","Stati coloniali falliti: mosaici libico e yemenita allo specchio","post",1588296638,[62,63,64],"http://radioblackout.org/tag/guerre-per-procura/","http://radioblackout.org/tag/libia/","http://radioblackout.org/tag/yemen/",[66,15,67],"guerre per procura","yemen",{"post_content":69,"tags":76},{"matched_tokens":70,"snippet":74,"value":75},[71,72,73],"guerre","per","procura","in nazioni inventate dove portare \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>","Due dei pochi luoghi del pianeta in cui il covid19 rimane in secondo piano sono Yemen e Libia. Non a caso si tratta di due stati inventati dal colonialismo occidentale che ha snaturato gli equilibri locali, creando stati falliti anche nelle prospettive storiche che si sono evolute tra contraddizioni indotte e preminenza di culture – come di sette – minoritarie, fino a una frammentazione impossibile da comporre, soprattutto in un momento in cui ogni attore in commedia si trova a dover valutare orizzonti futuribili condizionati da variabili difficili da valutare, sia \u003Cmark>per\u003C/mark> risorse, sia \u003Cmark>per\u003C/mark> difficoltà finanziarie, sia \u003Cmark>per\u003C/mark> spregiudicatezza e dilettantismo... gli elementi sono molti \u003Cmark>per\u003C/mark> riuscire a orientarsi nelle molte mosse in atto. Scomposte, senza una prospettiva chiara e con le grandi potenze che tendono forse a ridurre la loro esposizione, pur continuando a tentare di spartirsi porzioni di territorio e di risorse.\r\n\r\nCi si trova in una fase in cui la tendenza è alla frammentazione e la debolezza di ogni protagonista consente contrapposizioni e alleanze tali da scomporre il quadro \u003Cmark>per\u003C/mark> ricostruirlo ogni volta ex novo. Ora in Yemen quelli che erano alleati delle forze filosaudite si sono smarcati e costituiscono un terzo polo, riconducibile agli emiratini, indebolendo la famiglia saudita nella contrapposizione con gli Houthi che sono sciiti non così ortodossi con gli iraniani, che comunque appoggiano strategicamente. Allo stesso modo la scatola di sabbia libica va assumendo sempre più la medesima parcellizzazione di potere su base tribale e di interessi geopolitici intrecciati alle spartizioni di risorse. Rimangono le divisioni e le contraddizioni tra luoghi: Aden e Tobruk, San'aa e Tripoli; montanari sciiti vs. sunniti dei grandi porti sul Mar Rosso, tribù sahariane e fratelli musulmani di Misurata, alleati di europei, a cui si contrappongono altre fazioni sunnite; cosiddette primavere arabe e interessi cinesi che si scontrano in territori disegnati non a caso a freddo dal colonialismo storico, i cui retaggi proseguono finora perché quei territori servono così, frammentati, irredentisti e senza un'anima unitaria.\r\n\r\nMassimo Campanini, islamista, storico del vicino oriente, docente, ha dischiuso \u003Cmark>per\u003C/mark> noi un percorso che consente di collocare la situazione yemenita e libica nel puzzle delle manovre locali e globali che interessano il Vicino Oriente, considerando crisi petrolifere, alleanze strategiche e condizionamenti etno-religiosi della regione, in cui le grandi potenze lanciano le loro sfide \u003Cmark>per\u003C/mark> controllare zone e risorse:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/04/2020_04_30_campanini-Libia-Yemen.mp3\"][/audio]\r\n\r\nGuasti neocoloniali in nazioni inventate dove portare \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>",[77,80,82],{"matched_tokens":78,"snippet":79},[71,72,73],"\u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>",{"matched_tokens":81,"snippet":15},[],{"matched_tokens":83,"snippet":67},[],[85,90],{"field":36,"indices":86,"matched_tokens":87,"snippets":89},[48],[88],[71,72,73],[79],{"field":91,"matched_tokens":92,"snippet":74,"value":75},"post_content",[71,72,73],1736172819517538300,{"best_field_score":95,"best_field_weight":96,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":48,"score":97,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"3315704398080",13,"1736172819517538410",{"document":99,"highlight":123,"highlights":131,"text_match":137,"text_match_info":138},{"cat_link":100,"category":101,"comment_count":48,"id":102,"is_sticky":48,"permalink":103,"post_author":51,"post_content":104,"post_date":105,"post_excerpt":54,"post_id":102,"post_modified":106,"post_thumbnail":107,"post_thumbnail_html":108,"post_title":109,"post_type":59,"sort_by_date":110,"tag_links":111,"tags":118},[45],[47],"45518","http://radioblackout.org/2018/01/infiniti-i-molti-eterogenei-conflitti-fatti-detonare-in-afghanistan/","Torna alla ribalta del mondo la terra afgana, sia nei confini in cui è stata racchiusa dal colonialismo occidentale per continuare a devastarla con guerre per procura, sia nel mondo dove vivono ai margini, senza rappresentanza, né diritti, perché la loro condizione di rifugiati non è riconosciuta dalle stesse potenze che da decenni occupano il paese e finanziano miliziani, jihadisti, signori della guerra... quegli stessi che negano accoglienza ai profughi hanno dichiarato quello spazio non in situazione bellica, mentre ogni settimana ci sono attentati con decine di morti e le strade sono costellate da mine, gruppi armati che derubano, stuprano, vessano, ammazzano su base confessionale, etnica o più semplicemente di convenienza. Ne fanno teatro di guerra e impongono fantocci a gestire affari di droga, armi e il business degli aiuti, con un governo connivente e bloccato dalla rivalità tra presidente e capo del governo.\r\n\r\n \r\n\r\nIn questa settimana si sono registrati due attacchi uno da parte di Talebani di al-Qaeda, l'altro da parte dei miliziani del Califfo che vanno ad aggiungersi ai molti conflitti interni che si alimentano a vicenda su scala regionale, nazionale e nello scacchiere internazionale. L'intervento dello Stato islamico all'interno della partita afghana ha frammentato ulteriormente la galassia talebana e in particolare proprio nella provincia di Jalalabad gli scontri sono stati piuttosto aspri, finché le diverse cupole sono andate alla trattativa, a parte quelle che fanno riferimento all'Iran, nuova potenza a supporto non necessariamente solo di sciiti; ma anche i paesi del golfo investono su gruppi che tengano alta la tensione; pure i russi sono molto interventisti negli ultimi tempi, temendo l'espansione della guerra santa nelle province caucasiche della propria confederazione. E poi c'è l'abbraccio del vicino pakistano che è da sempre letale e produce altre forme di controllo straniero.\r\n\r\n \r\n\r\nFin dal 2015 si è instaurata la provincia del Khorasan regolata da affiliati allo Stato islamico, che fino alla sconfitta militare dell'Isis era molto attrattiva, mentre ora forse l'aspetto nazionalista di al-Qaeda lo rende di nuovo più apprezzabile rispetto alle divisioni interne che hanno preso a scuotere i seguaci del califfo e quindi anche i talebani che avevano aderito al sogno dello stato islamico stanno rientrando sotto i vessilli qaedisti.\r\n\r\n \r\n\r\nSullo sfondo tutto è offuscato dalla grande ipocrisia dei paesi occidentali che usano il diritto internazionale a corrente alternata: condanne di violenze e attentati e accordi capestro per imporre al governo debolissimo rimpatri forzati, fingendo che questo paese sia un paradiso sicuro dove rimandare eventuali afghani privi dei requisiti per ottenere il permesso di soggiorno, magari per rimpolpare quei 3000 civili morti ogni anno per le azioni di terrorismo periodiche.\r\n\r\n \r\n\r\nNe abbiamo parlato con Giuliano Battiston a seguito di due articoli comparsi su \"il manifesto\" in questi giorni:\r\n\r\nAfghanistan: le guerre per procura","27 Gennaio 2018","2018-01-30 17:17:39","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/conflitti_mediorientali-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/conflitti_mediorientali-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/conflitti_mediorientali-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/conflitti_mediorientali-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/conflitti_mediorientali-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/conflitti_mediorientali.jpg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Le guerre afgane",1517015160,[112,113,114,115,116,117],"http://radioblackout.org/tag/afghanistan/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/jihad/","http://radioblackout.org/tag/khorasan/","http://radioblackout.org/tag/save-the-children/","http://radioblackout.org/tag/talebani/",[119,120,18,25,121,122],"afghanistan","isis","Save the children","talebani",{"post_content":124,"post_title":128},{"matched_tokens":125,"snippet":126,"value":127},[72,71,72,73],"\u003Cmark>per\u003C/mark> continuare a devastarla con \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>, sia nel mondo dove vivono","Torna alla ribalta del mondo la terra afgana, sia nei confini in cui è stata racchiusa dal colonialismo occidentale \u003Cmark>per\u003C/mark> continuare a devastarla con \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>, sia nel mondo dove vivono ai margini, senza rappresentanza, né diritti, perché la loro condizione di rifugiati non è riconosciuta dalle stesse potenze che da decenni occupano il paese e finanziano miliziani, jihadisti, signori della guerra... quegli stessi che negano accoglienza ai profughi hanno dichiarato quello spazio non in situazione bellica, mentre ogni settimana ci sono attentati con decine di morti e le strade sono costellate da mine, gruppi armati che derubano, stuprano, vessano, ammazzano su base confessionale, etnica o più semplicemente di convenienza. 