","ll trofeo di Trump nel Grande Gioco mediorientale","post",1572353591,[63,64,65,66,67,68,69],"http://radioblackout.org/tag/al-baghdadi/","http://radioblackout.org/tag/grande-gioco/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/","http://radioblackout.org/tag/trump/",[71,20,32,72,36,18,73],"al baghdadi","russia","Trump",{"post_content":75,"post_title":81,"tags":86},{"matched_tokens":76,"snippet":79,"value":80},[77,78],"grande","gioco","Il \u003Cmark>grande\u003C/mark> \u003Cmark>gioco\u003C/mark> per il controllo dei territori","Il \u003Cmark>grande\u003C/mark> \u003Cmark>gioco\u003C/mark> per il controllo dei territori e delle risorse tra Russia, Turchia e Stati Uniti a cavallo tra Siria e Iraq in queste settimane ha avuto un’accelerazione dopo l’attacco turco all’area del confederalismo democratico nel nord della Siria.\r\nLa morte di Baghdadi, celebrata con \u003Cmark>grande\u003C/mark> enfasi e plastica inventiva da “The Donald”, mette in mano al presidente statunitense una carta importante in vista delle elezioni negli States.\r\nSia il New York Times sia il Guardian hanno dato messo in dubbio la versione del Paperone della Casa Bianca.\r\nCome già Osama bin Laden, anche Al Baghdadi, non è stato catturato vivo. Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della \u003Cmark>Grande\u003C/mark> moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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L’attacco di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti del 2011 ha portato alla caduta e alla morte il raiss di Tripoli, Muammar Gheddafi, ma ha gettato il paese in una guerra civile permanente. Oggi di fatto la Libia, come entità statale autonoma, non esiste più. Le due provincie ottomane, la Tripolitania e la Cirenaica, che il regno d’Italia sottrasse al controllo di Istanbul nella guerra italo-turca del 1911, oggi sono di fatto nuovamente divise. In Cirenaica governa Haftar, mentre la Tripolitania è sede del governo al Sarraj, l’unico riconosciuto internazionalmente, che tuttavia non riesce nemmeno ad essere il sindaco di Tripoli.\r\nLa recente rivolta che ha rischiato di far saltare la traballante poltrona di al Sarraj ed è stata rintuzzata solo grazie alle milizie di Misurata, spinte ad intervenire dall’Italia.\r\n\r\nLa partita vera, che si sta giocando sin dal 2011, ha sul piatto lo sfruttamento delle ricchezze petrolifere del paese, che oggi come allora sono rimaste nelle mani del gigante italiano degli idrocarburi, l’ENI, l’azienda che determina gli orientamenti del governo di turno a palazzo Chigi. La Francia, che appoggia Haftar, sinora, ha raccolto solo briciole.\r\nQualcosa pare si stia muovendo sotto traccia.\r\nMoavero pare aver inaugurato un modello di relazioni, che, restando il sostegno ad Al Sarrai, apre la possibilità di una relazione stabile con la Cirenaica di Aftar.\r\nD’altra parte in questi anni c’è stato un forte attivismo ENI in Egitto, principale sponsor di Aftar nell’area, ed oggi legato da forti interessi con l’ENI, per lo sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas, frutto delle trivellazioni del cane a sei zampe.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n2018 09 18 Stefano Capello, Libia; terreno di gioco tra Francia e Italia","18 Settembre 2018","2018-09-22 23:41:15","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/10-antimili-e1521646626129-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"206\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/10-antimili-e1521646626129-300x206.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/10-antimili-e1521646626129-300x206.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/10-antimili-e1521646626129-768x527.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/10-antimili-e1521646626129-1024x703.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Il grande gioco di Italia e Francia in Libia",1537284206,[136,137,64,138,139,140],"http://radioblackout.org/tag/eni/","http://radioblackout.org/tag/francia/","http://radioblackout.org/tag/guerra-per-la-libia/","http://radioblackout.org/tag/libia/","http://radioblackout.org/tag/moavero/",[142,29,20,143,34,144],"ENI","guerra per la libia","moavero",{"post_content":146,"post_title":150,"tags":153},{"matched_tokens":147,"snippet":148,"value":149},[78],"Stefano Capello, Libia; terreno di \u003Cmark>gioco\u003C/mark> tra Francia e Italia","La guerra per la Libia non è mai finita. 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La frontiera turca – lo testimoniano gli osservatori che inviano report da Suruc, la cittadina ad un chilometro e mezzo da Kobane, è rimasta chiusa al passaggio di aiuti, armi e volontari. Ben diversamente dai rifornimenti per l’ISIS che non sono mai cessati.\r\nL’ambiguità della Turchia non meno di quella degli Stati Uniti e dei suoi alleati è sin troppo evidente.\r\nIn realtà le formazioni che verrebbero fatte passare sono quelle provenienti dalle regioni del Curdistan iracheno, zona di fatto indipendente sin dal 1990, sotto il controllo del partito di Barzani, molto vicino agli Stati Uniti.