","Fca/Renault: fusione in testa coda","post",1559988554,[60,61,62,63,64,65],"http://radioblackout.org/tag/automotive/","http://radioblackout.org/tag/fca-renault/","http://radioblackout.org/tag/fusioni/","http://radioblackout.org/tag/industria-e-geopolitica/","http://radioblackout.org/tag/mercati/","http://radioblackout.org/tag/tecnologie/",[25,29,21,33,19,67],"tecnologie",{"post_content":69,"tags":75},{"matched_tokens":70,"snippet":73,"value":74},[71,72],"e","è","I pezzi non combaciano \u003Cmark>e\u003C/mark> adesso \u003Cmark>è\u003C/mark> un bel casino,","I pezzi non combaciano \u003Cmark>e\u003C/mark> adesso \u003Cmark>è\u003C/mark> un bel casino, perché la mossa ha fatto emergere le debolezze. Era ancora vivo Marchionne \u003Cmark>e\u003C/mark> persino Giovanni Agnelli che già si preconizzava un mondo in cui sarebbero sopravvissute 4 al massimo 5 case automobilistiche; anche gli agglomerati di molti marchi alleati a coprire aree di mercato, gamme, alimentazioni diverse sono destinate a non rappresentare una risposta alle esigenze della produzione globale. A questo punto la Fca si \u003Cmark>è\u003C/mark> trovata nell'assoluta necessità di confluire in un gruppo più ampio che potesse competere con i colossi senza soccombere, cercando un'amalgama complementare, o tecnologie da rapinare per poter reggere la concorrenza, mercati da penetrare – preferibilmente quelli non ancora conosciuti –, maestranze da ridurre, siti da ridimensionare, appoggiandosi a sedi assimilabili \u003Cmark>e\u003C/mark> più performative.\r\n\r\nPer riuscire a orientarci in questi orizzonti celermente variabili, colmi di differenti condizionamenti, sensibili a tecnologie \u003Cmark>e\u003C/mark> risorse energetiche, ma impostati tendenzialmente sul lato finanziario, più che a quello produttivo, ci siamo rivolti a Stefano Capello, ottenendo molti lumi geoeconomici \u003Cmark>e\u003C/mark> qualche dubbio condiviso,\r\n\r\nMancata fusione automotive europeo: si apre un quadro fosco?",[76,78,80,82,87,89],{"matched_tokens":77,"snippet":25},[],{"matched_tokens":79,"snippet":29},[],{"matched_tokens":81,"snippet":21},[],{"matched_tokens":83,"snippet":86},[84,71,85],"industria","geopolitica","\u003Cmark>industria\u003C/mark> \u003Cmark>e\u003C/mark> \u003Cmark>geopolitica\u003C/mark>",{"matched_tokens":88,"snippet":19},[],{"matched_tokens":90,"snippet":67},[],[92,98],{"field":34,"indices":93,"matched_tokens":95,"snippets":97},[94],3,[96],[84,71,85],[86],{"field":99,"matched_tokens":100,"snippet":73,"value":74},"post_content",[71,72],1736172819517538300,{"best_field_score":103,"best_field_weight":104,"fields_matched":105,"num_tokens_dropped":46,"score":106,"tokens_matched":94,"typo_prefix_score":46},"3315704398080",13,2,"1736172819517538410",{"document":108,"highlight":127,"highlights":135,"text_match":141,"text_match_info":142},{"cat_link":109,"category":110,"comment_count":46,"id":111,"is_sticky":46,"permalink":112,"post_author":49,"post_content":113,"post_date":114,"post_excerpt":52,"post_id":111,"post_modified":115,"post_thumbnail":116,"post_thumbnail_html":117,"post_title":118,"post_type":57,"sort_by_date":119,"tag_links":120,"tags":124},[43],[45],"97693","http://radioblackout.org/2025/05/collaborazione-tra-industrie-delle-armi-italiane-e-turche-lunedi-mobilitazione-a-torino-contro-il-forum-turchia/","Lunedì 12 maggio a Torino si terrà il forum “Turchia: un hub verso il futuro”, promosso dalla Camera di Commercio con l’obiettivo dichiarato di “rafforzare la cooperazione economica” tra Italia e Turchia nei settori dell’aerospazio, dell’automotive e della digitalizzazione. Ma dietro il lessico anodino della diplomazia economica si cela una realtà ben più grave: il forum sarà di fatto un’occasione di legittimazione istituzionale e industriale per Baykar, l’azienda produttrice dei droni da guerra turchi, che lo scorso dicembre ha acquistato Piaggio Aerospace con il pieno avallo del governo italiano e sta entrando in una robusta partnership industriale con il gotha dell'aerospace e delle tecnologie militari italiane, Leonardo SpA.\r\nBaykar è il principale produttore di UAV (droni armati) utilizzati dalle forze armate turche nelle operazioni militari in Siria, nel nord Iraq, contro le forze curde del confederalismo democratico ed il PKK, ma i suoi droni sono usati per bombardare anche in Etiopia, in Nagorno-Karabakh, in Ucraina e in Marocco. La sua ascesa nel mercato mondiale delle armi è parallela all’espansione geopolitica del regime di Erdogan, al quale l'azienda Baykar è direttamente organica: il presidente di Baykar è genero del presidente turco. Il forum di Torino, lungi dall’essere un incontro “tecnico”, è un atto politico preciso: una vetrina di normalizzazione del complesso militare-industriale turco che, con il disgregamento della solida alleanza tra USA e Europa in seguito all'elezione di Trump e la virata verso il riarmo dell'economia europea, ha fiutato un'occasione propizia per espandere i propri affari in Europa ed invitare, a sua volta, le aziende italiane specializzate nell'estrazione di materie prime e nella cementificazione selvaggia a venire a fare affari in Turchia.\r\nDi fronte a questa operazione, non c’è spazio per la neutralità: schierarsi contro la guerra significa opporsi alla trasformazione dell’industria civile italiana in industria militare ed opporsi alle relazioni produttive che vengono strette con il complesso militare turco, direttamente colluso con un regime dittatoriale che incarcera chi protesta e dissente nelle metropoli mentre bombarda quotidianamente chi resiste sulle montagne del Kurdistan. Contro il \"Business Forum Turchia\" è stato chiamato un presidio alle ore 14, in corso Stati Uniti 27.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Murat Cinar.\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/muratcinar.mp3\"][/audio]","9 Maggio 2025","2025-05-09 17:30:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/ISTANBUL_DHA_GOZCU1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"218\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/ISTANBUL_DHA_GOZCU1-300x218.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/ISTANBUL_DHA_GOZCU1-300x218.