","RBO al Festival Alta Felicità - in dialogo con Sandro Moiso","post",1722607758,[70,71,72,73,74],"http://radioblackout.org/tag/elezioni-in-francia/","http://radioblackout.org/tag/francia/","http://radioblackout.org/tag/guerra-ucraina/","http://radioblackout.org/tag/macron/","http://radioblackout.org/tag/movimenti-decoloniali/",[76,77,78,79,80],"elezioni in francia","francia","guerra ucraina","macron","movimenti decoloniali",{"post_content":82},{"matched_tokens":83,"snippet":85,"value":86},[84],"immaginario","una rivoluzione rimossa. Portogallo e \u003Cmark>immaginario\u003C/mark> politico 1974-75\", in merito alla","Un approfondimento con Sandro Moiso, ospite del Festival per la presentazione del suo libro \"Riti di passaggio. Cronache di una rivoluzione rimossa. Portogallo e \u003Cmark>immaginario\u003C/mark> politico 1974-75\", in merito alla fase attuale in Francia.\r\n\r\nParliamo della scelta e del coinvolgimento dei movimenti dal basso nella partecipazione alla costruzione del Nuovo Fronte Popolare, di quali interessi e quali conseguenze ha avuto questo passaggio.\r\n\r\nUna riflessione sul \"fascismo\" sul rischio della fascistizzazione da un lato e sulla seconda chance di Macron e tutto ciò che rappresenta il suo partito dall'altro. A fronte dell'attivazione di composizioni giovanili, dei quartieri popolari, dei soggetti razzializzati e dei movimenti decoloniali occorre però approfondire lo sguardo rispetto al significato di questo passaggio elettorale. Esiste una paura reale per l'avvento del lepenismo, esiste una concretezza rispetto alle politiche razziste, securitarie e disciplinanti che questo rappresenta.\r\n\r\nUn altro elemento è l'assenza della guerra in Ucraina come chiave di volta per poter definire una rottura con il passato, il partito della guerra è quello di Macron e delle democrazie liberali in Europa.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/08/FAF-Dialogo-con-Moiso-Francia-elezioni-2024_07_26_2024.07.26-18.00.00-escopost.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[88],{"field":89,"matched_tokens":90,"snippet":85,"value":86},"post_content",[84],578730123365187700,{"best_field_score":93,"best_field_weight":94,"fields_matched":32,"num_tokens_dropped":32,"score":95,"tokens_matched":32,"typo_prefix_score":56},"1108091338752",14,"578730123365187697",{"document":97,"highlight":116,"highlights":121,"text_match":91,"text_match_info":124},{"cat_link":98,"category":99,"comment_count":56,"id":100,"is_sticky":56,"permalink":101,"post_author":59,"post_content":102,"post_date":103,"post_excerpt":62,"post_id":100,"post_modified":104,"post_thumbnail":105,"post_thumbnail_html":106,"post_title":107,"post_type":67,"sort_by_date":108,"tag_links":109,"tags":113},[53],[55],"84626","http://radioblackout.org/2023/10/torino-una-citta-allinsegna-dello-sportwashing/","\"Utilizzare lo sport per ripulirsi l’immagine e distogliere l’attenzione da altri problemi ben più gravi\".\r\n\r\nCosì Rebecca Vincent, attivista di Reportes sans frontières, definiva lo sportwashing nel 2015. Proprio l'anno scorso il Qatar ha attuato una \"pulizia\" mediatica utilizzando il Campionato mondiale di calcio per promuovere la propria immagine di Stato civile. Per ritrovare l'esempio storico più conosciuto bisogna però tornare al secolo scorso, ovvero alle Olimpiadi di Berlino del 1936, avvenute sotto il regime nazista e usate per consolidare l'idea del superuomo ariano.\r\n\r\nTorino pare muoversi nella stessa direzione, anche se non in toni tanto drastici. Negli ultimi anni il Comune ha investito nei grandi eventi, sportivi e non, cercando di creare un nuovo volto a una città ancorata a un immaginario proletario, sulla scia delle fallimentari Olimpiadi del 2006. Questo perché Torino non è ancora riuscita a ottenere un riconoscimento internazionale come città turistica o universitaria, e si affida allora a mega manifestazioni, come l'Eurovision o le ATP Finals, per generare ingenti flussi di persone, immettendo in circolo al contempo grossi investimenti. Risulta ancora presto per sapere se questa strategia ha un'effettiva funzionalità economica, ma possiamo essere certi che non apporta grandi benefici a chi vive quotidianamente la città.\r\n\r\nPer di più la retorica della promozione sportiva è utilizzata dal Comune solo in presenza di investimenti economici. Ecco allora che vengono incentivate le competizioni di tennis o i derby di calcio, o la costruzione di una Cittadella dello Sport al parco del Meisino, anche se questo comporterà il danneggiamento di una vera oasi naturalistica in città. Ancora, disincentivare la possibilità di praticare sport di base, a prezzi accessibili, esternalizzando i campi da gioco comunali a privati, i quali porteranno investimenti sul quartiere, aumentando però i costi della pratica sportiva. Insomma, Torino, al di là della facciata sport-friendly, sembra intenzionata a modificare la fruizione dell'attività sportiva, non più bene necessario e collante nei quartieri, ma pratica riservata solamente a chi potrà permettersela.