\r\nSi chiamerebbero ad intervenire i miliziani che quest’estate si sono ritirati di fronte all’avanzata dell’IS nella piana di Ninive e nelle zone di lingua curda dei Senghal, dove l’IS ha attuato atrocità nei confronti della popolazione civile, dagli stupri di massa alle conversioni forzate degli Yezidi alle crocefissioni dei cristiani.\r\nSolo l’intervento delle milizie provenienti dal Rojava ha posto un argine all’avanzata dell’ISIS, spezzando l’assedio di Senghal.\r\nLa mossa del cavallo dell’amministrazione Obama, servirebbe ad aggirare la resistenza del governo Erdogan.\r\nDa questa partita sono esclusi gli uomini e le donne di Kobane che da 36 giorni, nonostante l’incommensurabile disparità di uomini e mezzi stanno resistendo all’avanzata degli uomini del califfo. La loro esperienza di comunalismo libertario è incompatibile con il grande gioco di potenza che Erdogan, gli Stati Uniti, il califfato di Al Baghdadi stanno facendo sulla pelle delle popolazioni locali e di chi lotta, oltre che per la propria vita per un percorso di libertà che, ancora una volta, racconta che un’altra storia è possibile.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Murat Cinar, un torinese di origine turca, da poco tornato dal suo paese.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nmurat_curdi","22 Ottobre 2014","2014-10-31 11:53:40","Kobane. 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La conquista di Falluja, città simbolo della resistenza dell'Iraq sunnita all'occupazione statunitense, è un messaggio forte e chiaro all'amministrazione Obama, che negli ultimi mesi ha dato evidenti segnali di volersi in parte smarcare dalla stretta sempre più ingombrante con i sauditi, aprendo una interlocuzione con i vecchi nemici iraniani.\r\n\r\nIl quadro delle alleanze subisce mutamenti inediti, che segnalano il riposizionamento dei maggiori attori sulla scena.\r\nGli Stati Uniti stanno cercando di fare a meno del petrolio saudita. Non è certo casuale che l’ammnistrazione Obama abbia annunciato un programma energetico che dovrebbe portare gli Stati Uniti ad una sostanziale autosufficienza nell’approvigionamento degli idrocarburi, con al centro l’area del Nafta, la zona di libero scambio tra gli stessi Stati Uniti, il Canada e il Messico.\r\nLa decadenza dal ruolo di potenza mondiale assoluta e l’affermarsi di una stagione caratterizzata di un’estesa multipolarità spinge gli Stati Uniti ad evitare la contrapposizione secca con l’Iran, che oggi, grazie ad Hezbollah in Libano e alla situazione favorevole in Iraq, è molto più forte che in passato. Era dai tempi di Ciro il Grande che i persiani non avevano uno sbocco agevole sul Mediterraneo.\r\nNell’area lo scontro, che è anche confessionale, tra le aree a prevalenza shiita e quelle sunnite si sta intensificando.\r\nObama punta sulla sulla divisione dei propri avversari, giocando su più scacchiere, per impedire che gli uni si rafforzino eccessivamente ai danni degli altri. Una politica che ricorda le scelte attuate all'indomani della prima guerra mondiale, quando gli Stati Uniti scelsero di indebolire il potente alleato francese, sostenendo gli (ex) nemici tedeschi.\r\nE' un delicato sistema di equilibri fatto di pesi e contrappesi, giocati con grande spregiudicatezza. A farne le spese la storica alleanza con Israele le cui relazioni con gli Stati Uniti sono oggi al minimo storico.\r\nL'Iraq diviene il terreno tragico dell'ennesima guerra per procura, in un paese dove il potere è passato dalla minoranza sunnita alla maggioranza shiita.\r\nLa popolazione di Falluja fugge dalla città dove il governo si agginge ad un contrattacco che potrebbe concludersi con un bagno di sangue come dieci anni fa, quando George Bush Jr diede ordine di bombardare la città con il fosforo bianco, una sostanza che frigge e soffoca chi ne viene toccato.\r\nLa grande partita mediorientale si gioca anche sulla pelle delle tante persone che vengono tritate in un gioco in cui non sono che pedine senza valore.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello.\r\n\r\nAscolta la diretta\r\n\r\niraq","8 Gennaio 2014","2014-01-13 13:30:03","Il Grande Gioco tra il Tigri e l'Eufrate",1389206125,[244,245,64,65,68],"http://radioblackout.org/tag/arabia-saudita/","http://radioblackout.org/tag/falluja/",[247,248,20,32,18],"arabia saudita","falluja",{"post_content":250,"post_title":254,"tags":257},{"matched_tokens":251,"snippet":252,"value":253},[83],"dai tempi di Ciro il \u003Cmark>Grande\u003C/mark> che i persiani non avevano","La notizia della conquista di Falluja da parte delle milizie quaediste finanziate dall'Arabia Saudita ha riportato al centro dell'attenzione l'Iraq, dove il governo dello sciita Al Maliki deve fare i conti con le milizie finanziate dalla dinastia Saud, il cui protagonismo nell'area è sempre più forte. 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Tra minacce ed atti concreti Putin ha mostrato le sue carte, dall'altra parte dell'Atlantico gli fa eco l'amministrazione Obama, mentre l'Europa, il cuore immaginario della sanguinosa battaglia condotta in piazza Indipendenza, ribattezzata piazza Europa, resta al palo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alessandro Dal Lago, autore dell'editoriale di oggi sul quotidiano \"ilmanifesto\".