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/ISTANBUL_DHA_GOZCU1.jpg 640w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Collaborazione tra industrie delle armi italiane e turche: lunedì mobilitazione a Torino contro il \"Forum Turchia\"",1746811802,[121,122,123],"http://radioblackout.org/tag/baykar/","http://radioblackout.org/tag/leonardo/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[17,125,126],"leonardo","Turchia",{"post_content":128,"post_title":132},{"matched_tokens":129,"snippet":130,"value":131},[72,85],"nel mercato mondiale delle armi \u003Cmark>è\u003C/mark> parallela all’espansione \u003Cmark>geopolitica\u003C/mark> del regime di Erdogan, al","Lunedì 12 maggio a Torino si terrà il forum “Turchia: un hub verso il futuro”, promosso dalla Camera di Commercio con l’obiettivo dichiarato di “rafforzare la cooperazione economica” tra Italia \u003Cmark>e\u003C/mark> Turchia nei settori dell’aerospazio, dell’automotive \u003Cmark>e\u003C/mark> della digitalizzazione. 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L'America si scopre infine ecologista (mentre Obama inizia le trivellazioni in Alaska) .\r\nI più accorti han subito sospettato che sotto sotto ci fosse qualcosa di ben più consistente, visto che il target dello scandalo annunciato (scoperta dell'acqua calda per la magguiornaza degli addetti ai lavori) era una delle più grandi produttrici di auto al mondo. Parlare dello scandalo Volkswagen vuol allora dire parlare della guerra commerciale in atto (e forse qualcosa di più) in atto tra stati Uniti e l'Europa a guida tedesca.\r\nNe abbiamo parlato con Sandro Moiso autore di numerosi articoli (qui una raccolta) sul portale Carmilla online e che recentemente si è soffermato su questa vicenda (vedi infra)\r\n\r\nmoiso_wolkswagen\r\nVae Victis Germania / 2: Car Wars\r\ndi Sandro Moiso (http://www.carmillaonline.com)\r\n\r\nQuando l’unica nazione occidentale a non aver ratificato il protocollo di Kyoto sul riscaldamento ambientale denuncia con tanta veemenza i danni per la salute e l’ambiente derivanti dal mancato (e truffaldino) rispetto dei regolamenti USA sull’emissione di gas da parte dei veicoli circolanti c’è da porsi più di una domanda. Si sta parlando, evidentemente, dell’enorme tegola caduta sulla testa di una delle più importanti industrie automobilistiche mondiali, la Volkswagen, dopo la scoperta del raffinatissimo trucco messo in atto da quella azienda per beffare i controlli sugli scarichi delle auto diesel negli Stati Uniti e in Europa.\r\nLo scandalo si è rapidamente propagato nei paesi dell’Unione Europea e tocca, attualmente, la bellezza di 11 milioni di veicoli circolanti. La ditta tedesca ha reagito sostituendo l’AD e scaricando le colpe su un ristretto gruppo (“un piccolo gruppo” come è stato definito) di responsabili tecnici ed amministrativi, mentre Angela Merkel, per allontanare da sé e dal proprio governo qualsiasi ombra di sospetto o connivenza, ha promesso un’inchiesta rigorosa .\r\nFilm già visti ed ampiamente prevedibili, soprattutto da parte di chi sa che i motori che ci vengono presentati, quasi quotidianamente, come innovativi, non inquinanti e a basso consumo non sono altro che una continua riproduzione del vecchio motore a scoppio messo a punto, sul finire dell’Ottocento tra il 1876 e il 1892, da tre tecnici tedeschi (guarda caso la continuità): Otto, Benz e Diesel. Motori che sono cambiati da allora ben poco, mantenendo quasi intatte le loro caratteristiche di alto spreco energetico, elevati consumi, scarso rendimento ed elevate capacità di inquinamento.\r\nCiò che è cambiato fra gli anni ’80 del XIX secolo ed oggi, migliorando rendimento e prestazioni degli autoveicoli, sono le linee aerodinamiche, l’alleggerimento dei materiali e delle strutture portanti, freni, sospensioni e, conseguente, tenuta su strada. Il resto affonda le sue radici negli albori del mezzo di trasporto meno conveniente (e più diffuso) che sia mai stato messo a punto dalla tecnica umana. Si tratta di autentiche carrette, i cui attuali ed “evolutissimi” software non servono ad altro che a truccare i dati e a rendere schiavi dei concessionari gli acquirenti.\r\nQuesto ci può far immaginare che ciò che viene attualmente denunciato a carico della Volkswagen e di altre sue consociate (Audi e Skoda) potrebbe tranquillamente ricadere sulle spalle dell’intero comparto automobilistico mondiale (così come le paurose discese in borsa dei titoli automobilistici, anche non tedeschi, e il rifiuto inglese di varare nuovi tipi di controllo sui motori diesel farebbero pensare)1. Allora, perché tutto questo baccano? Tutte queste “pelose” denunce?\r\nForse il “green capitalism” ha deciso di puntare su un rinnovamento, su scala mondiale, del parco macchine destinato alle classi medio/alte? Forse che i prototipi attualmente circolanti e, guarda caso spesso di origine teutonica, di auto ibride (in a carburanti, in parte elettriche) diverranno il trend dominante nella produzione automobilistica planetaria, così come anche i cinesi cominciano a promettere? O si tratta, più prosaicamente ancora, di qualcosa d’altro?\r\n“Follow the money!” è la formula che funziona sempre e particolarmente in questo caso.\r\nNel 2014 a livello globale sono state prodotti 89,75 milioni di veicoli, il 2,6% in più rispetto al 2013. Di questi, 67,53 milioni erano automobili. La produzione di veicoli a motore nell’ultimo decennio è cresciuta del 34%. Ma, nel 2014, le vendite sono state inferiori alla produzione: sia complessiva (88,16 milioni) sia delle sole auto (64,96 milioni, comunque sempre quasi due milioni in più rispetto all’anno precedente).\r\nLa Cina si è confermata come il primo produttore al mondo a quota 19,9 milioni, mentre l’Asia da sola vale oltre la metà della produzione con più di 39 milioni di auto. Il Giappone supera gli 8,27 milioni, la Corea del Sud i 4,12, l’India i 3,16, l’Indonesia il milione e l’Iran, con un balzo del 46,8%, arriva a 926.000.2 La Germania è il terzo produttore globale dopo Cina e Giappone e naturalmente di gran lunga il primo del Vecchio Continente con 5,6 milioni di autoveicoli.\r\nL’Italia, con 401.317 vetture, è ormai tra i piccoli produttori. Sfornano più auto non solo Regno Unito e Francia, ma anche nazioni come Repubblica Ceca (trascinata dalla crescita di Skoda, altra industria indagata poiché appartenente al gruppo Volkswagen), Slovacchia, Polonia e Belgio. Mentre negli Stati Uniti la produzione copre appena il 55% della domanda, cioè 4,2 milioni a fronte di quasi 7,7 milioni di immatricolazioni. E a tutto ciò va aggiunto che nello stesso anno Toyota (10.230.000 veicoli venduti) è risultata essere al primo posto nella classifica delle vendite, mentre il gruppo Volkswagen (10.140.000) si è aggiudicato il secondo posto.