","Cartoline dalla Turchia: controllo omofobo, etnico e militare","post",1467034049,[60,61,62,63],"http://radioblackout.org/tag/accordi-turchia-israele/","http://radioblackout.org/tag/gay-pride-istanbul/","http://radioblackout.org/tag/immunita-militari/","http://radioblackout.org/tag/repressione-militarizzata/",[29,27,25,31],{"post_content":66,"tags":71},{"matched_tokens":67,"snippet":69,"value":70},[68],"militari","scorso per assicurare l'impunità dei \u003Cmark>militari\u003C/mark> che vengono inviati a massacrare","La Turchia è spesso agli onori della cronaca, in questi giorni per accordi internazionali (quello stuipulato con Israele, per tornare ad avere relazioni diplomatiche); per repressioni etniche in Bakur, di cui è corollario la legge approvata venerdì scorso per assicurare l'impunità dei \u003Cmark>militari\u003C/mark> che vengono inviati a massacrare nelle città kurde nella parte orientale del paese; per l'omo-transfobia montante che ha avuto il suo acme domenica 26 giugno con i lacrimogeni ad altezza d'uomo che hanno prodotto molti feriti, oltre alla ventina di fermati per aver voluto comunque iniziare un corteo del Pride a Istanbul...\r\n\r\nIl paese di Erdogan si contraddistingue sempre più per il carattere reazionario all'interno e inserito nella rete saudita di potenze sunnite, di cui Israele e l'Occidente hanno bisogno per gestire il dopo-Daech che con le liberazoini delle città irachene e siriane si fa sempre più impellente.\r\n\r\n \r\n\r\nAbbiamo parlato di tutti questi aspetti con Murat Cinar\r\n\r\n \r\n\r\ncartoline dalla Turchia",[72,74,76,80],{"matched_tokens":73,"snippet":29},[],{"matched_tokens":75,"snippet":27},[],{"matched_tokens":77,"snippet":79},[78,68],"immunità","\u003Cmark>immunità\u003C/mark> \u003Cmark>militari\u003C/mark>",{"matched_tokens":81,"snippet":82},[68],"repressione \u003Cmark>militari\u003C/mark>zzata",[84,91],{"field":34,"indices":85,"matched_tokens":87,"snippets":90},[38,86],3,[88,89],[78,68],[68],[79,82],{"field":92,"matched_tokens":93,"snippet":69,"value":70},"post_content",[68],1157451471441625000,{"best_field_score":96,"best_field_weight":97,"fields_matched":38,"num_tokens_dropped":46,"score":98,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":100,"highlight":120,"highlights":125,"text_match":128,"text_match_info":129},{"cat_link":101,"category":102,"comment_count":46,"id":103,"is_sticky":46,"permalink":104,"post_author":49,"post_content":105,"post_date":106,"post_excerpt":52,"post_id":103,"post_modified":107,"post_thumbnail":108,"post_thumbnail_html":109,"post_title":110,"post_type":57,"sort_by_date":111,"tag_links":112,"tags":119},[43],[45],"26742","http://radioblackout.org/2014/12/stupratori-in-divisa/","\"Il soldato americano accusato di due stupri, tenta il 3° evadendo dalla caserma di Vicenza\". Questa notizia è stata lo spunto per discutere con Chiara de \"il colpo della strega\" delle violenze compiute sulle donne dai soldati nei territori militarizzati e insieme – ampliando la prospettiva e allargando lo sguardo - sullo stupro come arma di guerra.\r\nLa notizia è di qualche giorno fa, ma la cronaca conta purtroppo molti altri episodi simili. Già nel 2006 un militare statunitense, accusato di stupro e condannato a sei anni di reclusione, è stato liberato e si è visto ridurre la pena per le attenuanti dovute allo stress psicologico prolungato dovuto al suo incarico di un anno in Iraq.\r\nLe motivazioni della sentenza riportano che il prolungato stress e la ridotta importanza data alla vita umana ed al benessere di coloro che lo circondano possono avere influenzato il reato.\r\nIn fondo è una confessione: chi fa la guerra diventa insensibile alla vita umana e alla dignità delle persone.\r\n\r\nIl pensiero va inevitabilmente al 12 febbraio 2012. Siamo a L'Aquila. In una discoteca, una giovane donna di 20 anni era stata stuprata e ridotta in fin di vita. Lasciata svenuta, sanguinante e seminuda in mezzo alla neve fuori dal locale, era stata salvata da un buttafuori della discoteca che stava facendo un giro prima della chiusura. Ha dovuto subire numerose operazioni di ricostruzione per le violenze sessuali subite e fu ad un pelo da morire. Ha dovuto allontanarsi da casa e dalla sua comunità per vivere in un luogo protetto per poi emigrare al nord. Accusato di questo stupro e tentato omicidio è Francesco Tuccia, un militare in servizio all'Aquila per l'operazione \"Aquila sicura\" partita dopo il terremoto.\r\nMele marce o prassi consolidata? E' evidente la consuetudine di queste violenze in particolare nei territori militarizzati, ma in generale nelle zone dove il pacchetto sicurezza ha imposto più pattugliamenti, controlli antiprostituzione e massiccia presenza di forza dell'ordine.\r\n\r\nNella maggior parte dei casi, lo stato si è autoassolto, ribadendo l'immunità e l'impunità delle istituzioni in divisa quando fanno violenza. Immunità ed impunità che fanno parte dell'insieme dei privilegi che i \"tutori dell'ordine\" hanno come contropartita dei loro servigi.\r\nL'esercizio della violenza di genere in situazioni di conflitto costituisce di fatto un continuum dei comportamenti discriminatori e violenti che avvengono in tempo di pace.\r\n\r\nLo stupro di donne è da sempre strumento specifico di terrore e lo è stato in particolare nei conflitti degli anni '90 in Europa. Spesso gli stupri di massa sono accompagnati da gravidanze forzate. Lo scopo è duplice: umiliare le donne e alterare il mantenimento della comunità in senso etnico.\r\n\r\nLo stupro è una pratica diffusa anche tra le forze armate nelle cosiddette missioni di pace: i casi più recenti – Congo, Bosnia, Sierra Leone, Rwanda e Kosovo – hanno sollevato per la prima volta l'attenzione a livello internazionale, dando la possibilità di cominciare a parlare anche delle violenze sessuali compiute dai peacekeepers.\r\nUn caso tra tutti, quello della Bosnia, dove il corpo femminile è stato - letteralmente - territorio di contesa. I militari (e non solo) violentavano il corpo delle donne dell'Altro per farne terreno di conquista, luogo di inseminazione etnica.\r\nLo stupro non è stata \"conseguenza\" della guerra ma arma che ha affiancato le operazioni di pulizia etnica. Una violenza inaudita che ha lasciato dietro di sé non solo paura e smarrimento, ma anche colpevolizzazione nelle donne stesse, spesso isolate e emarginate dalla loro stessa comunità, per essere state disonorate.\r\n\r\nA cavallo tra gli anni Settanta ed Ottanta ci fu in Guatemala un tentativo di genocidio della popolazione Maya. Meno noto è il gran numero di stupri contro le donne, parte integrante di quella guerra.\r\n\r\nNel nostro paese non si sono mai fatti i conti con il retaggio coloniale fascista e in particolare sulla propaganda di guerra che metteva al centro la donna/preda desiderosa di essere cacciata. La colonna sonora di quell'epoca è la canzone \"Faccetta nera...