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L'evento più eclatante è quanto è accaduto in Mali, ma forse tutto quello che sta capitando nel Sahel da 10 anni è essenziale per gli equilibri del continente. E per il lento processo di reale decolonizzazione: 60 anni fa il 22 settembre 1960 il Mali divenne indipendente, ma il 22 settembre 2020 la giunta golpista nata sulla spinta insurrezionale popolare e che nei primi proclami chiedeva l'allontanamento delle truppe francesi anche stavolta non riesce a fare a meno di sottostare ai ricatti della presenza militare estera e propone riforme costituzionali che non solo prevedono, ma invitano truppe straniere, con lo spauracchio del jihad (intorno al lago Ciad), dei pirati lungo le coste tra il Kenia e il Mozambico, o negli stretti davanti al Somaliland e a Gibuti, dove sono presenti compound militari di ogni nazionalità. I porti in quell'area sono in mano a sauditi ed emirati, ma il porto commerciale di Gibuti è in mano ai cinesi, che davanti all'attivismo di russi e turchi, ha accelerato il suo impegno di \"peace-keeping\" a scapito dell'Africa e appropriandosi di cobalto, terre rare e altre materie prime strategiche. Collegando i porti di cui prende possesso e li collega con l'interno a estensione della Belt Road Initiative (Gibuti, ma anche Mombasa).\r\n\r\n\r\n\r\nAbbiamo chiesto di ricostruirci il quadro generale ad Angelo Ferrari, con la promessa che approfondiamo ancora molto presto (confrontando il colonialismo classico con quello attuale):\r\n\r\nNeocolonialismo in terra africana","25 Settembre 2020","2023-04-19 15:05:20","La calda estate dell'Africa",1601077990,[154,114,63,155,156,157,158],"http://radioblackout.org/tag/africa/","http://radioblackout.org/tag/mali/","http://radioblackout.org/tag/neocolonialismo/","http://radioblackout.org/tag/pirati/","http://radioblackout.org/tag/somalia/",[160,18,15,161,162,163,164],"Africa","Mali","neocolonialismo","pirati","somalia",{"post_content":166},{"matched_tokens":167,"snippet":168,"value":169},[71,72,73],"potenze e fazioni in conflitto, \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>, incursioni, attribuzioni di infrastrutture, appalti"," \r\n\r\nUn'estate calda... e nel caso del continente nero sarebbe normale, anche se nella vulgata occidentale non si colgono accenni, né trapelano notizie su gruppi armati (Wagner russi o jihadisti trasportati da Erdoğan), passaggi di armi, loro vendita, scambi tra potenze e fazioni in conflitto, \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>, incursioni, attribuzioni di infrastrutture, appalti vinti \u003Cmark>per\u003C/mark> l'impegno militare a fianco di un contendente o di un altro (Libia), imam antijihad uccisi (Burkina); la voracità di tutti i paesi dell'Occidente (e dei loro enti nazionali di idrocarburi, oppure di vendite di armi di stato, o di umani schiavizzati nelle strade del Sahel) si moltiplica nelle rapine e nelle appropriazioni di Sauditi, Emirati (si sono presi Socotra, un'intera isola che controlla il Mar Rosso); persino i cinesi mettono in campo i militari – \u003Cmark>per\u003C/mark> difendere le \"loro\" infrastrutture nell'Africa orientale. 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A un’ora di distanza un altro kamikaze è entrato in azione alla stazione della metro Maelbeek, nella zona di Bruxelles dove si concentrano le istituzioni europee. Gli attentati hanno lasciato al suolo 31 vittime e diverse centinaia di feriti.\r\nLa guerra viene di nuovo a bussare alle porte di un’Europa sempre più arroccata nel disperato tentativo di negare l’evidenza: le scelte scellerate dei nostri governanti, dopo vent’anni di guerre per procura nel tentativo di accaparrarsi influenza e petrolio, ci si ritorcono contro portando la normalità della guerra nel cuore delle capitali del vecchio continente nella forma tragica degli attentati suicidi dello Stato islamico.\r\nL’impatto emotivo è di nuovo forte, in tanti a Bruxelles si sono ritrovati catapultati in una situazione di panico all’interno di una metropoli completamente impreparata a gestire questo genere di eventualità, nonostante la massiccia presenza di forze militari nelle strade da diversi mesi. Abbiamo raggiunto Valentina, compagna che vive a Bruxelles, che ci ha raccontato dello spaesamento e della paura che ha avvolto la città. Una paura che raddoppia per chi abita in Belgio ed è di religione musulmana. Come ci racconta Valentina, nei mesi scorsi l’atmosfera di è fatta pesante per le sue amiche praticanti che hanno dovuto subire un'islamofobia sempre più presente. Pregiudizi e discriminazioni che rischiano di rafforzarsi ancora di più nei prossimi mesi e che aggiungono alla paura di nuovi attentati il timore di aggressioni razziste.\r\nAscolta le considerazioni di Valentina\r\nvalentina_bruxelles_23_03_16\r\nCon Nicola, che gestisce una piola nel centro di Bruxelles, abbiamo evocato l’atmosfera che si respirava nelle strade ieri e gli effetti che si sentono oggi sul ritmo quotidiano della capitale belga.\r\nAscolta le impressioni di Nicola\r\nnicola_bruxelles_23_03_16\r\nE come sono stati visti gli attentati di Bruxelles dalla Siria? Abbiamo raggiunto ai nostri microfoni Luigi, da Kobane, per raccontarci come i curdi\r\nche combattano lo Stato islamico hanno percepito questo ennesimo attacco di Daesh. Dispiacere e rabbia, certo, ma anche la coscienza di chi sa che quella della guerra è una realtà quotidiana in tantissime zone molte più vicine all’Europa di quanto si pensi…\r\nAscolta l'intervista a Luigi (carovana per il Rojava)\r\nluigi_rojava_23_03_16","23 Marzo 2016","2016-03-29 20:49:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/03/CeJpqQ6XIAANl3Q-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"137\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/03/CeJpqQ6XIAANl3Q-300x137.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/03/CeJpqQ6XIAANl3Q-300x137.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/03/CeJpqQ6XIAANl3Q.jpg 600w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La guerra a Bruxelles",1458750897,[],[],{"post_content":191},{"matched_tokens":192,"snippet":193,"value":194},[71,72,73],"nostri governanti, dopo vent’anni di \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark> nel tentativo di accaparrarsi influenza","Giornata di terrore ieri a Bruxelles, alle ore 8 due kamikaze si sono fatti esplodere nei pressi dei desk \u003Cmark>per\u003C/mark> check-in dell'aeroporto. 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Gli attentati hanno lasciato al suolo 31 vittime e diverse centinaia di feriti.\r\nLa guerra viene di nuovo a bussare alle porte di un’Europa sempre più arroccata nel disperato tentativo di negare l’evidenza: le scelte scellerate dei nostri governanti, dopo vent’anni di \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark> nel tentativo di accaparrarsi influenza e petrolio, ci si ritorcono contro portando la normalità della guerra nel cuore delle capitali del vecchio continente nella forma tragica degli attentati suicidi dello Stato islamico.\r\nL’impatto emotivo è di nuovo forte, in tanti a Bruxelles si sono ritrovati catapultati in una situazione di panico all’interno di una metropoli completamente impreparata a gestire questo genere di eventualità, nonostante la massiccia presenza di forze militari nelle strade da diversi mesi. 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Pregiudizi e discriminazioni che rischiano di rafforzarsi ancora di più nei prossimi mesi e che aggiungono alla paura di nuovi attentati il timore di aggressioni razziste.