","Torino. Una Combo traballante","post",1580215291,[57,58,59,60,61],"http://radioblackout.org/tag/combo/","http://radioblackout.org/tag/gentrification/","http://radioblackout.org/tag/mercato-centrale/","http://radioblackout.org/tag/porta-palazzo/","http://radioblackout.org/tag/torino/",[14,63,28,24,64],"gentrification","torino",{"post_content":66,"post_title":73},{"matched_tokens":67,"snippet":71,"value":72},[68,69,70],"una","grande","e","questo si aggiunge l'Atlas Room, \u003Cmark>una\u003C/mark> \u003Cmark>grande\u003C/mark> sala rilassante \u003Cmark>e\u003C/mark> insonorizzata in cui organizzare proiezioni","Il 16 gennaio a Porta Palazzo ha aperto Combo, un ostello di charme per i giovani turisti in viaggio per \u003Cmark>la\u003C/mark> Torino gentrificata.\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> presentazione del nuovo Ostello ci racconta bene il senso dell’operazione:\r\n“Scegliere un quartiere significa sposare un’idea di comunità \u003Cmark>e\u003C/mark> di \u003Cmark>bellezza\u003C/mark>. Scoprire l’antica caserma dei pompieri di Porta Palazzo a Torino \u003Cmark>è\u003C/mark> stato un vero \u003Cmark>e\u003C/mark> proprio colpo di fulmine. Un edificio imponente ma in armonia con il contesto urbano, magnetico \u003Cmark>e\u003C/mark> al tempo stesso aperto al mondo, in cui estetica postindustriale, energie multietniche \u003Cmark>e\u003C/mark> identità locale si incontrano \u003Cmark>e\u003C/mark> si fondono. Il tutto a pochi passi dal più \u003Cmark>grande\u003C/mark> mercato d’Europa, nel cuore di \u003Cmark>una\u003C/mark> delle città più sofisticate \u003Cmark>e\u003C/mark> imprevedibili d’Italia.”\r\nUn pizzico di colore, un tantinello di pura invenzione per attrarre \u003Cmark>una\u003C/mark> clientela giovane \u003Cmark>e\u003C/mark> giovanilista, creativa \u003Cmark>e\u003C/mark> sofisticata.\r\n\r\nL’ostello \u003Cmark>è\u003C/mark> il cuore di un meccano sociale, \u003Cmark>una\u003C/mark> “combo” commerciale dove l’immagine \u003Cmark>è\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> merce di maggior pregio.\r\nSempre dalla presentazione: “Con i suoi oltre 5000 metri quadri, Combo a Torino \u003Cmark>è\u003C/mark> molto più di un ostello: \u003Cmark>è\u003C/mark> un ristorante, \u003Cmark>una\u003C/mark> radio, uno shop, spazi pensati per le esigenze \u003Cmark>e\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> curiosità di chi viaggia \u003Cmark>e\u003C/mark> di chi resta. A tutto questo si aggiunge l'Atlas Room, \u003Cmark>una\u003C/mark> \u003Cmark>grande\u003C/mark> sala rilassante \u003Cmark>e\u003C/mark> insonorizzata in cui organizzare proiezioni ed eventi, \u003Cmark>e\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> Fire Hall, un suggestivo spazio espositivo dai soffitti a volta per ospitare mostre, workshop \u003Cmark>e\u003C/mark> residenze. Combo \u003Cmark>è\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> casa in cui tutto succede, il \u003Cmark>grande\u003C/mark> salotto in cui Torino incontra il mondo.”\r\nLe residenze saranno il fiore all’occhiello: 37 alloggi popolari in \u003Cmark>una\u003C/mark> quartiere dove \u003Cmark>la\u003C/mark> gente che ci vive viene poco a poco allontanata dai fitti che salgono, dalla polizia che moltiplica controlli \u003Cmark>e\u003C/mark> retate, dallo sgombero del Balon dei poveri.\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> sintesi \u003Cmark>la\u003C/mark> fa l’assessore Alberto Sacco, che dichiara che questa “combo” contribuirà a “far tornare i cittadini di Torino a Porta Palazzo”… con buona pace di quelli che ci abitano da sempre. Gente che ha cambiato di nome \u003Cmark>e\u003C/mark> di provenienza tante volte negli ultimi cent’anni, quando questa zona era l’approdo di chi emigrava dalla campagna verso \u003Cmark>la\u003C/mark> città dell’auto.\r\nQuando questo posto si chiamava Porta Pila \u003Cmark>e\u003C/mark> i poveri di prima si mescolavano, a volte a fatica, con quelli che arrivavano dopo.\r\nNon \u003Cmark>è\u003C/mark> detto che i giochi siano fatti. I rumores che provengono da “Mercato Centrale”, botteghe \u003Cmark>e\u003C/mark> ristorantini di tendenza, inaugurato \u003Cmark>la\u003C/mark> scorsa primavera, ci raccontano dell’insoddisfazione degli operatori commerciali.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Giovanni Semi, sociologo, docente all’Università di Torino, studioso di gentrificazione \u003Cmark>e\u003C/mark> turisticizzazione urbana.\r\n\r\nAscolta \u003Cmark>la\u003C/mark> diretta:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/01/2020-01-28-combo-semi.mp3\"][/audio]",{"matched_tokens":74,"snippet":76,"value":76},[75],"Una","Torino. \u003Cmark>Una\u003C/mark> Combo traballante",[78,81],{"field":79,"matched_tokens":80,"snippet":71,"value":72},"post_content",[68,69,70],{"field":82,"matched_tokens":83,"snippet":76,"value":76},"post_title",[75],2889111916041470000,{"best_field_score":86,"best_field_weight":87,"fields_matched":88,"num_tokens_dropped":88,"score":89,"tokens_matched":90,"typo_prefix_score":43},"3324294201344",14,2,"2889111916041470066",5,{"document":92,"highlight":113,"highlights":120,"text_match":84,"text_match_info":123},{"cat_link":93,"category":94,"comment_count":43,"id":95,"is_sticky":43,"permalink":96,"post_author":46,"post_content":97,"post_date":98,"post_excerpt":49,"post_id":95,"post_modified":99,"post_thumbnail":100,"post_thumbnail_html":101,"post_title":102,"post_type":54,"sort_by_date":103,"tag_links":104,"tags":110},[40],[42],"31887","http://radioblackout.org/2015/10/che-cosa-nasconde-lo-scandalo-volkswagen/","Qualche settimana fa i titoli dei Tg, i portali di informazione on-line e le prime pagine dei quotidiani aprivano con la grande notizia della scoperta statunitense dell truffa operata dalla Volkswagen ai danni di centinaia di migliaia (forse milioni) di clienti sul suolo statunitense cui sarebbe stato venduto un motore diesel molto più inquinante dell'annunciato e delle regole che ne permettono la vendita. L'America si scopre infine ecologista (mentre Obama inizia le trivellazioni in Alaska) .\r\nI più accorti han subito sospettato che sotto sotto ci fosse qualcosa di ben più consistente, visto che il target dello scandalo annunciato (scoperta dell'acqua calda per la magguiornaza degli addetti ai lavori) era una delle più grandi produttrici di auto al mondo. Parlare dello scandalo Volkswagen vuol allora dire parlare della guerra commerciale in atto (e forse qualcosa di più) in atto tra stati Uniti e l'Europa a guida tedesca.