . 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Nelle aspettative dei think tank neoconservatori come \"Heritage foundation\" che ancora condizionano la politica estera statunitense ,la guerra per procura contro la Russia avrebbe dovuto portare al collasso di Mosca e di conseguenza un indebolimento della Cina ,indicata come il nemico principale dal PNAC (Project for the New American Century) .\r\n\r\nL'operazione Maidan guidata da Victoria Nuland faceva parte del progetto di espansione della Nato fino ai confini della Russia e la guerra nel Donbass è stata alimentata ad arte depotenziando fino a renderli inefficaci gli accordi di Minsk come ha avuto modo di confermare pubblicamente la ex cancelliera tedesca Merkel.\r\n\r\nLe prospettive di un coinvolgimento nel conflitto della Nato sono reali considerando le difficoltà sul campo dell'esercito ucraino ,si sta preparando l'opinione pubblica a questa eventualità mutando attraverso la propaganda bellica la stessa percezione della guerra ,creando le premesse per un arruolamento anche delle coscienze .\r\n\r\nL'unica risposta alla classica domanda sul \"che fare\" rimane la guerra contro le borghesie nazionali che ci stanno portando alla catastrofe e la diserzione di massa contro la mobilitazione guerrafondaia che viene alimentata dalla propaganda bellicista.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/BASTIONI-110424-GUERRA-MONESTAROLO.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Matteo Palamidesse redattore della rivista Focus on Africa parliamo del Corno d'Africa in particolare del processo di dissoluzione dell'entità statale somala dopo le prese di posizione del Puntland ,(regione semiautonoma della Somalia) , che ha ritirato il 31 marzo il suo riconoscimento delle autorità federali somale, dopo che il parlamento di Mogadiscio ha approvato una riforma costituzionale che introduce, tra le altre cose, l’elezione diretta del presidente e gli permette di nominare il primo ministro senza l’approvazione del parlamento . Finora la Somalia aveva votato con un sistema indiretto, in cui i rappresentanti dei clan facevano da intermediari. Secondo il governo le riforme sono necessarie per la stabilità politica, ma chi le critica pensa che l’esecutivo stia cercando di accentrare il potere. Le autorità del Puntland chiedono un referendum nazionale sulle riforme.\r\n\r\nA questo si aggiunge l'accordo tra Etiopia e Somaliland che prevede per l’Etiopia l'accesso ai porti del Somaliland, che in cambio otterrà il riconoscimento ufficiale da parte di Addis Abeba (al momento il Somaliland non è riconosciuto dalla comunità internazionale).\r\n\r\nPer quanto non legalmente vincolante, il memorandum d’intesa è considerato un passo molto importante sia per l’Etiopia, che così avrà uno sbocco commerciale e navale sul Mar Rosso – che gli è precluso dal 1993, anno dell'indipendenza dell'Eritrea – sia per il Somaliland, che uscirebbe ufficialmente per la prima volta dall'isolamento internazionale in cui si trova. L'accordo ha scatenato la reazione ostile da parte della Somalia con una crisi diplomatica con l'Etiopia ,a dimostrazione delle tensioni che si addensano sul Corno d'Africa ,un area estremamente sensibile rispetto agli equilibri strategici e commerciali globali in via di ridefinizione.\r\nParliamo anche del Sudan ad un anno dallo scoppio della guerra tra l'esercito sudanese e le RSF (le forze di supporto rapido) di Hemmeti , la situazione dal punto di vista militare è di stallo con il paese diviso in due ,la diplomazia internazionale è totalmente inefficace ,si richiede la riapertura dei colloqui fra le parti per far ripartire le trattative ,la società civile sudanese che 5 anni fa ersa stata protagonista delle mobilitazione che avevano portato alla caduta di Al Bashir è schiacciata dalla guerra che ha un impatto devastante sulla popolazione.\r\n\r\nNell'indifferenza generale dell'informazione si sta producendo in Sudan un vera e propria catastrofe umanitaria ,metà della popolazione sudanese è bisognosa di assistenza sanitaria ,otto milioni di profughi interni e più di un milione e mezzo di rifugiati nei paesi confinanti non hanno accesso ai presidi sanitari ,hanno difficoltà a reperire cibo ,si stanno diffondendo epidemie ,si assiste a ripetute violazioni dei diritti umani da parte di entrambi i contendenti con stupri di massa ed episodi di pulizia etnica sempre più frequenti.