\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\ndal lago_ucraina\r\n\r\nDi seguito il pezzo di Dal Lago\r\n\r\n\"Che nessuno voglia morire per Kiev è ovvio. E che la nuova «guerra di Crimea» finisca in una bolla di sapone è assai probabile. La decisione di Putin di ritirare le truppe dal confine ucraino dimostra come i russi, lungi dal praticare una pura politica di forza, siano capaci di fare i loro calcoli. Chiarito in via definitiva che non consentiranno mai un passaggio dell’Ucraina alle strette dipendenze di Washington, è possibile che si vada verso un qualche tipo d’accordo, con il passaggio della Crimea alla Russia, dopo un plebiscito, e il riconoscimento di una forma più o meno larvata di autonomia alle regioni russofone dell’Ucraina.\r\n\r\nDetto questo, è anche vero che il caso ucraino chiama in causa una questione ben più ampia, e cioè la definizione delle sfere d’influenza reciproche di occidente e Russia. Per chiarire, poniamo per assurdo (come si dice in matematica) che in un futuro più o meno lontano uno stato confinante con gli Usa, che so il Messico o il Canada, stipuli un accordo militare con i russi o i cinesi. È impensabile, ovviamente, ma proprio l’impensabilità è una misura della relazione equivoca che Usa e Europa continuano a praticare con la Russia. Questa è circondata da ogni parte dalla Nato e dalle basi Usa (dalla Turchia all’Asia centrale cinese). Il caso della Georgia nel 2008 ha mostrato sia la volontà dei russi di non subire ingerenze nel Mar Nero e nel Caucaso, sia il velleitarismo occidentale (in particolare di George W. Bush) che aveva suscitato speranze impossibili nei georgiani. Dopo vent’anni di umiliazioni (v. i Balcani), era inevitabile che i russi difendessero la loro zona d’influenza strategica, come gli Usa hanno sempre fatto a casa propria.\r\n\r\nLe relazioni internazionali hanno una loro logica, sgradevole quanto si vuole, ma oggettiva (perché basata sulla forza e sull’influenza). Di conseguenza, si rimane allibiti di fronte agli appelli a una sorta di guerra per l’esportazione della democrazia, che si leggono sulla grande stampa, come l’articolo di Bernard-Henri Lévy ieri sul Corriere. A questo pseudo-filosofo esaltato non è bastata la tragedia della Libia, che ha fomentato insieme a Sarkozy. Voleva la guerra in Siria e oggi vorrebbe qualcosa del genere in Ucraina. E questo è tanto più grottesco, quanto più le cancellerie occidentali sanno bene che Putin non ha affatto brutte carte in mano: dal ricatto energetico verso Ucraina ed Europa fino a un’alleanza strategica con la Cina. Putin è stato decisivo nella gestione della crisi in Siria e anche nel favorire la distensione Usa-Iran. È quindi incredibile che la stampa ospiti articoli di falchi che propongono l’intervento della Nato in Ucraina, qualcosa non solo di impensabile, ma contrario a lungo andare agli stessi interessi Usa.\r\n\r\nQuanto precede non ha nulla a che fare con un’accettazione a priori della politica interna o estera della Russia. La democrazia di Mosca è quello che è, il regime di un super-oligarca sprezzante verso la libertà d’opinione. Il presidente ucraino fuggito, Yanukovic, è uno dei despoti sanguinari e inetti che Putin usa e getta via in base ai suoi interessi. Ma credere che Tymošenko sia una santa e che le milizie para-naziste che hanno cacciato Yanukovic offrano un gran futuro all’Ucraina non è che delirio alla Bernard-Henri Lévy. Dissolti i fumi della propaganda di entrambe le parti, ciò che resta è l’incapacità dell’occidente di entrare in relazione con i poteri mondiali (nel nostro piccolo, la gestione del caso marò, tra furbizia e tracotanza, dà una perfetta idea dell’incomprensione della realtà delle potenze emergenti).\r\n\r\nChi al momento esce peggio dalla vicenda ucraina è l’Europa. Divisa tra la apparente linea dura Usa e bellicismo Nato, da una parte, e pragmatismo mercantile tedesco, dall’altra, l’Europa strepita, ma è incapace di agire. Poteva aiutare l’Ucraina, sull’orlo del baratro economico, e non l’ha fatto. Priva di testa, un po’ atlantica e un po’ ammiccante all’est, l’Europa fallisce programmaticamente là dove potrebbe assolvere una funzione di ponte tra Usa e stati emergenti, favorendo i negoziati. E quindi i i suoi ruggiti oggi non fanno paura a nessuno.\"","5 Marzo 2014","2014-03-12 14:44:01","Ucraina. Il fuorigioco dell'Europa",1394042344,[291,64,68,292],"http://radioblackout.org/tag/europa/","http://radioblackout.org/tag/ucraina/",[294,20,18,295],"europa","Ucraina",{"post_content":297,"tags":301},{"matched_tokens":298,"snippet":299,"value":300},[77],"democrazia, che si leggono sulla \u003Cmark>grande\u003C/mark> stampa, come l’articolo di Bernard-Henri","La situzione nel risico mortale che si gioca tra Kiev e Sebastopoli, tra Mosca e Washington è oggi in stallo. 