\r\nNe abbiamo parlato con Sandro Moiso autore di numerosi articoli (qui una raccolta) sul portale Carmilla online e che recentemente si è soffermato su questa vicenda (vedi infra)\r\n\r\nmoiso_wolkswagen\r\nVae Victis Germania / 2: Car Wars\r\ndi Sandro Moiso (http://www.carmillaonline.com)\r\n\r\nQuando l’unica nazione occidentale a non aver ratificato il protocollo di Kyoto sul riscaldamento ambientale denuncia con tanta veemenza i danni per la salute e l’ambiente derivanti dal mancato (e truffaldino) rispetto dei regolamenti USA sull’emissione di gas da parte dei veicoli circolanti c’è da porsi più di una domanda. Si sta parlando, evidentemente, dell’enorme tegola caduta sulla testa di una delle più importanti industrie automobilistiche mondiali, la Volkswagen, dopo la scoperta del raffinatissimo trucco messo in atto da quella azienda per beffare i controlli sugli scarichi delle auto diesel negli Stati Uniti e in Europa.\r\nLo scandalo si è rapidamente propagato nei paesi dell’Unione Europea e tocca, attualmente, la bellezza di 11 milioni di veicoli circolanti. La ditta tedesca ha reagito sostituendo l’AD e scaricando le colpe su un ristretto gruppo (“un piccolo gruppo” come è stato definito) di responsabili tecnici ed amministrativi, mentre Angela Merkel, per allontanare da sé e dal proprio governo qualsiasi ombra di sospetto o connivenza, ha promesso un’inchiesta rigorosa .\r\nFilm già visti ed ampiamente prevedibili, soprattutto da parte di chi sa che i motori che ci vengono presentati, quasi quotidianamente, come innovativi, non inquinanti e a basso consumo non sono altro che una continua riproduzione del vecchio motore a scoppio messo a punto, sul finire dell’Ottocento tra il 1876 e il 1892, da tre tecnici tedeschi (guarda caso la continuità): Otto, Benz e Diesel. Motori che sono cambiati da allora ben poco, mantenendo quasi intatte le loro caratteristiche di alto spreco energetico, elevati consumi, scarso rendimento ed elevate capacità di inquinamento.\r\nCiò che è cambiato fra gli anni ’80 del XIX secolo ed oggi, migliorando rendimento e prestazioni degli autoveicoli, sono le linee aerodinamiche, l’alleggerimento dei materiali e delle strutture portanti, freni, sospensioni e, conseguente, tenuta su strada. Il resto affonda le sue radici negli albori del mezzo di trasporto meno conveniente (e più diffuso) che sia mai stato messo a punto dalla tecnica umana. Si tratta di autentiche carrette, i cui attuali ed “evolutissimi” software non servono ad altro che a truccare i dati e a rendere schiavi dei concessionari gli acquirenti.\r\nQuesto ci può far immaginare che ciò che viene attualmente denunciato a carico della Volkswagen e di altre sue consociate (Audi e Skoda) potrebbe tranquillamente ricadere sulle spalle dell’intero comparto automobilistico mondiale (così come le paurose discese in borsa dei titoli automobilistici, anche non tedeschi, e il rifiuto inglese di varare nuovi tipi di controllo sui motori diesel farebbero pensare)1. Allora, perché tutto questo baccano? Tutte queste “pelose” denunce?\r\nForse il “green capitalism” ha deciso di puntare su un rinnovamento, su scala mondiale, del parco macchine destinato alle classi medio/alte? Forse che i prototipi attualmente circolanti e, guarda caso spesso di origine teutonica, di auto ibride (in a carburanti, in parte elettriche) diverranno il trend dominante nella produzione automobilistica planetaria, così come anche i cinesi cominciano a promettere? O si tratta, più prosaicamente ancora, di qualcosa d’altro?\r\n“Follow the money!” è la formula che funziona sempre e particolarmente in questo caso.\r\nNel 2014 a livello globale sono state prodotti 89,75 milioni di veicoli, il 2,6% in più rispetto al 2013. Di questi, 67,53 milioni erano automobili. La produzione di veicoli a motore nell’ultimo decennio è cresciuta del 34%. Ma, nel 2014, le vendite sono state inferiori alla produzione: sia complessiva (88,16 milioni) sia delle sole auto (64,96 milioni, comunque sempre quasi due milioni in più rispetto all’anno precedente).\r\nLa Cina si è confermata come il primo produttore al mondo a quota 19,9 milioni, mentre l’Asia da sola vale oltre la metà della produzione con più di 39 milioni di auto. Il Giappone supera gli 8,27 milioni, la Corea del Sud i 4,12, l’India i 3,16, l’Indonesia il milione e l’Iran, con un balzo del 46,8%, arriva a 926.000.2 La Germania è il terzo produttore globale dopo Cina e Giappone e naturalmente di gran lunga il primo del Vecchio Continente con 5,6 milioni di autoveicoli.\r\nL’Italia, con 401.317 vetture, è ormai tra i piccoli produttori. Sfornano più auto non solo Regno Unito e Francia, ma anche nazioni come Repubblica Ceca (trascinata dalla crescita di Skoda, altra industria indagata poiché appartenente al gruppo Volkswagen), Slovacchia, Polonia e Belgio. Mentre negli Stati Uniti la produzione copre appena il 55% della domanda, cioè 4,2 milioni a fronte di quasi 7,7 milioni di immatricolazioni. E a tutto ciò va aggiunto che nello stesso anno Toyota (10.230.000 veicoli venduti) è risultata essere al primo posto nella classifica delle vendite, mentre il gruppo Volkswagen (10.140.000) si è aggiudicato il secondo posto.\r\nVogliamo allora parlare di guerra, più ancora che di concorrenza commerciale ed industriale, su scala planetaria? “Guerra” perché, soprattutto nel caso della Germania, attaccare frontalmente, come si è fatto in questi giorni sui mercati e sui media internazionali, un settore fondamentale dell’industria tedesca significa non solo “fare concorrenza” ad un avversario commerciale, ma cercare di ridimensionare il ruolo politico ed economico della Germania in Europa e nel mondo. Il PIL della prima economia industriale d’Europa è il quarto al mondo dopo USA, Cina e Giappone e, nel 2011, l’export tedesco equivaleva al 50% dello stesso e al 7,7% dell’intero export mondiale.\r\nPotenza economica, industriale e scientifica troppo forte e grande per i suoi confini geografici e troppo piccola per il mondo, la Germania si trova ancora una volta a fare i conti con un potenziale produttivo ed economico (il suo) che spaventa, intimorisce ed incanaglisce i suoi più diretti concorrenti in Europa e su scala planetaria. Ai tempi del primo conflitto mondiale la produzione siderurgica tedesca superava quella di Francia e Gran Bretagna messe insieme, oggi quella dell’auto (prodotto di punta, ci piaccia o meno, dell’industria mondiale) domina la produzione occidentale di autoveicoli.