\r\nVogliamo allora parlare di guerra, più ancora che di concorrenza commerciale ed industriale, su scala planetaria? “Guerra” perché, soprattutto nel caso della Germania, attaccare frontalmente, come si è fatto in questi giorni sui mercati e sui media internazionali, un settore fondamentale dell’industria tedesca significa non solo “fare concorrenza” ad un avversario commerciale, ma cercare di ridimensionare il ruolo politico ed economico della Germania in Europa e nel mondo. Il PIL della prima economia industriale d’Europa è il quarto al mondo dopo USA, Cina e Giappone e, nel 2011, l’export tedesco equivaleva al 50% dello stesso e al 7,7% dell’intero export mondiale.\r\nPotenza economica, industriale e scientifica troppo forte e grande per i suoi confini geografici e troppo piccola per il mondo, la Germania si trova ancora una volta a fare i conti con un potenziale produttivo ed economico (il suo) che spaventa, intimorisce ed incanaglisce i suoi più diretti concorrenti in Europa e su scala planetaria. Ai tempi del primo conflitto mondiale la produzione siderurgica tedesca superava quella di Francia e Gran Bretagna messe insieme, oggi quella dell’auto (prodotto di punta, ci piaccia o meno, dell’industria mondiale) domina la produzione occidentale di autoveicoli.\r\nChiusa tra le grandi pianure centro-europee ed asiatiche ad Oriente, il Mar Baltico e del Nord, le Alpi a sud e l’area renana ad ovest, sembra sempre costituire una sorta di nuovo Heartland3 europeo, sempre alla ricerca di espansione politica ed economica, sempre alla ricerca di un mai sopito lebensraum, di cui le esportazioni restano l’anima, la motivazione e il motore che la spingono a superare i propri limiti geografici, economici e politici.\r\nIn quest’area, compresa grosso modo tra l’asse renano ad ovest (il territorio industriale che si sviluppa dalle Alpi svizzere fino al porto di Rotterdam) e l’asse padano a sud (la pianura padana nella sua interezza), vi era all’inizio degli anni ’90 del XX secolo, una delle più grandi concentrazioni di aree urbane e di investimenti capitalistici del mondo. Si fa riferimento agli anni ’90 poiché in quel momento avviene la riunificazione della Germani dell’Ovest con la Germania dell’Est (ottobre 1990) che spingerà, da un lato, verso un maggiore accentramento in chiave tedesca del capitalismo europeo e, dall’altro, ad un risorgere della conflittualità e dello scontro militare sul territorio europeo (le guerre balcaniche che avranno inizio nella primavera-estate del 1991).\r\nLe sei regioni urbane di Londra, Parigi, Anversa-Bruxelles, Ramstadt-Holland, Colonia-Ruhr e Milano costituivano allora i vertici dell’organizzazione territoriale europea con 51 milioni di abitanti e una estensione di 53.000 chilometri quadrati (quasi 1000 abitanti per kmq). Il resto di quell’area forte era costituito da un tessuto connettivo di metropoli minori, regioni di industria diffusa, zone di agricoltura intensiva e zone turistiche con 135 milioni di abitanti.\r\nNelle regioni urbane d’Europa si arrivava ad una concentrazione, dal punto di vista della densità economica,4 di 21 milioni e 200mila dollari per chilometro quadrato, mentre nelle regioni di area a forte tessuto connettivo (meno densamente popolate) si arrivava a 3 milioni e 200mila dollari per kmq. In quello stesso periodo nell’area corrispondente degli Stati Uniti 5 si arrivava nelle grandi regioni urbane ad una densità economica media di 11 milioni e 600mila dollari per kmq e nelle aree forti a tessuto connettivo a 1 milione e 700mila dollari, sempre per kmq.\r\nIn quegli stessi anni l’Europa si classificava al primo posto per la ricchezza prodotta con una media di 6818 miliardi di dollari annui contro i 5900 del Nord America e i 4136 dell’Asia Orientale. Nello stesso tempo l’Europa rappresentava il massimo polo commerciale con ii 28% delle esportazioni mondiali, contro il 20% dell’Area del Pacifico (Giappone, Asia del Sud-Est e Australia) e il 15,5% del Nord America.6\r\nOra, anche se la crisi degli ultimi anni e lo sviluppo cinese hanno fatto sì che rimanessero molti “morti” sul campo di battaglia e che una parte di quel “tesoro” andasse al macero,7 certo è che ci si trovava e, probabilmente, ci si trova tutt’ora, dal punto di vista della ricchezza concentrata, in uno dei cuori del capitalismo mondiale. L’unica area che all’epoca superava la densità economica europea era quella di Tokio-Osaka, dove si arrivava a 39 milioni per chilometro quadrato. Ma questa è un area molto più ridotta, un po’ come se per gli Stati Uniti si prendesse in considerazione la sola New York dove la densità raggiungeva, sempre all’epoca, i 100 milioni di dollari per kmq. Mentre l’attuale “crisi” cinese dimostra, forse, che l’Area del Pacifico o i Brics non sono ancora riusciti a sostituire l’Europa nella capacità di assorbimento delle merci.\r\nUna certa parte di quella ricchezza, negli ultimi 7 – 8 anni è sicuramente transitata di mano e, in particolare, in Europa una parte è passata dalle mani dei privati cittadini alle banche attraverso le politiche di taglio e riduzione della spesa pubblica e del debito oppure grazie all’esplodere dell’autentica bolla speculativa rappresentata dal mercato (gonfiato precedentemente a dismisura) immobiliare, ma certo decidere chi debba organizzare, ristrutturare e re-indirizzare quella ricchezza non è mai stata, tanto meno ora, cosa da poco. Soprattutto, come affermo da tempo proprio qui su Carmilla,8 nella competizione tra imperialismi finanziari e non.\r\nDovrebbe risultare chiaro quindi, anche al lettore distratto, che lo scontro in atto da tempo in Europa riguarda proprio due differenti concezioni dell’utilizzo del capitale della manodopera, unite soltanto dalla comune volontà di soffocare e ridurre al silenzio qualsiasi tentativo di migliorare o anche solo salvaguardare i diritti dei lavoratori e le loro rappresentanze politiche o sindacali (ammesso e non concesso che esistano ancora) oppure di recuperare violentemente i risparmi di milioni di cittadini non “adeguatamente” messi a profitto.\r\nDue modalità cui si è accennato già nella prima puntata di questa serie di articoli: una più disinibita, per così dire, e più avvoltoiesca nel colpire, spostare, re-indirizzare e reinvestire anche con grandi rischi i capitali presenti nelle banche, nelle tasche dei cittadini oppure investiti precedentemente nella spesa pubblica e nello Stato sociale, per affrettare i tempi di rotazione degli stessi cercando di passare sempre meno attraverso l’investimento industriale diretto. Il modello finanziario anglo-americano per intenderci.