","Il Paperone che chiuse il Novecento","post",1686675638,[57,58,59,60,61,62],"http://radioblackout.org/tag/berlusconi/","http://radioblackout.org/tag/craxi/","http://radioblackout.org/tag/politica-spettacolo/","http://radioblackout.org/tag/prima-repubblica/","http://radioblackout.org/tag/seconda-repubblica/","http://radioblackout.org/tag/tv-commerciali/",[20,12,30,24,28,22],{"post_content":65},{"matched_tokens":66,"snippet":68,"value":69},[67],"calcio","un nome da tifoso di \u003Cmark>calcio\u003C/mark> “Forza Italia!”. Il suo successo","Funerali di Stato per il l’imprenditore che si prese l’Italia perché tutto cambiasse per far si che tutto restasse come prima.\r\nQuando, nel lontano 1994, l’uomo del cemento e delle TV, decise di “scendere in campo” Berlusconi era il costruttore e uomo delle TV commerciali cresciuto all’ombra di Bettino Craxi, sul quale in quel momento non avrebbe scommesso nessuno. Pochi all’epoca avevano colto che già l’era Craxi, sebbene il suo protagonista fosse irrimediabilmente legato alla prima Repubblica, immerso, sia pure in versione critica, nella dimensione ideologica del Novecento, prefigurava i tempi che venivano. Craxi, in un curioso mixer di culto della personalità e politica come spettacolo, aveva cominciato a traghettare il paese verso l’oltre Novecento che stiamo ancora vivendo.\r\nIn questi giorni Berlusconi è stato definito il primo populista, l’antesignano di Donald Trump: più verosimilmente la sua ispirazione furono i politici statunitensi della sua epoca, in primis, ovviamente, Ronald Reagan, l’attore di B Movie divenuto presidente degli States. Berlusconi seppe cogliere la richiesta populista di rinnovamento dopo che tangentopoli spazzò via la classe politica della Prima Repubblica, facendone collassare sia i principali protagonisti, sia le colonne politiche dei decenni del dopoguerra, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. Il Partito Socialista pagò il prezzo più alto, perché Craxi, era stato il primo ministro meno atlantista della Prima Repubblica.\r\nNel 1994 erano passati solo cinque anni dal crollo del muro di Berlino, un crollo la cui onda lunga era arrivata nell’Italia sempre democristiana, dove il Partito Comunista più forte dell’Europa occidentale aveva sfiorato pochi anni prima il “sorpasso”, che lo avrebbe condotto al potere.\r\nCon Berlusconi diventerà possibile regolare definitivamente i conti non tanto con un Partito Comunista, che già nel 1991, con la svolta della Bolognina era diventato Partito Democratico della Sinistra, ma con i lavoratori e le lavoratrici che negli anni Settanta avevano provato ad invertire di senso alla storia di quegli anni.\r\nBerlusconi, pur avendo prosperato nel fitto sottobosco clientelare della Prima Repubblica, si presenta come l’uomo nuovo, l’imprenditore di successo che si da alla politica per rinnovarla, che fonda un partito-azienda con un nome da tifoso di \u003Cmark>calcio\u003C/mark> “Forza Italia!”. Il suo successo è travolgente. Il PDS, pur solo sfiorato da tangentopoli viene descritto come vecchio. In tutta la sua carriera politica Berlusconi userà la carta dell’anticomunismo nei confronti di un milieu politico che di “comunista” aveva ben poco.\r\nBerlusconi sdogana le destre, alleandosi con la \u003Cmark>Lega\u003C/mark> Nord di Bossi e con gli eredi del fascismo, che, per la prima volta dal dopoguerra, vanno al potere.\r\nIl suo declino è dovuto soprattutto dalla volontà di far di tutto per salvaguardare le proprie imprese. Resta in sella a lungo, nonostante le inchieste giudiziarie, perché riesce a convincere il suo elettorato di essere vittima della magistratura asservita alla sinistra.\r\nBerlusconi fu anche l’uomo del G8 di Genova, dell’assassinio di Carlo Giuliani, del massacro della Diaz, delle torture di Bolzaneto.\r\nNon fece nessuna grande riforma: il suo “merito” principale fu l’aver costruito un nuovo immaginario, quello che ancora oggi segna il difficile presente in cui siamo forzati a vivere.