\". Dopo la guerra di conquista la propaganda muta di segno: messe in soffitta le cartoline con belle ragazze poco vestite, le donne africane sono rappresentate come sporche, stupide, bestiali. Da respingere, per non inquinare la razza.\r\n\r\nAscolta la diretta con Chiara:\r\n\r\n2014 12 10 chiara stupri guerra","10 Dicembre 2014","2014-12-15 14:52:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/016-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/016-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/016-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/016-768x511.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/016-1024x681.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/016.jpg 1600w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Stupratori in divisa",1418236054,[113,114,115,116,117,118],"http://radioblackout.org/tag/base-ederle/","http://radioblackout.org/tag/bosnia/","http://radioblackout.org/tag/le-donne-e-il-colonialismo-italiano/","http://radioblackout.org/tag/stupri-di-guerra/","http://radioblackout.org/tag/stupro-de-laquila/","http://radioblackout.org/tag/vicenza/",[19,15,33,21,23,17],{"post_content":121},{"matched_tokens":122,"snippet":123,"value":124},[68],"donne dai soldati nei territori \u003Cmark>militari\u003C/mark>zzati e insieme – ampliando la prospettiva","\"Il soldato americano accusato di due stupri, tenta il 3° evadendo dalla caserma di Vicenza\". 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Anche in streaming\r\n\r\nAscolta e diffondi il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/07/2021-07-16-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nLibia. Cambiare tutto, perché tutto resti come prima. \r\nLa scorsa settimana abbiamo posto l’accento sul quadro geopolitico in cui si inseriscono le missioni italiane all’estero, che il parlamento ha appena rifinanziato. In questa puntata abbiamo spostato il fcus sulla Libia.\r\nPer salvarsi la faccia, contestualmente al rifinanziamento delle missioni militari, era stato proposto un ordine del giorno che prevedeva la revisione in chiave “umanitaria” degli accordi sottoscritti nel 2017 con la Libia.\r\nÉ finita nel nulla. La mozione per lo stop alla guardia costiera libica è stata respinta a stragrande maggioranza dal Camera dei deputati.\r\nAlla fine, per non scontentare nessuno, il testo approvato prevede che nel 2022 vengano verificate “le condizioni per superare” la cooperazione con la Guardia costiera libica, trasferendola alla missione Ue Irini. Un nulla sul quale la destra e la sinistra di governo (e di opposizione) gridano vittoria.\r\nD’altra parte nella sua recente visita in Italia il presidente libico ha ricevuto garanzie di ampio sostegno da parte del governo italiano. Draghi da mesi sta facendo pressione sull’UE perché, oltre alla Turchia, paghi anche la Libia per bloccare i migranti nelle prigioni-lager della Tripolitania.\r\n\r\nG8. Cosa ci resta di quella stagione a vent’anni di distanza?\r\nLa scorsa settimana abbiamo ripercorso le tappe della rete “Anarchici contro il G8” con Federico, un compagno della ciurma, che costruì il vascello salpato per Genova. \r\nIn questa puntata abbiamo continuato a ragionare di quelle giornate, cercando di coglierne il senso nel lungo periodo, nell’onda lunga che segna il tempo che siamo forzati a vivere.\r\nIn quegli anni come anarchic* ci sentivamo parte di un movimento di contestazione globale che alludeva alla possibilità di rinascita di un’internazionale delle lotte, che mettesse in difficoltà non solo i governi ma la stessa governance transnazionale che proprio allora stava consolidando strumenti e trattati. Dal WTO agli accordi sulla proprietà intellettuale, che rendevano commerciabile e brevettabile anche il vivente, la globalizzazione all’alba del terzo millennio andava oltre le relazioni mercantiliste dell’era degli imperi coloniali e postcoloniali, investendo il cuore del nord, ricco e predatore.\r\nAllora parlavamo di globalizzazione dell’economia. Dopo vent’anni sappiamo che il processo che tentavamo di contrastare era la globalizzazione della povertà e dello sfruttamento. Una dinamica che si dispiega oggi in tutta la sua potenza.\r\nDepredare e distruggere, senza alcuna tensione al futuro, senza alcun senso del limite è il segno distintivo della logica del dominio e degli affari che si è imposta ovunque. La violenza che investi i No Global diventa interpretabile solo con la cartina di tornasole rappresentata da movimenti, che, proprio perché sviluppati su scala planetaria, facevano paura ai signori della terra.\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, un compagno attivo nella rete degli anarchici contro il G8\r\n\r\nStati Uniti. I fascisti attaccano con auto e suv le manifestazioni, la polizia li copre. Il caso di Deona Marie Erickson\r\nA Minneapolis, poco prima della mezzanotte del 13 giugno, mentre i manifestanti si radunavano a Lake Street e Girard Avenue per protestare contro l’omicidio di Winston Smith, ammazzato da un vicesceriffo, Nicholas Kraus, un suprematista bianco, si è avventato col suo SUV sulla folla ad alta velocità, uccidendo Deona Marie Erickson. Un militante antifascista nero che era a terra al momento dell’attacco riferisce che per tutti i presenti era evidente che si trattava di un attacco intenzionale: “Abbiamo sentito il suo motore da tre isolati di distanza”.\r\nL’assassinio di Deona non è un caso isolato. I neonazisti rivendicano e propagandano esplicitamente questa pratica, mentre in Oklahoma e in Florida sono state approvate leggi che garantiscono immunità civile e penale ai conducenti che investono intenzionalmente i manifestanti, garantendo nei fatti il diritto a spezzare con la violenza omicida blocchi e picchetti. La Florida ha anche introdotto sanzioni che vanno fino a 15 anni di reclusione per blocco stradale.\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni mercoledì dalle 17,30 (in agosto non ci siamo)\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nWild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org\r\n\r\nfb: @anarresinfo","24 Luglio 2021","2021-07-24 15:28:09","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/07/filo-spinato-200x110.jpg","Anarres del 16 luglio. Libia: lager e respingimenti. G8. Cosa ci resta di Genova? Stati Uniti: licenza di uccidere chi blocca la strada...","podcast",1627140334,[],[],{"post_content":187},{"matched_tokens":188,"snippet":189,"value":190},[68],"contestualmente al rifinanziamento delle missioni \u003Cmark>militari\u003C/mark>, era stato proposto un ordine","Il nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. 