\r\n\r\nNessuno dei contendenti puo' vincere militarmente e gli interessi dei paesi coinvolti nel sostegno della guerra alimentano il conflitto nel silenzio complice delle diplomazie occidentali , mentre il popolo sudanese è sprofondato in un incubo senza fine dopo le speranze alimentate dalla caduta del dittatore Al Bashir 5 anni fa.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/BASTIONI-110424-MATTEO.mp3\"][/audio]",[374],{"field":101,"matched_tokens":375,"snippet":371,"value":372},[74],{"best_field_score":196,"best_field_weight":197,"fields_matched":93,"num_tokens_dropped":52,"score":198,"tokens_matched":93,"typo_prefix_score":52},{"document":378,"highlight":395,"highlights":400,"text_match":194,"text_match_info":403},{"comment_count":52,"id":379,"is_sticky":52,"permalink":380,"podcastfilter":381,"post_author":322,"post_content":382,"post_date":383,"post_excerpt":58,"post_id":379,"post_modified":384,"post_thumbnail":385,"post_title":386,"post_type":362,"sort_by_date":387,"tag_links":388,"tags":393},"24629","http://radioblackout.org/podcast/libia-il-grande-gioco-tra-sangue-e-petrolio/",[322],"La Libia è attraversata da una guerra per bande che sta frantumando il paese, rendendo sempre più difficile la vita sia ai libici sia ai numerosi profughi subsahariani che ci vivono. Mercoledì 6 agosto c'é stato un blackout totale. A Tripoli internet, la rete dei cellulari e l'acqua funzionano a singhiozzo.\r\nAnche l'assistenza sanitaria è a rischio, perché il governo filippino ha chiesto ai 13mila lavoratori immigrati nel paese di lasciare la Libia. Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti al potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il governo Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. Già nel 2011, dopo mesi alla finestra il governo italiano decise di intervenire in Libia, rompendo l'alleanza con il governo di Muammar Gheddafi, per contrastare il piano franco inglese di sostituire l'Italia sia nerll'interscambio commerciale sia nel ruolo di referente privilegiato in Europa.\r\nL'Italia riuscì in quell'occasione a mantenere i contratti dell'ENI, ma, nonostante le assicurazioni delle nuove autorità libiche, non è mai riuscita ad ottenere l'outsourcing della repressione dell'immigrazione già garantito da Gheddafi. In questi giorni il governo moltiplica gli allarmi sull'emergenza immigrati, ma, nei fatti la crisi libica rende difficile richiudere la frontiera sud.\r\n\r\nPer profughi e migranti la situazione nel paese è terribile. L'Alto commissariato Onu per i rifiugati, che ha lasciato Tripoli a causa degli scontri, segnala che circa 30mila persone hanno passato il confine con la Tunisia la scorsa settimana, mentre ogni giorno 3.000 uomini attraversano la frontiera con l'Egitto; sono soprattutto egiziani che lavoravano in Libia, ma anche libici che possono permettersi la fuga. Tuttavia, la condizione peggiore è quella dei rifugiati provenienti dall'Africa subsahariana. \"Sono quasi 37mila - spiega l'agenzia Onu - le persone che abbiamo registrato; nella sola Tripoli, più di 150 persone provenienti da Eritrea e Somalia hanno chiamato il nostro numero verde per richiedere medicinali o un luogo più sicuro dove stare. Stiamo anche ricevendo chiamate da molti siriani e palestinesi che si trovano a Bengasi e che hanno un disperato bisogno di assistenza\".\r\n\r\nGli africani neri rischiano la pelle. Uomini delle milizie entrano nelle case che danno rifugio ai profughi, che vengono derubati di ogni cosa e spesso uccisi. Molti maschi vengono rapiti e ridotti in schiavitù: vengono obbligati a fare i facchini durante gli spostamenti, le donne vengono invece sistematicamente stuprate. Nelle carceri, dove i migranti subsahariani sono detenuti finché pagano un riscatto, la situazione è peggiorata: oltre ai \"consueti\" abusi ai prigionieri è negato anche il cibo.\r\n\r\nLe divisioni storiche tra Tripolitania, Cirenaica, e Fezzan sono divenute esplosive. Al di là della partita politica c'é la lotta senza quartiere per il controllo delle risorse, in primis il petrolio.