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Un'operazione rischiosa in uno scenario sempre più difficile. E' di pochi giorni fa la decisione del governo Essebsi di proclamate lo stato di emergenza in Tunisia. Agli ormai consueti allarmi sui terroristi imbarcati sulle carrette dei profughi, fa sponda l'Isis che invita gli jihadisti ad imbarcarsi per l'Europa, per fare la guerra santa. I proclami dell'Isis non potranno che rinforzare i propositi di chi vuole rinforzare le mura della fortezza Europa, contribuendo ad alimentare la xenofobia.\r\n\r\nEunavfor Med mira a distruggere il modello di business messo a punto delle reti di scafisti e trafficanti di esseri umani identificando, catturando e distruggendo le imbarcazioni e le risorse da essi utilizzati. La missione si dovrebbe articolare in di tre fasi. La prima fase prevede l’identificazione e il monitoraggio dei network degli scafisti attraverso la raccolta e lo scambio di informazioni di intelligence e un’attività di pattugliamento rafforzata in acque internazionali. La seconda e la terza includono l’individuazione, la cattura e la distruzione delle risorse dei trafficanti rispettivamente in acque internazionali e libiche, senza escludere azioni sulla costa. Benché la decisione adottata il 18 maggio scorso dal Consiglio dei ministri degli esteri e della difesa abbia approvato la base legale dell’operazione che comprende tutte e tre queste fasi, Eunavfor Med non potrà essere attuata nelle fasi successive alla prima finché non riceverà il mandato delle Nazioni Unite. E’ infatti necessario che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvi una risoluzione in base al capitolo 7 dello Statuto delle Nazioni Unite, in cui si prevede l’uso della forza “per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”. Ad oggi, tuttavia, a causa dal mancato assenso della Russia e di un governo di unità nazionale libico, la cui formazione non sembra così vicina, non è ancora stato possibile trovare un accordo in tal senso.\r\n\r\nIn assenza del mandato ONU, non potendo cioè agire nei porti e nelle acque libiche, lunedì 22 giugno, all’unanimità e sotto la guida dell’alto rappresentante UE Mogherini, i ministri degli esteri hanno potuto soltanto approvare la prima fase della missione.\r\n\r\nL’operazione, che ha il suo quartier generale a Roma, comprende circa mille uomini, cinque navi da guerra, due sottomarini, tre aerei da pattugliamento marittimo, tre elicotteri, e due droni. I costi ammonterebbero a circa 14 milioni di euro. E’ prevista una collaborazione con la Nato – che porta avanti nel Mediterraneo la sua missione militare antiterrorismo Active Endeavour, lanciata nel 2001 – e diverse agenzie delle Nazioni Unite, oltre all’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne Frontex. Le modalità del coinvolgimento dell’Unione africana e di diversi Paesi arabi devono essere ancora precisate.\r\n\r\nEunavfor Med si inscrive oggi all’interno del piano quinquennale della nuova Agenda europea contro le organizzazioni che facilitano i movimenti non autorizzati di essere umani su tutto il territorio dell’Unione e lungo tutte le rotte migratorie. Per monitorare i gruppi criminali organizzati che agiscono nel Mediterraneo, si attribuisce un ruolo chiave all’operazione JOT MARE, un team d’intelligence formato da agenti dell’Europol, l’ufficio di polizia europeo, ed esperti distaccati degli Stati membri.\r\n\r\nQuesta operazione è stata presentata come l’arma principale dell’Europa contro una nuova tratta degli schiavi ed è stata messa a punto utilizzando come modello la missione Atalanta con cui, dal 2008, l’Unione Europea combatte la pirateria nel Corno d’Africa. E’ tuttavia abbastanza evidente che entrambe le analogie sono a dir poco deboli. Per quanto il prezzo del servizio che si trovano costretti a pagare sia spropositato, i migranti/rifugiati non sono gli schiavi degli scafisti ma piuttosto i loro clienti. In presenza di canali legali per raggiungere un posto sicuro in cui vivere o cercare opportunità di lavoro e vita migliori, la domanda per i servizi offerti dagli scafisti verrebbe meno e con essa le reti del crimine organizzato.\r\nSe ci fosse la libera circolazione non ci sarebbe chi lucra sulla clandestinità.\r\nLa missione Atalanta ha ottenuto il mandato delle Nazioni Unite anche perché il governo provvisorio della Somalia allora al potere diede il suo appoggio alla missione. Sembra però molto improbabile che, anche nel caso in cui si formasse in Libia un governo di unità nazionale, questo darebbe il suo consenso ad Eunavfor med. Le autorità libiche sanno che si tratta di un’operazione militare che, come si legge nei protocolli riservati dell’Unione Europea recentemente pubblicati da WikiLeaks, potrebbe richiedere un impegno bellico di terra. Diversamente dalla guerra ai pirati, inoltre, Eunavfor Med dovrà misurarsi con il non banale problema di distruggere le imbarcazioni degli scafisti evitando che questi ultimi utilizzino i migranti come scudi umani.\r\n\r\nNulla è stato però detto per chiarire come questo sarà possibile. L’Europa preferisce imbarcarsi in una missione militare costosa e dagli “effetti collaterali” potenzialmente devastanti piuttosto che aprire le frontiere.\r\nD'altro canto sono decenni che le fortune politiche dei partiti politici europei si giocdano sul fronte dell'immigrazione.