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La violenza che investi i No Global diventa interpretabile solo con la cartina di tornasole rappresentata da movimenti, che, proprio perché sviluppati su scala planetaria, facevano paura ai signori della terra.\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, un compagno attivo nella rete degli anarchici contro il G8\r\n\r\nStati Uniti. I fascisti attaccano con auto e suv le manifestazioni, la polizia li copre. Il caso di Deona Marie Erickson\r\nA Minneapolis, poco prima della mezzanotte del 13 giugno, mentre i manifestanti si radunavano a Lake Street e Girard Avenue per protestare contro l’omicidio di Winston Smith, ammazzato da un vicesceriffo, Nicholas Kraus, un suprematista bianco, si è avventato col suo SUV sulla folla ad alta velocità, uccidendo Deona Marie Erickson. 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Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org\r\n\r\nfb: @anarresinfo",[192],{"field":92,"matched_tokens":193,"snippet":189,"value":190},[68],{"best_field_score":130,"best_field_weight":131,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":132,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},{"document":196,"highlight":225,"highlights":230,"text_match":128,"text_match_info":233},{"comment_count":46,"id":197,"is_sticky":46,"permalink":198,"podcastfilter":199,"post_author":200,"post_content":201,"post_date":202,"post_excerpt":52,"post_id":197,"post_modified":203,"post_thumbnail":204,"post_title":205,"post_type":182,"sort_by_date":206,"tag_links":207,"tags":220},"23610","http://radioblackout.org/podcast/i-podcast-de-il-colpo-della-strega-9giugno2014/",[144],"dj","In occasione della due giorni organizzata in Valsusa da un gruppo di donne sul tema della violenza di stato i redattori e le redattrici di Radio Blackout hanno deciso di contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, in tutte le sue sfaccettature. Dalle violenze in Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, in Italia come altrove, dagli abusi in divisa agiti contro le donne alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. Un’occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di “contenimento”, marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nAnche noi abbiamo partecipato al percorso radiofonico con un approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l’arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l’esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l’esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Abbiamo raccontato tante storie di donne, analizzato le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraversato il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati, da Vicenza a L'Aquila, passando per la Valsusa, non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nLa violenza sessuale durante guerre e conflitti non è una novità. Dai tempi dell'antica Grecia ad oggi, le donne sono state vittime: imprigionate, torturate, violentate, usate come schiave. Per lungo tempo la violenza sessuale sulle donne è stata vista e anche tollerata come uno degli inevitabili mali della guerra. In Bosnia, però, durante la guerra, i nazionalisti serbi hanno perfezionato questa pratica, trasformando lo stupro in una precisa strategia, pianificata e coordinata. Per la prima volta nella storia della guerra, in Bosnia Erzegovina gli stupri sono diventati parte di una strategia militare. In Bosnia, il corpo femminile è stato letteralmente, territorio di contesa. In quel contesto si è trattato di devastazione premeditata e ‘scientificamente’ fondata. Lo stupro, in Bosnia come in Ruanda, in Somalia, in Algeria e in ogni guerra moderna, non è stata ‘conseguenza’ della guerra ma arma che ha affiancato le operazioni di pulizia etnica. E a ribadire quanto la violenza contro le donne non sia fatto eccezionale ed episodico, la teoria e l’esperienza femministe ci insegnano che la violenza commessa contro le donne in tempo di guerra replica e perpetua la violenza contro le donne in tempo di pace.\r\n\r\nPer la rassegna stampa invece, abbiamo raccolto alcuni casi, pochi rispetto ai numerosissimi fatti riportati dalle cronache....abbiamo scelto quelli che ci sembrano più emblematici per le dinamiche che mettono in campo. Si tratta sempre di violenze e abusi agiti da uomini in divisa. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, soldati, militari...ma anche vigili urbani e perchè no preti e sacerdoti.\r\n\r\nAbbiamo inoltre ricordato che per lo striscione “Nei centri di espulsione la polizia stupra” a Milano, il 25 novembre del 2009, le compagne vennero pesantemente caricate e prese a mazzate: quella verità non doveva emergere, non doveva essere esplicitata. Quando si esplicitano queste violenze, le si nomina, le divise si innervosiscono in maniera particolare, Anche quando siamo andate all'udienza per Marta, la compagna pisana molestata durante un fermo di polizia in valsusa, eravamo fuori dal tribunale di Torino in presidio, abbiamo cercato di appendere uno striscione dai toni molto simili, la celere ci ha bloccate, caricate ferendo alcune di noi e in una decina siamo state pure denunciate.\r\n\r\nInsomma, tutte le volte che come compagne abbiamo alzato la voce sulle violenze in divisa agite sulle donne, dall'altra parte c'è sempre stata una reazione forte e chiara, questo forse ci indica e significa che in quei momenti eravamo sulla giusta strada. La strada della reazione, dell'autodeterminazione. Trasformiamo la paura in rabbia, la rabbia in forza, la forza in lotta, recita uno slogan che ci ha accompagnato in tante manifestazioni femministe e di donne degli ultimi anni. Probabilmente il nodo è tutto lì.\r\n\r\nNon avere paura di reagire, non sentirsi colpevoli. Scardinare i luoghi comuni che vogliono le donne deboli, vittime, sempre e comunque pacifiche e nonviolente. Mettere in campo la nostra forza per contrastare la paura in cui e con cui ci vorrebbero rinchiudere. Imparare ad difenderci, ad autodifenderci in maniera collettiva e autonoma. Imparare a reagire e ad autodeterminarci. E soprattutto non pensare di poter delegare a questi personaggi la nostra sicurezza e la tutela dei nostri corpi. Potrebbe essere la strada giusta contro la violenza maschile, una volta in più se questa indossa una divisa, rappresenta e viene legittimata dalle istituzioni statali.\r\n\r\nPer la rubrica MALERBE, con Silvia, la nostra esperta, abbiamo parlato di arnica: come e quando raccoglierla, come trasformarla e quando utilizzarla.