\r\nAscolta le considerazioni di Valentina\r\nvalentina_bruxelles_23_03_16\r\nCon Nicola, che gestisce una piola nel centro di Bruxelles, abbiamo evocato l’atmosfera che si respirava nelle strade ieri e gli effetti che si sentono oggi sul ritmo quotidiano della capitale belga.\r\nAscolta le impressioni di Nicola\r\nnicola_bruxelles_23_03_16\r\nE come sono stati visti gli attentati di Bruxelles dalla Siria? Abbiamo raggiunto ai nostri microfoni Luigi, da Kobane, \u003Cmark>per\u003C/mark> raccontarci come i curdi\r\nche combattano lo Stato islamico hanno percepito questo ennesimo attacco di Daesh. Dispiacere e rabbia, certo, ma anche la coscienza di chi sa che quella della guerra è una realtà quotidiana in tantissime zone molte più vicine all’Europa di quanto si pensi…\r\nAscolta l'intervista a Luigi (carovana \u003Cmark>per\u003C/mark> il Rojava)\r\nluigi_rojava_23_03_16",[196],{"field":91,"matched_tokens":197,"snippet":193,"value":194},[71,72,73],{"best_field_score":139,"best_field_weight":140,"fields_matched":20,"num_tokens_dropped":48,"score":174,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},{"document":200,"highlight":225,"highlights":230,"text_match":233,"text_match_info":234},{"cat_link":201,"category":202,"comment_count":48,"id":203,"is_sticky":48,"permalink":204,"post_author":51,"post_content":205,"post_date":206,"post_excerpt":54,"post_id":203,"post_modified":207,"post_thumbnail":208,"post_thumbnail_html":209,"post_title":210,"post_type":59,"sort_by_date":211,"tag_links":212,"tags":220},[45],[47],"31479","http://radioblackout.org/2015/09/da-niscemi-a-lampedusa-piu-migranti-meno-militari/","Abbiamo risentito Fabio da Niscemi dopo aver ingenuamente pensato che forse la lotta No Muos potesse venire archiviata registrando un buon successo grazie al giudizio di illegalità sancito dal Tar a inizio 2015. Invece lo abbiamo richiamato per capire cosa stava succedendo dopo la sentenza Cga (Consiglio di giustizia amministrativa che nell’isola svolge le funzioni del Consiglio di Stato) del 9 settembre che pone di nuovo in discussione la questione dei radar di Niscemi, annullando in parte la decisione di febbraio che giudicava fuorilegge il Muos, restituendo di nuovo legittimità all'occupazione militare americana; subito un'associazione ambientalista, “Rita Atria”, aveva denunciato alla Procura di Palermo due giudici amministrativi, proprio il presidente Marco Lipari e il giudice estensore del Cga Gabriele Carlotti “per abuso in atti di ufficio”, configurando un conflitto di interessi e in questi giorni è stata avanzata dai comitati No Muos un'istanza perché la Cga stessa revochi almeno in parte la sua decisione.\r\n\r\nLa sentenza appena emessa dal Cga è definitiva solo per l’aspetto “ambientale” (“le autorizzazioni erano legittime”), mentre per altre due questioni, “salute” dei cittadini che abitano nelle vicinanze e presunti pericoli o interferenze al “traffico aereo”, il Collegio presieduto da Marco Lipari ha costituito una “commissione di verifica” composta dai presidenti del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), del Cnu (Consiglio nazionale universitario) e da tre ministri (Salute, Ambiente e Infrastrutture), fissando la sentenza definitiva per il 16 dicembre.I No Muos invece fanno notare che il collegio non spiega perché non sarebeb esaustiva la verificazione eseguita in primo grado dal prof. Marcello D'Amore, che già aveva ampiamente dimostrato l'erroneità e l'inbattendibilità degli studi posti a base delle autorizzazioni del sistema di radar americano, mentre il collegio dei verificatori nominato ora è composto per tre quinti da ministrie quindi anche loro in conflitto d'interessi e non sopra le parti.\r\n\r\nIl movimento si è ritrovato nuovamente trascinato nella contrapposizione al prepotente progetto militarista e si sta riorganizzando, a comincaire dalla battaglia in sede amministrativa. Ma sarà altrettanto e forse più importante l'appuntamento a Niscemi per il 6 dicembre, quando è convocata una manifestazoine a pochi giorni dall'udienza che è stata fissata per il 15 dicembre. Ma ascoltate i particolari dala voce di Fabio:\r\n\r\nUnknown\r\n\r\nIntanto a Lampedusa è in corso LampedusaInFestival, giunto alla settima edizione dove si trovano molte realtà legate alla lotta antimilitarista e a favore dei migranti (da Calais a Ventimiglia; dalla Sardegna al Giappone... dalla Tunisia), impegnate ad analizzare e cercare di individuare strategie valide per annullare la militarizzazione del Mediterraneo e combattere le molteplici manifestazioni di Frontex, agenzia europea di contrasto della migrazione, ma anche per collegare le guerre dell'Occidente fatte per procura in paesi saccheggiati, da cui partono i flussi di disperati, ridotti in miseria dal capitalismo. In questo caso l'appuntamento è per il 3 ottobre nel secondo anniversario della strage di Lampedusa dovuta a omissione di soccorso di fronte alla quale l'allora premier Letta si era ipocritamente inginocchiato, contribuendo a fabbricare la prima di tante immagini commoventi - l'ultima delle quali è quella del bambino siriano annegato a Bodrum: in quella data Askavusa farà girare in molte città italiane, approfittando della sicura sovraesposizione mediatica della data, un film che documenta come si poteva evitare la strage se due navi fossero intervenute, anziché abbandonare i naufraghi al loro destino.\r\n\r\nUnknown\r\n\r\nSia Fabio da Niscemi, sia Giacomo da Lampedusa hanno poi collegato le loro lotte con quella dei comitati sardi contro le basi militari e contro la esercitazione che coinvolgerà Trapani-Birgi tra pochi giorni, intanto i radar americani stanno già operando in Trident.","24 Settembre 2015","2015-09-30 00:27:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/09/2015_09_24-Paladino-Porta-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"225\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/09/2015_09_24-Paladino-Porta-225x300.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/09/2015_09_24-Paladino-Porta-225x300.jpg 225w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/09/2015_09_24-Paladino-Porta.jpg 720w\" sizes=\"auto, (max-width: 225px) 100vw, 225px\" />","Da Niscemi a Lampedusa: più migranti, meno militari",1443096578,[213,214,215,216,217,218,219],"http://radioblackout.org/tag/antimilitarismo/","http://radioblackout.org/tag/lampedusainfestival/","http://radioblackout.org/tag/niscemi/","http://radioblackout.org/tag/no-muos/","http://radioblackout.org/tag/sentenza-cga/","http://radioblackout.org/tag/sicilia/","http://radioblackout.org/tag/strage-di-lampedusa/",[221,35,222,223,27,224,33],"antimilitarismo","niscemi","no Muos","sicilia",{"post_content":226},{"matched_tokens":227,"snippet":228,"value":229},[72,71,72,73],"ma anche \u003Cmark>per\u003C/mark> collegare le \u003Cmark>guerre\u003C/mark> dell'Occidente fatte \u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark> in paesi saccheggiati, da cui","Abbiamo risentito Fabio da Niscemi dopo aver ingenuamente pensato che forse la lotta No Muos potesse venire archiviata registrando un buon successo grazie al giudizio di illegalità sancito dal Tar a inizio 2015. 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Tanto che è sorprendente il linguaggio bellicista adottato in questo frangente dai protagonisti stessi di quel Movimento pacifico che era regolato su parole d'ordine volte a concludere il contenzioso con l'Azerbaijan della dinastia affaristica degli Aliyev, portato diretto della dissoluzione dell'Urss. L'Azerbaijan è sostanzialmente un territorio attraversato da pipeline, ma anche una lavanderia per denaro sporco; da sempre palestra per le esibizioni di forza turche e anche in questo caso Erdoğan non poteva farsi sfuggire l'occasione di scaricare migliaia di jihadisti attinti dal serbatoio di mercenari ereditati dalla guerra siriana: contratti da 6 a 10 mesi con un salario mensile di 10mila lire turche (circa mille euro), un migliaio di mercenari in divisa azera aviotrasportati da aerei turchi.\r\n\r\nE allora si può cominciare a capire meglio il travaglio attuale di Kars, città che aveva eletto un sindaco Hdp, incarcerato e sostituito con il prefetto (che venerdì 2 ottobre ha pubblicamente pregato davanti al Comune): collocata strategicamente al confine con l'Armenia è un essenziale snodo per la logistica militare del conflitto.\r\n\r\nMa ancora più interessante è tentare di capire il ruolo delle comunità coinvolte, come viene stravolta l'esistenza ancora una volta, qual è il sentire comune delle genti che vivono nell'enclave armena in territorio azero, cosa scatena il nazionalismo da entrambi i lati, quali interessi locali coinvolge realmente il conflitto, al di là di quelli che sono indubbiamente le mire delle potenze globali.