\r\n\r\nDi questo e di tanto altro, dalla crisi greca alle politiche del governo Renzi sull'immigrazione, dagli scenari di guerra agli accordi con la Libia, abbiamo parlato con Alessandro Dal Lago, studioso delle politiche di gestione delle migrazioni.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\ndal lago mediterraneo","7 Luglio 2015","2015-07-09 15:18:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"201\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari-300x201.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari-300x201.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari.jpeg 480w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Eunavfor. 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C’è un mondo di giorno dove comandano apparentemente i soldati, il remoto governo di Kinshasa, i caschi blu, insabbiati qui da vent’anni per far la guardia, sentinelle metafisiche e frustrate, a una pace che non c’è. E poi c’è il mondo della notte dove comandano gli altri: i ribelli, le bande dei guerrieri bambini, le milizie comandate da stregoni che garantiscono l’invulnerabilità con pozioni e formule magiche, il mondo degli spiriti dei fantasmi degli incubi. Uomini cenciosi, ma con i kalashnikov, emergono dalle foreste, occupano per qualche ora città, saccheggiano miniere, distruggono basi di soldati affamati e senza scarpe che vivono di elemosine, portandosi dietro le famiglie e le bestie. Poi, all’alba, la luce li ricaccia nel buio del baldacchino arboreo. La foresta è come un muro, tanto è spessa e fitta. Ciascuno lì è piccolo, questa terra non sembra fatta per gli uomini. Sopravvivere è una lotta continua, non sai mai cosa ti assalirà, una fiera, un serpente, un altro uomo.\r\n(...)\r\nLe guerre, qui, sono legate a nomi misteriosi, alla tavola di Mendeleev: il tantalio per esempio, un metallo che resiste alla corrosione. Lo scavano qui in queste foreste uomini disperati, con la vanga, le mani, impastati di sudore. Tante piccole mani stanno distruggendo la grande foresta. E la cassiterite? Chi l’ha mai sentita nominare? Serve per leghe speciali e per saldare: anche questa si nasconde in questa terra nera come il sangue raggrumato. Come il coltan, l’oro, il tungsteno.\"\r\nCosì scriveva Domenico Quirico in un articolo pubblicato mercoledì scorso sul quotidiano \"La Stampa\".\r\n\r\nLa notizia era la ritirata dell'ultimo dei movimenti guerriglieri che si contendono il controllo delle miniere o, almeno, delle vie di comunicazione.\r\nUn'enorme ricchezza che è diventata una sorta di dannazione, dove gli attori sul campo sono solo le marionette tragiche delle grandi potenze che da decenni si contendono il controllo di quella che un tempo era la più feroce occupazione coloniale europea. 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Dalle 10,45 alle 12,45. Anche in streaming\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n2018 04 06 anarres\r\n\r\nIn questa puntata:\r\n\r\nSiria. La spartizione, la pulizia etnica sulla pelle dell’esperienza di confederalismo democratico del Rojava. Russia e Stati Uniti hanno incassato l’appoggio delle milizie dei cantoni curdofoni, ma ora scaricano gli alleati, determinanti nella sconfitta del califfato, ma adesso inutili nel Grande Gioco mediorientale.\r\nNe parliamo con Stefano Capello\r\n\r\nDove c’è Barilla c’è casa. Kinder sorpresa!\r\n\r\nLeonardo. Ingegneri di morte dalla Siria all’Afganistan\r\n\r\nStorie di frontiera da Bardonecchia a Garavan, passando per Torino\r\n\r\nFrancia. Gli scioperi dei ferrovieri, i blocchi delle università, cui si uniscono i netturbini, i lavoratori delle aziende elettriche, i pensionati sono alcuni tasselli di un mosaico di lotte che si sta componendo ed allargando in questa primavera francese. 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Ovunque.\r\nIntroduce la serata Nicola Valentino, autore, tra gli altri, di “Istituzioni post manicomiali”\r\nOrganizza il collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”\r\n\r\nLe riunioni della Federazione Anarchica Torinese, aperte a tutti gli interessati, si fanno ogni giovedì dalle 21 in corso Palermo 46\r\n\r\nPrimo maggio anarchico\r\n\r\nDomenica 6 maggio\r\n ore 17,30 \r\n in corso Palermo 46\r\n Anarchia e canzone d’autore da Brassens a Ferrè\r\n Parole e musica di Alessio Lega\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org",[509,511,513,515,517,519,521,523,525,527,529,531,533],{"matched_tokens":510,"snippet":494,"value":494},[],{"matched_tokens":512,"snippet":495,"value":495},[],{"matched_tokens":514,"snippet":496,"value":496},[],{"matched_tokens":516,"snippet":497,"value":497},[],{"matched_tokens":518,"snippet":29,"value":29},[],{"matched_tokens":520,"snippet":91,"value":91},[77,78],{"matched_tokens":522,"snippet":498,"value":498},[],{"matched_tokens":524,"snippet":499,"value":499},[],{"matched_tokens":526,"snippet":500,"value":500},[],{"matched_tokens":528,"snippet":25,"value":25},[],{"matched_tokens":530,"snippet":501,"value":501},[],{"matched_tokens":532,"snippet":36,"value":36},[],{"matched_tokens":534,"snippet":502,"value":502},[],[536,542],{"field":37,"indices":537,"matched_tokens":538,"snippets":540,"values":541},[22],[539],[77,78],[91],[91],{"field":110,"matched_tokens":543,"snippet":506,"value":507},[83,84],{"best_field_score":117,"best_field_weight":118,"fields_matched":121,"num_tokens_dropped":49,"score":319,"tokens_matched":121,"typo_prefix_score":49},{"document":546,"highlight":561,"highlights":575,"text_match":115,"text_match_info":584},{"comment_count":49,"id":547,"is_sticky":49,"permalink":548,"podcastfilter":549,"post_author":376,"post_content":550,"post_date":551,"post_excerpt":552,"post_id":547,"post_modified":553,"post_thumbnail":554,"post_title":555,"post_type":433,"sort_by_date":556,"tag_links":557,"tags":559},"10050","http://radioblackout.org/podcast/gli-stati-uniti-e-la-seduzione-salafita/",[376],"L’attacco