\r\n\r\nQui la prima parte della trasmissione:\r\n\r\nil colpo della strega_9giugno2014_primaparte\r\n\r\ne qui potete riascoltare la seconda:\r\n\r\nil colpo della strega_9giugno2014_secondaparte\r\n\r\n ","10 Giugno 2014","2018-10-24 17:36:12","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/03/medea-strega-200x110.jpg","I podcast de Il colpo della strega (9giugno2014)",1402360560,[208,209,210,211,212,213,214,215,216,217,218,219],"http://radioblackout.org/tag/abusi-in-divisa/","http://radioblackout.org/tag/acab/","http://radioblackout.org/tag/autodeterminazione/","http://radioblackout.org/tag/autodifesa/","http://radioblackout.org/tag/cie/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/sicurezza/","http://radioblackout.org/tag/stupro/","http://radioblackout.org/tag/valsusa/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-genere/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/violenza-maschile-sulle-donne/",[166,156,221,164,222,223,224,160,162,152,150,154],"autodeterminazione","cie","guerra","sicurezza",{"post_content":226},{"matched_tokens":227,"snippet":228,"value":229},[68,68],"Cie. 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Un’occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di “contenimento”, marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nAnche noi abbiamo partecipato al percorso radiofonico con un approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l’arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l’esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l’esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Abbiamo raccontato tante storie di donne, analizzato le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraversato il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei \u003Cmark>militari\u003C/mark> nei territori \u003Cmark>militari\u003C/mark>zzati, da Vicenza a L'Aquila, passando per la Valsusa, non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, \u003Cmark>immunità\u003C/mark> ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nLa violenza sessuale durante guerre e conflitti non è una novità. Dai tempi dell'antica Grecia ad oggi, le donne sono state vittime: imprigionate, torturate, violentate, usate come schiave. Per lungo tempo la violenza sessuale sulle donne è stata vista e anche tollerata come uno degli inevitabili mali della guerra. In Bosnia, però, durante la guerra, i nazionalisti serbi hanno perfezionato questa pratica, trasformando lo stupro in una precisa strategia, pianificata e coordinata. Per la prima volta nella storia della guerra, in Bosnia Erzegovina gli stupri sono diventati parte di una strategia militare. In Bosnia, il corpo femminile è stato letteralmente, territorio di contesa. In quel contesto si è trattato di devastazione premeditata e ‘scientificamente’ fondata. Lo stupro, in Bosnia come in Ruanda, in Somalia, in Algeria e in ogni guerra moderna, non è stata ‘conseguenza’ della guerra ma arma che ha affiancato le operazioni di pulizia etnica. E a ribadire quanto la violenza contro le donne non sia fatto eccezionale ed episodico, la teoria e l’esperienza femministe ci insegnano che la violenza commessa contro le donne in tempo di guerra replica e perpetua la violenza contro le donne in tempo di pace.\r\n\r\nPer la rassegna stampa invece, abbiamo raccolto alcuni casi, pochi rispetto ai numerosissimi fatti riportati dalle cronache....abbiamo scelto quelli che ci sembrano più emblematici per le dinamiche che mettono in campo. Si tratta sempre di violenze e abusi agiti da uomini in divisa. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, soldati, \u003Cmark>militari\u003C/mark>...ma anche vigili urbani e perchè no preti e sacerdoti.\r\n\r\nAbbiamo inoltre ricordato che per lo striscione “Nei centri di espulsione la polizia stupra” a Milano, il 25 novembre del 2009, le compagne vennero pesantemente caricate e prese a mazzate: quella verità non doveva emergere, non doveva essere esplicitata. Quando si esplicitano queste violenze, le si nomina, le divise si innervosiscono in maniera particolare, Anche quando siamo andate all'udienza per Marta, la compagna pisana molestata durante un fermo di polizia in valsusa, eravamo fuori dal tribunale di Torino in presidio, abbiamo cercato di appendere uno striscione dai toni molto simili, la celere ci ha bloccate, caricate ferendo alcune di noi e in una decina siamo state pure denunciate.\r\n\r\nInsomma, tutte le volte che come compagne abbiamo alzato la voce sulle violenze in divisa agite sulle donne, dall'altra parte c'è sempre stata una reazione forte e chiara, questo forse ci indica e significa che in quei momenti eravamo sulla giusta strada. La strada della reazione, dell'autodeterminazione. Trasformiamo la paura in rabbia, la rabbia in forza, la forza in lotta, recita uno slogan che ci ha accompagnato in tante manifestazioni femministe e di donne degli ultimi anni. Probabilmente il nodo è tutto lì.\r\n\r\nNon avere paura di reagire, non sentirsi colpevoli. Scardinare i luoghi comuni che vogliono le donne deboli, vittime, sempre e comunque pacifiche e nonviolente. Mettere in campo la nostra forza per contrastare la paura in cui e con cui ci vorrebbero rinchiudere. Imparare ad difenderci, ad autodifenderci in maniera collettiva e autonoma. Imparare a reagire e ad autodeterminarci. E soprattutto non pensare di poter delegare a questi personaggi la nostra sicurezza e la tutela dei nostri corpi. Potrebbe essere la strada giusta contro la violenza maschile, una volta in più se questa indossa una divisa, rappresenta e viene legittimata dalle istituzioni statali.\r\n\r\nPer la rubrica MALERBE, con Silvia, la nostra esperta, abbiamo parlato di arnica: come e quando raccoglierla, come trasformarla e quando utilizzarla.\r\n\r\nQui la prima parte della trasmissione:\r\n\r\nil colpo della strega_9giugno2014_primaparte\r\n\r\ne qui potete riascoltare la seconda:\r\n\r\nil colpo della strega_9giugno2014_secondaparte\r\n\r\n ",[231],{"field":92,"matched_tokens":232,"snippet":228,"value":229},[68,68],{"best_field_score":130,"best_field_weight":131,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":132,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},{"document":235,"highlight":265,"highlights":270,"text_match":128,"text_match_info":273},{"comment_count":46,"id":236,"is_sticky":46,"permalink":237,"podcastfilter":238,"post_author":200,"post_content":239,"post_date":240,"post_excerpt":52,"post_id":236,"post_modified":241,"post_thumbnail":242,"post_title":243,"post_type":182,"sort_by_date":244,"tag_links":245,"tags":256},"23456","http://radioblackout.org/podcast/percorso-radiofonico-contro-la-violenza-di-stato/",[142],"In occasione della due giorni organizzata in Valsusa da un gruppo di donne sul tema della violenza di stato - a questo link trovate tutte le informazioni sul programma e l'organizzazione - i redattori e le redattrici di Radio Blackout hanno deciso di contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, in tutte le sue sfaccettature.