\r\nChiusa tra le grandi pianure centro-europee ed asiatiche ad Oriente, il Mar Baltico e del Nord, le Alpi a sud e l’area renana ad ovest, sembra sempre costituire una sorta di nuovo Heartland3 europeo, sempre alla ricerca di espansione politica ed economica, sempre alla ricerca di un mai sopito lebensraum, di cui le esportazioni restano l’anima, la motivazione e il motore che la spingono a superare i propri limiti geografici, economici e politici.\r\nIn quest’area, compresa grosso modo tra l’asse renano ad ovest (il territorio industriale che si sviluppa dalle Alpi svizzere fino al porto di Rotterdam) e l’asse padano a sud (la pianura padana nella sua interezza), vi era all’inizio degli anni ’90 del XX secolo, una delle più grandi concentrazioni di aree urbane e di investimenti capitalistici del mondo. Si fa riferimento agli anni ’90 poiché in quel momento avviene la riunificazione della Germani dell’Ovest con la Germania dell’Est (ottobre 1990) che spingerà, da un lato, verso un maggiore accentramento in chiave tedesca del capitalismo europeo e, dall’altro, ad un risorgere della conflittualità e dello scontro militare sul territorio europeo (le guerre balcaniche che avranno inizio nella primavera-estate del 1991).\r\nLe sei regioni urbane di Londra, Parigi, Anversa-Bruxelles, Ramstadt-Holland, Colonia-Ruhr e Milano costituivano allora i vertici dell’organizzazione territoriale europea con 51 milioni di abitanti e una estensione di 53.000 chilometri quadrati (quasi 1000 abitanti per kmq). Il resto di quell’area forte era costituito da un tessuto connettivo di metropoli minori, regioni di industria diffusa, zone di agricoltura intensiva e zone turistiche con 135 milioni di abitanti.\r\nNelle regioni urbane d’Europa si arrivava ad una concentrazione, dal punto di vista della densità economica,4 di 21 milioni e 200mila dollari per chilometro quadrato, mentre nelle regioni di area a forte tessuto connettivo (meno densamente popolate) si arrivava a 3 milioni e 200mila dollari per kmq. In quello stesso periodo nell’area corrispondente degli Stati Uniti 5 si arrivava nelle grandi regioni urbane ad una densità economica media di 11 milioni e 600mila dollari per kmq e nelle aree forti a tessuto connettivo a 1 milione e 700mila dollari, sempre per kmq.\r\nIn quegli stessi anni l’Europa si classificava al primo posto per la ricchezza prodotta con una media di 6818 miliardi di dollari annui contro i 5900 del Nord America e i 4136 dell’Asia Orientale. Nello stesso tempo l’Europa rappresentava il massimo polo commerciale con ii 28% delle esportazioni mondiali, contro il 20% dell’Area del Pacifico (Giappone, Asia del Sud-Est e Australia) e il 15,5% del Nord America.6\r\nOra, anche se la crisi degli ultimi anni e lo sviluppo cinese hanno fatto sì che rimanessero molti “morti” sul campo di battaglia e che una parte di quel “tesoro” andasse al macero,7 certo è che ci si trovava e, probabilmente, ci si trova tutt’ora, dal punto di vista della ricchezza concentrata, in uno dei cuori del capitalismo mondiale. L’unica area che all’epoca superava la densità economica europea era quella di Tokio-Osaka, dove si arrivava a 39 milioni per chilometro quadrato. Ma questa è un area molto più ridotta, un po’ come se per gli Stati Uniti si prendesse in considerazione la sola New York dove la densità raggiungeva, sempre all’epoca, i 100 milioni di dollari per kmq. Mentre l’attuale “crisi” cinese dimostra, forse, che l’Area del Pacifico o i Brics non sono ancora riusciti a sostituire l’Europa nella capacità di assorbimento delle merci.\r\nUna certa parte di quella ricchezza, negli ultimi 7 – 8 anni è sicuramente transitata di mano e, in particolare, in Europa una parte è passata dalle mani dei privati cittadini alle banche attraverso le politiche di taglio e riduzione della spesa pubblica e del debito oppure grazie all’esplodere dell’autentica bolla speculativa rappresentata dal mercato (gonfiato precedentemente a dismisura) immobiliare, ma certo decidere chi debba organizzare, ristrutturare e re-indirizzare quella ricchezza non è mai stata, tanto meno ora, cosa da poco. Soprattutto, come affermo da tempo proprio qui su Carmilla,8 nella competizione tra imperialismi finanziari e non.\r\nDovrebbe risultare chiaro quindi, anche al lettore distratto, che lo scontro in atto da tempo in Europa riguarda proprio due differenti concezioni dell’utilizzo del capitale della manodopera, unite soltanto dalla comune volontà di soffocare e ridurre al silenzio qualsiasi tentativo di migliorare o anche solo salvaguardare i diritti dei lavoratori e le loro rappresentanze politiche o sindacali (ammesso e non concesso che esistano ancora) oppure di recuperare violentemente i risparmi di milioni di cittadini non “adeguatamente” messi a profitto.\r\nDue modalità cui si è accennato già nella prima puntata di questa serie di articoli: una più disinibita, per così dire, e più avvoltoiesca nel colpire, spostare, re-indirizzare e reinvestire anche con grandi rischi i capitali presenti nelle banche, nelle tasche dei cittadini oppure investiti precedentemente nella spesa pubblica e nello Stato sociale, per affrettare i tempi di rotazione degli stessi cercando di passare sempre meno attraverso l’investimento industriale diretto. Il modello finanziario anglo-americano per intenderci.\r\nL’altra, più ferrea e determinata nel sua volontà di controllo, ma più “vecchia” nella forma (la sostanza non cambia poiché si tratta di incrementare convenientemente il capitale investito o riutilizzato) che attraverso il controllo delle banche, del mercato del lavoro e delle leggi che lo regolamentano e della spesa pubblica cerca di rilanciare costantemente la produzione e il consumo delle merci, impadronendosi di aziende,9 occupando spazi di mercato e, talvolta, giocando sui prestiti come strumento per incrementare le esportazioni verso paesi “debitori”.\r\nE questo potrebbe spiegare anche la diversità di strategie tra Germania e Fondo Monetario Internazionale, per esempio nei confronti della Grecia: mentre il secondo gioca essnzialmente sul debito pubblico e sui titoli pubblici come fonte di rendita-capestro di carattere finaziario e può transigere su un allungamento dei tempi di rientro dei prestiti (semplificando: più a lungo i debitori pagano gli interessi sul prestito, anche se bassi , meglio è), la prima tende a voler recuperare un prestito che se non è utilizzato per finanziare produzione e commercio è ai suoi occhi sostanzialmente inutile e pernicioso.