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Filo della Rete dello sport popolare di Torino:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/Sport.251023.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","25 Ottobre 2023","2023-10-26 16:27:51","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/dynamofesta-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"203\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/dynamofesta-300x203.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/dynamofesta-300x203.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/dynamofesta.jpg 397w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Torino: una città all'insegna dello sportwashing",1698243219,[110,111,112],"http://radioblackout.org/tag/sport/","http://radioblackout.org/tag/sportwashing/","http://radioblackout.org/tag/torino/",[114,115,22],"sport","sportwashing",{"post_content":117},{"matched_tokens":118,"snippet":119,"value":120},[84],"una città ancorata a un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark> proletario, sulla scia delle fallimentari","\"Utilizzare lo sport per ripulirsi l’immagine e distogliere l’attenzione da altri problemi ben più gravi\".\r\n\r\nCosì Rebecca Vincent, attivista di Reportes sans frontières, definiva lo sportwashing nel 2015. 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Pochi all’epoca avevano colto che già l’era Craxi, sebbene il suo protagonista fosse irrimediabilmente legato alla prima Repubblica, immerso, sia pure in versione critica, nella dimensione ideologica del Novecento, prefigurava i tempi che venivano. Craxi, in un curioso mixer di culto della personalità e politica come spettacolo, aveva cominciato a traghettare il paese verso l’oltre Novecento che stiamo ancora vivendo.\r\nIn questi giorni Berlusconi è stato definito il primo populista, l’antesignano di Donald Trump: più verosimilmente la sua ispirazione furono i politici statunitensi della sua epoca, in primis, ovviamente, Ronald Reagan, l’attore di B Movie divenuto presidente degli States. Berlusconi seppe cogliere la richiesta populista di rinnovamento dopo che tangentopoli spazzò via la classe politica della Prima Repubblica, facendone collassare sia i principali protagonisti, sia le colonne politiche dei decenni del dopoguerra, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. Il Partito Socialista pagò il prezzo più alto, perché Craxi, era stato il primo ministro meno atlantista della Prima Repubblica.\r\nNel 1994 erano passati solo cinque anni dal crollo del muro di Berlino, un crollo la cui onda lunga era arrivata nell’Italia sempre democristiana, dove il Partito Comunista più forte dell’Europa occidentale aveva sfiorato pochi anni prima il “sorpasso”, che lo avrebbe condotto al potere.\r\nCon Berlusconi diventerà possibile regolare definitivamente i conti non tanto con un Partito Comunista, che già nel 1991, con la svolta della Bolognina era diventato Partito Democratico della Sinistra, ma con i lavoratori e le lavoratrici che negli anni Settanta avevano provato ad invertire di senso alla storia di quegli anni.\r\nBerlusconi, pur avendo prosperato nel fitto sottobosco clientelare della Prima Repubblica, si presenta come l’uomo nuovo, l’imprenditore di successo che si da alla politica per rinnovarla, che fonda un partito-azienda con un nome da tifoso di calcio “Forza Italia!”. Il suo successo è travolgente. Il PDS, pur solo sfiorato da tangentopoli viene descritto come vecchio. In tutta la sua carriera politica Berlusconi userà la carta dell’anticomunismo nei confronti di un milieu politico che di “comunista” aveva ben poco.\r\nBerlusconi sdogana le destre, alleandosi con la Lega Nord di Bossi e con gli eredi del fascismo, che, per la prima volta dal dopoguerra, vanno al potere.\r\nIl suo declino è dovuto soprattutto dalla volontà di far di tutto per salvaguardare le proprie imprese. Resta in sella a lungo, nonostante le inchieste giudiziarie, perché riesce a convincere il suo elettorato di essere vittima della magistratura asservita alla sinistra.\r\nBerlusconi fu anche l’uomo del G8 di Genova, dell’assassinio di Carlo Giuliani, del massacro della Diaz, delle torture di Bolzaneto.\r\nNon fece nessuna grande riforma: il suo “merito” principale fu l’aver costruito un nuovo immaginario, quello che ancora oggi segna il difficile presente in cui siamo forzati a vivere.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, un compagno di Milano\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/2023-06-13-berlusca-varengo.mp3\"][/audio]","13 Giugno 2023","2023-06-15 12:13:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-1024x577.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-768x433.