\r\n\r\nDalle violenze in Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, in Italia come altrove, dagli abusi in divisa agiti contro le donne alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. 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Era il 2004 quando a Firenze una donna di origine marocchine veniva sfrattata dal suo appartamento. Un solerte ufficiale giudiziario, ammaestrato ad anteporre la passione per la proprietà ad ogni altro sentimento, richiedeva un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei confronti di una donna incinta, comprensibilmente arrabbiata, ridotta a corpo da sedare e rimuovere. Arriva un’ambulanza e, nonostante la donna mostri un certificato medico che le prescrive riposo per il rischio di\r\naborto, viene bloccata in un angolo da cinque uomini, gettata sul letto e, una volta immobilizzata, le vengono praticate due iniezioni. Quell'intervento a base di coercizione e antipsicotici procurò danni cerebrali irreversibili alla figlia che Malika portava in grembo. A distanza di 9 anni, nonostante la connivenza tra i diversi ingranaggi istituzionali e giuridici impegnati a tutelarsi vicendevolmente e a silenziarla, tra cartelle cliniche contraffatte e querele per calunnia, Malika non si arrende e continua a lottare.\r\n\r\nprima parte: la storia di malika_primaparte\r\n\r\nseconda parte: la storia di malika_secondparte\r\n\r\nVENERDì 6 GIUGNO: 19.59 (h13-15)\r\n\r\nPuntata dedicata agli omicidi di Giorgiana Masi e di Walter Rossi, con un approfondimento sulla Legge Reale.\r\n\r\ngiorgiana e walter\r\n\r\nlegge reale\r\n\r\nDOMENICA 8 GIUGNO: INTERFERENZE (h16-17)\r\n\r\nPartiremo dal caso di Marta di quest'estate in Valle per ragionare sulla rappresentazione mediatica che viene data della violenza (in particolare di quella sulle donne), allargando poi lo sguardo a una serie di esperienza di lotta che rifuggano dalle invocazioni securitarie provando invece a costruire un discorso diverso (ad esempio le slut walk e le passeggiate contro la violenza che stanno organizzando in questi mesi le cagne sciolte a roma). Una delle voci di donne che abbiamo intervistato come contributo alla riflessione è Simona De Simoni, con cui abbiamo parlato del cosiddetto decreto 93 formulato e poi approvato nell'agosto 2013. Il decreto, tristemente famoso come “decreto femminicidio”, è un caso paradigmatico di pinkwashing ovvero dell'utilizzo di tematiche di genere con finalità politiche strumentali. In questo caso specifico si utilizza la presunta retorica di difesa delle donne con finalità politiche strumentali volte alla criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare del movimento NO TAV. Durante l'intervista si problematizza, inoltre, il ruolo quantomai problematico e ambiguo di uno Stato che vorrebbe professarsi come garante della sicurezza delle donne. Si replica DOMENICA 15 GIUGNO - stessa ora.\r\n\r\naudio intereferenze \r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa morte di Alberico di Noia. Il 14 gennaio 2014, Alberico Di Noia 38 anni, è stato trovato impiccato nel carcere di Lucera (Foggia). Alberico attendeva il trasferimento in un altra struttura e si trovava in cella di isolamento (definita di osservazione) per una lite verbale con una guardia che gli aveva impedito di donare una caramella al figlio, venuto con la moglie l colloquio. Quando il corpo è stato trovato senza vita era vestito e pronto per la partenza che sarebbe dovuta avvenire in poche ore. Anche in questo caso, come in molti analoghi, i familiari si sono scontrati con la resistenza della direzione carceraria nel mostrare il corpo: inizialmente il decesso era stato addirittura etichettato come \"arresto cardiaco\", per evitare l'apertura d'ufficio di un'inchiesta per \"suicidio\". I parenti sono stati avvertiti solo 24 ore dopo la morte di Alberico e un compagno di cella lo descrive come una persona per niente depressa, mentre racconta dei pestaggi subiti per aver dato del \"pezzo di merda\" a una guardia. Di questa storia di carcere assassino parleremo con l'avvocato che sta affiancando la famiglia Di Noia nella loro lotta affinché lo Stato ammetta le proprie responsabilità.\r\n\r\nprima parte: dinoia_primaparte\r\n\r\nseconda parte: dinoia_secondaparte\r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: IL COLPO DELLA STREGA (h18.30-20)\r\n\r\nUn'approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l'arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l'esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l'esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Racconteremo tante storie di donne, analizzeremo le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraverseremo il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del buon poliziotto che ci propinano le fiction tv. Non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nprima parte: il colpo della strega_primaparte\r\n\r\nseconda parte: il colpo della strega_secondaparte\r\n\r\nMARTEDì 10 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nCaso Uva. Per il procuratore Isnardi non è omicidio. Chi riponeva speranze nella decisione del Procuratore di Varese di avocare a sé il procedimento sulla morte di Giuseppe Uva rimarrà probabilmente molto deluso. La Procura di Varese ha infatti chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati dei carabinieri e dei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva, l’artigiano di 43 anni morto nel giugno 2008. Grande sorpresa da parte del legale dei familiari della vittima. “E’ una cosa inaspettata. Non se lo aspettavano – ha ribadito l’avvocato – neanche gli imputati”. Uva morì nel giugno di sei anni fa, dopo essere stato portato in caserma dai carabinieri. La sorella di lui, Lucia, che è stata presente a tutte le udienze del processo, è apparsa visibilmente scossa dalla decisione e non ha voluto rilasciare dichiarazioni.\r\n\r\nSull’argomento abbiamo sentito l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva\r\n\r\navvocato_Uva\r\n\r\nGIOVEDì 12 GIUGNO: RADIO BORROKA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa violenza di Stato, nei Paesi Baschi, significa la violenza di uno stato autoritario e oppressore, che da secoli ha cercato di assimilare, rendere docile e ubbidiente un popolo, quello basco, che da sempre rivendica il proprio diritto all'autodeterminazione. La violenza di Stato, quello spagnolo in particolar modo, sempre con la complicità di quello francese, altro stato che rinchiude nelle proprie frontiere il popolo e la cultura basca, e il benestare degli altri stati europei e capitalisti, si è perpetrata negli anni nelle forme tanto classiche quanto brutali degli stati occupanti. \r\n\r\n\r\nFra queste, sicuramente, la più odiosa e vigliacca, è sicuramente la tortura, con il quale tante e tanti baschi hanno dovuto sopportare nei penitenziari e nelle celle di sicurezza della guardia civil. Nella nostra trasmissione, che da qualche anno ormai sulle libere frequenze di Radio BlackOut da voce alla lotta dei popoli in lotta per l'autodeterminazione e il diritto a vivere una terra che sia libera dall'oppressione e del profitto, all'interno del percorso radiofonico contro le violenze di Stato, vi racconteremo le storie di alcune giovani donne militante della sinistra indipendentista basca, che la violenza di stato e la violenza machista l'hanno toccata con mano, e che con forza e dignità denunciano e combattono, giorno dopo giorno, per le strade della loro Euskal Herria.