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, un compagno di Milano\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/2023-06-13-berlusca-varengo.mp3\"][/audio]",[71],{"field":72,"matched_tokens":73,"snippet":68,"value":69},"post_content",[67],1155199671761633300,{"best_field_score":76,"best_field_weight":77,"fields_matched":11,"num_tokens_dropped":43,"score":78,"tokens_matched":35,"typo_prefix_score":43},"1112386306048",14,"1155199671761633393",{"document":80,"highlight":102,"highlights":108,"text_match":74,"text_match_info":111},{"cat_link":81,"category":82,"comment_count":43,"id":83,"is_sticky":43,"permalink":84,"post_author":46,"post_content":85,"post_date":86,"post_excerpt":49,"post_id":83,"post_modified":87,"post_thumbnail":88,"post_thumbnail_html":89,"post_title":90,"post_type":54,"sort_by_date":91,"tag_links":92,"tags":99},[40],[42],"28469","http://radioblackout.org/2015/03/le-bugie-di-frontex-e-la-guerra-in-libia/","6 marzo 2015: il neo direttore esecutivo dell’agenzia europea FRONTEX, Fabrice Leggeri, rilascia una intervista all’ANSA in cui dichiara che: “Nel 2015 dobbiamo essere preparati ad affrontare una situazione più difficile dello scorso anno… A seconda delle fonti – spiega – ci viene segnalato che ci sono tra i 500mila ed un milione di migranti pronti a partire dalla Libia”. La notizia rimbalza su tutti i media che le danno grande risalto. Addirittura il TG de La7 (Mentana è sempre molto attento a tutto quello che riguarda immigrazione e terrorismo islamico…) lo spara come prima notizia nell’edizione delle 20. L’allarme immigrati, come quello ISIS, fa audience… Peccato che sia tutto falso.\r\n\r\nLa bufala sparata dal capo di Frontex è talmente evidente che il 7 marzo sul sito del Corriere della Sera appare un articolo che invita il funzionario ad una maggiore prudenza. Il moderato Corriere usa toni tutt’altro che moderati, e una volta tanto condivisibili: “Profetizzare invasioni catastrofiche è una specialità di alcune forze politiche europee. Il Front National in Francia, per esempio, o la Lega Nord in Italia. Nel 2011 anche l’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, dichiarò che l’Europa rischiava di essere sommersa a breve da 1 milione, un milione e mezzo di migranti. Frontex, però, non fa politica, non è un centro studi né un surrogato dei servizi segreti. E allora perché il suo direttore usa un linguaggio da agente in missione speciale? Che cosa significa dire «secondo nostre fonti»? Quali «fonti»? Il vertice di un’agenzia europea non dovrebbe diffondere indiscrezioni, ma dati verificati e quindi utili per le decisioni dei governi”.\r\n\r\nPer demolire le vergognose affermazioni di Leggeri, il Corriere suggerisce di far ricorso al semplice buon senso: un milione di persone in attesa di imbarcarsi vorrebbe dire che in Libia esistono centri di raccolta grandi come 600 campi di calcio gremiti di uomini, donne e bambini. Una stupidaggine.\r\n\r\nMa allora perché fare certe affermazioni?\r\n\r\nLa risposta ci viene data da una notizia molto recente ma passata quasi inosservata sui media. Un’inchiesta televisiva della tv tedesca ARD, andata in onda il 20 febbraio, ci svela una parte delle bugie propagandistiche di Frontex. Ai primi di gennaio l'agenzia aveva diffuso un comunicato sulle “navi fantasma, ossia imbarcazioni senza bandiera, abbandonate dagli scafisti in mezzo al mare, insieme a tutti i passeggeri, il nuovo metodo usato dagli scafisti per portare i migranti in Europa”. La notizia di navi senza bandiera era stata rilanciata da tutti i mass media, italiani e stranieri (solo per fare degli esempi: Corriere della Sera, Il fatto quotidiano, International Business Times, The guardian, The Indipendent). Ebbene i giornalisti di ARD dimostrano che l’informazione era semplicemente… falsa.\r\n\r\nVisto lo stato delle cose, perché Frontex avrebbe mentito ai cittadini e ai media europei? Secondo ARD, il motivo è solo uno: propaganda. La tv tedesca afferma infatti che l’Agenzia europea avrebbe diffuso la falsa notizia, in collaborazione con le guardie costiere europee, per convincere l’opinione pubblica del fatto che i responsabili delle morti in mare sarebbero solo scafisti senza scrupoli. Un modo, insomma, per allontanare le critiche mosse da più parti rispetto alle responsabilità delle istituzioni nazionali e comunitarie nei confronti dei viaggi e delle morti delle persone in fuga dalle guerre.