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1.jpg 1536w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Il Paperone che chiuse il Novecento",1686675638,[139,140,141,142,143,144],"http://radioblackout.org/tag/berlusconi/","http://radioblackout.org/tag/craxi/","http://radioblackout.org/tag/politica-spettacolo/","http://radioblackout.org/tag/prima-repubblica/","http://radioblackout.org/tag/seconda-repubblica/","http://radioblackout.org/tag/tv-commerciali/",[146,147,148,149,150,151],"berlusconi","craxi","politica spettacolo","prima repubblica","seconda repubblica","tv commerciali",{"post_content":153},{"matched_tokens":154,"snippet":155,"value":156},[84],"fu l’aver costruito un nuovo \u003Cmark>immaginario\u003C/mark>, quello che ancora oggi segna","Funerali di Stato per il l’imprenditore che si prese l’Italia perché tutto cambiasse per far si che tutto restasse come prima.\r\nQuando, nel lontano 1994, l’uomo del cemento e delle TV, decise di “scendere in campo” Berlusconi era il costruttore e uomo delle TV commerciali cresciuto all’ombra di Bettino Craxi, sul quale in quel momento non avrebbe scommesso nessuno. 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Inoltre, al primo turno in tutti i DOM era Mélanchon ad essere in testa. La grande differenza con la Francia dunque, si riassume nel non aver seguito la logica del voto utile perché la popolazione delle isole è veramente stufa della politica coloniale di Macron. In Francia infatti, Macron è considerato come un liberale centrista che dà particolare priorità all’economia mentre, per le popolazioni che abitano le isole, rappresenta il volto del colonialismo oltre ad aver deluso le dichiarazioni fatte alla sua prima elezione , quando aveva definito “il colonialismo come un crimine contro l’umanità”, tradendole alla prima occasione rendendosi promotore di politiche razziste e violente.\r\n\r\nUn altro elemento da considerare è da un lato, l’immagine di Marine Le Pen, in qualche modo ripulita e resa più accettabile sin dalla decisione di cambiare il nome del partito di suo padre da Front a Rassemblement, termine decisamente più coinvolgente e meno violento e, dall’altro, il discorso politico che ha costruito negli ultimi anni. Infatti, Marine Le Pen non è stata fautrice di un discorso espressamente contro i neri ma piuttosto, di un discorso anti musulmani e arabi, questa variabile ha influito molto sulla sua possibilità di costruirsi un ruolo non direttamente razzista tout-court, soprattutto grazie al fatto che nei DOM la popolazione è per la maggior parte nera e stabilita in quei territori da lunga data.\r\n\r\nSe negli anni fu Jean-Marie Le Pen a rappresentare il volto più feroce e razzista della politica francese, attingendo a un immaginario coloniale e di schiavitù, Marine Le Pen oggi ha abbandonato questo discorso, sorpassata a destra da Eric Zemmour, altro elemento che ne ha agevolato il consenso.\r\n\r\nÈ importante, indipendentemente dalle ragioni che hanno permesso a Marine Le Pen di ottenere questo risultato, sottolineare l’astensionismo che ha caratterizzato trasversalmente i DOM, elemento che dà la cifra di una disillusione totale nei confronti della rappresentanza, del cinismo che stravolge il paradigma della destra e della sinistra e che rappresenta un ragionamento che va oltre la logica del voto utile, guidato dall'intento di non dover scendere a compromessi profondi che non rappresenterebbero il sentimento antiMacron che si è sostanziato negli anni.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/Elezioni-francesi-DOM-2022_04_28_2022.04.28-10.00.00-escopost.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","29 Aprile 2022","2022-04-29 12:39:03","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/Une-voiture-incendiee-sur-un-barrage-au-niveau-du-rond-point-de-Perrin-aux-Abymes-en-Guadeloupe-le-22-novembre-2022-1172968-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/Une-voiture-incendiee-sur-un-barrage-au-niveau-du-rond-point-de-Perrin-aux-Abymes-en-Guadeloupe-le-22-novembre-2022-1172968-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/Une-voiture-incendiee-sur-un-barrage-au-niveau-du-rond-point-de-Perrin-aux-Abymes-en-Guadeloupe-le-22-novembre-2022-1172968-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/Une-voiture-incendiee-sur-un-barrage-au-niveau-du-rond-point-de-Perrin-aux-Abymes-en-Guadeloupe-le-22-novembre-2022-1172968.jpg 768w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Il voto per Marine Le Pen nelle ex colonie francesi è specchio del sentimento anti Macron.",1651235943,[175,176,177,178],"http://radioblackout.org/tag/dom/","http://radioblackout.org/tag/elezioni-presidenziali-francia/","http://radioblackout.org/tag/marine-le-pen/","http://radioblackout.org/tag/razzismo/",[180,181,182,183],"dom","elezioni presidenziali francia","marine le pen","razzismo",{"post_content":185},{"matched_tokens":186,"snippet":187,"value":188},[84],"politica francese, attingendo a un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark> coloniale e di schiavitù, Marine","Commentiamo il voto del secondo turno alle elezioni presidenziali francesi che ha visto nei Dipartimenti d''Oltre Mare un forte consenso nei confronti di Marine Le Pen con Lorenz Gonschor, ricercatore in Scienze Politiche e docente presso l'Università Francese della Polinesia a Tahiti.