\r\n\r\nVENERDì 13 GIUGNO: ANARRES (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa normalità del male. Qualche volta, grazie alla tenacia di una madre, di un padre, di una sorella, di amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti di Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la violenza incisa sui corpi di persone vive e sane prime di cadere nelle mani di poliziotti, carabinieri, psichiatri, militari.\r\nI corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre di nubi che copre la violenza degli uomini e delle donne in divisa, in camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.\r\nMa restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto di quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.\r\nI corpi straziati di Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza di una normalità che ammette rare eccezioni.\r\nLa normalità quotidiana della violenza di Stato, della violenza degli uomini e donne dello Stato sulle strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 06 13 robertino violenza di stato\r\n\r\n\r\nMARTEDì 17 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nLa violenza dell'esilio. Il fenomeno, come fenomeno collettivo ovviamente, comincia nell’80, quando sbarcano in Francia i reduci di Prima Linea in tremenda rotta davanti ai numerosi arresti, ma la loro sorte non è delle più favorevoli. Quelli che vengono presi sono estradati rapidamente. Gli altri intanto, che continuano ad aumentare in modo esponenziale, cercano allora altri paesi, perlopiù America latina, qualche paese africano, Brasile. Alcuni si muovono secondo le aree di appartenenza, è il caso dei compagni di Rosso, altri individualmente o per piccoli gruppi.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nA seguito della elezione di François Mitterrand abbiamo un'impennata di fughe verso la Francia di vaste aree di movimento italiane, in sostanza compagni che rischiano condanne non enormi, e che procedono a mettersi in regola per quanto possibile. Teniamo in conto che allora la maggior parte era ancora in possesso di documenti validi. Quelli con accuse più gravi, non molti in realtà, poiché la loro presenza non era particolarmente vista di buon occhio, vivono più isolati, cercando di evitare l’arresto.\r\n\r\nDiciamo che il fenomeno ha interessato nel momento più alto circa un migliaio di individui, fra quelli con un mandato di cattura sulla testa e altri allora solo indagati. Una cifra importante, in un computo complessivo che in quegli anni, per reati politici, toccò 60.000 indagati in Italia, dovuti molto prima che alle capacità investigative poliziesche a una pratica che si allarga a macchia d’olio, quella della delazione. Pratica che non solo fornisce agli inquirenti nomi e identità ma anche luoghi, case, reti di appoggio.\r\n\r\nIntanto in Francia la cosiddetta dottrina Mitterrand viene invocata a protezione dei fuoriusciti italiani, ma contestualmente si opera una selezione sulle persone da mettere in regola, molti ottengono i permessi di soggiorno, ma è tutto aleatorio, instabile. Si favorisce magari chi ha assunto in Francia una posizione più o meno dissociativa, oppure chi ha condanne non gravi… di fatto si formano le cosiddette liste, appoggiate in prefettura da un gruppo di avvocati di movimento. Intanto il mare si restringe sempre più intorno agli altri che rimangono irregolari sino praticamente al 2000, quando il primo ministro Jospin si dichiara favorevole alla loro regolarizzazione.\r\n\r\nTradotto vuol dire che dall’81, al 2000, in centinaia hanno vissuto lavorando in nero, in condizioni di difficile sopravvivenza, senza alcuna certezza, sparendo dalla circolazione ogni volta che per una ragione o per un'altra, da un versante o dall'altro delle Alpi, qualcuno auspicasse la consegna degli irregolari all'Italia\r\n\r\nIl tempo passa, cominciano a fioccare, dall'Italia, le prescrizioni che riducono di molto il numero iniziale degli irregolari, per arrivare ai giorni nostri, quando meno di una decina di persone ha ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da anni; si tratta dei casi con le pene più gravi, in effetti quasi tutti condannati all’ergastolo, quindi suscettibili di essere oggetto di estradizioni nel caso di mutamenti politici.\r\n\r\nIn questo piccolo gruppo viene ad inserirsi il caso di Enrico Villimburgo, che oltre ad essere condannato all’ergastolo per appartenenza alle BR romane, si trova a dover combattere da solo una battaglia non più legale, ma una lotta contro una malattia devastante.Questi fuoriusciti sono partiti insieme, ma sono tornati in molti singolarmente. Alcuni non avranno più alcuna possibilità di tornare. Per fortuna, Enrico è ancora qui, e una solidarietà manifesta nei suoi confronti, lo aiuta più della chemio.\r\n\r\nCon Gianni, compagno che è stato per molti anni esule in Francia, affrontiamo il nodo politico e umano dell’esilio, la questione del pentitismo che di fatto creò il fenomeno, e la storia drammatica di un compagno, Enrico Vilimburgo, la cui salute è stata devastata da una vita braccata con un ergastolo sulla testa.\r\n\r\n Per sostenere Enrico: IBAN IT04P0503437750000000000577 intestato a Manuela Villimburgo. \r\n\r\nSpecificare nella causale: “per Enrico”\r\nc/o BANCO POPOLARE – FILIALE DI BORGO SAN LORENZO (FI) - VIA L. DA VINCI, 42\r\nGianni","3 Giugno 2014","2018-10-24 17:46:18","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/06/still_not_loving_police_1-200x110.jpg","Percorso radiofonico contro la violenza di stato",1401796980,[246,247,248,249,250,251,252,253,254,217,218,219,255],"http://radioblackout.org/tag/antipsichiatria/","http://radioblackout.org/tag/bello-come-una-prigione-che-brucia/","http://radioblackout.org/tag/carcere/","http://radioblackout.org/tag/controllo/","http://radioblackout.org/tag/ergastolo/","http://radioblackout.org/tag/esuli/","http://radioblackout.org/tag/omicidi-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/repressione/","http://radioblackout.org/tag/tso/","http://radioblackout.org/tag/violenza-sulle-donne/",[257,258,259,260,261,158,262,263,264,152,150,154,168],"antipsichiatria","bello come una prigione che brucia","carcere","controllo","ergastolo","omicidi di stato","repressione","TSO",{"post_content":266},{"matched_tokens":267,"snippet":268,"value":269},[68,68],"Cie. Dalle violenze sessuali dei \u003Cmark>militari\u003C/mark> nei territori \u003Cmark>militari\u003C/mark>zzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del","In occasione della due giorni organizzata in Valsusa da un gruppo di donne sul tema della violenza di stato - a questo link trovate tutte le informazioni sul programma e l'organizzazione - i redattori e le redattrici di Radio Blackout hanno deciso di contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, in tutte le sue sfaccettature.