\r\nDopo la caduta di Moammar Gheddafi tre estati fa, i vari governi che si sono succeduti non sono riusciti a imporsi sui circa 140 gruppi tribali che compongono la Libia. Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata Al Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando Mosul e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia di Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie di Misurata e di alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo di un deposito di carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno di un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese di origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore di quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia","7 Agosto 2014","2018-10-17 22:59:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/08/libia-200x110.jpg","Libia. 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La struttura di Mineo non ne potrebbe accogliere più di 2000. Venne aperta nel 2011 durante la guerra per la Libia per fare fronte all'ondata di profughi che approdarono a Lampedusa dopo l'attaco alla Libia. La rottura del trattato di cooperazione siglato dal governo italiano con quello libico riaprì la rotta verso Lampedusa, che la politica dei respingimenti di massa e della detenzione nelle prigioni di Gheddafi aveva chiuso per quasi due anni.\r\nI CARA della penisola vennero vuotati per fare spazio ai nuovi arrivati, gli altri vennero concentrati a Mineo. Una soluzione perfetta per tutti. Perfetta per la ditta Pizzarotti di Parma, costruttrice e proprietaria del \"Recidence Aranci\", vuoto da tempo dopo l'abbandono dei militari statunitensi di stanza a Sigonella per le cui famiglie era stato edificato. Perfetta per il governo che si toglieva le castagne dal fuoco. La società Pizzarotti non risuciva a venedere né affittare una struttura sorta in campagna, lontana dai centri abitati, lontana dagli sguardi, il governo aveva proprio bisogno di un posto così.\r\nDopo due anni la situazione è esplosiva. Pochi giorni fa si è tolto la vita un ragazzo eritreo, stanco di attendere un pezzo di carta che lo autorizzasse a ri-cominciare la sua vita interrotta dalla guerra, dalla diserzione, dal deserto, dai trafficanti di uomini, dai guardiani delle frontiere. La Commissione territoriale per la valutazione delle richieste di asilo venne installata a due mesi dall'apertura del maxi CARA di Mineo, dopo una prima rivolta degli immigrati.\r\nLe cooperative che gestiscono la struttura, tra queste la Sisifo di Lampedusa, la stessa nell'occhio del ciclone per la pulizia etnica di Lampedusa, praticano la politica del \"divide et impera\", spacciandola come autogestione da parte dei reclusi su base etnica. Di fatto i \"rappresentanti\" individuati dai gestori sono una sorta di kapò che fanno la spia e cercano di impedire l'unità tra i rifugiati. In cambio godono del privilegio di vivere in villette più grandi, pulite con ampi spazi a disposizione.\r\n\r\nMercoledì 18 nella struttura viene fatta un'assemblea cui partecipano anche gli antirazzisti catanesi, che promuove una protesta per il giorno successivo.\r\n\r\nGiovedì 19 circa mille uomini, donne, bambini danno vita ad una lunga giornata di lotta. Tra i tanti cartelli e striscioni uno ricorda il giovane eritreo morto suicida la settimana precedente.\r\nAll'alba viene bloccata la Statale 417 che collega Catania e Gela. I blocchi sono due: uno sulla 417, l'altro in direzione di Mineo. I manifestanti vogliono andare a Catania, che però dista 40 chilometri. Troppa strada specie per i bambini. I rifugiati decidono di muoversi verso Palagonia: prima della cittadina la polizia li blocca. 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Stanchi di promesse non erano più disponibili ad attendere una risposta, che secondo le stesse leggi, dovrebbe arrivare entro 35 giorni.