\r\nL’altra, più ferrea e determinata nel sua volontà di controllo, ma più “vecchia” nella forma (la sostanza non cambia poiché si tratta di incrementare convenientemente il capitale investito o riutilizzato) che attraverso il controllo delle banche, del mercato del lavoro e delle leggi che lo regolamentano e della spesa pubblica cerca di rilanciare costantemente la produzione e il consumo delle merci, impadronendosi di aziende,9 occupando spazi di mercato e, talvolta, giocando sui prestiti come strumento per incrementare le esportazioni verso paesi “debitori”.\r\nE questo potrebbe spiegare anche la diversità di strategie tra Germania e Fondo Monetario Internazionale, per esempio nei confronti della Grecia: mentre il secondo gioca essnzialmente sul debito pubblico e sui titoli pubblici come fonte di rendita-capestro di carattere finaziario e può transigere su un allungamento dei tempi di rientro dei prestiti (semplificando: più a lungo i debitori pagano gli interessi sul prestito, anche se bassi , meglio è), la prima tende a voler recuperare un prestito che se non è utilizzato per finanziare produzione e commercio è ai suoi occhi sostanzialmente inutile e pernicioso.\r\nDa qui lo scontro con Draghi della Banca centrale tedesco e l’autoritarismo di Wolfang Schäuble, il Ministro delle finanze di questo secondo governo Merkel. Ma da qui anche l’attacco alle esportazioni tedesche, vera anima del capitalismo prussiano, attraverso l’attacco al gruppo Volkswagen. Di cui si è fatto simbolicamente protagonista anche Papa Francesco attraverso l’uso, tutt’altro che umile e dimesso, di una 500L prodotta dal gruppo Fiat – Chrysler, durante il recente viaggio negli Stati Uniti. Quel FCA Group che sembra essere un po’ il capofila dell’attacco alla Germania, mentre la crisi dei trattati di Maastricht, dell’euro e dell’Unione Europea stanno aprendo le porte a nuovi conflitti su chi debba comandare in questa parte del mondo.\r\nNOTE\r\n\r\n\r\n\t\r\nSi veda a tal proposito l’articolo comparso su Repubblica in data 29 settembre 2015 ”http://www.repubblica.it/economia/2015/09/29/news/european_federation_for_transport_and_environment_aisbl-123861973/?ref=HRER1-1″\r\n\r\n\t\r\nDati tratti da Mattia Eccheli, Produzione auto 2014, il nuovo record. Ecco come cambia il mappamondo industriale, il Fatto Quotidiano 15 aprile 2015\r\n\r\n\t\r\nSi veda la prima puntata di Vae Victis Germania, Sulla loro pelle, Carmillaonline del 16 settembre 2015\r\n\r\n\t\r\nIl gradiente di intensità economica mette in relazione il reddito pro-capite per abitante con la densità di popolazione di una certa area e le aree non sono costituite da “nazioni”, ma da regioni particolari di un continente o di un singolo stato. Possiamo così andare da meno di 100 dollari per kmq nelle regioni più povere o meno popolate (1 abitante per kmq) fino a più di 100 milioni di dollari per kmq nelle grandi regioni urbane egemoni\r\n\r\n\t\r\nCosta Atlantica, Valle dell’Ohio, Grandi Laghi e Florida: il 13% del territori statunitense sul quale si addensava il 58% della popolazione ei 2/3 delle attività industriali e terziarie\r\n\r\n\t\r\nTutti i dati economico-geografici fin qui esposti sono stati tratti o dedotti, nel corso di ricerche condotte negli anni ’90, dalle opere di Roberto Mainardi, allora docente di Geografia umana presso la Facoltà di Lettere dell’Università Statale di Milano e Geografia economica all’Istituto per la formazione al giornalismo della Regione Lombardia: L’Europa germanica. Una prospettiva geopolitica, La Nuova Italia Scientifica 1992; Geografia regionale, La Nuova Italia Scientifica 1994; Geografia generale, la Nuova Italia Scientifica 1995; L’Italia delle regioni. Il Nord e la Padania, Bruno Mondadori 1998\r\n\r\n\t\r\nCome ben dimostrano le ”macerie“ ambientali, ideologiche, architettoniche ed industriali di una larga parte della Pianura Padana, così come è ben documentato nel magnifico Atlante dei classici padani di Filippo Minelli e Emanuele Galesi, Krisis Publishing, Brescia 2015 ( di prossima recensione su Carmillaonline)\r\n\r\n\t\r\nAd esempio in Bollicine, Carmillaonline del 21 novembre 2011\r\n\r\n\t\r\nNon è certo un caso che sia stato proprio il capitale tedesco ad impadronirsi di una parte significativa di “gioielli” dismessi dell’industria italiana. Non a caso dal 2010 a oggi il 55% delle circa 50 operazioni “Germania su Italia” ha riguardato il settore industriale.","14 Ottobre 2015","2015-10-16 12:03:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/10/papa-car-wars-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"256\" height=\"183\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/10/papa-car-wars.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","Che cosa nasconde lo scandalo Volkswagen?",1444867113,[160,161,162,163,164],"http://radioblackout.org/tag/crisi/","http://radioblackout.org/tag/germania/","http://radioblackout.org/tag/guerra-commerciale/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/","http://radioblackout.org/tag/volkswagen/",[15,166,31,167,27],"germania","Stati Uniti",{"post_content":169},{"matched_tokens":170,"snippet":171,"value":172},[84,71],"di metropoli minori, regioni di \u003Cmark>industria\u003C/mark> diffusa, zone di agricoltura intensiva \u003Cmark>e\u003C/mark> zone turistiche con 135 milioni","Qualche settimana fa i titoli dei Tg, i portali di informazione on-line \u003Cmark>e\u003C/mark> le prime pagine dei quotidiani aprivano con la grande notizia della scoperta statunitense dell truffa operata dalla Volkswagen ai danni di centinaia di migliaia (forse milioni) di clienti sul suolo statunitense cui sarebbe stato venduto un motore diesel molto più inquinante dell'annunciato \u003Cmark>e\u003C/mark> delle regole che ne permettono la vendita. L'America si scopre infine ecologista (mentre Obama inizia le trivellazioni in Alaska) .\r\nI più accorti han subito sospettato che sotto sotto ci fosse qualcosa di ben più consistente, visto che il target dello scandalo annunciato (scoperta dell'acqua calda per la magguiornaza degli addetti ai lavori) era una delle più grandi produttrici di auto al mondo. Parlare dello scandalo Volkswagen vuol allora dire parlare della guerra commerciale in atto (\u003Cmark>e\u003C/mark> forse qualcosa di più) in atto tra stati Uniti \u003Cmark>e\u003C/mark> l'Europa a guida tedesca.