\r\n\r\nDalle violenze in Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, in Italia come altrove, dagli abusi in divisa agiti contro le donne alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. Un'occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di \"contenimento\", marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nQui di seguito gli appuntamenti all'interno del palinsesto di Blackout di questo percorso radiofonico, a cui strada facendo aggiungeremo i podcast realizzati dalle varie trasmissioni. Buon ascolto!\r\n\r\nVENERDì 30 MAGGIO: presentazione della due giorni valsusina a cura della Redazione. Ai microfoni Pat, attivista NoTav\r\n\r\npat_valle_3005014\r\n\r\nLUNEDì 2 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa storia di Malika. Era il 2004 quando a Firenze una donna di origine marocchine veniva sfrattata dal suo appartamento. Un solerte ufficiale giudiziario, ammaestrato ad anteporre la passione per la proprietà ad ogni altro sentimento, richiedeva un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei confronti di una donna incinta, comprensibilmente arrabbiata, ridotta a corpo da sedare e rimuovere. Arriva un’ambulanza e, nonostante la donna mostri un certificato medico che le prescrive riposo per il rischio di\r\naborto, viene bloccata in un angolo da cinque uomini, gettata sul letto e, una volta immobilizzata, le vengono praticate due iniezioni. Quell'intervento a base di coercizione e antipsicotici procurò danni cerebrali irreversibili alla figlia che Malika portava in grembo. A distanza di 9 anni, nonostante la connivenza tra i diversi ingranaggi istituzionali e giuridici impegnati a tutelarsi vicendevolmente e a silenziarla, tra cartelle cliniche contraffatte e querele per calunnia, Malika non si arrende e continua a lottare.\r\n\r\nprima parte: la storia di malika_primaparte\r\n\r\nseconda parte: la storia di malika_secondparte\r\n\r\nVENERDì 6 GIUGNO: 19.59 (h13-15)\r\n\r\nPuntata dedicata agli omicidi di Giorgiana Masi e di Walter Rossi, con un approfondimento sulla Legge Reale.\r\n\r\ngiorgiana e walter\r\n\r\nlegge reale\r\n\r\nDOMENICA 8 GIUGNO: INTERFERENZE (h16-17)\r\n\r\nPartiremo dal caso di Marta di quest'estate in Valle per ragionare sulla rappresentazione mediatica che viene data della violenza (in particolare di quella sulle donne), allargando poi lo sguardo a una serie di esperienza di lotta che rifuggano dalle invocazioni securitarie provando invece a costruire un discorso diverso (ad esempio le slut walk e le passeggiate contro la violenza che stanno organizzando in questi mesi le cagne sciolte a roma). Una delle voci di donne che abbiamo intervistato come contributo alla riflessione è Simona De Simoni, con cui abbiamo parlato del cosiddetto decreto 93 formulato e poi approvato nell'agosto 2013. Il decreto, tristemente famoso come “decreto femminicidio”, è un caso paradigmatico di pinkwashing ovvero dell'utilizzo di tematiche di genere con finalità politiche strumentali. In questo caso specifico si utilizza la presunta retorica di difesa delle donne con finalità politiche strumentali volte alla criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare del movimento NO TAV. Durante l'intervista si problematizza, inoltre, il ruolo quantomai problematico e ambiguo di uno Stato che vorrebbe professarsi come garante della sicurezza delle donne. Si replica DOMENICA 15 GIUGNO - stessa ora.\r\n\r\naudio intereferenze \r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa morte di Alberico di Noia. Il 14 gennaio 2014, Alberico Di Noia 38 anni, è stato trovato impiccato nel carcere di Lucera (Foggia). Alberico attendeva il trasferimento in un altra struttura e si trovava in cella di isolamento (definita di osservazione) per una lite verbale con una guardia che gli aveva impedito di donare una caramella al figlio, venuto con la moglie l colloquio. Quando il corpo è stato trovato senza vita era vestito e pronto per la partenza che sarebbe dovuta avvenire in poche ore. Anche in questo caso, come in molti analoghi, i familiari si sono scontrati con la resistenza della direzione carceraria nel mostrare il corpo: inizialmente il decesso era stato addirittura etichettato come \"arresto cardiaco\", per evitare l'apertura d'ufficio di un'inchiesta per \"suicidio\". I parenti sono stati avvertiti solo 24 ore dopo la morte di Alberico e un compagno di cella lo descrive come una persona per niente depressa, mentre racconta dei pestaggi subiti per aver dato del \"pezzo di merda\" a una guardia. Di questa storia di carcere assassino parleremo con l'avvocato che sta affiancando la famiglia Di Noia nella loro lotta affinché lo Stato ammetta le proprie responsabilità.\r\n\r\nprima parte: dinoia_primaparte\r\n\r\nseconda parte: dinoia_secondaparte\r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: IL COLPO DELLA STREGA (h18.30-20)\r\n\r\nUn'approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l'arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l'esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l'esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Racconteremo tante storie di donne, analizzeremo le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraverseremo il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei \u003Cmark>militari\u003C/mark> nei territori \u003Cmark>militari\u003C/mark>zzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del buon poliziotto che ci propinano le fiction tv. Non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, \u003Cmark>immunità\u003C/mark> ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nprima parte: il colpo della strega_primaparte\r\n\r\nseconda parte: il colpo della strega_secondaparte\r\n\r\nMARTEDì 10 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nCaso Uva. Per il procuratore Isnardi non è omicidio. Chi riponeva speranze nella decisione del Procuratore di Varese di avocare a sé il procedimento sulla morte di Giuseppe Uva rimarrà probabilmente molto deluso. La Procura di Varese ha infatti chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati dei carabinieri e dei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva, l’artigiano di 43 anni morto nel giugno 2008. Grande sorpresa da parte del legale dei familiari della vittima. “E’ una cosa inaspettata. Non se lo aspettavano – ha ribadito l’avvocato – neanche gli imputati”. Uva morì nel giugno di sei anni fa, dopo essere stato portato in caserma dai carabinieri. La sorella di lui, Lucia, che è stata presente a tutte le udienze del processo, è apparsa visibilmente scossa dalla decisione e non ha voluto rilasciare dichiarazioni.