\r\n\r\nI venti di guerra intorno alle frontiere libiche non smettono di soffiare, sebbene l'Italia stia cercando di difendere per procura i propri interessi, appoggiando il governo di Tobruk.\r\nSul fronte dell'immigrazione Renzi sta puntando sull'esternalizzazione della repressione dell'immigrazione clandestina e dell'accoglienza dei profughi. In questi giorni il governo ha lanciato all'UE la proposta di stringere accordi con la Tunisia, il Sudan e il Niger per la realizzazione di \"campi di accoglienza\" per i richiedenti asilo. Di lì, secondo il governo italiano, potranno fare richiesta di asilo nel paese che preferiscono. Improbabile che gli altri paesi dell'UE accettino una proposta che, di fatto, aggira Schengen, che invece prescrive che l'asilo venga richiesto nel primo paese di approdo.\r\nProbabilmente lo scopo reale della proposta è ottenere un ulteriore rafforzamento di Triton. Nel frattempo le navi militari italiane veleggiano al largo della Libia. Ufficialmente per bloccare i rifornimenti all'Isis, in realtà, dopo che l'Isis ha dovuto ritirarsi da Derna, l'unico porto libico caduto sotto il controllo dello stato islamico, si tratta di un chiaro pretesto.\r\nLa presenza in acque libiche di unità militari italiane potrebbe mettere in difficoltà le partenze dei barconi con profughi e migranti.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Maurizio, un compagno che da anni segue le questioni relative alla gestione dei flussi migratori.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2015 03 11 frontex libia","11 Marzo 2015","2015-03-12 12:36:00","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/03/frontex-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"173\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/03/frontex-300x173.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/03/frontex-300x173.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/03/frontex.jpg 400w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Le bugie di Frontex e la guerra in Libia",1426082932,[93,94,95,96,97,98],"http://radioblackout.org/tag/frontex/","http://radioblackout.org/tag/immigrati/","http://radioblackout.org/tag/libia/","http://radioblackout.org/tag/profughi/","http://radioblackout.org/tag/richiedenti-asilo/","http://radioblackout.org/tag/triton/",[100,18,101,16,26,14],"frontex","libia",{"post_content":103},{"matched_tokens":104,"snippet":106,"value":107},[105],"Lega","Francia, per esempio, o la \u003Cmark>Lega\u003C/mark> Nord in Italia. 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Ma non tutto il male vien per nuovere, i nostri eroi riscoprono il dono della sintesi nel riassumere alcuni dei temi trattati: l'importanza della ricerca e sviluppo tecnologico in Israele e i suoi legami con l'apparato militare; come la posizione di primo esportatore di tecnologie di sorveglianza, spionaggio e controllo fornisca al Paese un forte potere politico e diplomatico; come siano portate avanti le operazioni di \"cyber security\" all'interno dei vari corpi militari e di polizia; la storia di NSO, azienda leader nel settore degli spyware e travolta nel tempo da diversi scandali. Riportiamo inoltre due notizie di attualità: di come Israele abbia sfruttato le proprie risorse militari e di intelligence per spiare e minacciare funzionari della corte penale internazionale, in particolare Fatou Bensouda, giurista gambiana ed ex-capo procuratore della corte penale internazionale; di come l'IDF abbia controllato un canale Telgram che pubblicava immagini e video raccapriccianti.\r\n\r\nParliamo anche della lotta che la Lega Calcio ha intrapreso nei confronti del gigante del cloud CloudFlare ma, soprattutto, smarmelliamo sul potente malware firmato \"Cambiare Rotta\". Qui i dettagli promessi.