\r\n\r\nLo abbiamo chiesto a Teresa Di Mauro, collaboratrice dell'“Atlante delle Guerre” ed esperta di vicende caucasiche.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Caucaso.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","3 Ottobre 2020","2020-10-04 12:01:04","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Lion-of-Vank-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Lion-of-Vank-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Lion-of-Vank-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Lion-of-Vank-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Lion-of-Vank.jpg 870w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","I prigionieri del Caucaso: nazionalismi per procura...",1601754724,[251,252,253,254,255,256,257],"http://radioblackout.org/tag/aliyev/","http://radioblackout.org/tag/armenia/","http://radioblackout.org/tag/azerbaijan/","http://radioblackout.org/tag/pashinyan/","http://radioblackout.org/tag/pipeline/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[259,260,261,262,263,264,265],"Aliyev","armenia","azerbaijan","Pashinyan","pipeline","russia","Turchia",{"post_content":267,"post_title":271},{"matched_tokens":268,"snippet":269,"value":270},[71,73,72],"e \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>te dagli autocrati \u003Cmark>per\u003C/mark> interessi energetici (i molti gasdotti","... e \u003Cmark>guerre\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>te dagli autocrati \u003Cmark>per\u003C/mark> interessi energetici (i molti gasdotti che incrociano il Caucaso) e \u003Cmark>per\u003C/mark> innescare conflitti remunerativi \u003Cmark>per\u003C/mark> l'industria delle armi e \u003Cmark>per\u003C/mark> il prestigio derivante dal controllo di territori privi di risorse ma che accendono da sempre rivendicazioni nazionaliste \u003Cmark>per\u003C/mark> la secolare identità condivisa dalle comunità coese sudcaucasiche, che \u003Cmark>per\u003C/mark> questo si differenziano dalla convivenza di molteplici stirpi diverse nel Nord del Caucaso; \u003Cmark>per\u003C/mark> quanto Ossetia e Abkhazia siano le uniche due realtà che riconoscono l'autonomia del Nagorno Karabach (perché si trovano in una situazione analoga a quella degli irredentisti dell'Artsakh al centro del conflitto esploso nuovamente a fine settembre).\r\n\r\n\r\n\r\nDispute di territori che affondano in eccidi, pogrom, massacri che da secoli percorrono il Caucaso, contrapponendo cultura occidentale cristiana stanziale a quella asiatica azera sostenuta dai turchi che hanno intrecciato la loro storia con quella armena, alla stregua di quella curda, perché la Turchia quando intende perseguire i sogni ottomani di controllo dei territori dal golfo Persico alle steppe centrali deve necessariamente eseguire pulizie etniche di popolazioni aliene al sultanato.\r\n\r\nDi contro l'attuale Armenia si fonda su una Rivoluzione di velluto che ha portato Pashinyan al potere sull'onda del pacifismo e di una presa di coscienza collettiva che due anni fa ha cacciato l'oligarchia corrotta. 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Se è vero come ha scritto qualcuno che Putin si avvantaggerà internamente per aver chiuso bene la partita, senza grandi danni o spargimenti di sangue, è altrettanto vero che la cosa non può non aver ripercussioni sull'immagine internazionale della Russia e sull'efficacia del comando putiniano. Per quanto riconosciamo sia stata anche un'occasione per far venire allo scoperto i traditori, non è accettabile che una parte consistente dei tuoi corpi di élite (mercenari certo, ma cresciuti enormemente grazie a un filo diretto con Putin e alla legge sull'arruolamento dei detenuti che gli ha favoriti) ti si girino contro in mezzo a una guerra che gran parte del tuo Paese considera esistenziale. Immaginiamo se fosse successo agli americani in Iraq, avremmo parlato di agonia finale del gigante statunitense.\r\nIntanto la controffensiva va avanti ma non sembra in grado di regalarci altre sorprese, mentre ulteriori tasselli nel ragionamento che abbiamo fatto in una scorsa puntata (Una guerra che si poteva fermare), arrivano per comprendere come si sia arenato il processo di pace - largamente per volontà di Inghilterra e Usa, dopo il massacro di Bucha. Se crediamo al NYT, e il massacro è davvero ascrivibile ai russi - sostiene il giornale, sarebbe stata proprio la Wagner a eseguirlo - potrebbe essere anche letto come tentativo interno di boicottare il processo di pace. Sappiamo da sempre che la vera opposizione a Putin in questa guerra, è strisciante ma è tutta a destra, iperbellicista insomma. Il solito ginepraio che ci spinge irresistibilmente verso l'escalation bellica e l'allargamento.\r\n\r\nNella seconda parte di trasmissione abbiamo fatto una chiacchierata con Alessandro Russo e Claudia Pozzana, autori di una serie di contributi raccolti nel libricino “La Quarta Guerra Mondiale. E noi?” da poco edito da Ombre Corte.\r\nIl volume si divide in due parti: la prima, “Questa guerra”, analizza nello specifico cause e possibili sviluppi dell'attuale guerra (per procura) in Ucraina nel suo intreccio di locale e globale, individuando nella fine della politica novecentesca organizzata sulle linee globali della “guerra fredda” (per gli autori, “Terza guerra mondiale”), lo slancio per una nuova ipertrofia dell'economico (e quindi del militare) come segmenti separati e sovraordinanti il sociale e il politico. Nella seconda parte del libro dove sono raccolti alcuni scritti degli anni '90 e 2000 si analizzano invece gli \"antecedenti\" della guerra attuale, individuando nella prima guerra americana contro l'Irak, la rottura dell'ordine precedente e lo scatto verso una nuova epoca di guerre guerreggiate. Un punto importante della seconda parte del libro è quello dedicata alla fondazione dell'Euro, non mera unità monetaria ma nuova \"forma di governo\" delle popolazioni del continente europeo. Processo che gli autori leggono come contemporaneo all'esaurirsi del ruolo dei pariti storici del Novecento con la relativa funzione ordinatrice della società secondo la diade Destra/Sinistra.\r\nFilo rosso del testo è la ricerca dei processi che hanno storicamente funzionato come \"limitazione della guerra\" e che gli autori individuano nell'evento 1917 (compresi i suoi effetti sulle politiche sociale dell'Occidente capitalistico) e nel 1949 della rivoluzione cinese (e nei suoi sviluppi, con particolare attenzioni alla parentesi della “rivoluzione culturale”). Lettura interessante perché ribalta interpretazioni storiche di questi eventi come fondativi di guerra, dal punto di vista conservatore per legittimare la risposta alla \"minaccia rossa\", dal punto di vista rivoluzionario come guerra civile e rivoluzione permanente. Aperta resta la domanda sull'“E noi?” del titolo, dove il minimo che si può cogliere è l'urgenza di un'immenso lavoro collettivo che sappia legare la necessità di un'opposizione alla guerra globale in itinere alla contemporanea e ineliminabile propettiva di superamento del “Neolitico capitalista”.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/la-fine-della-storia-27-06.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nRoberto Iannuzzi - Come l’Occidente ha sabotato il negoziato fra Russia e Ucraina\r\n\r\nNey York Times - New Evidence Shows How Russian Soldiers Executed Men in Bucha\r\n\r\nVolodymyr Ishchenko - Russia’s military Keynesianism\r\n\r\nMichael Peck - Surprised That Ukraine Is Taking Combat Losses? You Shouldn’t Be \r\n\r\nClaudia Pozzana, Alessandro Russo - La Quarta guerra mondiale. E noi?","28 Giugno 2023","2023-06-29 12:33:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/1687967512353-200x110.png","LA FINE DELLA FINE DELLA STORIA #24 - UNA GUERRA SENZA LIMITI?","podcast",1687978185,[],[],{"post_content":342},{"matched_tokens":343,"snippet":344,"value":345},[72,73],"e possibili sviluppi dell'attuale guerra (\u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>) in Ucraina nel suo intreccio","L'esito della marcia, in definitiva poco trionfale, del celebre “cuoco di Putin”, non deve ingannare sulla portata dei fatti stessi. Se è vero come ha scritto qualcuno che Putin si avvantaggerà internamente \u003Cmark>per\u003C/mark> aver chiuso bene la partita, senza grandi danni o spargimenti di sangue, è altrettanto vero che la cosa non può non aver ripercussioni sull'immagine internazionale della Russia e sull'efficacia del comando putiniano. \u003Cmark>Per\u003C/mark> quanto riconosciamo sia stata anche un'occasione \u003Cmark>per\u003C/mark> far venire allo scoperto i traditori, non è accettabile che una parte consistente dei tuoi corpi di élite (mercenari certo, ma cresciuti enormemente grazie a un filo diretto con Putin e alla legge sull'arruolamento dei detenuti che gli ha favoriti) ti si girino contro in mezzo a una guerra che gran parte del tuo Paese considera esistenziale. Immaginiamo se fosse successo agli americani in Iraq, avremmo parlato di agonia finale del gigante statunitense.