\r\nDa qui lo scontro con Draghi della Banca centrale tedesco e l’autoritarismo di Wolfang Schäuble, il Ministro delle finanze di questo secondo governo Merkel. Ma da qui anche l’attacco alle esportazioni tedesche, vera anima del capitalismo prussiano, attraverso l’attacco al gruppo Volkswagen. Di cui si è fatto simbolicamente protagonista anche Papa Francesco attraverso l’uso, tutt’altro che umile e dimesso, di una 500L prodotta dal gruppo Fiat – Chrysler, durante il recente viaggio negli Stati Uniti. Quel FCA Group che sembra essere un po’ il capofila dell’attacco alla Germania, mentre la crisi dei trattati di Maastricht, dell’euro e dell’Unione Europea stanno aprendo le porte a nuovi conflitti su chi debba comandare in questa parte del mondo.\r\nNOTE\r\n\r\n\r\n\t\r\nSi veda a tal proposito l’articolo comparso su Repubblica in data 29 settembre 2015 ”http://www.repubblica.it/economia/2015/09/29/news/european_federation_for_transport_and_environment_aisbl-123861973/?ref=HRER1-1″\r\n\r\n\t\r\nDati tratti da Mattia Eccheli, Produzione auto 2014, il nuovo record. Ecco come cambia il mappamondo industriale, il Fatto Quotidiano 15 aprile 2015\r\n\r\n\t\r\nSi veda la prima puntata di Vae Victis Germania, Sulla loro pelle, Carmillaonline del 16 settembre 2015\r\n\r\n\t\r\nIl gradiente di intensità economica mette in relazione il reddito pro-capite per abitante con la densità di popolazione di una certa area e le aree non sono costituite da “nazioni”, ma da regioni particolari di un continente o di un singolo stato. Possiamo così andare da meno di 100 dollari per kmq nelle regioni più povere o meno popolate (1 abitante per kmq) fino a più di 100 milioni di dollari per kmq nelle grandi regioni urbane egemoni\r\n\r\n\t\r\nCosta Atlantica, Valle dell’Ohio, Grandi Laghi e Florida: il 13% del territori statunitense sul quale si addensava il 58% della popolazione ei 2/3 delle attività industriali e terziarie\r\n\r\n\t\r\nTutti i dati economico-geografici fin qui esposti sono stati tratti o dedotti, nel corso di ricerche condotte negli anni ’90, dalle opere di Roberto Mainardi, allora docente di Geografia umana presso la Facoltà di Lettere dell’Università Statale di Milano e Geografia economica all’Istituto per la formazione al giornalismo della Regione Lombardia: L’Europa germanica. Una prospettiva geopolitica, La Nuova Italia Scientifica 1992; Geografia regionale, La Nuova Italia Scientifica 1994; Geografia generale, la Nuova Italia Scientifica 1995; L’Italia delle regioni. Il Nord e la Padania, Bruno Mondadori 1998\r\n\r\n\t\r\nCome ben dimostrano le ”macerie“ ambientali, ideologiche, architettoniche ed industriali di una larga parte della Pianura Padana, così come è ben documentato nel magnifico Atlante dei classici padani di Filippo Minelli e Emanuele Galesi, Krisis Publishing, Brescia 2015 ( di prossima recensione su Carmillaonline)\r\n\r\n\t\r\nAd esempio in Bollicine, Carmillaonline del 21 novembre 2011\r\n\r\n\t\r\nNon è certo un caso che sia stato proprio il capitale tedesco ad impadronirsi di una parte significativa di “gioielli” dismessi dell’industria italiana. Non a caso dal 2010 a oggi il 55% delle circa 50 operazioni “Germania su Italia” ha riguardato il settore industriale.","14 Ottobre 2015","2015-10-16 12:03:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/10/papa-car-wars-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"256\" height=\"183\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/10/papa-car-wars.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","Che cosa nasconde lo scandalo Volkswagen?",1444867113,[105,106,107,108,109],"http://radioblackout.org/tag/crisi/","http://radioblackout.org/tag/germania/","http://radioblackout.org/tag/guerra-commerciale/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/","http://radioblackout.org/tag/volkswagen/",[12,111,30,112,22],"germania","Stati Uniti",{"post_content":114},{"matched_tokens":115,"snippet":118,"value":119},[70,116,117],"la","bellezza","propagato nei paesi dell’Unione Europea \u003Cmark>e\u003C/mark> tocca, attualmente, \u003Cmark>la\u003C/mark> \u003Cmark>bellezza\u003C/mark> di 11 milioni di veicoli","Qualche settimana fa i titoli dei Tg, i portali di informazione on-line \u003Cmark>e\u003C/mark> le prime pagine dei quotidiani aprivano con \u003Cmark>la\u003C/mark> \u003Cmark>grande\u003C/mark> notizia della scoperta statunitense dell truffa operata dalla Volkswagen ai danni di centinaia di migliaia (forse milioni) di clienti sul suolo statunitense cui sarebbe stato venduto un motore diesel molto più inquinante dell'annunciato \u003Cmark>e\u003C/mark> delle regole che ne permettono \u003Cmark>la\u003C/mark> vendita. L'America si scopre infine ecologista (mentre Obama inizia le trivellazioni in Alaska) .\r\nI più accorti han subito sospettato che sotto sotto ci fosse qualcosa di ben più consistente, visto che il target dello scandalo annunciato (scoperta dell'acqua calda per \u003Cmark>la\u003C/mark> magguiornaza degli addetti ai lavori) era \u003Cmark>una\u003C/mark> delle più grandi produttrici di auto al mondo. Parlare dello scandalo Volkswagen vuol allora dire parlare della guerra commerciale in atto (\u003Cmark>e\u003C/mark> forse qualcosa di più) in atto tra stati Uniti \u003Cmark>e\u003C/mark> l'Europa a guida tedesca.\r\nNe abbiamo parlato con Sandro Moiso autore di numerosi articoli (qui \u003Cmark>una\u003C/mark> raccolta) sul portale Carmilla online \u003Cmark>e\u003C/mark> che recentemente si \u003Cmark>è\u003C/mark> soffermato su questa vicenda (vedi infra)\r\n\r\nmoiso_wolkswagen\r\nVae Victis Germania / 2: Car Wars\r\ndi Sandro Moiso (http://www.carmillaonline.com)\r\n\r\nQuando l’unica nazione occidentale a non aver ratificato il protocollo di Kyoto sul riscaldamento ambientale denuncia con tanta veemenza i danni per \u003Cmark>la\u003C/mark> salute \u003Cmark>e\u003C/mark> l’ambiente derivanti dal mancato (\u003Cmark>e\u003C/mark> truffaldino) rispetto dei regolamenti USA sull’emissione di gas da parte dei veicoli circolanti c’è da porsi più di \u003Cmark>una\u003C/mark> domanda. Si sta parlando, evidentemente, dell’enorme tegola caduta sulla testa di \u003Cmark>una\u003C/mark> delle più importanti industrie automobilistiche mondiali, \u003Cmark>la\u003C/mark> Volkswagen, dopo \u003Cmark>la\u003C/mark> scoperta del raffinatissimo trucco messo in atto da quella azienda per beffare i controlli sugli scarichi delle auto diesel negli Stati Uniti \u003Cmark>e\u003C/mark> in Europa.