\r\n\r\nCi abbiamo provato a fare i seri, ma Prodi ci ha nuovamente sabotato con una delle sue sedute spiritiche. \r\n\r\n[ scarica la puntata ]","29 Maggio 2024","2024-05-29 16:49:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/israel-cyber-defense-unit-200x110.jpg","StakkaStakka 29 maggio 2024 dal Politecnico occupato - Israele potenza della sorveglianza e Cambiare Rotta con un ransomware","podcast",1717000440,[165,166,167,168,169,170,171],"http://radioblackout.org/tag/cambiare-rotta/","http://radioblackout.org/tag/cloudflare/","http://radioblackout.org/tag/idf/","http://radioblackout.org/tag/israele/","http://radioblackout.org/tag/lega-calcio/","http://radioblackout.org/tag/nso/","http://radioblackout.org/tag/sorveglianza/",[147,140,132,138,114,130,145],{"post_content":174,"tags":179},{"matched_tokens":175,"snippet":177,"value":178},[105,176],"Calcio","anche della lotta che la \u003Cmark>Lega\u003C/mark> \u003Cmark>Calcio\u003C/mark> ha intrapreso nei confronti del","Giornata sfortunata per la ciurma di stakkastakka questo 29 maggio 2024 che si ritrova un podcast dimidiato dai problemi tecnici e scopre che la parte seria della puntata non è stata trasmessa in onda per un celebre \"salto della connessione\" e trasmessa solo tramite le casse nel Politecnico occupato. 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Specie se lo si fa con lo sguardo interessato di chi sceglie un punto di vista di classe, di chi ha l’attitudine alla partecipazione diretta, di chi mira alla costruzione di esperienze di autogoverno territoriale fuori tutela statale, definendo uno spazio e un tempo capaci di attraversare l’immaginario sociale, facendosi pratica concreta.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Pietro e con Stefano, uno di Genova, l'altro di Torino per cercare di capire quello che stava succedendo nelle piazze ed il dibattito che ne era scaturito in città, tra fascinazioni e ripulse.\r\nNe è scaturito un dibatto intenso, sovente intervallato dagli sms dei nostri ascoltatori.\r\nVe lo proponiamo nella sua interezza, auspicando che possa innervare un ulteriore riflessione.\r\nDi seguito anche una nostra valutazione.\r\nBuon ascolto e buona lettura.\r\n\r\nAscolta la diretta con Pietro:\r\n\r\n2013 12 13 pietro 9 dic\r\n\r\ne i commenti arrivati:\r\n\r\n2013 12 13 pietro 9 dic commenti\r\n\r\nAscolta la lunga chiacchierata con Stefano e i commenti arrivati.\r\nPrima parte:\r\n\r\n2013 12 13 stafano parte prima\r\n\r\nSeconda parte:\r\n\r\n2013 12 13 stefano parte seconda\r\n\r\nNella sinistra civilizzata e di governo c’è da decenni un netto disprezzo per l’Italia a cavallo tra Drive in e il presidente operaio e puttaniere. L’Italia che si è affidata per vent’anni ad un partito capace di attuare politiche ultraliberiste, garantendo altresì la sopravvivenza di figure sociali che altrove la globalizzazione ha spazzato via: commercianti, artigiani, padroncini, agricoltori su scala familiare o con pochi dipendenti.\r\n\r\nLa settimana precedente quella del 9 dicembre, il governo, intuendo la miscela esplosiva che si stava preparando, ha concesso tutto quello che volevano alle organizzazioni degli autotrasportatori, mentre la moderatissima Coldiretti ha organizzato la manifestazione al Brennero, dove venivano bloccati e perquisiti i camion con la benedizione del ministro. Dopo i blocchi e le “perquisizioni” sulla A32 durante l’estate No Tav, Alfano ordinò cariche, arresti e l’invio di altri 250 militari in Clarea. Evidentemente questo governo, soprattutto nella sua componente di destra, mira a evitare lo strappo con alcuni dei propri settori sociali di riferimento, concedendo spazi di manovra negati ad altri.\r\nLa sinistra civilizzata, nei brevi periodi in cui è riuscita a saltare in sella al destriero governativo ha garantito la vita facile alla grande industria, facilitando la demolizione mattone su mattone di ogni forma di tutela per il lavoratori dipendenti e collaborando attivamente nella trasformazione di tanti di loro in lavoratori indipendenti ma di fatto subordinati. In tempi di crisi il popolo delle partite IVA si ritrova nella stessa condizione dei mercatari torinesi cui il comune chiede 500 euro al mese per la pulizia dei mercati. A tutti questi si aggiungono i tanti giovani – uno su quattro dicono le statistiche - che non hanno né un lavoro né un percorso formativo. Per non dire dei ragazzi degli istituti professionali che sanno di essere parcheggiati in attesa di disoccupazione.\r\n\r\nNelle piazze torinesi animate dal popolo delle periferie, quello cresciuto tra facebook e il bar sport, si sono ritrovati quelli dei banchi dei mercati, qualche disoccupato, i ragazzi degli istituti professionali.\r\n\r\n Nella sinistra intorno alle giornate di lotta indette dal “coordinamento 9 dicembre” si è sviluppato un dibattito molto ampio, spesso anche aspro.