\r\n\r\nLa prima questione che salta agli occhi è il risultato diametralmente opposto rispetto alla Francia metropolitana che ha privilegiato la logica del voto utile per Macron per opporsi all'avanzata di Le Pen.\r\n\r\nInnanzitutto, per trovare una spiegazione occorre considerare la partecipazione della popolazione dei Dipartimenti Oltre Mare che non ha raggiunto nemmeno il 50%, da leggersi come un boicottaggio delle elezioni da parte di tutti coloro che non erano d’accordo né con Macron né con Le pen, ossia la maggioranza della popolazione. Inoltre, al primo turno in tutti i DOM era Mélanchon ad essere in testa. La grande differenza con la Francia dunque, si riassume nel non aver seguito la logica del voto utile perché la popolazione delle isole è veramente stufa della politica coloniale di Macron. In Francia infatti, Macron è considerato come un liberale centrista che dà particolare priorità all’economia mentre, per le popolazioni che abitano le isole, rappresenta il volto del colonialismo oltre ad aver deluso le dichiarazioni fatte alla sua prima elezione , quando aveva definito “il colonialismo come un crimine contro l’umanità”, tradendole alla prima occasione rendendosi promotore di politiche razziste e violente.\r\n\r\nUn altro elemento da considerare è da un lato, l’immagine di Marine Le Pen, in qualche modo ripulita e resa più accettabile sin dalla decisione di cambiare il nome del partito di suo padre da Front a Rassemblement, termine decisamente più coinvolgente e meno violento e, dall’altro, il discorso politico che ha costruito negli ultimi anni. Infatti, Marine Le Pen non è stata fautrice di un discorso espressamente contro i neri ma piuttosto, di un discorso anti musulmani e arabi, questa variabile ha influito molto sulla sua possibilità di costruirsi un ruolo non direttamente razzista tout-court, soprattutto grazie al fatto che nei DOM la popolazione è per la maggior parte nera e stabilita in quei territori da lunga data.\r\n\r\nSe negli anni fu Jean-Marie Le Pen a rappresentare il volto più feroce e razzista della politica francese, attingendo a un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark> coloniale e di schiavitù, Marine Le Pen oggi ha abbandonato questo discorso, sorpassata a destra da Eric Zemmour, altro elemento che ne ha agevolato il consenso.\r\n\r\nÈ importante, indipendentemente dalle ragioni che hanno permesso a Marine Le Pen di ottenere questo risultato, sottolineare l’astensionismo che ha caratterizzato trasversalmente i DOM, elemento che dà la cifra di una disillusione totale nei confronti della rappresentanza, del cinismo che stravolge il paradigma della destra e della sinistra e che rappresenta un ragionamento che va oltre la logica del voto utile, guidato dall'intento di non dover scendere a compromessi profondi che non rappresenterebbero il sentimento antiMacron che si è sostanziato negli anni.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/Elezioni-francesi-DOM-2022_04_28_2022.04.28-10.00.00-escopost.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ",[190],{"field":89,"matched_tokens":191,"snippet":187,"value":188},[84],{"best_field_score":93,"best_field_weight":94,"fields_matched":32,"num_tokens_dropped":32,"score":95,"tokens_matched":32,"typo_prefix_score":56},{"document":194,"highlight":217,"highlights":222,"text_match":91,"text_match_info":225},{"cat_link":195,"category":196,"comment_count":56,"id":197,"is_sticky":56,"permalink":198,"post_author":59,"post_content":199,"post_date":200,"post_excerpt":62,"post_id":197,"post_modified":201,"post_thumbnail":202,"post_thumbnail_html":203,"post_title":204,"post_type":67,"sort_by_date":205,"tag_links":206,"tags":212},[53],[55],"58015","http://radioblackout.org/2020/03/otto-marzo-di-lotta-da-torino-a-livorno/","L’otto marzo ai tempi del Covid 19. Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione di garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati di base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato di cancellare lo sciopero.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative di lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, di rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari statunitensi in tempo di epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma di opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana di informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria di Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una di meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli di genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua del marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira di un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia di Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nDi seguito la cronaca della settimana di lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al