\r\nCentinaia di immigrati hanno nuovamente bloccato con grossi massi le strade statali 417 e 385.",[429],{"field":101,"matched_tokens":430,"snippet":426,"value":427},[74],{"best_field_score":196,"best_field_weight":197,"fields_matched":93,"num_tokens_dropped":52,"score":198,"tokens_matched":93,"typo_prefix_score":52},{"document":433,"highlight":451,"highlights":456,"text_match":194,"text_match_info":459},{"comment_count":52,"id":434,"is_sticky":52,"permalink":435,"podcastfilter":436,"post_author":322,"post_content":437,"post_date":438,"post_excerpt":58,"post_id":434,"post_modified":439,"post_thumbnail":440,"post_title":441,"post_type":362,"sort_by_date":442,"tag_links":443,"tags":449},"18701","http://radioblackout.org/podcast/i-morti-di-lampedusa-il-vecchio-nazista-la-danza-macabra-della-lega-nord/",[322],"Corpi in eccesso\r\n359 bare allineate in un hangar per dare una parvenza di dignità alle ultime vittime della frontiera sud della Fortezza Europa. I sacchi neri, che a Lampedusa sono sempre pronti, non potevano reggere la prova della telecamera, il ginocchio piegato di Letta, il cordoglio di Barroso e Alfano, il lutto nazionale, l'indignazione degli assassini che hanno deciso di accendere i riflettori su uno dei tanti episodi della guerra ai poveri.\r\nSullo sfondo i pescatori che fuggono le telecamere perché sanno che chi tira fuori dall'acqua qualcuno rischia l'incriminazione per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e il sequestro della barca, del lavoro, del futuro. Le immagini dei giornalisti a caccia di \"eroi\" potrebbero essere usate da qualche solerte magistrato. Nei lunghi anni di questa guerra nascosta chi ha teso la mano nell'usuale solidarietà di chi solca il mare spesso è incappato nelle maglie della giustizia.\r\nAmara come fiele l'indignazione di Letta per l'incriminazione dei superstiti, come se i governanti non sapessero che l'ordinamento lo impone.\r\n\r\nAnarres ha chiesto un commento a caldo ad Alberto La Via, un antirazzista siciliano, che in questi anni ha visto il Mare di Mezzo farsi sudario per i corpi cui la ferocia delle frontiere avevano sottratto la vita.\r\nVentimila quelli che qualcuno ha visto partire da uno dei tanti sud e non tornare mai più. Certo di più quelli di cui non si è avuta alcuna notizia.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n2013 10 04 Alberto Lampedusa\r\n\r\nLa guerra ai poveri è fatta di respingimenti collettivi, è una guerra scritta nelle leggi che rendono impossibile entrare legalmente nel nostro paese per cercare un lavoro o un rifugio, perché la clandestinità non è una scelta ma un'imposizione dello Stato italiano.\r\nAl governo, ai padroni non è mai interessato fermare l'immigrazione, ma avere a disposizione tanti corpi clandestini, anonimi, ricattabili per metterli al lavoro, per piegarli alle esigenze dei padroni. Schiavi senza diritti. Schiavi la cui condizione ha fatto da modello per tritare buona parte del sistema di garanzie strappato in decenni di lotte durissime dai lavoratori italiani.\r\nNella sua forma più cruda è il modello nazista. Durante la seconda guerra mondiale nelle fabbriche della Germania hitleriana i prigionieri selezionati nei lager venivano sfruttati a morte e poi uccisi. Selezione, sfruttamento, sterminio dei corpi in eccesso, dei più deboli, degli anziani, dei bambini, dei malati. Il nazismo non fu una perversione ma la cruda realizzazione della logica del profitto, l'apoteosi del sistema capitalista, cui veniva fornita manodopera gratuita, sostituibile all'infinito.\r\nUn ideale difficile da eguagliare ma sempre vivo tra chi non ha altra morale che quella dei soldi.\r\n\r\nSulla Turco-Napolitano Bossi-Fini ascolta la diretta con Federico, un antirazzista triestino:\r\n2013 10 11 federico frontex Bossi Fini\r\n\r\nUna morale ragioniera\r\nQualche giorno dopo la strage di Lampedusa la commissione giustizia del Senato ha votato l'abolizione del reato di immigrazione clandestina. Tra i sì quello dei due senatori grillini. Il giorno dopo è scattata violentissima la reprimenda di Grillo e Casaleggio contro i due parlamentari che si erano discostati dal \"programma\", lo scarno vademecum del delegato a Cinque Stelle.\r\nCasaleggio usa argomenti da ragioniere populista, ricordando che nel nostro paese chi non attacca l'immigrazione perde voti. Un chiaro esempio di etica politica, quella che misura la saldezza dei propri principi sui punti che vale nella partita delle poltrone. Niente di nuovo sotto il sole.