\r\n\r\nDi fronte all’ampiezza della partecipazione, alcuni hanno osservato che era difficile che il mestolo stesse in mano alla destra cittadina. A Torino sia la Destra istituzionale – Fratelli d’Italia – sia chi – come Forza Nuova e Casa Pound - vive nel limbo tra istituzioni e velleità rivoluzionarie – non avrebbero un peso ed una capacità organizzativa tali da poterlo fare.\r\n\r\nUn fatto è certo: nelle piazze di Torino e dintorni i rappresentanti di queste formazioni si sono fatti vedere più volte accolti dagli applausi della gente. Come è certo che buona parte delle tifoserie torinesi, ben presenti nei giorni più caldi, siano ormai da lunghi anni egemonizzate dall’estrema destra. In almeno un caso un esponente di “Alba Dorata” è stato cacciato dal blocco di piazza Derna grazie alla presenza di esponenti di sinistra, che avevano deciso di partecipare all’iniziativa. È tuttavia un caso isolato che non cambia il quadro. Anche la favola dei profughi africani, accolti con un applauso da quelli del “coordinamento 9 dicembre” è stata è stata ampiamente sfatata da resoconti circolati successivamente.\r\nLa questione è comunque mal posta. Qualunque sia stato il peso della destra, nelle sue varie componenti, la domanda vera è un’altra. Il movimento che si è espresso nelle piazze in un garrir di tricolori, inviti alla polizia a fraternizzare, richiami all’unità della nazione contro la casta corrotta e asservita ai diktat dell’Europa delle banche è un movimento di destra o no?\r\nNoi pensiamo di si.\r\n\r\nI resoconti fatti girare dalla sinistra radicale torinese hanno privilegiato l’immagine di piazze ambiguamente acefale: prive di capi, prive di organizzazione, prive di reale comprensione delle ragioni che li avevano condotti lì. Una sorta di creta che chiunque avrebbe potuto plasmare e dirigere. Una descrizione a mio avviso inconsapevolmente intrisa di orgoglio intellettuale e del mai sopito sogno di poter governare o alimentarsi delle jacquerie. Alcuni ne hanno assunto il mero contenuto antisistema, nella vecchia convinzione che il nemico del tuo nemico è un tuo amico. Una mostruosità ideologica che abbiamo visto annegare nel sangue tra Baghdad e Kabul ma sinora non ci aveva toccato da vicino.\r\n\r\nBisogna guardare in faccia la realtà. Una realtà che certo non ci piace, ma il mero desiderio di vederla diversa non si concreta, se non la si sa vedere per quello che è. I protagonisti di questi giorni di blocchi e serrate sono i figli del deserto sociale degli ultimi trent'anni. Gente che credeva di avere ancoraggi e certezze e oggi si trova sospesa sul nulla. \r\nL’analisi della composizione di classe di questo movimento, della sua natura popolare, periferica,perché avvertivamo forte la necessità di capire ed intervenire per poter fermare l’onda lunga di destra che ha messo a loro disposizione un lessico comune, una chiave di lettura ed un orizzonte progettuale.\r\n\r\nSiamo andati nelle piazze e nei bar ad ascoltare e capire il vento che stava cambiando, perché in periferia, tra i mercati e le strade attraversate dai cortei per l'ordine e la legalità, tra la gente che fatica a campare e non vede prospettive, ci siamo da anni. Da anni sappiamo che l'incapacità di parlare con gli italiani poveri, quelli che guardano con simpatia alla destra xenofoba e razzista, quelli che avevano qualcosa e ora hanno solo paura, avrebbe aperto la strada a chi predica il governo forte, la polizia ovunque, la nazione contro la globalizzazione, l'unione degli italiani, sfruttati e sfruttatori contro il grande complotto internazionale delle banche. Oggi lo chiamano signoraggio: non puntano il dito sugli ebrei ma la melodia della canzone è la stessa dagli anni Trenta del secolo scorso. Gli stranieri di seconda generazione che sventolavano il tricolore con i loro colleghi del mercato, sebbene in realtà pochini rispetto la realtà dei banchi, non ci stupiscono: li abbiamo visti inveire contro altri stranieri, ultimi arrivati che “delinquono”. Molti di loro assumono giovani connazionali poveri e li sfruttano senza pietà così come gli italiani doc. Il gioco del capitalismo piace ad ogni latitudine.