\r\nLo scandalo si \u003Cmark>è\u003C/mark> rapidamente propagato nei paesi dell’Unione Europea \u003Cmark>e\u003C/mark> tocca, attualmente, \u003Cmark>la\u003C/mark> \u003Cmark>bellezza\u003C/mark> di 11 milioni di veicoli circolanti. \u003Cmark>La\u003C/mark> ditta tedesca ha reagito sostituendo l’AD \u003Cmark>e\u003C/mark> scaricando le colpe su un ristretto gruppo (“un piccolo gruppo” come \u003Cmark>è\u003C/mark> stato definito) di responsabili tecnici ed amministrativi, mentre Angela Merkel, per allontanare da sé \u003Cmark>e\u003C/mark> dal proprio governo qualsiasi ombra di sospetto o connivenza, ha promesso un’inchiesta rigorosa .\r\nFilm già visti ed ampiamente prevedibili, soprattutto da parte di chi sa che i motori che ci vengono presentati, quasi quotidianamente, come innovativi, non inquinanti \u003Cmark>e\u003C/mark> a basso consumo non sono altro che \u003Cmark>una\u003C/mark> continua riproduzione del vecchio motore a scoppio messo a punto, sul finire dell’Ottocento tra il 1876 \u003Cmark>e\u003C/mark> il 1892, da tre tecnici tedeschi (guarda caso \u003Cmark>la\u003C/mark> continuità): Otto, Benz \u003Cmark>e\u003C/mark> Diesel. Motori che sono cambiati da allora ben poco, mantenendo quasi intatte le loro caratteristiche di alto spreco energetico, elevati consumi, scarso rendimento ed elevate capacità di inquinamento.\r\nCiò che \u003Cmark>è\u003C/mark> cambiato fra gli anni ’80 del XIX secolo ed oggi, migliorando rendimento \u003Cmark>e\u003C/mark> prestazioni degli autoveicoli, sono le linee aerodinamiche, l’alleggerimento dei materiali \u003Cmark>e\u003C/mark> delle strutture portanti, freni, sospensioni \u003Cmark>e\u003C/mark>, conseguente, tenuta su strada. Il resto affonda le sue radici negli albori del mezzo di trasporto meno conveniente (\u003Cmark>e\u003C/mark> più diffuso) che sia mai stato messo a punto dalla tecnica umana. Si tratta di autentiche carrette, i cui attuali ed “evolutissimi” software non servono ad altro che a truccare i dati \u003Cmark>e\u003C/mark> a rendere schiavi dei concessionari gli acquirenti.\r\nQuesto ci può far immaginare che ciò che viene attualmente denunciato a carico della Volkswagen \u003Cmark>e\u003C/mark> di altre sue consociate (Audi \u003Cmark>e\u003C/mark> Skoda) potrebbe tranquillamente ricadere sulle spalle dell’intero comparto automobilistico mondiale (così come le paurose discese in borsa dei titoli automobilistici, anche non tedeschi, \u003Cmark>e\u003C/mark> il rifiuto inglese di varare nuovi tipi di controllo sui motori diesel farebbero pensare)1. Allora, perché tutto questo baccano? Tutte queste “pelose” denunce?\r\nForse il “green capitalism” ha deciso di puntare su un rinnovamento, su scala mondiale, del parco macchine destinato alle classi medio/alte? Forse che i prototipi attualmente circolanti \u003Cmark>e\u003C/mark>, guarda caso spesso di origine teutonica, di auto ibride (in a carburanti, in parte elettriche) diverranno il trend dominante nella produzione automobilistica planetaria, così come anche i cinesi cominciano a promettere? O si tratta, più prosaicamente ancora, di qualcosa d’altro?\r\n“Follow the money!” \u003Cmark>è\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> formula che funziona sempre \u003Cmark>e\u003C/mark> particolarmente in questo caso.\r\nNel 2014 a livello globale sono state prodotti 89,75 milioni di veicoli, il 2,6% in più rispetto al 2013. Di questi, 67,53 milioni erano automobili. \u003Cmark>La\u003C/mark> produzione di veicoli a motore nell’ultimo decennio \u003Cmark>è\u003C/mark> cresciuta del 34%. Ma, nel 2014, le vendite sono state inferiori alla produzione: sia complessiva (88,16 milioni) sia delle sole auto (64,96 milioni, comunque sempre quasi due milioni in più rispetto all’anno precedente).\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> Cina si \u003Cmark>è\u003C/mark> confermata come il primo produttore al mondo a quota 19,9 milioni, mentre l’Asia da sola vale oltre \u003Cmark>la\u003C/mark> metà della produzione con più di 39 milioni di auto. Il Giappone supera gli 8,27 milioni, \u003Cmark>la\u003C/mark> Corea del Sud i 4,12, l’India i 3,16, l’Indonesia il milione \u003Cmark>e\u003C/mark> l’Iran, con un balzo del 46,8%, arriva a 926.000.2 \u003Cmark>La\u003C/mark> Germania \u003Cmark>è\u003C/mark> il terzo produttore globale dopo Cina \u003Cmark>e\u003C/mark> Giappone \u003Cmark>e\u003C/mark> naturalmente di gran lunga il primo del Vecchio Continente con 5,6 milioni di autoveicoli.\r\nL’Italia, con 401.317 vetture, \u003Cmark>è\u003C/mark> ormai tra i piccoli produttori. Sfornano più auto non solo Regno Unito \u003Cmark>e\u003C/mark> Francia, ma anche nazioni come Repubblica Ceca (trascinata dalla crescita di Skoda, altra industria indagata poiché appartenente al gruppo Volkswagen), Slovacchia, Polonia \u003Cmark>e\u003C/mark> Belgio. Mentre negli Stati Uniti \u003Cmark>la\u003C/mark> produzione copre appena il 55% della domanda, cioè 4,2 milioni a fronte di quasi 7,7 milioni di immatricolazioni. \u003Cmark>E\u003C/mark> a tutto ciò va aggiunto che nello stesso anno Toyota (10.230.000 veicoli venduti) \u003Cmark>è\u003C/mark> risultata essere al primo posto nella classifica delle vendite, mentre il gruppo Volkswagen (10.140.000) si \u003Cmark>è\u003C/mark> aggiudicato il secondo posto.\r\nVogliamo allora parlare di guerra, più ancora che di concorrenza commerciale ed industriale, su scala planetaria? “Guerra” perché, soprattutto nel caso della Germania, attaccare frontalmente, come si \u003Cmark>è\u003C/mark> fatto in questi giorni sui mercati \u003Cmark>e\u003C/mark> sui media internazionali, un settore fondamentale dell’industria tedesca significa non solo “fare concorrenza” ad un avversario commerciale, ma cercare di ridimensionare il ruolo politico ed economico della Germania in Europa \u003Cmark>e\u003C/mark> nel mondo. Il PIL della prima economia industriale d’Europa \u003Cmark>è\u003C/mark> il quarto al mondo dopo USA, Cina \u003Cmark>e\u003C/mark> Giappone \u003Cmark>e\u003C/mark>, nel 2011, l’export tedesco equivaleva al 50% dello stesso \u003Cmark>e\u003C/mark> al 7,7% dell’intero export mondiale.