\r\nIl guru genovese, famoso per le sue dichiarazioni di stampo leghista sugli immigrati, considerati potenziali terroristi, non può che nuotare nel mare caldo della maggioranza rancorosa su cui si sono fondate le fortune della destra xenofoba.\r\nAltre crepe si aprono nella compagine pentastellata, dove il populismo giustizialista macina insieme le vicende giudiziarie di Berlusconi, gli affogati del Mediterraneo, gli affarucci della casta.\r\nDi fatto il reato di immigrazione clandestina è una scatola vuota, che costa ben poco buttare nel bidone della carta da riciclare. Il governo Berlusconi fu obbligato a cancellare la pena detentiva per adeguarsi alle normative che anche l'Italia aveva sottoscritto in sede europea. Oggi chi viola l'ordine di allontanarsi dal territorio nazionale rischia una multa da cinque a dieci mila euro. La sanzione non cancella il reato, anche se l'immigrato paga, resta sempre clandestino. Ne consegue che nessuno paga e nessuno se va spontaneamente dall'Italia.\r\nAbolire il reato di immigrazione clandestina sarebbe un gesto meramente simbolico. Certo anche i simboli contano, ma non vorremmo che qualcuno si salvasse la faccia con poco sforzo.\r\n\r\nNuovi democristiani\r\nDal canto suo Enrico Letta con raffinatezza democristiana dichiara al direttore di Repubblica Ezio Mauro, che da uomo e da politico, cancellerebbe la Bossi-Fini. Peccato che il governo delle grandi alleanze gli fornisca un buon alibi per fare bella figura senza fare nulla.\r\nI piroscafi stanno portando via le bare da Lampedusa: bisogna fare posto ai morti pescati di fresco. Altre centinaia nella contabilità di morte della Turco-Napolitano Bossi-Fini. La Libia del dopo Gheddafi non garantisce più il servizio delle proprie prigioni/lager. Un servizio pulito, dove gli ordini di Roma venivano eseguiti dall'esecrabile alleato.\r\nIl caos mediatico/politico dei morti di Lampedusa ha uno scopo molto chiaro: ottenere maggiori risorse dall'Europa, una sede di Frontex in Italia e più risorse per pagare i paesi della sponda sud del Mediterraneo perché facciano da gendarmi e carcerieri per migranti e profughi.\r\nCosì i corpi in eccesso potranno essere respinti, richiusi, seppelliti lontano dalle nostre sponde. Ancora una volta invisibili.\r\n\r\nIl corpo del nazista e il corpo politico\r\nSin troppo visibile è il corpo dell'anziano nazista Priebke. Nessuno lo vuole. In questo paese senza memoria un nazista morto crea imbarazzo. Come se una tomba al Verano fosse un eccesso di pietas, quella pietas che certo l'ufficiale delle SS non ebbe mai per le proprie vittime.\r\nCosì si assiste al paradosso che la strage di Stato di Lampedusa, i corpi in eccesso selezionati dal mare per conto del governo italiano hanno esequie di Stato, mentre il corpo del nazista ospitato per anni a Roma crea imbarazzo. Questione di identità. Gli italiani brava gente seppelliscono le vittime delle loro leggi, negano la sepoltura a chi, nel nome di una legge analoga, ha fatto fucilare 335 inermi. Per una singolare corrispondenza il numero delle vittime è quasi lo stesso.\r\n\r\nDanza macabra\r\nA Torino, senza pudore, i leghisti hanno compiuto la loro danza macabra nel centro cittadino. Qualche centinaio di metri di corteo, poche migliaia di persone hanno sfilato in un verde metallico che nulla ha della tenerezza dell'erba. Intorno a loro un dispositivo militare senza pari. Centinaia di poliziotti e carabinieri hanno paralizzato il centro, chiudendo in una morsa d'acciaio la manifestazione leghista.\r\nNonostante l'imponente dispositivo la manifestazione è stata contestata da più parti: non violenti in piazza CLN, No Tav in via Nizza, un migliaio di antirazzisti in corteo hanno assediato per ore i tristi padani. Gli antirazzisti hanno attraversato il centro cittadino, cercando di raggiungere la stazione. La polizia ha fatto leggere ma frequenti cariche per impedire al corteo di avvicinarsi ai leghisti.\r\nPer loro i morti di Lampedusa sono una festa. Come dimenticare i manifesti, che incitavano a fermare l’invasione? Come dimenticare la presidente leghista della Camera Irene Pivetti che nel 1997 esortava la Marina Militare a speronare le barche degli immigrati? Il 28 marzo la corvetta Sibilla mandò a picco la Kater i Rades piena di albanesi. Vennero recuperati solo 81 corpi. Gli altri restarono tra le braccia del Mediterraneo.