al consolato statunitense a Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore Chris Stevens, uno degli uomini che più si era speso nell’appoggio alla rivolta della Cirenaica contro il governo di Muammar Gheddafi, è l’emblema delle crescenti difficoltà di Washington a gestire le relazioni con alleati, che non esitano a mordere la mano che li ha sospinti al potere.\r\nDalla relazione ambigua e pericolosa con il Pakistan all’appoggio ai volontari della jhad al seguito del carismatico milionario saudita Osama bin Laden, sino al pantano afgano, dove gli USA non controllano a pieno neppure il proprio uomo di paglia, l’azzimato e sfuggente Hamid Karzai, la scelta di appoggiare formazioni islamiche, sia moderate che integraliste, si è rivelata un vero boomerang per l’amministrazione oggi guidata da Barack Obama.\r\nIl Grande Gioco del dopo muro di estendere la propria influenza nelle aree controllate dall’impero sovietico e, quindi, di contrastare regimi autoritari ma laici, non è stato giocato nel migliore dei modi dagli Stati Uniti. D’altro canto la crescente influenza cinese in Africa e in Oriente non lascia troppo spazio di manovra all’Impero americano. Un chiaro segno di decadenza.\r\n\r\nNe abbiamo discusso con Stefano Capello.\r\n\r\nAscolta l’intervista: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/09/2012-09-14-capello-USA-salafiti.mp3|titles=2012 09 14 capello USA salafiti]\r\n\r\nScarica il file\r\n\r\nD’altro canto il gelido inverno che sta avvolgendo come un sudario le primavere arabe ci interroga sull’urgenza di dare linfa ad un internazionalismo degli oppressi e degli sfruttati, che sappia mettere i bastoni tra le ruote agli integralisti. Una scommessa non facile. Ne parleremo nella puntata di anarres di venerdì 21 settembre.","15 Settembre 2012","L’attacco al consolato statunitense a Bengasi e l’uccisione dell’ambasciatore Chris Stevens, uno degli uomini che più si era speso nell’appoggio alla rivolta della Cirenaica contro il governo di Muammar Gheddafi, è l’emblema delle crescenti difficoltà di Washington a gestire le relazioni con alleati, che non esitano a mordere la mano che li ha sospinti al potere.\r\nDalla relazione ambigua e pericolosa con il Pakistan all’appoggio ai volontari della jhad al seguito del carismatico milionario saudita Osama bin Laden, sino al pantano afgano, dove gli USA non controllano a pieno neppure il proprio uomo di paglia, l’azzimato e sfuggente Hamid Karzai, la scelta di appoggiare formazioni islamiche, sia moderate che integraliste, si è rivelata un vero boomerang per l’amministrazione oggi guidata da Barack Obama.\r\nIl Grande Gioco del dopo muro di estendere la propria influenza nelle aree controllate dall’impero sovietico e, quindi, di contrastare regimi autoritari ma laici, non è stato giocato nel migliore dei modi dagli Stati Uniti. 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Per procura sono stati indubbiamente gli attacchi di Tsahal in territorio siriano, la cui regia era più a Washington che a Tel Aviv.\r\nIn Siria si giocano molte partite. La Siria è un paese a maggioranza sunnita non governato dai sunniti ma dalla minoranza alauita. Assad e la sua famiglia, espressione di un vecchio nazionalismo arabo, storicamente alleato dell'Iran e della Russia provano a mantenere il potere. L'opposizione sunnita, che è un blocco sostenuto dalle monarchie del Golfo e dalla Turchia in funzione anti Assad e anti iraniana è a sua volta attraversata dal conflitto con la componente salafita, che gode del potente appoggio economico del Qatar.\r\nLa partita è tuttavia tutt'altro che lineare, perché la Siria è stata sia per gli Stati Uniti che per Israele il miglior nemico possibile. Grazie all'accordo stretto tra USA e Siria in occasione della prima guerra del Golfo, le truppe di Bush padre ebbero strada facile in Iraq. Israele, pur formalmente in guerra con la dinastia Assad, di fatto ha goduto di una tranquilla tregua sin dal lontano 1973.\r\nIn questo momento non è interesse degli Stati Uniti una veloce caduta di Assad, che potrebbe aprire le porte ad un regime islamico alleato sia della Turchia che dell'Arabia Saudita, rinforzando un asse di amici assai insidiosi.\r\nNelle settimane precedenti l'attacco israeliano in Siria i giornali libanesi sunniti e cristiani lamentavano il mancato intervento statunitense in Siria, perché sperano che la caduta di Assad spezzi il sostegno siriano ad Hazbollah. Dopo gli attacchi dell'aviazione di Tel Aviv, la pressione dei media libanesi si è allentata.