\r\n\r\nSull’argomento abbiamo sentito l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva\r\n\r\navvocato_Uva\r\n\r\nGIOVEDì 12 GIUGNO: RADIO BORROKA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa violenza di Stato, nei Paesi Baschi, significa la violenza di uno stato autoritario e oppressore, che da secoli ha cercato di assimilare, rendere docile e ubbidiente un popolo, quello basco, che da sempre rivendica il proprio diritto all'autodeterminazione. La violenza di Stato, quello spagnolo in particolar modo, sempre con la complicità di quello francese, altro stato che rinchiude nelle proprie frontiere il popolo e la cultura basca, e il benestare degli altri stati europei e capitalisti, si è perpetrata negli anni nelle forme tanto classiche quanto brutali degli stati occupanti. \r\n\r\n\r\nFra queste, sicuramente, la più odiosa e vigliacca, è sicuramente la tortura, con il quale tante e tanti baschi hanno dovuto sopportare nei penitenziari e nelle celle di sicurezza della guardia civil. Nella nostra trasmissione, che da qualche anno ormai sulle libere frequenze di Radio BlackOut da voce alla lotta dei popoli in lotta per l'autodeterminazione e il diritto a vivere una terra che sia libera dall'oppressione e del profitto, all'interno del percorso radiofonico contro le violenze di Stato, vi racconteremo le storie di alcune giovani donne militante della sinistra indipendentista basca, che la violenza di stato e la violenza machista l'hanno toccata con mano, e che con forza e dignità denunciano e combattono, giorno dopo giorno, per le strade della loro Euskal Herria.\r\n\r\nVENERDì 13 GIUGNO: ANARRES (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa normalità del male. Qualche volta, grazie alla tenacia di una madre, di un padre, di una sorella, di amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti di Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la violenza incisa sui corpi di persone vive e sane prime di cadere nelle mani di poliziotti, carabinieri, psichiatri, \u003Cmark>militari\u003C/mark>.\r\nI corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre di nubi che copre la violenza degli uomini e delle donne in divisa, in camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.\r\nMa restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto di quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.\r\nI corpi straziati di Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza di una normalità che ammette rare eccezioni.\r\nLa normalità quotidiana della violenza di Stato, della violenza degli uomini e donne dello Stato sulle strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 06 13 robertino violenza di stato\r\n\r\n\r\nMARTEDì 17 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nLa violenza dell'esilio. Il fenomeno, come fenomeno collettivo ovviamente, comincia nell’80, quando sbarcano in Francia i reduci di Prima Linea in tremenda rotta davanti ai numerosi arresti, ma la loro sorte non è delle più favorevoli. Quelli che vengono presi sono estradati rapidamente. Gli altri intanto, che continuano ad aumentare in modo esponenziale, cercano allora altri paesi, perlopiù America latina, qualche paese africano, Brasile. Alcuni si muovono secondo le aree di appartenenza, è il caso dei compagni di Rosso, altri individualmente o per piccoli gruppi.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nA seguito della elezione di François Mitterrand abbiamo un'impennata di fughe verso la Francia di vaste aree di movimento italiane, in sostanza compagni che rischiano condanne non enormi, e che procedono a mettersi in regola per quanto possibile. Teniamo in conto che allora la maggior parte era ancora in possesso di documenti validi. Quelli con accuse più gravi, non molti in realtà, poiché la loro presenza non era particolarmente vista di buon occhio, vivono più isolati, cercando di evitare l’arresto.\r\n\r\nDiciamo che il fenomeno ha interessato nel momento più alto circa un migliaio di individui, fra quelli con un mandato di cattura sulla testa e altri allora solo indagati. Una cifra importante, in un computo complessivo che in quegli anni, per reati politici, toccò 60.000 indagati in Italia, dovuti molto prima che alle capacità investigative poliziesche a una pratica che si allarga a macchia d’olio, quella della delazione. Pratica che non solo fornisce agli inquirenti nomi e identità ma anche luoghi, case, reti di appoggio.\r\n\r\nIntanto in Francia la cosiddetta dottrina Mitterrand viene invocata a protezione dei fuoriusciti italiani, ma contestualmente si opera una selezione sulle persone da mettere in regola, molti ottengono i permessi di soggiorno, ma è tutto aleatorio, instabile. Si favorisce magari chi ha assunto in Francia una posizione più o meno dissociativa, oppure chi ha condanne non gravi… di fatto si formano le cosiddette liste, appoggiate in prefettura da un gruppo di avvocati di movimento. Intanto il mare si restringe sempre più intorno agli altri che rimangono irregolari sino praticamente al 2000, quando il primo ministro Jospin si dichiara favorevole alla loro regolarizzazione.\r\n\r\nTradotto vuol dire che dall’81, al 2000, in centinaia hanno vissuto lavorando in nero, in condizioni di difficile sopravvivenza, senza alcuna certezza, sparendo dalla circolazione ogni volta che per una ragione o per un'altra, da un versante o dall'altro delle Alpi, qualcuno auspicasse la consegna degli irregolari all'Italia\r\n\r\nIl tempo passa, cominciano a fioccare, dall'Italia, le prescrizioni che riducono di molto il numero iniziale degli irregolari, per arrivare ai giorni nostri, quando meno di una decina di persone ha ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da anni; si tratta dei casi con le pene più gravi, in effetti quasi tutti condannati all’ergastolo, quindi suscettibili di essere oggetto di estradizioni nel caso di mutamenti politici.\r\n\r\nIn questo piccolo gruppo viene ad inserirsi il caso di Enrico Villimburgo, che oltre ad essere condannato all’ergastolo per appartenenza alle BR romane, si trova a dover combattere da solo una battaglia non più legale, ma una lotta contro una malattia devastante.Questi fuoriusciti sono partiti insieme, ma sono tornati in molti singolarmente. 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