\r\nIntanto la controffensiva va avanti ma non sembra in grado di regalarci altre sorprese, mentre ulteriori tasselli nel ragionamento che abbiamo fatto in una scorsa puntata (Una guerra che si poteva fermare), arrivano \u003Cmark>per\u003C/mark> comprendere come si sia arenato il processo di pace - largamente \u003Cmark>per\u003C/mark> volontà di Inghilterra e Usa, dopo il massacro di Bucha. Se crediamo al NYT, e il massacro è davvero ascrivibile ai russi - sostiene il giornale, sarebbe stata proprio la Wagner a eseguirlo - potrebbe essere anche letto come tentativo interno di boicottare il processo di pace. Sappiamo da sempre che la vera opposizione a Putin in questa guerra, è strisciante ma è tutta a destra, iperbellicista insomma. Il solito ginepraio che ci spinge irresistibilmente verso l'escalation bellica e l'allargamento.\r\n\r\nNella seconda parte di trasmissione abbiamo fatto una chiacchierata con Alessandro Russo e Claudia Pozzana, autori di una serie di contributi raccolti nel libricino “La Quarta Guerra Mondiale. E noi?” da poco edito da Ombre Corte.\r\nIl volume si divide in due parti: la prima, “Questa guerra”, analizza nello specifico cause e possibili sviluppi dell'attuale guerra (\u003Cmark>per\u003C/mark> \u003Cmark>procura\u003C/mark>) in Ucraina nel suo intreccio di locale e globale, individuando nella fine della politica novecentesca organizzata sulle linee globali della “guerra fredda” (\u003Cmark>per\u003C/mark> gli autori, “Terza guerra mondiale”), lo slancio \u003Cmark>per\u003C/mark> una nuova ipertrofia dell'economico (e quindi del militare) come segmenti separati e sovraordinanti il sociale e il politico. 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DHL ha il potere di costringere ABX Air a cessare i trasporti in quanto detiene larga parte della sua flotta aerea, ma sino ad ora non ha fatto altro che prendere tempo, nel tentativo di mantenere inalterati i propri rapporti commerciali con la ATSG.\r\n\r\nDa circa due anni si susseguono proteste anche in Italia e con la nascita della Campagna ‘Senza Ritorno‘ – circa un anno fa – diversi gruppi hanno iniziato a connettersi per prendere parte alla lotta contro queste aziende prive di scrupoli. \r\nIn occasione della settimana internazionale contro il trasporto di animali per i laboratori, lanciata dal network ‘Gateway to Hell’, si terrà la prima protesta contro Air France – KLM presso l’aeroporto di Torino Caselle a partire dalle h 12:00 di Sabato 13 Dicembre.\r\nPer la giornata precedente e’ stata organizzata una serata informativa sulla sperimentazione animale e sulla deportazione. Il ricavato dal buffet sarà benefit spese legali per i compagn* Silvia, Costa e Billy, nuovamente incriminati, questa volta dalla procura di Torino, per i fatti svizzeri.\r\nContro logiche di dominio e sfruttamento dell’animale umano e non, contro pratiche di tortura e morte, contro ogni gabbia tangibile o architettata da una tecnologia sempre più invasiva, vi aspettiamo per parlarne insieme.\r\n Venerdì 12 dicembre @ El Paso occupato Via Passo Buole 47 Torino \r\n\r\ndalle ore 20: buffet benefit Silvia, Costa e Billy \r\n\r\ndalle ore 21: con i collettivi “la lepre” e “liberazione animale genova” proiezioni, presentazione della campagna “Senza ritorno” e del dossier informativo “Vivisezione a Genova“\r\n\r\n Sabato 13 dicembre\r\ndalle ore 12 presidio di protesta @ aeroporto torino-caselle\r\n\r\n\r\n\r\nÈ ora di agire contro Air France – KLM, DHL e qualunque altra azienda continui a pensare di poter fare profitti sulla pelle degli animali! Fermiamo i viaggi della tortura!\r\nPer la liberazione animale, umana e della terra\r\ncampagna Senza Ritorno","5 Dicembre 2014","2019-01-31 12:55:33","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/07/310114_300DPI-200x110.jpeg","Senza ritorno: contro ogni gabbia e deportazione",1417779640,[366,367,368,369,370,371,372,373,374],"http://radioblackout.org/tag/airfrance-klm/","http://radioblackout.org/tag/antifascismo/","http://radioblackout.org/tag/antispecismo/","http://radioblackout.org/tag/deportazioni/","http://radioblackout.org/tag/dhl-abxair/","http://radioblackout.org/tag/liberazione-animale/","http://radioblackout.org/tag/sperimentazione-animale/","http://radioblackout.org/tag/tortura/","http://radioblackout.org/tag/vivisezione/",[319,376,317,377,313,321,323,378,315],"antifascismo","deportazioni","tortura",{"post_content":380},{"matched_tokens":381,"snippet":382,"value":383},[73,72],"nuovamente incriminati, questa volta dalla \u003Cmark>procura\u003C/mark> di Torino, \u003Cmark>per\u003C/mark> i fatti svizzeri.\r\nContro logiche","Nella puntata di martedì 2 dicembre abbiamo affrontato nuovamente (e mai abbastanza) il tema della vivisezione rilanciando la campagna \"Senza ritorno\" e i prossimi appuntamenti del 12 e 13 dicembre a Torino e dintorni.\r\nRiportiamo direttamente dal sito italiano della campagna internazionale contro Air France/Klm e DHL/Abx Air, il comunicato relativo alla settimana internazionale (dal 6 al 14 dicembre) contro il trasporto di animali \u003Cmark>per\u003C/mark> i laboratori e vi invitiamo ad ascoltare la diretta fatta con un compagno.\r\nlibfro_141202\r\nLa campagna contro il trasporto di animali verso i laboratori di vivisezione sta andando avanti senza sosta in diverse parti del mondo, dopo il risultato ottenuto con l’abbandono dei trasporti da parte di China Southern Airlines lo scorso marzo il cerchio si è stretto intorno ad un manipolo di aziende, responsabili di tenere in piedi da sole il rifornimento di animali, in particolar modo primati non umani, dei laboratori di vivisezione europei ed americani.\r\nTra queste spicca il nome di Air France – KLM, una azienda senza vergogna, in prima linea nei trasporti di animali verso i centri di tortura ( Air France è l’unica azienda al mondo ad aver pubblicamente difeso il proprio operato a riguardo) tanto quanto nella deportazione di persone prive di documenti, cacciate dalla fortezza Europa e costrette a tornare nei luoghi da dove sono fuggite, luoghi predati da anni di politiche neo coloniali da parte del mondo occidentale, tormentati da \u003Cmark>guerre\u003C/mark>, fame e miseria.\r\nUn secondo obiettivo della campagna internazionale contro il trasporto \u003Cmark>per\u003C/mark> la vivisezione è divenuta nel corso dell’anno l’azienda di logistica DHL, in quanto partner commerciale di maggior rilievo della piccola compagnia cargo statunitense ABX Air, parte del gruppo ATSG, insieme di aziende cargo che di fatto sta mantenendo attivo il flusso di animali dal sud est asiatico verso i laboratori dopo la scelta di China Southern Airlines di sospendere i viaggi. 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Negli ultimi giorni sono scesi in campo anche intellettuali e storici, che rileggono gli eventi di oggi con la lente distorta di una narrazione che trascolora nel mito. Il mito degli anni di “piombo”, degli “antimoderni” moti luddisti, della perdita di consenso di avanguardie che scelgono la lotta armata.\r\nScomodare un termine ingombrante come “terrorismo” è normale per tanti giornalisti e commentatori politici. Il paragone tra la lotta armata di trent’anni fa e la resistenza No Tav ne è la pietra miliare.\r\nDa quando i PM Padalino e Rinaudo il 29 luglio hanno accusato una dozzina di ragazzi di associazione a scopo terroristico, affibbiandogli l’articolo 180 del codice, gli scritti su questo tema si sono moltiplicati. Le iniziative di lotta estive li hanno scatenati. Nella loro lente deformante sono finite le passeggiate di lotta in Clarea, i sabotaggi, i blocchi, persino la marcia simbolica degli over 50, simbolo del legame tra le generazioni, del filo robusto che lega tutti gli attivisti in una lotta in cui ogni tassello si incastra nel mosaico deciso collettivamente. I sabotaggi delle ultime settimane verso ditte collaborazioniste – spesso aziende stracotte, plurifallite, in odore di mafia – li hanno scatenati definitivamente.