","Tunisia. Il grande gioco del Mediterraneo","post",1427298032,[53,54,55,56,57,58,59],"http://radioblackout.org/tag/hansar-al-sharia/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/italia/","http://radioblackout.org/tag/lotta-di-classe/","http://radioblackout.org/tag/museo-bardo/","http://radioblackout.org/tag/tunisia/","http://radioblackout.org/tag/venti-di-guerra/",[27,15,17,25,21,19,23],{"post_content":62,"tags":67},{"matched_tokens":63,"snippet":65,"value":66},[64],"al","L'attentato \u003Cmark>al\u003C/mark> Museo del Bardo a Tunisi","L'attentato \u003Cmark>al\u003C/mark> Museo del Bardo a Tunisi è stato probabilmente un'azione riferibile a uno dei gruppi jihadisti locali formatisi nel corso della dittatura di Ben Ali. L'interpretazione vigente in Italia secondo la quale l'attentato sarebbe stato opera di una branca locale del Daesh (o Isis secondo l'acronimo inglese) ha corso solamente in Italia. Molto probabilmente tale interpretazione è funzionale alla preparazione dell'opinione pubblica italiana \u003Cmark>al\u003C/mark> sempre più probabile intervento del nostro paese nello scenario libico. La vicinanza della Tunisia alla Libia e il calcolato terrore portato da una presunta progressiva diffusione di questa organizzazione all'interno dei paesi del sud del Mediterraneo è funzionale ad una campagna il cui fine ultimo è la difesa armata degli interessi dell'industria energetica di stato italiana in Libia e alla sua espansione in Tunisia.\r\n\r\nAldi fuori dell'Italia, e in particolare in Tunisia, nessuno dubita che l'attentato sia stato messo in opera da parte di esponenti dei gruppi salafiti locali stanziati nelle montagne del sud ovest del paese \u003Cmark>al\u003C/mark> confine con l'Algeria. Tali gruppi avrebbero goduto di una forte libertà di azione dopo l'insurrezione del 2011 che pose fine alla dittatura di Ben Ali e durante il governo del partito islamico Ennhada.\r\n\r\nAll'epoca infatti venne permesso loro di recarsi a combattere in Siria contro la dittatura laica del paese mediorientale con l'evidente complicità anche degli USA e dei paesi occidentali interessati agli sviluppi nel paese. Gli avvenimenti successivi con la fine del governo Ennhada in Tunisia e, soprattutto con il mutamento di alleanze americane nell'area, ha nuovamente confinato i gruppi salafiti del paese africano nell'esilio delle montagne del sud ovest. In qualche misura si può sostenere che l'attentato del Bardo sia stato una sorta di vendetta jihadista contro un ribaltamento di alleanze vissuto come un “tradimento”. Dobbiamo, infatti, ricordare che Ennhada, pur diventato minoritario nel Parlamento tunisino, è ancora presente all'interno della compagine governativa a Tunisi. Vista in questa prospettiva acquisterebbe senso anche l'ipotesi che,in realtà, l'attacco \u003Cmark>al\u003C/mark> Bardo sia stato un diversivo per il gruppo di fuoco, a seguito del fallimento dell'attacco contro il Parlamento della nazione mediterranea. Parlamento tunisino e museo del Bardo fanno infatti parte dello stesso complesso monumentale della capitale.\r\nDi tutto questo abbiamo parlato con Karim Metref, blogger, insegnante torinese di origine kabila, attento osservatore delle vicende che stanno squotendo il nordafrica.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nUnknown",[68,73,75,77,79,81,83],{"matched_tokens":69,"snippet":72},[70,64,71],"hansar","sharia","\u003Cmark>hansar\u003C/mark> \u003Cmark>al\u003C/mark> \u003Cmark>sharia\u003C/mark>",{"matched_tokens":74,"snippet":15},[],{"matched_tokens":76,"snippet":17},[],{"matched_tokens":78,"snippet":25},[],{"matched_tokens":80,"snippet":21},[],{"matched_tokens":82,"snippet":19},[],{"matched_tokens":84,"snippet":23},[],[86,91],{"field":28,"indices":87,"matched_tokens":88,"snippets":90},[39],[89],[70,64,71],[72],{"field":92,"matched_tokens":93,"snippet":65,"value":66},"post_content",[64],1736172819517538300,{"best_field_score":96,"best_field_weight":97,"fields_matched":98,"num_tokens_dropped":39,"score":99,"tokens_matched":100,"typo_prefix_score":39},"3315704398080",13,2,"1736172819517538410",3,6646,{"collection_name":50,"first_q":27,"per_page":103,"q":27},6,{"facet_counts":105,"found":14,"hits":125,"out_of":177,"page":14,"request_params":178,"search_cutoff":29,"search_time_ms":179},[106,112],{"counts":107,"field_name":110,"sampled":29,"stats":111},[108],{"count":14,"highlighted":109,"value":109},"anarres","podcastfilter",{"total_values":14},{"counts":113,"field_name":28,"sampled":29,"stats":123},[114,116,117,119,121],{"count":14,"highlighted":115,"value":115},"libia",{"count":14,"highlighted":17,"value":17},{"count":14,"highlighted":118,"value":118},"petrolio",{"count":14,"highlighted":120,"value":120},"al