\r\nPotenza economica, industriale \u003Cmark>e\u003C/mark> scientifica troppo forte \u003Cmark>e\u003C/mark> \u003Cmark>grande\u003C/mark> per i suoi confini geografici \u003Cmark>e\u003C/mark> troppo piccola per il mondo, \u003Cmark>la\u003C/mark> Germania si trova ancora \u003Cmark>una\u003C/mark> volta a fare i conti con un potenziale produttivo ed economico (il suo) che spaventa, intimorisce ed incanaglisce i suoi più diretti concorrenti in Europa \u003Cmark>e\u003C/mark> su scala planetaria. Ai tempi del primo conflitto mondiale \u003Cmark>la\u003C/mark> produzione siderurgica tedesca superava quella di Francia \u003Cmark>e\u003C/mark> Gran Bretagna messe insieme, oggi quella dell’auto (prodotto di punta, ci piaccia o meno, dell’industria mondiale) domina \u003Cmark>la\u003C/mark> produzione occidentale di autoveicoli.\r\nChiusa tra le grandi pianure centro-europee ed asiatiche ad Oriente, il Mar Baltico \u003Cmark>e\u003C/mark> del Nord, le Alpi a sud \u003Cmark>e\u003C/mark> l’area renana ad ovest, sembra sempre costituire \u003Cmark>una\u003C/mark> sorta di nuovo Heartland3 europeo, sempre alla ricerca di espansione politica ed economica, sempre alla ricerca di un mai sopito lebensraum, di cui le esportazioni restano l’anima, \u003Cmark>la\u003C/mark> motivazione \u003Cmark>e\u003C/mark> il motore che \u003Cmark>la\u003C/mark> spingono a superare i propri limiti geografici, economici \u003Cmark>e\u003C/mark> politici.\r\nIn quest’area, compresa grosso modo tra l’asse renano ad ovest (il territorio industriale che si sviluppa dalle Alpi svizzere fino al porto di Rotterdam) \u003Cmark>e\u003C/mark> l’asse padano a sud (\u003Cmark>la\u003C/mark> pianura padana nella sua interezza), vi era all’inizio degli anni ’90 del XX secolo, \u003Cmark>una\u003C/mark> delle più grandi concentrazioni di aree urbane \u003Cmark>e\u003C/mark> di investimenti capitalistici del mondo. Si fa riferimento agli anni ’90 poiché in quel momento avviene \u003Cmark>la\u003C/mark> riunificazione della Germani dell’Ovest con \u003Cmark>la\u003C/mark> Germania dell’Est (ottobre 1990) che spingerà, da un lato, verso un maggiore accentramento in chiave tedesca del capitalismo europeo \u003Cmark>e\u003C/mark>, dall’altro, ad un risorgere della conflittualità \u003Cmark>e\u003C/mark> dello scontro militare sul territorio europeo (le guerre balcaniche che avranno inizio nella primavera-estate del 1991).\r\nLe sei regioni urbane di Londra, Parigi, Anversa-Bruxelles, Ramstadt-Holland, Colonia-Ruhr \u003Cmark>e\u003C/mark> Milano costituivano allora i vertici dell’organizzazione territoriale europea con 51 milioni di abitanti \u003Cmark>e\u003C/mark> \u003Cmark>una\u003C/mark> estensione di 53.000 chilometri quadrati (quasi 1000 abitanti per kmq). Il resto di quell’area forte era costituito da un tessuto connettivo di metropoli minori, regioni di industria diffusa, zone di agricoltura intensiva \u003Cmark>e\u003C/mark> zone turistiche con 135 milioni di abitanti.\r\nNelle regioni urbane d’Europa si arrivava ad \u003Cmark>una\u003C/mark> concentrazione, dal punto di vista della densità economica,4 di 21 milioni \u003Cmark>e\u003C/mark> 200mila dollari per chilometro quadrato, mentre nelle regioni di area a forte tessuto connettivo (meno densamente popolate) si arrivava a 3 milioni \u003Cmark>e\u003C/mark> 200mila dollari per kmq. In quello stesso periodo nell’area corrispondente degli Stati Uniti 5 si arrivava nelle grandi regioni urbane ad \u003Cmark>una\u003C/mark> densità economica media di 11 milioni \u003Cmark>e\u003C/mark> 600mila dollari per kmq \u003Cmark>e\u003C/mark> nelle aree forti a tessuto connettivo a 1 milione \u003Cmark>e\u003C/mark> 700mila dollari, sempre per kmq.\r\nIn quegli stessi anni l’Europa si classificava al primo posto per \u003Cmark>la\u003C/mark> ricchezza prodotta con \u003Cmark>una\u003C/mark> media di 6818 miliardi di dollari annui contro i 5900 del Nord America \u003Cmark>e\u003C/mark> i 4136 dell’Asia Orientale. Nello stesso tempo l’Europa rappresentava il massimo polo commerciale con ii 28% delle esportazioni mondiali, contro il 20% dell’Area del Pacifico (Giappone, Asia del Sud-Est \u003Cmark>e\u003C/mark> Australia) \u003Cmark>e\u003C/mark> il 15,5% del Nord America.6\r\nOra, anche se \u003Cmark>la\u003C/mark> crisi degli ultimi anni \u003Cmark>e\u003C/mark> lo sviluppo cinese hanno fatto sì che rimanessero molti “morti” sul campo di battaglia \u003Cmark>e\u003C/mark> che \u003Cmark>una\u003C/mark> parte di quel “tesoro” andasse al macero,7 certo \u003Cmark>è\u003C/mark> che ci si trovava \u003Cmark>e\u003C/mark>, probabilmente, ci si trova tutt’ora, dal punto di vista della ricchezza concentrata, in uno dei cuori del capitalismo mondiale. L’unica area che all’epoca superava \u003Cmark>la\u003C/mark> densità economica europea era quella di Tokio-Osaka, dove si arrivava a 39 milioni per chilometro quadrato. Ma questa \u003Cmark>è\u003C/mark> un area molto più ridotta, un po’ come se per gli Stati Uniti si prendesse in considerazione \u003Cmark>la\u003C/mark> sola New York dove \u003Cmark>la\u003C/mark> densità raggiungeva, sempre all’epoca, i 100 milioni di dollari per kmq. Mentre l’attuale “crisi” cinese dimostra, forse, che l’Area del Pacifico o i Brics non sono ancora riusciti a sostituire l’Europa nella capacità di assorbimento delle merci.\r\n\u003Cmark>Una\u003C/mark> certa parte di quella ricchezza, negli ultimi 7 – 8 anni \u003Cmark>è\u003C/mark> sicuramente transitata di mano \u003Cmark>e\u003C/mark>, in particolare, in Europa \u003Cmark>una\u003C/mark> parte \u003Cmark>è\u003C/mark> passata dalle mani dei privati cittadini alle banche attraverso le politiche di taglio \u003Cmark>e\u003C/mark> riduzione della spesa pubblica \u003Cmark>e\u003C/mark> del debito oppure grazie all’esplodere dell’autentica bolla speculativa rappresentata dal mercato (gonfiato precedentemente a dismisura) immobiliare, ma certo decidere chi debba organizzare, ristrutturare \u003Cmark>e\u003C/mark> re-indirizzare quella ricchezza non \u003Cmark>è\u003C/mark> mai stata, tanto meno ora, cosa da poco. Soprattutto, come affermo da tempo proprio qui su Carmilla,8 nella competizione tra imperialismi finanziari \u003Cmark>e\u003C/mark> non.\r\nDovrebbe risultare chiaro quindi, anche al lettore distratto, che lo scontro in atto da tempo in Europa riguarda proprio due differenti concezioni dell’utilizzo del capitale della manodopera, unite soltanto dalla comune volontà di soffocare \u003Cmark>e\u003C/mark> ridurre al silenzio qualsiasi tentativo di migliorare o anche solo salvaguardare i diritti dei lavoratori \u003Cmark>e\u003C/mark> le loro rappresentanze politiche o sindacali (ammesso \u003Cmark>e\u003C/mark> non concesso che esistano ancora) oppure di recuperare violentemente i risparmi di milioni di cittadini non “adeguatamente” messi a profitto.