di là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere di più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione di un’immagine femminile che si adegui a modelli di seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\nDi seguito l’appello per l’8 marzo di NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia di rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione di libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio di violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione di violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi di violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza di chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale di rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e del militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo di coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro di cura di anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione di reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti di una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano di stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto di essere in piazza contro chi cerca di imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”","10 Marzo 2020","2020-03-10 13:34:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1536x1024.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Otto marzo di lotta da Torino a Livorno",1583847293,[207,208,209,210,112,211],"http://radioblackout.org/tag/8-marzo/","http://radioblackout.org/tag/femminismo/","http://radioblackout.org/tag/livorno/","http://radioblackout.org/tag/nudm-livorno/","http://radioblackout.org/tag/wild-c-a-t/",[213,25,214,215,22,216],"8 marzo","livorno","Nudm Livorno","Wild C.A.T.",{"post_content":218},{"matched_tokens":219,"snippet":220,"value":221},[84],"media nella perpetuazione di un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark>, che giustifica ed alimenta la","L’otto marzo ai tempi del Covid 19. Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione di garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati di base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato di cancellare lo sciopero.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative di lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, di rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari statunitensi in tempo di epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma di opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana di informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria di Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una di meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli di genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua del marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira di un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia di Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nDi seguito la cronaca della settimana di lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark>, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark>, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark>, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un \u003Cmark>immaginario\u003C/mark>, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al di là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere di più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione di un’immagine femminile che si adegui a modelli di seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\nDi seguito l’appello per l’8 marzo di NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia di rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione di libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio di violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione di violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi di violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza di chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale di rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e del militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo di coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro di cura di anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione di reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti di una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano di stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto di essere in piazza contro chi cerca di imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”",[223],{"field":89,"matched_tokens":224,"snippet":220,"value":221},[84],{"best_field_score":93,"best_field_weight":94,"fields_matched":32,"num_tokens_dropped":32,"score":95,"tokens_matched":32,"typo_prefix_score":56},{"document":227,"highlight":249,"highlights":254,"text_match":91,"text_match_info":257},{"cat_link":228,"category":229,"comment_count":56,"id":230,"is_sticky":56,"permalink":231,"post_author":59,"post_content":232,"post_date":233,"post_excerpt":62,"post_id":230,"post_modified":234,"post_thumbnail":235,"post_thumbnail_html":236,"post_title":237,"post_type":67,"sort_by_date":238,"tag_links":239,"tags":244},[53],[55],"47499","http://radioblackout.org/2018/05/ma-e-poi-cosi-difficile-raccontare-largentina/","Probabilmente