\r\nIl figlio del Senatur qualche anno dopo è andato proprio in Albania ad acquisire una laurea.\r\nLa presidente ultracattolica della Camera passò dal modello Vandea a quello sado maso, restando così coerente con se stessa.\r\nI democratici, da vent'anni al governo della città, hanno scelto di stare al coperto. Un silenzio fragoroso.\r\nNelle stesse ore a Roma i sinceri democratici sfilavano per la Costituzione, come se l'astrattezza dei principi potesse fare argine alla concreta ferocia del nostro tempo.\r\nIl boia delle Ardeatine ha sempre negato le camere a gas, i forni che smaltivano quel che restava dei corpi in eccesso.\r\nI boia democratici rendono omaggio alle loro vittime.","13 Ottobre 2013","2018-10-17 22:59:40","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/10/mare-nostrum-200x110.jpg","I morti di Lampedusa, il vecchio nazista, la danza macabra della Lega Nord",1381689483,[444,445,446,447,448],"http://radioblackout.org/tag/immigrazione/","http://radioblackout.org/tag/lampedusa/","http://radioblackout.org/tag/lega-nord/","http://radioblackout.org/tag/priebke/","http://radioblackout.org/tag/razzismo-di-stato/",[29,450,345,337,347],"Lampedusa",{"post_content":452},{"matched_tokens":453,"snippet":454,"value":455},[74],"Bossi-Fini. 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L’attacco, già dato per certo giovedì scorso, potrebbe avvenire tra poche ore o essere ancora rimandato.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Stefano, un compagno che segue con attenzione le questioni geopolitiche.\r\nAscolta il suo intervento:\r\n2013 08 30 stefano siria\r\n\r\nL’unico dato certo è la difficoltà dell’amministrazione statunitense a mettere insieme una coalizione che lo appoggi nella scelta di bombardare. Solo la Francia di Hollande pare entusiasta della prospettiva di partecipare all’ennesima avventura bellica. Nemmeno gli scarsi risultati dell’attacco alla Libia hanno convinto i francesi che l’epoca della grandeur coloniale è definitivamente tramontata per loro. L’ambizione a (ri)mettere mano sugli antichi domini in medio oriente è forte al punto che Hollande ha dichiarato che l’attacco potrebbe avvenire persino prima del pronunciamento del parlamento subalpino.\r\nSi è invece sfilata la Gran Bretagna dopo la bocciatura in parlamento. Evidentemente le relazioni con la Russia, madrina del regime di Assad, devono aver avuto il loro peso nell’allargare la distanza tra le due sponde dell’Atlantico.\r\nL’Italia, nonostante il ministro Bonino sia tradizionalmente sbilanciata verso gli Stati Uniti, mantiene un profilo bassissimo, reclamando un improbabile quadro di legalità nel quale inserire la missione come precondizione persino per la concessione delle basi. Ovviamente, vista la presenza di importanti basi militari statunitensi e Nato nel nostro paese, quella di Bonino è una foglia di fico, che tuttavia segnala una scarsa propensione ad un impegno diretto contro la Siria. È bene ricordare che militari italiani sono schierati con la forza di “pace” in Libano: un eventuale coinvolgimento in Siria del governo italiano difficilmente resterebbe senza risposta da parte degli hezbollah shiti libanesi, che in Siria combattono a fianco degli alauiti di Basher Assad. Gli hezbollah hanno stretti rapporti con l’Iran, paese con il quale l’Italia ha intensi scambi commerciali.\r\nÈ significativo che, diversamente dalla copertura unanime alla fandonia sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la grande stampa italiana non si sia sbilanciata nell’accreditare la strage al gas nervino a Damasco.\r\nLeggete per esempio l’articolo di Francesca Borri su La Stampa – peraltro molto interessante sia per la cronaca che per l’analisi. Oppure quello di Giuseppe Ferrari – molto esplicito nel supporre una montatura – sul Corriere della Sera.\r\nUna guerra per la Siria non sarebbe certo un buon affare per gli interessi dell’Italia. Ben diversa era la situazione in Libia, dove gli attacchi francesi, inglesi e statunitensi rischiavano di compromettere seriamente gli interessi dell’ENI nel paese, nonché di far saltare i preziosi accordi di outsourcing della gestione dei flussi migratori. Una esternalizzazione preziosa perché affidata ad un regime che non doveva piegarsi ai fastidiosi limiti imposti dalla formale adesione ad accordi sui diritti umani o di asilo. L’intervento contro l’amico Gheddafi ha consentito all’Italia di mantenere le proficue relazioni commerciali con il paese.