\r\nDue modalità cui si \u003Cmark>è\u003C/mark> accennato già nella prima puntata di questa serie di articoli: \u003Cmark>una\u003C/mark> più disinibita, per così dire, \u003Cmark>e\u003C/mark> più avvoltoiesca nel colpire, spostare, re-indirizzare \u003Cmark>e\u003C/mark> reinvestire anche con grandi rischi i capitali presenti nelle banche, nelle tasche dei cittadini oppure investiti precedentemente nella spesa pubblica \u003Cmark>e\u003C/mark> nello Stato sociale, per affrettare i tempi di rotazione degli stessi cercando di passare sempre meno attraverso l’investimento industriale diretto. Il modello finanziario anglo-americano per intenderci.\r\nL’altra, più ferrea \u003Cmark>e\u003C/mark> determinata nel sua volontà di controllo, ma più “vecchia” nella forma (\u003Cmark>la\u003C/mark> sostanza non cambia poiché si tratta di incrementare convenientemente il capitale investito o riutilizzato) che attraverso il controllo delle banche, del mercato del lavoro \u003Cmark>e\u003C/mark> delle leggi che lo regolamentano \u003Cmark>e\u003C/mark> della spesa pubblica cerca di rilanciare costantemente \u003Cmark>la\u003C/mark> produzione \u003Cmark>e\u003C/mark> il consumo delle merci, impadronendosi di aziende,9 occupando spazi di mercato \u003Cmark>e\u003C/mark>, talvolta, giocando sui prestiti come strumento per incrementare le esportazioni verso paesi “debitori”.\r\n\u003Cmark>E\u003C/mark> questo potrebbe spiegare anche \u003Cmark>la\u003C/mark> diversità di strategie tra Germania \u003Cmark>e\u003C/mark> Fondo Monetario Internazionale, per esempio nei confronti della Grecia: mentre il secondo gioca essnzialmente sul debito pubblico \u003Cmark>e\u003C/mark> sui titoli pubblici come fonte di rendita-capestro di carattere finaziario \u003Cmark>e\u003C/mark> può transigere su un allungamento dei tempi di rientro dei prestiti (semplificando: più a lungo i debitori pagano gli interessi sul prestito, anche se bassi , meglio \u003Cmark>è\u003C/mark>), \u003Cmark>la\u003C/mark> prima tende a voler recuperare un prestito che se non \u003Cmark>è\u003C/mark> utilizzato per finanziare produzione \u003Cmark>e\u003C/mark> commercio \u003Cmark>è\u003C/mark> ai suoi occhi sostanzialmente inutile \u003Cmark>e\u003C/mark> pernicioso.\r\nDa qui lo scontro con Draghi della Banca centrale tedesco \u003Cmark>e\u003C/mark> l’autoritarismo di Wolfang Schäuble, il Ministro delle finanze di questo secondo governo Merkel. Ma da qui anche l’attacco alle esportazioni tedesche, vera anima del capitalismo prussiano, attraverso l’attacco al gruppo Volkswagen. Di cui si \u003Cmark>è\u003C/mark> fatto simbolicamente protagonista anche Papa Francesco attraverso l’uso, tutt’altro che umile \u003Cmark>e\u003C/mark> dimesso, di \u003Cmark>una\u003C/mark> 500L prodotta dal gruppo Fiat – Chrysler, durante il recente viaggio negli Stati Uniti. Quel FCA Group che sembra essere un po’ il capofila dell’attacco alla Germania, mentre \u003Cmark>la\u003C/mark> crisi dei trattati di Maastricht, dell’euro \u003Cmark>e\u003C/mark> dell’Unione Europea stanno aprendo le porte a nuovi conflitti su chi debba comandare in questa parte del mondo.\r\nNOTE\r\n\r\n\r\n\t\r\nSi veda a tal proposito l’articolo comparso su Repubblica in data 29 settembre 2015 ”http://www.repubblica.it/economia/2015/09/29/news/european_federation_for_transport_and_environment_aisbl-123861973/?ref=HRER1-1″\r\n\r\n\t\r\nDati tratti da Mattia Eccheli, Produzione auto 2014, il nuovo record. Ecco come cambia il mappamondo industriale, il Fatto Quotidiano 15 aprile 2015\r\n\r\n\t\r\nSi veda \u003Cmark>la\u003C/mark> prima puntata di Vae Victis Germania, Sulla loro pelle, Carmillaonline del 16 settembre 2015\r\n\r\n\t\r\nIl gradiente di intensità economica mette in relazione il reddito pro-capite per abitante con \u003Cmark>la\u003C/mark> densità di popolazione di \u003Cmark>una\u003C/mark> certa area \u003Cmark>e\u003C/mark> le aree non sono costituite da “nazioni”, ma da regioni particolari di un continente o di un singolo stato. Possiamo così andare da meno di 100 dollari per kmq nelle regioni più povere o meno popolate (1 abitante per kmq) fino a più di 100 milioni di dollari per kmq nelle grandi regioni urbane egemoni\r\n\r\n\t\r\nCosta Atlantica, Valle dell’Ohio, Grandi Laghi \u003Cmark>e\u003C/mark> Florida: il 13% del territori statunitense sul quale si addensava il 58% della popolazione ei 2/3 delle attività industriali \u003Cmark>e\u003C/mark> terziarie\r\n\r\n\t\r\nTutti i dati economico-geografici fin qui esposti sono stati tratti o dedotti, nel corso di ricerche condotte negli anni ’90, dalle opere di Roberto Mainardi, allora docente di Geografia umana presso \u003Cmark>la\u003C/mark> Facoltà di Lettere dell’Università Statale di Milano \u003Cmark>e\u003C/mark> Geografia economica all’Istituto per \u003Cmark>la\u003C/mark> formazione al giornalismo della Regione Lombardia: L’Europa germanica. \u003Cmark>Una\u003C/mark> prospettiva geopolitica, \u003Cmark>La\u003C/mark> Nuova Italia Scientifica 1992; Geografia regionale, \u003Cmark>La\u003C/mark> Nuova Italia Scientifica 1994; Geografia generale, \u003Cmark>la\u003C/mark> Nuova Italia Scientifica 1995; L’Italia delle regioni. Il Nord \u003Cmark>e\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> Padania, Bruno Mondadori 1998\r\n\r\n\t\r\nCome ben dimostrano le ”macerie“ ambientali, ideologiche, architettoniche ed industriali di \u003Cmark>una\u003C/mark> larga parte della Pianura Padana, così come \u003Cmark>è\u003C/mark> ben documentato nel magnifico Atlante dei classici padani di Filippo Minelli \u003Cmark>e\u003C/mark> Emanuele Galesi, Krisis Publishing, Brescia 2015 ( di prossima recensione su Carmillaonline)\r\n\r\n\t\r\nAd esempio in Bollicine, Carmillaonline del 21 novembre 2011\r\n\r\n\t\r\nNon \u003Cmark>è\u003C/mark> certo un caso che sia stato proprio il capitale tedesco ad impadronirsi di \u003Cmark>una\u003C/mark> parte significativa di “gioielli” dismessi dell’industria italiana. 