\r\nIn piena sintonia con i media la Procura torinese ha ordinato perquisizioni e limitazioni della libertà con scadenza sempre più ravvicinata. Ultimi i tre No Tav arrestati con l’accusa di violenza privata – ma la Procura voleva infilarci anche la tentata rapina – perché, secondo Erica De Blasi, giornalista del quotidiano “la Repubblica”, avrebbero fatto parte del folto gruppo di No Tav che avevano smascherato l’inganno con cui si era infiltrata nella manifestazione degli over 50. De Blasi si era finta una manifestante ed aveva scattato foto che, per sua stessa ammissione, erano destinate alla Digos. Per quest’episodio insignificante è stata scomodata la libertà di stampa, dimenticando che questa “giornalista” era venuta meno alla sua stessa deontologia professionale, ponendosi al servizio della polizia.\r\nNella guerra mediatica scatenata contro il movimento No Tav si inserisce il dossier uscito proprio sul quotidiano “la Repubblica” il 12 settembre.\r\nLo storico Salvadori tenta una genealogia della pratica del sabotaggio, ricostruendo la vicenda del movimento che, tra il 1811 e il 1816, scosse l’Inghilterra. La pratica della distruzione delle macchine viene descritta da Salvadori come una sorta di disperata resistenza alla miseria frutto delle nuove tecnologie produttive, che riducevano il bisogno di manodopera. Salvadori liquida la rivolta, che pure durò a lungo nonostante i manifestanti uccisi dalla polizia, le deportazioni e le condanne a morte, come ultimo inutile grido di un’epoca preindustriale condannata a sparire.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Cosimo Scarinzi, un sindacalista che si è occupato a fondo della pratica del sabotaggio all’interno del movimento dei lavoratori. Secondo Scarinzi la radicalità del movimento “luddista” non era una critica alle macchine, quanto la risposta alla ferocissima repressione che colpiva ogni forma di protesta. Lotte meno dure venivano sanzionate con la deportazione e la condanna a morte, non lasciando alcun margine di trattativa ai lavoratori che si ribellavano ad una miseria estrema. In questa situazione l’attacco alla macchine diviene il mezzo per tentare di piegare un padronato indisponibile a qualsiasi concessione.\r\nScarinzi esamina la pratica del sabotaggio, attraverso la storia del movimento operaio, che ne è attraversato costantemente, sia che si tratti di pratiche spontanee, che non si rivendicano come tali, sia che vengano assunte e valorizzate come uno dei tasselli della lotta contro lo sfruttamento capitalista. Nell’opuscolo “Sabotage” Emile Pouget, esponente del sindacalismo rivoluzionario di segno libertario teorizza esplicitamente l’utilizzo del sabotaggio come segno incontrovertibile dell’indisponibilità ad un compromesso con una società divisa in classi. In questo caso, al di là della materialità dell’agire, emerge la volontà di scoraggiare ogni tentativo di compromesso tra capitale e lavoro, demolendo nei fatti la propaganda che vorrebbe sfruttati e sfruttatori sulla stessa barca, con gli stessi interessi di fondo.\r\nAscolta qui la chiacchierata con Cosimo, che è proseguita con l'analisi del sabotaggio nella pratica dei lavoratori del secolo appena trascorso:\r\n2013 09 13 sabotaggio cosimo\r\n\r\nTorniamo al dossier di “la Repubblica”.\r\nNell’analisi di Salvadori, che pure prudentemente si limita alle rivolte inglesi all’epoca della cosiddetta “rivoluzione industriale”, si possono cogliere due elementi che spiegano le ragioni dell’inserimento in un paginone che si apre con un articolo di Guido Crainz dedicato ai sabotaggi contro l’alta velocità in Val Susa.\r\nIl primo elemento è il carattere antimoderno delle rivolte luddiste, il secondo è l’ineluttabilità della sconfitta di chi si batte contro un progresso inarrestabile. In altri termini l’articolo di Salvadori, anche al di là dell’esplicita volontà dell’autore, svolge il compito che la rivista di intelligence Gnosis affida all’”agente di influenza“, ossia orientare l’opinione pubblica, demolire la fiducia dei No Tav, insinuando il dubbio sulle prospettive della lotta.\r\nQuesti elementi ci consentono vedere la trama del mosaico che la lobby Si Tav sta componendo. Il governo alza il tiro, appesantisce la repressione, picchia, arresta, criminalizza. La speranza è dividere, spaventare il movimento per far emergere la componente più istituzionale e spezzare la resistenza dei No Tav, riducendoli a meri testimoni indignati dello scempio.\r\nLa spettacolarità insita negli attacchi con il fuoco alle ditte, che pure si collocano a pieno nell’alveo della lotta non violenta, da la stura alla retorica sulla violenza. Il pezzo di Crainz si apre con l’occhiello “le polemiche recenti sulle azioni contro (la) Tav in Val di Susa riprono la questione del confine tra diritto al dissenso e forme illegali di opposizione” nel sottotitolo diventa più esplicito con un secco “quando le proteste diventano violenza”. Il pezzo si caratterizza per una continua equiparazione tra illegalità e violenza, il che dimostra, al di là dell’insistito discettare sulla lotta non violenta, la fondamentale incomprensione del senso e dei modi di questa pratica. Non tutto quel che è illegale è necessariamente anche violento, che non tutto quel che è legale è non violento. Che spaccare una ruspa e spaccare la testa di qualcuno non siano gesti equivalenti mi pare non meriti dimostrazioni di sorta. Se in questo gioco si inserisce la distinzione tra legale ed illegale il quadro invece si intorbida.\r\nI poliziotti che spaccano le teste dei No Tav, che sparano in faccia lacrimogeni, che mandano in coma un attivista e cavano un occhio ad un altro non fanno che compiere il loro dovere.\r\nI governi di turno ne solo tanto convinti che hanno garantito una buona carriera a tutti i massacratori di Bolzaneto, nonostante, in questo caso, vi sia stata una sentenza di condanna della magistratura. Per la mezza dozzina di capri espiatori di quelle giornate di lotta sono scattate condanne sino a sedici anni di reclusione, nonostante avessero soltanto rotto delle cose.\r\nSe è di Stato vale anche la tortura, se è espressione di lotta sociale viene perseguito anche un semplice danneggiamento. Anzi. Si parla addirittura di terrorismo, l’espressione che venne usata negli anni Settanta per definire la lotta armata. Crainz considera le vicende della Diaz e Bolzaneto errori di percorso da evitare di offrire argomenti a chi vorrebbe una diversa organizzazione politica e sociale. Scivoloni pericolosi perché si fanno delle gran brutte figure.\r\nL’autore, echeggiando Salvadori, sostiene che il sabotaggio è sintomo di debolezza, di sconfitta, di separazione dal movimento popolare. Crainz richiama i fantasmi del “rozzo pedagogismo giacobino ‘del gesto esemplare’ e dell’avanguardia leninista” che, per disprezzo, si sostituiscono all’azione autonoma dei cittadini.\r\nSu questa base Crainz ricostruisce le lotte degli anni Settanta, rievocando le figure dei cattivi maestri e riducendo la dinamica sociale di quegli anni ad una sorta di gigantesca cupio dissolvi culminata nella lotta armata.\r\nParte dall’assunto che le forme di lotta più radicali sono legittime contro le dittature, non certo in un regime democratico.\r\nPeccato che la democrazia reale, non quella dei libri delle scuole elementari, sia quella della Diaz e di Bolzaneto, perché la “sospensione del diritto” non è l’eccezione ma la regola. Peggio. In questi anni la sospensione del diritto si è fatta regola. L’intera legislazione sull’immigrazione, i respingimenti collettivi, gli accordi con la Libia per l’outsourcing della detenzione, le guerre umanitarie, le bombe intelligenti, le carceri che scoppiano, i morti nelle caserme, i militari nelle strade, le proteste popolari sedate con gas e manganelli…\r\nLa sospensione del diritto si fa sempre regola, quando qualcuno si ribella a regole del gioco che garantiscono il ricambio delle elite, negando un reale spazio di partecipazione ai cittadini, sancendo come insuperabile una società divisa in classi, dove il profitto di pochi conta più della vita e della dignità dei più.\r\nCrainz conclude il pezzo ironizzando sugli intellettuali che giocano con i fiammiferi. Quelli come lui usano le penne come i poliziotti i manganelli. Un gioco stupido ma trasparente.\r\nGrande assente nell’analisi di Crainz è il movimento No Tav. Un movimento che non può essere ingabbiato in nessuno degli schemi in cui tanti analisti hanno provato ad incasellarlo negli anni. Un movimento che cresce e si alimenta della sue tante anime, che elabora le proprie strategie attraverso un lento e, a volte difficile, confronto. Un movimento radicale e radicato nel territorio. Un movimento che ha optato per l’azione diretta, che non delega a nessuno e ha deciso di resistere attivamente all’imposizione violenta di un’opera la cui unica utilità è il drenaggio di soldi pubblici a fini privati.