quaeda",{"count":14,"highlighted":122,"value":122},"Stati Uniti",{"total_values":124},5,[126],{"document":127,"highlight":144,"highlights":163,"text_match":172,"text_match_info":173},{"comment_count":39,"id":128,"is_sticky":39,"permalink":129,"podcastfilter":130,"post_author":109,"post_content":131,"post_date":132,"post_excerpt":45,"post_id":128,"post_modified":133,"post_thumbnail":134,"post_title":135,"post_type":136,"sort_by_date":137,"tag_links":138,"tags":143},"24629","http://radioblackout.org/podcast/libia-il-grande-gioco-tra-sangue-e-petrolio/",[109],"La Libia è attraversata da una guerra per bande che sta frantumando il paese, rendendo sempre più difficile la vita sia ai libici sia ai numerosi profughi subsahariani che ci vivono. Mercoledì 6 agosto c'é stato un blackout totale. A Tripoli internet, la rete dei cellulari e l'acqua funzionano a singhiozzo.\r\nAnche l'assistenza sanitaria è a rischio, perché il governo filippino ha chiesto ai 13mila lavoratori immigrati nel paese di lasciare la Libia. Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti al potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il governo Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. Già nel 2011, dopo mesi alla finestra il governo italiano decise di intervenire in Libia, rompendo l'alleanza con il governo di Muammar Gheddafi, per contrastare il piano franco inglese di sostituire l'Italia sia nerll'interscambio commerciale sia nel ruolo di referente privilegiato in Europa.\r\nL'Italia riuscì in quell'occasione a mantenere i contratti dell'ENI, ma, nonostante le assicurazioni delle nuove autorità libiche, non è mai riuscita ad ottenere l'outsourcing della repressione dell'immigrazione già garantito da Gheddafi. In questi giorni il governo moltiplica gli allarmi sull'emergenza immigrati, ma, nei fatti la crisi libica rende difficile richiudere la frontiera sud.\r\n\r\nPer profughi e migranti la situazione nel paese è terribile. L'Alto commissariato Onu per i rifiugati, che ha lasciato Tripoli a causa degli scontri, segnala che circa 30mila persone hanno passato il confine con la Tunisia la scorsa settimana, mentre ogni giorno 3.000 uomini attraversano la frontiera con l'Egitto; sono soprattutto egiziani che lavoravano in Libia, ma anche libici che possono permettersi la fuga. Tuttavia, la condizione peggiore è quella dei rifugiati provenienti dall'Africa subsahariana. \"Sono quasi 37mila - spiega l'agenzia Onu - le persone che abbiamo registrato; nella sola Tripoli, più di 150 persone provenienti da Eritrea e Somalia hanno chiamato il nostro numero verde per richiedere medicinali o un luogo più sicuro dove stare. Stiamo anche ricevendo chiamate da molti siriani e palestinesi che si trovano a Bengasi e che hanno un disperato bisogno di assistenza\".\r\n\r\nGli africani neri rischiano la pelle. Uomini delle milizie entrano nelle case che danno rifugio ai profughi, che vengono derubati di ogni cosa e spesso uccisi. Molti maschi vengono rapiti e ridotti in schiavitù: vengono obbligati a fare i facchini durante gli spostamenti, le donne vengono invece sistematicamente stuprate. Nelle carceri, dove i migranti subsahariani sono detenuti finché pagano un riscatto, la situazione è peggiorata: oltre ai \"consueti\" abusi ai prigionieri è negato anche il cibo.\r\n\r\nLe divisioni storiche tra Tripolitania, Cirenaica, e Fezzan sono divenute esplosive. Al di là della partita politica c'é la lotta senza quartiere per il controllo delle risorse, in primis il petrolio.\r\nDopo la caduta di Moammar Gheddafi tre estati fa, i vari governi che si sono succeduti non sono riusciti a imporsi sui circa 140 gruppi tribali che compongono la Libia. Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata Al Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando Mosul e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia di Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie di Misurata e di alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo di un deposito di carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno di un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese di origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore di quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia","7 Agosto 2014","2018-10-17 22:59:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/08/libia-200x110.jpg","Libia. 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