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L’Isis, nonostante la sconfitta del Califfato nato tra Siria e Iraq, continua ad essere forte nel Caucaso, nel cosiddetto Khorasan e in Africa. La Russia ha avuto un ruolo importante nella sconfitta del Califfato garantendo il proprio costante appoggio al partito nazionalsocialista al governo in Siria, il Baas di Bashar al Hassad.\r\nLe rivendicazioni dell’attentato sia per le indicazioni fornite, sia per i canali i comunicazioni utilizzati rendono del tutto credibile la rivendicazione dell’Isis. Non abbiamo tuttavia elementi che rendano credibile che si tratti dell’Isis-K ossia l’Isis Khorasan e non di altro nucleo della galassia dello Stato Islamico. In ogni caso\r\nPutin, sia per sminuire le scacco subito dalla propria intelligence, sia per buttare altra benzina sul fuoco della guerra in Ucraina, indica il governo di Kiev come possibile complice.\r\nResta il fatto che l’ISIS continua a puntare sulla Jihad per il califfato globale contro infedeli e traditori.\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Giuliano Battiston che da anni si occupa di ISIS. Vi copiamo sotto anche il testo dell’articolo uscito domenica sul Manifesto.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/2024-03-26-battiston-isis.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nIl sanguinoso attentato terroristico è un colpo clamoroso per lo Stato islamico, ma non è così inaspettato. Chi si sorprende che l’obiettivo sia la Russia ha perso di vista da tempo non solo la propaganda dello Stato islamico \"centrale\" e delle sue branche regionali, ma anche le loro attività militari, e deve aver dimenticato un pezzo importante di storia recente.\r\n\r\nSTORIA RECENTE, propaganda e attività militari - così certificano tutti gli studiosi che hanno continuato a occuparsene, anche dopo la caduta del \"Califfato\" edificato in Siria e Iraq e la fisiologica disattenzione dei media - ci dicono che la Russia è un nemico centrale, prioritario. La Russia infedele, ortodossa, la Russia di Putin e delle sue sanguinose guerre in Cecenia, della repressione degli islamisti in Daghestan, in Inguscezia, dentro e fuori i confini della Federazione, la Russia alleata del siriano Bashar al-Assad e che bombarda le roccaforti jihadiste in Siria, o che, più di recente, contribuisce alla campagna contro lo Stato islamico in Mali e Burkina Faso: la Russia come minaccia all’Islam.\r\nPutin, i cui apparati di sicurezza hanno fatto flop, prova ad approfittarne, omettendo di menzionare lo Stato islamico e provando ad attribuire responsabilità agli ucraini. Ma è un inganno.\r\nSi dovrebbe guardare altrove. Alla branca locale dello Stato islamico, la «provincia del Caucaso», o più probabilmente alla «provincia del Khorasan».\r\n\r\nIL NOME RIMANDA, come in molta pubblicistica jihadista, ai gloriosi tempi andati, al Khorasan storico, un’ampia area che copriva gli attuali Iran, Afghanistan e parte dell’Asia centrale. Formata da militanti perlopiù pachistani ma anche centroasiatici e arabi nell’area di confine tra Afghanistan e Pakistan tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015, la «provincia del Khorasan» ha subito la repressione contestuale del governo afghano, degli americani che lo sostenevano e dei Talebani, quando questi ultimi facevano ancora la guerra alla Repubblica collassata nel 2021 e avevano capito che quei jihadisti erano una minaccia al loro monopolio. Ma anche un’opportunità di avvicinamento ai nemici americani.\r\nNon è un caso che la caduta della principale roccaforte dello Stato islamico in Afghanistan, la valle di Mamand, nel distretto di Achin, nella provincia orientale di Nangarhar, lì dove l’allora presidente Usa Donald Trump il 13 aprile 2017 aveva fatto sganciare la più potente bomba non nucleare mai usata in combattimento (11 tonnellate su un complesso di tunnel e cave usati dal Khorasan), sia avvenuta nel no- vembre 2019. 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E lo sguardo pruriginoso dei media occidentali sulle guerrigliere curde.\r\n“Donne vendute al bazar per cinque dollari. Esposte come buoi, con il cartellino del prezzo al collo, condannate a essere oggetto sessuali per i militari dell’Isis: schiave del Califfato”. È la denuncia di Nursel Kilic, rappresentante internazionale del Movimento delle donne Curde. “Secondo le stime ufficiali le donne rapite e vendute nei bazar sono 3,000, in realtà sono molte di più. 1200 poi giacciono nelle prigioni nella zona di Mosul e lì vengono violentate, torturate, subiscono ogni genere di violenza.”\r\n\"Il genocidio in atto colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e la libertà delle donne. Come è già avvenuto in altri recenti conflitti, dal Kosovo al Rwanda, le pratiche di genocidio includono atti sempre più visibili ed estesi di violenza nei confronti delle donne come gruppo. 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Barbara Spinelli\r\nUno straordinario esperimento di comunità altra che da più di due anni il popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria – sta portando avanti, liberando il proprio territorio e sperimentando una vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal basso, l'uguaglianza tra uomini e donne e il rispetto dell'ambiente.\r\nLa carta del Rojava è un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza e di «ricerca di un equilibrio ecologico». Nel Rojava il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. E l’autogoverno, pur tra mille contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. 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