\r\nIl movimento No Tav ha scelto alcuni mesi fa di appoggiare la pratica del sabotaggio. Di questa decisione restano poche tracce sui media, sia tra i cronisti che tra gli analisti, perché di fronte alla volontà di un’assemblea popolare tanti teoremi si sgretolano come neve al sole.\r\nIl movimento in questi mesi dovrà affrontare una sfida complessa: mantenere radicalità e radicamento sociale. Non sarà facile, perché la magistratura sta preparando una operazione repressiva in grande stile, come dimostrano le gite dei PM torinesi a Milano e in altre città. Non sarà facile, perché le prossime amministrative rischiano ancora una volta di assorbire troppe energie a discapito dell’azione quotidiana per gettare sabbia negli ingranaggi dell’occupazione militare.\r\nLa scommessa dei prossimi mesi sarà quella di riaprire gli spazi per l’azione diretta popolare, che la repressione e la violenza del governo stanno cercando di chiudere.\r\nIl governo e la lobby del Tav non hanno troppa paura dei sabotaggi o di un manipolo di amministratori No Tav, hanno invece gran timore di una nuova rivolta popolare che renda ingovernabile il territorio.\r\nA noi tutti il compito di rendere reali le loro paure.","15 Settembre 2013","2018-10-17 22:59:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/09/haywood-sabotagewww-color-200x110.jpg","Sabotaggi, intellettuali e fiammiferi",1379283095,[403,404,405,406],"http://radioblackout.org/tag/crainz/","http://radioblackout.org/tag/no-tav-2/","http://radioblackout.org/tag/sabotaggio/","http://radioblackout.org/tag/salvadori/",[307,305,311,309],{"post_content":409},{"matched_tokens":410,"snippet":411,"value":412},[72,71],"gli accordi con la Libia \u003Cmark>per\u003C/mark> l’outsourcing della detenzione, le \u003Cmark>guerre\u003C/mark> umanitarie, le bombe intelligenti, le","Politici, imprenditori falliti, media hanno scatenato un attacco senza precedenti al movimento No Tav. Negli ultimi giorni sono scesi in campo anche intellettuali e storici, che rileggono gli eventi di oggi con la lente distorta di una narrazione che trascolora nel mito. Il mito degli anni di “piombo”, degli “antimoderni” moti luddisti, della perdita di consenso di avanguardie che scelgono la lotta armata.\r\nScomodare un termine ingombrante come “terrorismo” è normale \u003Cmark>per\u003C/mark> tanti giornalisti e commentatori politici. Il paragone tra la lotta armata di trent’anni fa e la resistenza No Tav ne è la pietra miliare.\r\nDa quando i PM Padalino e Rinaudo il 29 luglio hanno accusato una dozzina di ragazzi di associazione a scopo terroristico, affibbiandogli l’articolo 180 del codice, gli scritti su questo tema si sono moltiplicati. Le iniziative di lotta estive li hanno scatenati. Nella loro lente deformante sono finite le passeggiate di lotta in Clarea, i sabotaggi, i blocchi, persino la marcia simbolica degli over 50, simbolo del legame tra le generazioni, del filo robusto che lega tutti gli attivisti in una lotta in cui ogni tassello si incastra nel mosaico deciso collettivamente. I sabotaggi delle ultime settimane verso ditte collaborazioniste – spesso aziende stracotte, plurifallite, in odore di mafia – li hanno scatenati definitivamente.\r\nIn piena sintonia con i media la \u003Cmark>Procura\u003C/mark> torinese ha ordinato perquisizioni e limitazioni della libertà con scadenza sempre più ravvicinata. Ultimi i tre No Tav arrestati con l’accusa di violenza privata – ma la \u003Cmark>Procura\u003C/mark> voleva infilarci anche la tentata rapina – perché, secondo Erica De Blasi, giornalista del quotidiano “la Repubblica”, avrebbero fatto parte del folto gruppo di No Tav che avevano smascherato l’inganno con cui si era infiltrata nella manifestazione degli over 50. De Blasi si era finta una manifestante ed aveva scattato foto che, \u003Cmark>per\u003C/mark> sua stessa ammissione, erano destinate alla Digos. \u003Cmark>Per\u003C/mark> quest’episodio insignificante è stata scomodata la libertà di stampa, dimenticando che questa “giornalista” era venuta meno alla sua stessa deontologia professionale, ponendosi al servizio della polizia.\r\nNella guerra mediatica scatenata contro il movimento No Tav si inserisce il dossier uscito proprio sul quotidiano “la Repubblica” il 12 settembre.\r\nLo storico Salvadori tenta una genealogia della pratica del sabotaggio, ricostruendo la vicenda del movimento che, tra il 1811 e il 1816, scosse l’Inghilterra. La pratica della distruzione delle macchine viene descritta da Salvadori come una sorta di disperata resistenza alla miseria frutto delle nuove tecnologie produttive, che riducevano il bisogno di manodopera. Salvadori liquida la rivolta, che pure durò a lungo nonostante i manifestanti uccisi dalla polizia, le deportazioni e le condanne a morte, come ultimo inutile grido di un’epoca preindustriale condannata a sparire.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Cosimo Scarinzi, un sindacalista che si è occupato a fondo della pratica del sabotaggio all’interno del movimento dei lavoratori. Secondo Scarinzi la radicalità del movimento “luddista” non era una critica alle macchine, quanto la risposta alla ferocissima repressione che colpiva ogni forma di protesta. Lotte meno dure venivano sanzionate con la deportazione e la condanna a morte, non lasciando alcun margine di trattativa ai lavoratori che si ribellavano ad una miseria estrema. In questa situazione l’attacco alla macchine diviene il mezzo \u003Cmark>per\u003C/mark> tentare di piegare un padronato indisponibile a qualsiasi concessione.\r\nScarinzi esamina la pratica del sabotaggio, attraverso la storia del movimento operaio, che ne è attraversato costantemente, sia che si tratti di pratiche spontanee, che non si rivendicano come tali, sia che vengano assunte e valorizzate come uno dei tasselli della lotta contro lo sfruttamento capitalista. Nell’opuscolo “Sabotage” Emile Pouget, esponente del sindacalismo rivoluzionario di segno libertario teorizza esplicitamente l’utilizzo del sabotaggio come segno incontrovertibile dell’indisponibilità ad un compromesso con una società divisa in classi. In questo caso, al di là della materialità dell’agire, emerge la volontà di scoraggiare ogni tentativo di compromesso tra capitale e lavoro, demolendo nei fatti la propaganda che vorrebbe sfruttati e sfruttatori sulla stessa barca, con gli stessi interessi di fondo.\r\nAscolta qui la chiacchierata con Cosimo, che è proseguita con l'analisi del sabotaggio nella pratica dei lavoratori del secolo appena trascorso:\r\n2013 09 13 sabotaggio cosimo\r\n\r\nTorniamo al dossier di “la Repubblica”.\r\nNell’analisi di Salvadori, che pure prudentemente si limita alle rivolte inglesi all’epoca della cosiddetta “rivoluzione industriale”, si possono cogliere due elementi che spiegano le ragioni dell’inserimento in un paginone che si apre con un articolo di Guido Crainz dedicato ai sabotaggi contro l’alta velocità in Val Susa.\r\nIl primo elemento è il carattere antimoderno delle rivolte luddiste, il secondo è l’ineluttabilità della sconfitta di chi si batte contro un progresso inarrestabile. In altri termini l’articolo di Salvadori, anche al di là dell’esplicita volontà dell’autore, svolge il compito che la rivista di intelligence Gnosis affida all’”agente di influenza“, ossia orientare l’opinione pubblica, demolire la fiducia dei No Tav, insinuando il dubbio sulle prospettive della lotta.\r\nQuesti elementi ci consentono vedere la trama del mosaico che la lobby Si Tav sta componendo. Il governo alza il tiro, appesantisce la repressione, picchia, arresta, criminalizza. La speranza è dividere, spaventare il movimento \u003Cmark>per\u003C/mark> far emergere la componente più istituzionale e spezzare la resistenza dei No Tav, riducendoli a meri testimoni indignati dello scempio.\r\nLa spettacolarità insita negli attacchi con il fuoco alle ditte, che pure si collocano a pieno nell’alveo della lotta non violenta, da la stura alla retorica sulla violenza. Il pezzo di Crainz si apre con l’occhiello “le polemiche recenti sulle azioni contro (la) Tav in Val di Susa riprono la questione del confine tra diritto al dissenso e forme illegali di opposizione” nel sottotitolo diventa più esplicito con un secco “quando le proteste diventano violenza”. Il pezzo si caratterizza \u003Cmark>per\u003C/mark> una continua equiparazione tra illegalità e violenza, il che dimostra, al di là dell’insistito discettare sulla lotta non violenta, la fondamentale incomprensione del senso e dei modi di questa pratica. Non tutto quel che è illegale è necessariamente anche violento, che non tutto quel che è legale è non violento. Che spaccare una ruspa e spaccare la testa di qualcuno non siano gesti equivalenti mi pare non meriti dimostrazioni di sorta. Se in questo gioco si inserisce la distinzione tra legale ed illegale il quadro invece si intorbida.