\r\n\r\nL’altro importante attore in campo, la Turchia, ha invece un grosso interesse ad una vittoria dell’esercito libero sostenuta da Ankara, che nella prospettiva neo ottomana di Erdogan, si candida da tempo a potenza regionale in campo sunnita. Se a questo si aggiunge che nelle regioni curde del nord est siriano si è rafforzata la fazione vicina al PKK, che di fatto lavorano per un’autonomia territoriale dei villaggi, proteggendoli dagli attacchi dei due contendenti in campo, l’interesse turco alla guerra è molto chiaro.\r\n\r\nIn quanto all’intervento statunitense è probabile che manterrà le caratteristiche indicate da Obama, di azione punitiva di breve durata. Sebbene per gli interessi statunitensi la caduta di un alleato forte della Russia e dell’Iran sarebbe del tutto auspicabile, l’affermarsi di una coalizione eterogenea dominata da Al Quaeda e dalle forze salafite appoggiate dall’Arabia Saudita e dai Fratelli Musulmani sostenuti da Qatar e Turchia, non è certo una prospettiva che favorirebbe gli interessi degli Stati Uniti e di Israele, pur sempre un importante alleato nell’area.\r\nL’analisi del politologo statunitense Edward Luttwak ci pare la più credibile. Luttwak, in un articolo uscito il 24 agosto sul New York Times, sostiene che la prospettiva migliore per gli Stati Uniti sia il prolungarsi di una guerra che riduca in macerie la Siria, indebolendo enormemente Assad, senza tuttavia abbatterne il regime. Luttwak suggerisce quindi ad Obama di non intervenire.\r\nInteressante in merito anche l’editoriale odierno di Panebianco sul Corriere.\r\nD’altra parte, proprio nella prospettiva indicata da Luttwak, se gli Stati Uniti non intervengono Assad potrebbe riprendere il controllo del paese: alcuni bombardamenti mirati potrebbero indebolirlo, garantendo il prolungarsi della guerra. E dei morti. Bruciati dalle bombe all’uranio impoverito di cui sono dotate le portaerei statunitensi, sparati dai fucili dell’esercito libero o da quelli di Assad. Gasati o smembrati dalle bombe. Che differenza fa?","31 Agosto 2013","2018-10-17 23:05:55","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/08/Siria-guerra-200x110.jpg","Siria. Le tentazioni pericolose di Obama",1377962338,[66,472,218],"http://radioblackout.org/tag/macerie-su-macerie/",[21,474,225],"macerie-su-macerie",{"post_content":476},{"matched_tokens":477,"snippet":478,"value":479},[74],"di asilo. 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L’ambizione a (ri)mettere mano sugli antichi domini in medio oriente è forte al punto che Hollande ha dichiarato che l’attacco potrebbe avvenire persino prima del pronunciamento del parlamento subalpino.\r\nSi è invece sfilata la Gran Bretagna dopo la bocciatura in parlamento. Evidentemente le relazioni con la Russia, madrina del regime di Assad, devono aver avuto il loro peso nell’allargare la distanza tra le due sponde dell’Atlantico.\r\nL’Italia, nonostante il ministro Bonino sia tradizionalmente sbilanciata verso gli Stati Uniti, mantiene un profilo bassissimo, reclamando un improbabile quadro di legalità nel quale inserire la missione come precondizione persino per la concessione delle basi. Ovviamente, vista la presenza di importanti basi militari statunitensi e Nato nel nostro paese, quella di Bonino è una foglia di fico, che tuttavia segnala una scarsa propensione ad un impegno diretto contro la Siria. È bene ricordare che militari italiani sono schierati con la forza di “pace” in Libano: un eventuale coinvolgimento in Siria del governo italiano difficilmente resterebbe senza risposta da parte degli hezbollah shiti libanesi, che in Siria combattono a fianco degli alauiti di Basher Assad. Gli hezbollah hanno stretti rapporti con l’Iran, paese con il quale l’Italia ha intensi scambi commerciali.\r\nÈ significativo che, diversamente dalla copertura unanime alla fandonia sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, la grande stampa italiana non si sia sbilanciata nell’accreditare la strage al gas nervino a Damasco.