\r\nNe abbiamo parlato con Sandro Moiso autore di numerosi articoli (qui una raccolta) sul portale Carmilla online \u003Cmark>e\u003C/mark> che recentemente si \u003Cmark>è\u003C/mark> soffermato su questa vicenda (vedi infra)\r\n\r\nmoiso_wolkswagen\r\nVae Victis Germania / 2: Car Wars\r\ndi Sandro Moiso (http://www.carmillaonline.com)\r\n\r\nQuando l’unica nazione occidentale a non aver ratificato il protocollo di Kyoto sul riscaldamento ambientale denuncia con tanta veemenza i danni per la salute \u003Cmark>e\u003C/mark> l’ambiente derivanti dal mancato (\u003Cmark>e\u003C/mark> truffaldino) rispetto dei regolamenti USA sull’emissione di gas da parte dei veicoli circolanti c’è da porsi più di una domanda. Si sta parlando, evidentemente, dell’enorme tegola caduta sulla testa di una delle più importanti industrie automobilistiche mondiali, la Volkswagen, dopo la scoperta del raffinatissimo trucco messo in atto da quella azienda per beffare i controlli sugli scarichi delle auto diesel negli Stati Uniti \u003Cmark>e\u003C/mark> in Europa.\r\nLo scandalo si \u003Cmark>è\u003C/mark> rapidamente propagato nei paesi dell’Unione Europea \u003Cmark>e\u003C/mark> tocca, attualmente, la bellezza di 11 milioni di veicoli circolanti. La ditta tedesca ha reagito sostituendo l’AD \u003Cmark>e\u003C/mark> scaricando le colpe su un ristretto gruppo (“un piccolo gruppo” come \u003Cmark>è\u003C/mark> stato definito) di responsabili tecnici ed amministrativi, mentre Angela Merkel, per allontanare da sé \u003Cmark>e\u003C/mark> dal proprio governo qualsiasi ombra di sospetto o connivenza, ha promesso un’inchiesta rigorosa .\r\nFilm già visti ed ampiamente prevedibili, soprattutto da parte di chi sa che i motori che ci vengono presentati, quasi quotidianamente, come innovativi, non inquinanti \u003Cmark>e\u003C/mark> a basso consumo non sono altro che una continua riproduzione del vecchio motore a scoppio messo a punto, sul finire dell’Ottocento tra il 1876 \u003Cmark>e\u003C/mark> il 1892, da tre tecnici tedeschi (guarda caso la continuità): Otto, Benz \u003Cmark>e\u003C/mark> Diesel. Motori che sono cambiati da allora ben poco, mantenendo quasi intatte le loro caratteristiche di alto spreco energetico, elevati consumi, scarso rendimento ed elevate capacità di inquinamento.\r\nCiò che \u003Cmark>è\u003C/mark> cambiato fra gli anni ’80 del XIX secolo ed oggi, migliorando rendimento \u003Cmark>e\u003C/mark> prestazioni degli autoveicoli, sono le linee aerodinamiche, l’alleggerimento dei materiali \u003Cmark>e\u003C/mark> delle strutture portanti, freni, sospensioni \u003Cmark>e\u003C/mark>, conseguente, tenuta su strada. Il resto affonda le sue radici negli albori del mezzo di trasporto meno conveniente (\u003Cmark>e\u003C/mark> più diffuso) che sia mai stato messo a punto dalla tecnica umana. Si tratta di autentiche carrette, i cui attuali ed “evolutissimi” software non servono ad altro che a truccare i dati \u003Cmark>e\u003C/mark> a rendere schiavi dei concessionari gli acquirenti.\r\nQuesto ci può far immaginare che ciò che viene attualmente denunciato a carico della Volkswagen \u003Cmark>e\u003C/mark> di altre sue consociate (Audi \u003Cmark>e\u003C/mark> Skoda) potrebbe tranquillamente ricadere sulle spalle dell’intero comparto automobilistico mondiale (così come le paurose discese in borsa dei titoli automobilistici, anche non tedeschi, \u003Cmark>e\u003C/mark> il rifiuto inglese di varare nuovi tipi di controllo sui motori diesel farebbero pensare)1. Allora, perché tutto questo baccano? Tutte queste “pelose” denunce?\r\nForse il “green capitalism” ha deciso di puntare su un rinnovamento, su scala mondiale, del parco macchine destinato alle classi medio/alte? Forse che i prototipi attualmente circolanti \u003Cmark>e\u003C/mark>, guarda caso spesso di origine teutonica, di auto ibride (in a carburanti, in parte elettriche) diverranno il trend dominante nella produzione automobilistica planetaria, così come anche i cinesi cominciano a promettere? O si tratta, più prosaicamente ancora, di qualcosa d’altro?\r\n“Follow the money!” \u003Cmark>è\u003C/mark> la formula che funziona sempre \u003Cmark>e\u003C/mark> particolarmente in questo caso.\r\nNel 2014 a livello globale sono state prodotti 89,75 milioni di veicoli, il 2,6% in più rispetto al 2013. Di questi, 67,53 milioni erano automobili. La produzione di veicoli a motore nell’ultimo decennio \u003Cmark>è\u003C/mark> cresciuta del 34%. Ma, nel 2014, le vendite sono state inferiori alla produzione: sia complessiva (88,16 milioni) sia delle sole auto (64,96 milioni, comunque sempre quasi due milioni in più rispetto all’anno precedente).\r\nLa Cina si \u003Cmark>è\u003C/mark> confermata come il primo produttore al mondo a quota 19,9 milioni, mentre l’Asia da sola vale oltre la metà della produzione con più di 39 milioni di auto. Il Giappone supera gli 8,27 milioni, la Corea del Sud i 4,12, l’India i 3,16, l’Indonesia il milione \u003Cmark>e\u003C/mark> l’Iran, con un balzo del 46,8%, arriva a 926.000.2 La Germania \u003Cmark>è\u003C/mark> il terzo produttore globale dopo Cina \u003Cmark>e\u003C/mark> Giappone \u003Cmark>e\u003C/mark> naturalmente di gran lunga il primo del Vecchio Continente con 5,6 milioni di autoveicoli.\r\nL’Italia, con 401.317 vetture, \u003Cmark>è\u003C/mark> ormai tra i piccoli produttori. Sfornano più auto non solo Regno Unito \u003Cmark>e\u003C/mark> Francia, ma anche nazioni come Repubblica Ceca (trascinata dalla crescita di Skoda, altra \u003Cmark>industria\u003C/mark> indagata poiché appartenente al gruppo Volkswagen), Slovacchia, Polonia \u003Cmark>e\u003C/mark> Belgio. Mentre negli Stati Uniti la produzione copre appena il 55% della domanda, cioè 4,2 milioni a fronte di quasi 7,7 milioni di immatricolazioni. \u003Cmark>E\u003C/mark> a tutto ciò va aggiunto che nello stesso anno Toyota (10.230.000 veicoli venduti) \u003Cmark>è\u003C/mark> risultata essere al primo posto nella classifica delle vendite, mentre il gruppo Volkswagen (10.140.000) si \u003Cmark>è\u003C/mark> aggiudicato il secondo posto.\r\nVogliamo allora parlare di guerra, più ancora che di concorrenza commerciale ed industriale, su scala planetaria? “Guerra” perché, soprattutto nel caso della Germania, attaccare frontalmente, come si \u003Cmark>è\u003C/mark> fatto in questi giorni sui mercati \u003Cmark>e\u003C/mark> sui media internazionali, un settore fondamentale dell’industria tedesca significa non solo “fare concorrenza” ad un avversario commerciale, ma cercare di ridimensionare il ruolo politico ed economico della Germania in Europa \u003Cmark>e\u003C/mark> nel mondo. Il PIL della prima economia industriale d’Europa \u003Cmark>è\u003C/mark> il quarto al mondo dopo USA, Cina \u003Cmark>e\u003C/mark> Giappone \u003Cmark>e\u003C/mark>, nel 2011, l’export tedesco equivaleva al 50% dello stesso \u003Cmark>e\u003C/mark> al 7,7% dell’intero export mondiale.