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Qui però ad essere incarnato non è il mito della lotta tra il bene e il male. Più realisticamente il racconto configura una lotta tra il male e il \"diversamente bene\". Tra il male assoluto e il male relativo. Il narcotraffico da una parte e chi lo combatte mutuandone suo malgrado i modi \"sbrigativi\" dall'altra. Questo può accadere perché il linguaggio cinematografico di intrattenimento ha ormai superato un certo manicheismo per approdare a una mistificazione più sottile che sembra avvicinarci a una verità superiore quando invece ce ne allontana subdolamente, allo stesso modo in cui ha più capacità di irretirti un moderno e democratico quotidiano rispetto a una \"Pravda\" sulla cui impostazione redazionale non potevano sussistere dubbi (nomen omen). Fatta questa pedante premessa, la serie non è affatto male. Posto che non sono all'altezza di darne una valutazione estetica, fuorché apprezzare l'evidenza di una splendida fotografia, ritengo che \"Narcos\" sia una serie che tiene botta per tutte le puntate, che è pensata per proseguire, che si presta senza difficoltà al cosiddetto binge watching - visione continuativa. Per contro ho trovato spesso ridondante se non disturbante la scelta del voice over che è quasi un narratore onnisciente incarnato da un parzialissimo poliziotto della DEA. E qui entriamo nel vivo della critica.\r\n\r\nTrattandosi di una serie che è stata addirittura criticata perché concederebbe troppo al linguaggio del docu-film e che utilizza in alcuni punti materiali di archivio siamo senza dubbio di fronte a una scelta di campo: narrare dal punto di vista di un poliziotto della DEA. Non del potere, non degli Usa e nemmeno delle classi dirigenti colombiane (trattate in verità con una certa indulgenza) ma della DEA. Addirittura in qualche modo contrapponendola alla CIA, che in maniera più diretta incarnerebbe i mali e il doppiogiochismo della politica. La DEA è il \"diversamente bene\". Gioca duro, gioca sporco ma è come noi bravi cittadini. Vuole il bene. Si contrappone alla politica. Siamo di fronte a una lettura paradigmatica. Una mistificazione che caratterizza un'epoca, tanto più in quei paesi (l'Italia è uno di quelli) dove la magistratura e le forze di polizia hanno, tra le altre cose, condotto una dura lotta contro le mafie o le narcomafie. La politica è zozza e lo stato è debole. Non se ne può più della litania dello stato debole di fronte alla criminalità! Ragionamenti simili farebbero rizzare i capelli in testa a grandi studiosi del fenomeno mafioso: Anton Block, Henner Hess... Studiosi cui si rimproverano in genere alcune cose ma che avevano compreso che le mafie venivano consolidandosi contestualmente alla crescita dell'impresa capitalistica e dello Stato.\r\n\r\nPablo Escobar non viene detronizzato in nome della legalità ma per fare posto al cartello di Cali, storicamente legato al grande latifondo colombiano e all'establishment politico conservatore. I corleonesi in Italia vengono distrutti per frammentarne il potere in più centri: più deboli, più controllabili. La cosiddetta war on drugs è una tecnica di governo tra le altre. In taluni casi la più efficace. La storia di Escobar è quella di un bandito sociale - nell'accezione di Hobsbawm - che vendeva droga, aveva organizzato una banda di paramilitari (il MAS) e che voleva fare il presidente della repubblica. La sconfitta di Escobar apre la strada a un ventennio in cui militari e paramilitari sono indistinguibili, la cocaina è la maggiore fonte di reddito del paese e viene commerciata fin dall'ultimo dei funzionari, il potere politico è essenzialmente il prodotto di ingerenze nordamericane, narcotraffico, sfruttamento capitalistico del territorio. Che ci importa sapere quanto la DEA sia stata usata e quanto invece abbia usato quei processi per rafforzarsi? Conta la razionalità politica che presiedeva a determinate scelte e gli obiettivi che perseguiva. La storia è qui impietosa. Escobar avrebbe potuto restare al suo posto se avesse ceduto qualcosa al cambiamento ma fa l'errore di sfidare il potere perché pensa ancora di essere il potere e non vuole vivere all'ombra del potere altrui.\r\n\r\nLa mistificazione può celare in taluni casi un meccanismo mimetico. Occorrono allora molte semplificazioni e un capro espiatorio. Le semplificazioni in \"Narcos\" sono molte quando non sono vere e proprie falsificazioni. Per esempio per l'omicidio di Galan, il campione di una modernità liberale che non arriverà mai a quelle latitudini, è attualmente in galera il diretto antagonista politico di Galan ovvero Santofimio Botero, all'epoca leader di Alternativa Liberal. Sono stati inquisiti i più alti dirigenti di polizia e dell'esercito. Escobar era sicuramente interessato a togliere di mezzo uno che tirava dritto. Ma anche più interessato era quel coacervo di potere e corruttela incarnato dalla tradizionale classe dirigente colombiana: militari, narcotrafficanti, dirigenti politici, latifondisti. In quegli stessi anni, tanto per dire, furono assassinati altri due candidati alla presidenza per la Unión Patriótica: Jaime Pardo Leal nel 1987, e Bernardo Jaramillo nel 1990. La Colombia era scossa da attentati che avevano l'obiettivo di costringere il Parlamento al respingimento della legge sull'estradizione ma anche dai massacri dei guerriglieri, degli indios, dei sindacalisti, di un intero partito politico. Che Escobar fosse il mandante dell'assalto al Palazzo di Giustizia, poi, è una cosa quasi inaudita. Che possa aver finanziato per interessi contingenti l'M19 è cosa da dimostrare ma sarebbe comunque un fatto di tutt'altro ordine. Tra l'altro non ne conseguirebbe in alcun modo la descrizione caricaturale che nella serie viene data di una formazione armata non marxista che aveva strategia e obiettivi politici precisi. Come dicevamo, di semplificazione in semplificazione e di falsificazione in falsificazione si arriva al capro espiatorio: Pablo Escobar, immolato sull'altare di una ricostruzione storica che assolva i vivi e lasci in pace i morti, purché siano usciti vittoriosi dal tritacarne della storia. Siamo di fronte a una narrazione che snobba la carne e il sangue delle vittime del processo storico che griderebbero troppo forte per non complicare il quadro. Così, si può tranquillamente dire che gli Usa abbiano giocato sporco in Colombia; meno agevole è raccontarne i risvolti materiali: i desplazados, le torture, gli omicidi efferati, le fosse comuni. Si può dire che non attenessero alla narrazione ma anche il contrario. Questione di scelte. 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