\r\nLeggete per esempio l’articolo di Francesca Borri su La Stampa – peraltro molto interessante sia per la cronaca che per l’analisi. Oppure quello di Giuseppe Ferrari – molto esplicito nel supporre una montatura – sul Corriere della Sera.\r\nUna guerra per la Siria non sarebbe certo un buon affare per gli interessi dell’Italia. Ben diversa era la situazione in Libia, dove gli attacchi francesi, inglesi e statunitensi rischiavano di compromettere seriamente gli interessi dell’ENI nel paese, nonché di far saltare i preziosi accordi di outsourcing della gestione dei flussi migratori. Una esternalizzazione preziosa perché affidata ad un regime che non doveva piegarsi ai fastidiosi limiti imposti dalla formale adesione ad accordi sui diritti umani o di asilo. L’intervento contro l’amico \u003Cmark>Gheddafi\u003C/mark> ha consentito all’Italia di mantenere le proficue relazioni commerciali con il paese.\r\n\r\nL’altro importante attore in campo, la Turchia, ha invece un grosso interesse ad una vittoria dell’esercito libero sostenuta da Ankara, che nella prospettiva neo ottomana di Erdogan, si candida da tempo a potenza regionale in campo sunnita. Se a questo si aggiunge che nelle regioni curde del nord est siriano si è rafforzata la fazione vicina al PKK, che di fatto lavorano per un’autonomia territoriale dei villaggi, proteggendoli dagli attacchi dei due contendenti in campo, l’interesse turco alla guerra è molto chiaro.\r\n\r\nIn quanto all’intervento statunitense è probabile che manterrà le caratteristiche indicate da Obama, di azione punitiva di breve durata. Sebbene per gli interessi statunitensi la caduta di un alleato forte della Russia e dell’Iran sarebbe del tutto auspicabile, l’affermarsi di una coalizione eterogenea dominata da Al Quaeda e dalle forze salafite appoggiate dall’Arabia Saudita e dai Fratelli Musulmani sostenuti da Qatar e Turchia, non è certo una prospettiva che favorirebbe gli interessi degli Stati Uniti e di Israele, pur sempre un importante alleato nell’area.\r\nL’analisi del politologo statunitense Edward Luttwak ci pare la più credibile. Luttwak, in un articolo uscito il 24 agosto sul New York Times, sostiene che la prospettiva migliore per gli Stati Uniti sia il prolungarsi di una guerra che riduca in macerie la Siria, indebolendo enormemente Assad, senza tuttavia abbatterne il regime. Luttwak suggerisce quindi ad Obama di non intervenire.\r\nInteressante in merito anche l’editoriale odierno di Panebianco sul Corriere.\r\nD’altra parte, proprio nella prospettiva indicata da Luttwak, se gli Stati Uniti non intervengono Assad potrebbe riprendere il controllo del paese: alcuni bombardamenti mirati potrebbero indebolirlo, garantendo il prolungarsi della guerra. E dei morti. Bruciati dalle bombe all’uranio impoverito di cui sono dotate le portaerei statunitensi, sparati dai fucili dell’esercito libero o da quelli di Assad. Gasati o smembrati dalle bombe. 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Ne parleremo nella puntata di anarres di venerdì 21 settembre.","15 Settembre 2012","L’attacco al consolato statunitense a Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore Chris Stevens, uno degli uomini che più si era speso nell’appoggio alla rivolta della Cirenaica contro il governo di Muammar Gheddafi, è l’emblema delle crescenti difficoltà di Washington a gestire le relazioni con alleati, che non esitano a mordere la mano che li ha sospinti al potere.\r\nDalla relazione ambigua e pericolosa con il Pakistan all’appoggio ai volontari della jhad al seguito del carismatico milionario saudita Osama bin Laden, sino al pantano afgano, dove gli USA non controllano a pieno neppure il proprio uomo di paglia, l’azzimato e sfuggente Hamid Karzai, la scelta di appoggiare formazioni islamiche, sia moderate che integraliste, si è rivelata un vero boomerang per l’amministrazione oggi guidata da Barack Obama.\r\nIl Grande Gioco del dopo muro di estendere la propria influenza nelle aree controllate dall’impero sovietico e, quindi, di contrastare regimi autoritari ma laici, non è stato giocato nel migliore dei modi dagli Stati Uniti. 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