\r\nI poliziotti che spaccano le teste dei No Tav, che sparano in faccia lacrimogeni, che mandano in coma un attivista e cavano un occhio ad un altro non fanno che compiere il loro dovere.\r\nI governi di turno ne solo tanto convinti che hanno garantito una buona carriera a tutti i massacratori di Bolzaneto, nonostante, in questo caso, vi sia stata una sentenza di condanna della magistratura. \u003Cmark>Per\u003C/mark> la mezza dozzina di capri espiatori di quelle giornate di lotta sono scattate condanne sino a sedici anni di reclusione, nonostante avessero soltanto rotto delle cose.\r\nSe è di Stato vale anche la tortura, se è espressione di lotta sociale viene perseguito anche un semplice danneggiamento. Anzi. Si parla addirittura di terrorismo, l’espressione che venne usata negli anni Settanta \u003Cmark>per\u003C/mark> definire la lotta armata. Crainz considera le vicende della Diaz e Bolzaneto errori di percorso da evitare di offrire argomenti a chi vorrebbe una diversa organizzazione politica e sociale. Scivoloni pericolosi perché si fanno delle gran brutte figure.\r\nL’autore, echeggiando Salvadori, sostiene che il sabotaggio è sintomo di debolezza, di sconfitta, di separazione dal movimento popolare. Crainz richiama i fantasmi del “rozzo pedagogismo giacobino ‘del gesto esemplare’ e dell’avanguardia leninista” che, \u003Cmark>per\u003C/mark> disprezzo, si sostituiscono all’azione autonoma dei cittadini.\r\nSu questa base Crainz ricostruisce le lotte degli anni Settanta, rievocando le figure dei cattivi maestri e riducendo la dinamica sociale di quegli anni ad una sorta di gigantesca cupio dissolvi culminata nella lotta armata.\r\nParte dall’assunto che le forme di lotta più radicali sono legittime contro le dittature, non certo in un regime democratico.\r\nPeccato che la democrazia reale, non quella dei libri delle scuole elementari, sia quella della Diaz e di Bolzaneto, perché la “sospensione del diritto” non è l’eccezione ma la regola. Peggio. In questi anni la sospensione del diritto si è fatta regola. L’intera legislazione sull’immigrazione, i respingimenti collettivi, gli accordi con la Libia \u003Cmark>per\u003C/mark> l’outsourcing della detenzione, le \u003Cmark>guerre\u003C/mark> umanitarie, le bombe intelligenti, le carceri che scoppiano, i morti nelle caserme, i militari nelle strade, le proteste popolari sedate con gas e manganelli…\r\nLa sospensione del diritto si fa sempre regola, quando qualcuno si ribella a regole del gioco che garantiscono il ricambio delle elite, negando un reale spazio di partecipazione ai cittadini, sancendo come insuperabile una società divisa in classi, dove il profitto di pochi conta più della vita e della dignità dei più.\r\nCrainz conclude il pezzo ironizzando sugli intellettuali che giocano con i fiammiferi. Quelli come lui usano le penne come i poliziotti i manganelli. Un gioco stupido ma trasparente.\r\nGrande assente nell’analisi di Crainz è il movimento No Tav. Un movimento che non può essere ingabbiato in nessuno degli schemi in cui tanti analisti hanno provato ad incasellarlo negli anni. Un movimento che cresce e si alimenta della sue tante anime, che elabora le proprie strategie attraverso un lento e, a volte difficile, confronto. Un movimento radicale e radicato nel territorio. Un movimento che ha optato \u003Cmark>per\u003C/mark> l’azione diretta, che non delega a nessuno e ha deciso di resistere attivamente all’imposizione violenta di un’opera la cui unica utilità è il drenaggio di soldi pubblici a fini privati.\r\nIl movimento No Tav ha scelto alcuni mesi fa di appoggiare la pratica del sabotaggio. Di questa decisione restano poche tracce sui media, sia tra i cronisti che tra gli analisti, perché di fronte alla volontà di un’assemblea popolare tanti teoremi si sgretolano come neve al sole.\r\nIl movimento in questi mesi dovrà affrontare una sfida complessa: mantenere radicalità e radicamento sociale. 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Non sarà facile, perché le prossime amministrative rischiano ancora una volta di assorbire troppe energie a discapito dell’azione quotidiana \u003Cmark>per\u003C/mark> gettare sabbia negli ingranaggi dell’occupazione militare.\r\nLa scommessa dei prossimi mesi sarà quella di riaprire gli spazi \u003Cmark>per\u003C/mark> l’azione diretta popolare, che la repressione e la violenza del governo stanno cercando di chiudere.\r\nIl governo e la lobby del Tav non hanno troppa paura dei sabotaggi o di un manipolo di amministratori No Tav, hanno invece gran timore di una nuova rivolta popolare che renda ingovernabile il territorio.\r\nA noi tutti il compito di rendere reali le loro paure.",[414],{"field":91,"matched_tokens":415,"snippet":411,"value":412},[72,71],1733921019300675600,{"best_field_score":418,"best_field_weight":140,"fields_matched":20,"num_tokens_dropped":48,"score":419,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"2216192573440","1733921019300675697",{"document":421,"highlight":436,"highlights":444,"text_match":449,"text_match_info":450},{"comment_count":48,"id":422,"is_sticky":48,"permalink":423,"podcastfilter":424,"post_author":425,"post_content":426,"post_date":427,"post_excerpt":54,"post_id":422,"post_modified":428,"post_thumbnail":429,"post_title":430,"post_type":337,"sort_by_date":431,"tag_links":432,"tags":434},"97627","http://radioblackout.org/podcast/lautomobile-cest-la-guerre/",[294],"ce"," \r\n\r\nHappy Hour. Pillole sintetiche dal mondo-guerra.\r\n1.6 (5.05.25)\r\n\r\nL’automobile è stata a lungo la metafora della superiorità dell’Occidente capitalistico nei confronti del resto del mondo, in cui le popolazioni viaggiavano a piedi o al più a cavallo e ne ha rappresentato uno dei cuori pulsante della struttura industriale, diventando una merce di massa che implicava la crescita tanto dello sfruttamento lavorativo salariato, quanto dei consumi che, ça va sans dire, del progresso tecnico. E’ stata anche un potente propulsore di due mitologie capitaliste. Quella della “libertà\" intesa come possibilità resa via via più accessibile alle masse di potersi muovere con più facilità, che ha contribuito a mistificare la libertà intesa come possibilità di preservare degli spazi di autonomia esistenziale. E quella del mondo inteso come \"frontiera\" sempre più dominabile, la riduzione della distanza, il mondo \"a portata\".\r\n\r\nOggi l'industria dell'automobile europea è in profondo declino. E' il Green Deal UE ad aver spinto la strada dell'elettrificazione, ma nel comparto sta accadendo qualcosa di analogo a ciò che avvenne con la siderurgia. Le aziende cinesi, che prima del 2000 erano importatrici nette di acciaio e alluminio, in dieci anni sono diventate il primo produttore al mondo. Nel frattempo, dalle parole di Von der Leyen, lo scellerato piano di rearmo europeo da 800 miliardi di euro servirebbe per rilanciare l'economia in crisi ed è stato analizzato proprio come vettore di riconversione dell'industria automobilistica - in particolare tedesca - verso il militare. Un piano che, peraltro, ha solo la parvenza semantica di \"sovranismo\", nel momento in cui gli esiti della scellerata guerra per procura combattuta in Ucraina svelano ancor più il ruolo vassallo degli Stati europei rispetto agli Stati Uniti: le armi per l'Unione Europea sono affari per il grande capitale finanziario statunitense.\r\n\r\nAll'interno dell'attuale guerra mondiale \"a pezzi\", particolare rilevanza assume nell'industria automobilistica il ruolo dell'automazione, con la corsa ai veicoli a guida autonoma, in cui si svela la compenetrazione tra civile e militare e la guerra a un'umanità considerata sempre più eccedente.\r\n\r\nCiò che è certo è che il nesso tra industria dell'automobile, settore della difesa e dominio tecnico non ha nulla di nuovo se pensiamo alla storia del Novecento e all'intreccio tra guerra interna - la disciplina nelle fabbriche attraverso la militarizzazione degli operai - ed esterna - basti pensare che lo stabilimento di Mirafiori sorge sui cadaveri della guerra d'Etiopia - nel caso del capitalismo incarnato dalla FIAT degli Agnelli, a Torino. 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