\r\nPotenza economica, industriale \u003Cmark>e\u003C/mark> scientifica troppo forte \u003Cmark>e\u003C/mark> grande per i suoi confini geografici \u003Cmark>e\u003C/mark> troppo piccola per il mondo, la Germania si trova ancora una volta a fare i conti con un potenziale produttivo ed economico (il suo) che spaventa, intimorisce ed incanaglisce i suoi più diretti concorrenti in Europa \u003Cmark>e\u003C/mark> su scala planetaria. Ai tempi del primo conflitto mondiale la produzione siderurgica tedesca superava quella di Francia \u003Cmark>e\u003C/mark> Gran Bretagna messe insieme, oggi quella dell’auto (prodotto di punta, ci piaccia o meno, dell’industria mondiale) domina la produzione occidentale di autoveicoli.\r\nChiusa tra le grandi pianure centro-europee ed asiatiche ad Oriente, il Mar Baltico \u003Cmark>e\u003C/mark> del Nord, le Alpi a sud \u003Cmark>e\u003C/mark> l’area renana ad ovest, sembra sempre costituire una sorta di nuovo Heartland3 europeo, sempre alla ricerca di espansione politica ed economica, sempre alla ricerca di un mai sopito lebensraum, di cui le esportazioni restano l’anima, la motivazione \u003Cmark>e\u003C/mark> il motore che la spingono a superare i propri limiti geografici, economici \u003Cmark>e\u003C/mark> politici.\r\nIn quest’area, compresa grosso modo tra l’asse renano ad ovest (il territorio industriale che si sviluppa dalle Alpi svizzere fino al porto di Rotterdam) \u003Cmark>e\u003C/mark> l’asse padano a sud (la pianura padana nella sua interezza), vi era all’inizio degli anni ’90 del XX secolo, una delle più grandi concentrazioni di aree urbane \u003Cmark>e\u003C/mark> di investimenti capitalistici del mondo. Si fa riferimento agli anni ’90 poiché in quel momento avviene la riunificazione della Germani dell’Ovest con la Germania dell’Est (ottobre 1990) che spingerà, da un lato, verso un maggiore accentramento in chiave tedesca del capitalismo europeo \u003Cmark>e\u003C/mark>, dall’altro, ad un risorgere della conflittualità \u003Cmark>e\u003C/mark> dello scontro militare sul territorio europeo (le guerre balcaniche che avranno inizio nella primavera-estate del 1991).\r\nLe sei regioni urbane di Londra, Parigi, Anversa-Bruxelles, Ramstadt-Holland, Colonia-Ruhr \u003Cmark>e\u003C/mark> Milano costituivano allora i vertici dell’organizzazione territoriale europea con 51 milioni di abitanti \u003Cmark>e\u003C/mark> una estensione di 53.000 chilometri quadrati (quasi 1000 abitanti per kmq). Il resto di quell’area forte era costituito da un tessuto connettivo di metropoli minori, regioni di \u003Cmark>industria\u003C/mark> diffusa, zone di agricoltura intensiva \u003Cmark>e\u003C/mark> zone turistiche con 135 milioni di abitanti.\r\nNelle regioni urbane d’Europa si arrivava ad una concentrazione, dal punto di vista della densità economica,4 di 21 milioni \u003Cmark>e\u003C/mark> 200mila dollari per chilometro quadrato, mentre nelle regioni di area a forte tessuto connettivo (meno densamente popolate) si arrivava a 3 milioni \u003Cmark>e\u003C/mark> 200mila dollari per kmq. In quello stesso periodo nell’area corrispondente degli Stati Uniti 5 si arrivava nelle grandi regioni urbane ad una densità economica media di 11 milioni \u003Cmark>e\u003C/mark> 600mila dollari per kmq \u003Cmark>e\u003C/mark> nelle aree forti a tessuto connettivo a 1 milione \u003Cmark>e\u003C/mark> 700mila dollari, sempre per kmq.\r\nIn quegli stessi anni l’Europa si classificava al primo posto per la ricchezza prodotta con una media di 6818 miliardi di dollari annui contro i 5900 del Nord America \u003Cmark>e\u003C/mark> i 4136 dell’Asia Orientale. Nello stesso tempo l’Europa rappresentava il massimo polo commerciale con ii 28% delle esportazioni mondiali, contro il 20% dell’Area del Pacifico (Giappone, Asia del Sud-Est \u003Cmark>e\u003C/mark> Australia) \u003Cmark>e\u003C/mark> il 15,5% del Nord America.6\r\nOra, anche se la crisi degli ultimi anni \u003Cmark>e\u003C/mark> lo sviluppo cinese hanno fatto sì che rimanessero molti “morti” sul campo di battaglia \u003Cmark>e\u003C/mark> che una parte di quel “tesoro” andasse al macero,7 certo \u003Cmark>è\u003C/mark> che ci si trovava \u003Cmark>e\u003C/mark>, probabilmente, ci si trova tutt’ora, dal punto di vista della ricchezza concentrata, in uno dei cuori del capitalismo mondiale. L’unica area che all’epoca superava la densità economica europea era quella di Tokio-Osaka, dove si arrivava a 39 milioni per chilometro quadrato. Ma questa \u003Cmark>è\u003C/mark> un area molto più ridotta, un po’ come se per gli Stati Uniti si prendesse in considerazione la sola New York dove la densità raggiungeva, sempre all’epoca, i 100 milioni di dollari per kmq. Mentre l’attuale “crisi” cinese dimostra, forse, che l’Area del Pacifico o i Brics non sono ancora riusciti a sostituire l’Europa nella capacità di assorbimento delle merci.\r\nUna certa parte di quella ricchezza, negli ultimi 7 – 8 anni \u003Cmark>è\u003C/mark> sicuramente transitata di mano \u003Cmark>e\u003C/mark>, in particolare, in Europa una parte \u003Cmark>è\u003C/mark> passata dalle mani dei privati cittadini alle banche attraverso le politiche di taglio \u003Cmark>e\u003C/mark> riduzione della spesa pubblica \u003Cmark>e\u003C/mark> del debito oppure grazie all’esplodere dell’autentica bolla speculativa rappresentata dal mercato (gonfiato precedentemente a dismisura) immobiliare, ma certo decidere chi debba organizzare, ristrutturare \u003Cmark>e\u003C/mark> re-indirizzare quella ricchezza non \u003Cmark>è\u003C/mark> mai stata, tanto meno ora, cosa da poco. Soprattutto, come affermo da tempo proprio qui su Carmilla,8 nella competizione tra imperialismi finanziari \u003Cmark>e\u003C/mark> non.\r\nDovrebbe risultare chiaro quindi, anche al lettore distratto, che lo scontro in atto da tempo in Europa riguarda proprio due differenti concezioni dell’utilizzo del capitale della manodopera, unite soltanto dalla comune volontà di soffocare \u003Cmark>e\u003C/mark> ridurre al silenzio qualsiasi tentativo di migliorare o anche solo salvaguardare i diritti dei lavoratori \u003Cmark>e\u003C/mark> le loro rappresentanze politiche o sindacali (ammesso \u003Cmark>e\u003C/mark> non concesso che esistano ancora) oppure di recuperare violentemente i risparmi di milioni di cittadini non “adeguatamente” messi a profitto.