no, la vera difficoltà è rendere palesi le strategie innescate per riportare il paese sempre nelle mani delle lobbies finanziarie, ricattabile da Usa e sistemi iperliberisti a condizionare la politica e smantellare il welfare, indispensabile per la enorme quantità di indigenti, prodotti dalle stesse ricette che dovrebbero curare le crisi ricorrenti. Il debito – inventato di sana pianta – come clava per ottemperare all'incarico ricevuto dal Fondo monetario internazionale al momento della elezione, MAcrì ha fatto scattare il suo gioco sporco e le conseguenze si sono cominciate a vedere... anche nelle veline dei giornali internazionali che hanno raccontato eventi trasfigurati dalal solita lente deformante del luogo comune, del grottesco immaginario che scatta immediatamente al nome evocatore di Argentina\r\n\r\nAscoltate come Alfredo Somoza riesce invece a rendere chiari i meccanismi ora in atto, senza dimenticare quali sono i trascorsi del paese, enumerando i reali bisogni e immaginando dove si finirà:\r\n\r\nL'Argentina di Macrì","12 Maggio 2018","2018-05-14 16:57:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/05/macri-FMI-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"248\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/05/macri-FMI-300x248.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/05/macri-FMI-300x248.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/05/macri-FMI.jpg 600w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Ma è poi così difficile raccontare l’Argentina?",1526130233,[240,241,242,243],"http://radioblackout.org/tag/argentina/","http://radioblackout.org/tag/fmi/","http://radioblackout.org/tag/inflazione/","http://radioblackout.org/tag/mauricio-macri/",[245,246,247,248],"argentina","fmi","inflazione","mauricio macrì",{"post_content":250},{"matched_tokens":251,"snippet":252,"value":253},[84],"del luogo comune, del grottesco \u003Cmark>immaginario\u003C/mark> che scatta immediatamente al nome","Probabilmente no, la vera difficoltà è rendere palesi le strategie innescate per riportare il paese sempre nelle mani delle lobbies finanziarie, ricattabile da Usa e sistemi iperliberisti a condizionare la politica e smantellare il welfare, indispensabile per la enorme quantità di indigenti, prodotti dalle stesse ricette che dovrebbero curare le crisi ricorrenti. 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Con l'antropologo Stefano Boni abbiamo discusso di del processo, eminentemente culturale di costruzione delle identità. Identità, che quando percepite come “naturali” si tramutano nelle linee di frattura che spesso portano al razzismo, alla xenofobia. Sono comunità escludenti, che rifuggono l'incontro, il confronto, l'attraversamento delle identità che ci costituiscono, ma non sono un destino.\r\nLa materialità del proprio posizionamento sociale, se assunta come osservatorio sulla realtà, consente di tracciare linee di frattura che non si incardinano nella cultura, ma nella divaricazione di classe, nella spinta a costruire percorsi comuni con chi, pur culturalmente diverso, si trova nella stessa condizione.\r\nD'altra parte “ciascuno può sempre fare qualcosa su quello che è stato fatto di lui”.\r\nL'individuo, nella sua astrazione liberale, è si risolve nell'esercizio della cittadinanza – con relative esclusioni – nei limiti del politico definito dalle democrazie moderne\r\nLo stesso individuo, nel cerchio prospettico delineato dal liberismo, scompare nell'universo variegato ma globalmente standardizzato delle merce.\r\nIn una prospettiva libertaria l'individuo non è un punto di partenza, un'astrazione, che trova concretezza nelle urne, nella merce, nell'urna o nelle identità escludenti che hanno raggrumato la spinta reattiva (e reazionaria) che fornisce senso agli esclusi rancorosi dalle luci del circo capitalista. \r\nAfrica. 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Quest'anno la sindaca Chiara Appendino non si è fatta vedere, suscitando l'indignazione della CGIL. Noi non possiamo che ringraziarla: la sua presenza, come quella dei sindaci PD che invece non l'hanno mai disertata, stonava di fronte alla lapide di chi, per dirla con il titolo del libro di memorie di Maurizio Garino, aveva avuto “il sogno nelle mani”. Quello di un mondo senza padroni, burocrati, governi. \r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","23 Dicembre 2016","2018-10-17 22:58:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/12/il-surrealismo-oggi-una-piantagione-di-mariju-L-5gU_IR-200x110.jpeg","Anarres del 23 dicembre. Identità e differenze. Africa: immaginario (post) coloniale. 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