\r\nTramite Israele, gli Stati Uniti hanno mandato un duplice messaggio: da un lato non sono disponibili ad un intervento diretto nel paese, dall'altro vogliono spezzare l'asse tra la Siria e l'Iran, isolando maggiormente il regime degli hajatollah ed indebolendo la forza militare di Hezbollah che preme ai confini con Israele. Un modo per tenere i piedi nelle classiche due paia di scarpe. L'Iran, d'altra parte, è un boccone troppo grosso sia per gli Stati Uniti che per Israele: un attacco diretto alla repubblica islamica rischierebbe di scatenare un conflitto capace di coinvolgere direttamente anche la Russia, mettendo in seria difficoltà Obama e i suoi alleati.\r\nUna partita complessa, dove gli Stati Uniti mantengono un interesse forte per le risorse petrolifere del Medio Oriente, la Russia non ha nessuna intenzione di mollare l'alleato, ma non può impedire un assottigliarsi dell'asse con l'Iran.\r\n\r\nSullo sfondo il declino economico degli Stati Uniti, la difficoltà a mantenere il ruolo di gendarme del mondo, l'ambiguità di un fronte alleato che alla prima occasione gira le armi verso chi l'ha appoggiato, finanziato, sostenuto. 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Anche in streaming\r\n\r\nAscolta e diffondi il podcast:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/09/2021-09-17-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti\r\n\r\nIl nuovo documento programmatico pluriennale della difesa pe il triennio 2021 – 2023\r\nNell’introduzione al testo definitivo, reso pubblico in agosto, il ministro della Difesa Guerini indica in modo inequivocabile come prioritario il ruolo delle forze armate per la gestione della pandemia di Covid 19. Chi ritenesse l’impiego dell’esercito un fattore eccezionale dovuto all’emergenza sbaglierebbe, perché da questo documento emerge in modo inequivocabile il ruolo strategico di cui è stato investito. Non solo. La stretta connessione tra ampi settori di ricerca e l’apparato militare trova conferma esplicita nell’individuazione del ruolo propulsivo della Difesa per lo sviluppo tecnologico del paese. Nella neolingua di Guerini occorre rinforzare l’apparato bellico per poter gestire al meglio la sanità. Una sanità intesa come macchina da guerra, che come in ogni guerra, non bada agli effetti collaterali, come ben dimostrano la scelta governativa di usare il green pass per garantire che le attività produttive funzionino a pieno ritmo. Costi quel che costi a chi, per vivere, è costretto a lavorare.\r\nVa da se che di investimenti per la sicurezza vera sui posti di lavoro non si parla.\r\nSe a questo si aggiungono le scelte più squisitamente militari di rinforzare l’industria bellica anche in vista di una ulteriore modernizzazione dei vari settori delle forze armate. Una su tutte? La scelta di armare i droni italiani, sinora utilizzati solo per la ricognizione. La guerra come videogame sbarca anche nella nostra penisola.\r\nNe abbiamo parlato con Daniele Ratti, antimilitarista\r\n\r\n11 settembre. Sono passati 20 anni dall’attacco Jhadista agli Stati Uniti, il cui simbolo è il crollo alle Torri gemelle, ma che investi il cuore militare dell’impero colpendo anche il Pentagono. Poco dopo partirà l’occupazione dell’Afganistan, che si è conclusa con un ritiro quasi senza condizioni della NATO, che ha riconsegnato il potere ai talebani. Ma l’11 settembre è anche il giorno del colpo di stato militare in Cile del 1973, un golpe sostenuto e voluto dagli Stati Uniti nell’ambito del Plan Condor, una macchinazione per garantire a Washington il controllo del Sudamerica, tramite governi amici. Oggi anche in quello che per il governo statunitense era il “giardino di casa” la maggiore potenza militare del globo perde colpi.\r\nL'imperialismo statunitense è in declino? Il ritiro dall'Iraq e dall'Afganistan sono il segno di una sconfitta militare e politica o un cambio di rotta calcolato?\r\nCe ne ha parlato Massimo Varengo dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nAfganistan. Il Grande Gioco.\r\nIn un contesto multipolare il gioco delle alleanze è ormai una partita a geografia variabile, che manda in soffitta il bipolarismo che ha segnato la seconda parte del Novecento.\r\nUno sguardo al quadro geopolitico, agli equilibri e agli interessi politici ed economici sul territorio, all'indomani della devastante guerra di occupazione condotta dalle truppe NATO e la firma degli accordi che hanno sancito la fuga indecorosa del governo fantoccio e il ritorno dei talebani al potere.\r\nLa vita e la libertà delle donne afgane è stato l'alibi con il quale giustificare vent'anni di conflitti armati in veste umanitaria.\r\nAllo sfruttamento e all'oppressione della popolazione afgana, al fondamentalismo religioso e al patriarcato, si oppone la lotta condotta contro i padroni di ieri e di oggi.