\r\nDue modalità cui si \u003Cmark>è\u003C/mark> accennato già nella prima puntata di questa serie di articoli: una più disinibita, per così dire, \u003Cmark>e\u003C/mark> più avvoltoiesca nel colpire, spostare, re-indirizzare \u003Cmark>e\u003C/mark> reinvestire anche con grandi rischi i capitali presenti nelle banche, nelle tasche dei cittadini oppure investiti precedentemente nella spesa pubblica \u003Cmark>e\u003C/mark> nello Stato sociale, per affrettare i tempi di rotazione degli stessi cercando di passare sempre meno attraverso l’investimento industriale diretto. Il modello finanziario anglo-americano per intenderci.\r\nL’altra, più ferrea \u003Cmark>e\u003C/mark> determinata nel sua volontà di controllo, ma più “vecchia” nella forma (la sostanza non cambia poiché si tratta di incrementare convenientemente il capitale investito o riutilizzato) che attraverso il controllo delle banche, del mercato del lavoro \u003Cmark>e\u003C/mark> delle leggi che lo regolamentano \u003Cmark>e\u003C/mark> della spesa pubblica cerca di rilanciare costantemente la produzione \u003Cmark>e\u003C/mark> il consumo delle merci, impadronendosi di aziende,9 occupando spazi di mercato \u003Cmark>e\u003C/mark>, talvolta, giocando sui prestiti come strumento per incrementare le esportazioni verso paesi “debitori”.\r\n\u003Cmark>E\u003C/mark> questo potrebbe spiegare anche la diversità di strategie tra Germania \u003Cmark>e\u003C/mark> Fondo Monetario Internazionale, per esempio nei confronti della Grecia: mentre il secondo gioca essnzialmente sul debito pubblico \u003Cmark>e\u003C/mark> sui titoli pubblici come fonte di rendita-capestro di carattere finaziario \u003Cmark>e\u003C/mark> può transigere su un allungamento dei tempi di rientro dei prestiti (semplificando: più a lungo i debitori pagano gli interessi sul prestito, anche se bassi , meglio \u003Cmark>è\u003C/mark>), la prima tende a voler recuperare un prestito che se non \u003Cmark>è\u003C/mark> utilizzato per finanziare produzione \u003Cmark>e\u003C/mark> commercio \u003Cmark>è\u003C/mark> ai suoi occhi sostanzialmente inutile \u003Cmark>e\u003C/mark> pernicioso.\r\nDa qui lo scontro con Draghi della Banca centrale tedesco \u003Cmark>e\u003C/mark> l’autoritarismo di Wolfang Schäuble, il Ministro delle finanze di questo secondo governo Merkel. Ma da qui anche l’attacco alle esportazioni tedesche, vera anima del capitalismo prussiano, attraverso l’attacco al gruppo Volkswagen. Di cui si \u003Cmark>è\u003C/mark> fatto simbolicamente protagonista anche Papa Francesco attraverso l’uso, tutt’altro che umile \u003Cmark>e\u003C/mark> dimesso, di una 500L prodotta dal gruppo Fiat – Chrysler, durante il recente viaggio negli Stati Uniti. Quel FCA Group che sembra essere un po’ il capofila dell’attacco alla Germania, mentre la crisi dei trattati di Maastricht, dell’euro \u003Cmark>e\u003C/mark> dell’Unione Europea stanno aprendo le porte a nuovi conflitti su chi debba comandare in questa parte del mondo.\r\nNOTE\r\n\r\n\r\n\t\r\nSi veda a tal proposito l’articolo comparso su Repubblica in data 29 settembre 2015 ”http://www.repubblica.it/economia/2015/09/29/news/european_federation_for_transport_and_environment_aisbl-123861973/?ref=HRER1-1″\r\n\r\n\t\r\nDati tratti da Mattia Eccheli, Produzione auto 2014, il nuovo record. Ecco come cambia il mappamondo industriale, il Fatto Quotidiano 15 aprile 2015\r\n\r\n\t\r\nSi veda la prima puntata di Vae Victis Germania, Sulla loro pelle, Carmillaonline del 16 settembre 2015\r\n\r\n\t\r\nIl gradiente di intensità economica mette in relazione il reddito pro-capite per abitante con la densità di popolazione di una certa area \u003Cmark>e\u003C/mark> le aree non sono costituite da “nazioni”, ma da regioni particolari di un continente o di un singolo stato. Possiamo così andare da meno di 100 dollari per kmq nelle regioni più povere o meno popolate (1 abitante per kmq) fino a più di 100 milioni di dollari per kmq nelle grandi regioni urbane egemoni\r\n\r\n\t\r\nCosta Atlantica, Valle dell’Ohio, Grandi Laghi \u003Cmark>e\u003C/mark> Florida: il 13% del territori statunitense sul quale si addensava il 58% della popolazione ei 2/3 delle attività industriali \u003Cmark>e\u003C/mark> terziarie\r\n\r\n\t\r\nTutti i dati economico-geografici fin qui esposti sono stati tratti o dedotti, nel corso di ricerche condotte negli anni ’90, dalle opere di Roberto Mainardi, allora docente di Geografia umana presso la Facoltà di Lettere dell’Università Statale di Milano \u003Cmark>e\u003C/mark> Geografia economica all’Istituto per la formazione al giornalismo della Regione Lombardia: L’Europa germanica. Una prospettiva \u003Cmark>geopolitica\u003C/mark>, La Nuova Italia Scientifica 1992; Geografia regionale, La Nuova Italia Scientifica 1994; Geografia generale, la Nuova Italia Scientifica 1995; L’Italia delle regioni. Il Nord \u003Cmark>e\u003C/mark> la Padania, Bruno Mondadori 1998\r\n\r\n\t\r\nCome ben dimostrano le ”macerie“ ambientali, ideologiche, architettoniche ed industriali di una larga parte della Pianura Padana, così come \u003Cmark>è\u003C/mark> ben documentato nel magnifico Atlante dei classici padani di Filippo Minelli \u003Cmark>e\u003C/mark> Emanuele Galesi, Krisis Publishing, Brescia 2015 ( di prossima recensione su Carmillaonline)\r\n\r\n\t\r\nAd esempio in Bollicine, Carmillaonline del 21 novembre 2011\r\n\r\n\t\r\nNon \u003Cmark>è\u003C/mark> certo un caso che sia stato proprio il capitale tedesco ad impadronirsi di una parte significativa di “gioielli” dismessi dell’industria italiana. Non a caso dal 2010 a oggi il 55% delle circa 50 operazioni “Germania su Italia” ha riguardato il settore industriale.",[174],{"field":99,"matched_tokens":175,"snippet":171,"value":172},[84,71],1733921019166457900,{"best_field_score":178,"best_field_weight":144,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":179,"tokens_matched":94,"typo_prefix_score":46},"2216192507904","1733921019166457969",{"document":181,"highlight":203,"highlights":212,"text_match":217,"text_match_info":218},{"cat_link":182,"category":183,"comment_count":46,"id":184,"is_sticky":46,"permalink":185,"post_author":49,"post_content":186,"post_date":187,"post_excerpt":188,"post_id":184,"post_modified":189,"post_thumbnail":190,"post_thumbnail_html":191,"post_title":192,"post_type":57,"sort_by_date":193,"tag_links":194,"tags":199},[43],[45],"95337","http://radioblackout.org/2025/02/guerra-in-ucraina-i-russi-avanzano-verso-pokrovsk-e-zelensky-offre-alla-nato-la-gioventu-ucraina/","Il presidente ucraino Zelensky, ha dichiarato che l'adesione del suo Paese alla Nato \"sarebbe la garanzia più economica possibile\" per gli alleati occidentali per garantire la sicurezza dell'Ucraina, che può inoltre offrire all'alleanza \"un esercito di 800.000 uomini\". Secondo lui, l'adesione di Kiev alla Nato darebbe una vittoria geopolitica a Donald Trump su Vladimir Putin e costituirebbe anche un vantaggio \"se il presidente Trump decidesse di richiamare le truppe americane dall'estero\". In un'intervista all'agenzia americana Ap, di cui pubblicano stralci l'Ukrainska Pravda e il Kyiv Independent, l'adesione di Kiev alla Nato, anziché esclusa dal tavolo, come vorrebbe Putin, dovrebbe essere proprio al centro dei futuri negoziati di pace . Le garanzie di sicurezza per l'Ucraina alternative alla \"economica\" adesione alla Nato, secondo Zelensky, dovrebbero essere supportate da una quantità sufficiente di armi da parte degli Stati Uniti e dell'Europa, nonché dal sostegno a Kiev nello sviluppo della propria industria della difesa. Zelensky ha quindi detto che \"la proposta francese di schierare forze europee in Ucraina per scoraggiare l'aggressione russa sta prendendo forma, ma restano molti interrogativi sulla struttura di comando e controllo, sul numero delle truppe e sulle loro posizioni\". Non passa giorno senza che leader politici e militari dell’Unione Europea e della NATO non dichiarino pubblicamente che l’unica via d’uscita per la salvezza del continente europeo non possa che essere basata su un drastico potenziamento del comparto militare industriale, sull’incremento della spesa militare e del reclutamento per mettersi al riparo dalla inevitabile minaccia militare, soprattutto convenzionale, del Cremlino. L’adozione di una “mentalità di guerra” è stata recentemente auspicata dal Segretario Generale della NATO, Mark Rutte, e dalla Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen evocando fantasiose minacce d'invasione russa dell'Europa.\r\nIn una recente riunione a porte chiuse presso il Parlamento ucraino, riportata da Ukrainska Pravda, il capo dell’intelligence di difesa ucraina, Kyrylo Budanov, ha espresso preoccupazioni inquietanti. Alla domanda su quanto tempo rimanga all’Ucraina per evitare il collasso, Budanov ha risposto che, senza negoziati seri entro l’estate, potrebbero verificarsi processi pericolosi in grado di minacciare l’esistenza stessa del Paese. Questa dichiarazione si collega direttamente alle continue diserzioni e alla difficoltà dell’esercito ucraino nel mantenere le posizioni attuali. Sul campo i russi stanno stringendo il cerchio attorno a Pokrosk, città che è anche uno snodo logistico che collega est e ovest ucraino, potenzialmente un punto da cui avanzare verso Kiev, in un momento critico per le forze ucraine e forse decisivo per stabilire l’avvio di una fase negoziale o la continuazione della guerra. L’accerchiamento di Pokrovsk metterebbe l’Ucraina in una posizione di ulteriore debolezza in entrambi i casi. I russi sono posizionatii su entrambi i lati della città, arrivati negli ultimi giorni presso la principale linea ferroviaria di accesso da Dnipro, altro importantissimo centro logistico nella parte orientale del paese. A Pokrovsk dei 60.000 abitanti pre-guerra ne sono rimasti poco più di 7.000. È stata chiusa la miniera che negli immediati pressi della città produceva carbone da coke, fondamentale per l’industria siderurgica ucraina, operativa fino all’approssimarsi delle forze russe. Senza questo stabilimento, si stima una riduzione della produzione di acciaio ucraina di oltre la metà, da 7,5 milioni di tonnellate quest’anno a meno di 3 milioni l’anno prossimo, secondo Oleksandr Kalenkov, capo dell’associazione dei produttori di acciaio dell’Ucraina riportato dai media internazionali.\r\nNe parliamo con Francesco Dall'Aglio\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/INFO-03022025-DALLAGLIO.mp3\"][/audio]","3 Febbraio 2025","UCRAINA I RUSSI CIRCONDANO POKROVSK","2025-02-03 16:31:14","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/POKROVSK-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/POKROVSK-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/POKROVSK-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/POKROVSK-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/02/POKROVSK.jpg 960w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","GUERRA IN UCRAINA ,I RUSSI AVANZANO VERSO POKROVSK E ZELENSKY OFFRE ALLA NATO LA GIOVENTU' UCRAINA.",1738600274,[195,196,197,198],"http://radioblackout.org/tag/guerra-in-ucraina/","http://radioblackout.org/tag/nato/","http://radioblackout.org/tag/pokrovsk/","http://radioblackout.org/tag/zelensky/",[200,201,202,23],"guerra in ucraina","nato","POKROVSK",{"post_content":204,"post_title":208},{"matched_tokens":205,"snippet":206,"value":207},[85,71],"alla Nato darebbe una vittoria \u003Cmark>geopolitica\u003C/mark> a Donald Trump su Vladimir Putin \u003Cmark>e\u003C/mark> costituirebbe anche un vantaggio \"se","Il presidente ucraino Zelensky, ha dichiarato che l'adesione del suo Paese alla Nato \"sarebbe la garanzia più economica possibile\" per gli alleati occidentali per garantire la sicurezza dell'Ucraina, che può inoltre offrire all'alleanza \"un esercito di 800.000 uomini\". 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L'asse tra questi paesi che qualcuno definisce ancora come \"emergenti\" è quello sul quale ruota tanta parte dell'economia a livello mondiale. Durante il vertice svoltosi in marzo a Durban hanno raggiunto un’intesa per la creazione di una banca di sviluppo per il finanziamento congiunto di grandi progetti infrastrutturali. Lo ha annunciato, a margine del vertice, il ministro sudafricano delle Finanze Pravin Gordhan. I BRICS rappresentano un quarto del Prodotto Interno Lordo (Pil) del pianeta, il 43% della popolazione, riserve in valuta pregiata per 4.400 miliardi di dollari. Cifre impressionanti per i cinque paesi che stanno spostando a sud l'asse economico e, in prospettiva, anche militare, del mondo.\r\nUn fatto del quale Stati Uniti e, soprattutto Europa, non colgono sino in fondo la portata. 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La Cina e l’India in particolare, mirano ad estendere la propria influenza su nuovi territori che possano fornire cibo, energia, acqua pulita e materie prime per la loro crescente industria manifatturiera.\r\nLa penetrazione della Cina in Africa è tale da mettere in discussione l'egemonia, in reciproca competizione, delle potenza dell'occidente post coloniale.\r\nLa creazione della banca BRICS muta la scena economica e geopolitica mondiale. 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