\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello, che ha introdotto alcuni temi dell’incontro che si terrà ai giardini (ir)reali venerdì 24 settembre alle 18. \r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nVenerdì 24 settembre\r\nAfganistan. Il grande gioco: orizzonti geopolitici tra oppio, terre rare e violenza patriarcale\r\nore 18 ai Giardini (ir)Reali corso san Maurizio angolo via Rossini (se piove o minaccia pioggia si fa a Porta Palazzo alla Tettoia dei Contadini)\r\nAscolta lo spot:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/09/2021-09-24-Spot-Afganistan.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nSabato 25 settembre. In giro per la città: giornata di solidarietà con le donne afgane in lotta\r\n\r\nSabato 9 ottobre\r\nAssemblea antimilitarista a Milano\r\nappuntamento ore 10 presso il Kasciavit in via san Faustino 64\r\nhttps://www.anarresinfo.org/milano-9-ottobre-assemblea-antimilitarista/ \r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni mercoledì dalle 20,30\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nWild C.A.T. 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Sono passati 20 anni dall’attacco Jhadista agli Stati Uniti, il cui simbolo è il crollo alle Torri gemelle, ma che investi il cuore militare dell’impero colpendo anche il Pentagono. Poco dopo partirà l’occupazione dell’Afganistan, che si è conclusa con un ritiro quasi senza condizioni della NATO, che ha riconsegnato il potere ai talebani. Ma l’11 settembre è anche il giorno del colpo di stato militare in Cile del 1973, un golpe sostenuto e voluto dagli Stati Uniti nell’ambito del Plan Condor, una macchinazione per garantire a Washington il controllo del Sudamerica, tramite governi amici. Oggi anche in quello che per il governo statunitense era il “giardino di casa” la maggiore potenza militare del globo perde colpi.\r\nL'imperialismo statunitense è in declino? Il ritiro dall'Iraq e dall'Afganistan sono il segno di una sconfitta militare e politica o un cambio di rotta calcolato?\r\nCe ne ha parlato Massimo Varengo dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nAfganistan. 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Il \u003Cmark>grande\u003C/mark> \u003Cmark>gioco\u003C/mark>: orizzonti geopolitici tra oppio, terre rare e violenza patriarcale\r\nore 18 ai Giardini (ir)Reali corso san Maurizio angolo via Rossini (se piove o minaccia pioggia si fa a Porta Palazzo alla Tettoia dei Contadini)\r\nAscolta lo spot:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/09/2021-09-24-Spot-Afganistan.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nSabato 25 settembre. In giro per la città: giornata di solidarietà con le donne afgane in lotta\r\n\r\nSabato 9 ottobre\r\nAssemblea antimilitarista a Milano\r\nappuntamento ore 10 presso il Kasciavit in via san Faustino 64\r\nhttps://www.anarresinfo.org/milano-9-ottobre-assemblea-antimilitarista/ \r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni mercoledì dalle 20,30\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nWild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org\r\n\r\nfb: @anarresinfo",{"matched_tokens":641,"snippet":642,"value":642},[77,78],"Anarres del 17 settembre. Il documento programmatico della difesa. 11 settembre: dal Cile alle Torri gemelle. 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Sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/2018-11-23-anarres-0.mp3\"][/audio]\r\n\r\nIn questa puntata:\r\n\r\nVerso l’8 dicembre. Il presente continuo e il mito della velocità e della giovinezza, il timore di perdere il treno del futuro.\r\nCon Stefano Boni, antropologo, autore di “Homo confort”, abbiamo parlato di tempo ciclico, tempo lineare, tempo accelerato.\r\n\r\nCiclo vitale. Un racconto dalla vertigine che ci avviluppa: una storia di pescatori e di strani pesci. Da Carmilla\r\n\r\nIl grande gioco mediorientale e il petrolio. Ne abbiamo parlato con Daniele Ratti dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nAppendino e gli sgomberi a ruspa veloce\r\n\r\nIl femminicidio e la sua narrazione. Da Roma a Sala Consilina, Desiree e Violeta. I numeri di una strage quotidiana\r\n\r\nPerformare il confine: genere, geocorpi e tecnologia a Ciudad Juarez\r\n\r\nProssimi appuntamenti:\r\n\r\nSabato 8 dicembre\r\nSpezzone anarchico al corteo No Tav a Torino\r\nore 14 da piazza Statuto\r\n\r\nVenerdì 21 dicembre \r\nCena antinatalizia\r\nalle 20 alla FAT in corso Palermo 46.\r\nMenù eretico veg vegan e ed esposizione spettacolare del Pres-Empio autogestito: ciascuno porti la sua statuetta, decorazione, disegno per arricchirlo.\r\nLa cena è benefit lotte sociali.\r\nChiediamo tanti soldi a chi li ha, meno a chi ne ha meno.\r\nPrenotazioni: mail: fai_torino@autistici.org\r\n\r\nVenerdì 18 gennaio\r\nIncontro con Francesco Codello, autore de “La condizione umana nel pensiero libertario”\r\nore 21 alla Fat, in corso Palermo 46\r\n\r\nLe riunioni della Federazione Anarchica Torinese, aperte a tutti gli interessati, sono ogni giovedì dalle 21 in corso Palermo 46\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","25 Novembre 2018","2018-11-25 16:52:50","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/ciudad-juarez-200x110.jpg","Anarres del 23 novembre. 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