\r\n\r\nI protagonisti di questi tre/quattro giorni di blocchi e iniziative sono ceti impoveriti e rancorosi: l’Italia delle clientele prima democristiane e socialiste, poi forza italiote, oggi piegata dalla crisi, dalla pressione fiscale, dall’indebolirsi della compagine berlusconiana e della Lega, partiti politici di riferimento per oltre vent’anni.\r\n\r\nIl loro programma – esplicitamente delineato nei volantini tricolori distribuiti in ogni dove – è chiaro: far cadere il governo, sostituirlo con un esecutivo forte e onesto, capace di traghettare l’Italia fuori dall’euro, fuori dall’Europa delle banche, garantendo significative misure protezioniste.\r\nIl tutto all’insegna di una deriva identitaria di segno nazionalista dove la nazione è descritta e vissuta come un corpo sano attaccato da agenti esterni che si ricompone intorno all’alleanza interclassista dei produttori.\r\nQuesto è un programma di destra. Di destra radicale.\r\n\r\nNon sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”. La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.\r\n\r\nÈ ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c'è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.\r\n\r\nIn questo “tutti a casa” c'è chi ha sentito l'eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell'istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.\r\n\r\nSappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.\r\nL’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all'eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. \r\n\r\nNell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.\r\n\r\nL’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.\r\n\r\nVedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.\r\n\r\nArticolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà e lotta con gli altri settori popolari.\r\n\r\n Se poi l'immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l'orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.\r\n\r\nA Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.\r\n\r\n Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell'andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.\r\nQuando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da calcio ma all'eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.\r\nChi a sinistra sottovaluta l'importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l'autunno ed il più gelido degli inverni.\r\nChi frequenta i bar di periferia sa che sesso, calcio, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l'idea che “così va il mondo”. Talora capita che qualcuno si lasci andare a dichiarazioni roboanti, all'insegna del fuoco e dello spaccar tutto. Poi il bar chiude e la rivoluzione dei rivoluzionari dell'aperitivo viene rimandata al giorno successivo.\r\n\r\nSe capita che quelli del bar sport escano davvero in strada è un segnale che sarebbe miope non vedere. Ma sarebbe ancora più miope leggere la realtà con gli occhi tristi degli orfani del soggetto sociale.\r\n\r\nQualcuno a Torino ha scritto che bisogna affondare le mani nella merda perché dai diamanti dell'ideologia non nasce nulla. Siamo d'accordo. Purché non ci si illuda che fare a mattonate contro la polizia tra chi sventola tricolori possa essere il grimaldello che apre il vaso di Pandora dei propri desideri.","17 Dicembre 2013","2018-10-17 22:59:36","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/12/torino-piazza-castello-9-dic-200x110.jpg","Forconi a Torino. 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L’Italia che si è affidata per vent’anni ad un partito capace di attuare politiche ultraliberiste, garantendo altresì la sopravvivenza di figure sociali che altrove la globalizzazione ha spazzato via: commercianti, artigiani, padroncini, agricoltori su scala familiare o con pochi dipendenti.\r\n\r\nLa settimana precedente quella del 9 dicembre, il governo, intuendo la miscela esplosiva che si stava preparando, ha concesso tutto quello che volevano alle organizzazioni degli autotrasportatori, mentre la moderatissima Coldiretti ha organizzato la manifestazione al Brennero, dove venivano bloccati e perquisiti i camion con la benedizione del ministro. Dopo i blocchi e le “perquisizioni” sulla A32 durante l’estate No Tav, Alfano ordinò cariche, arresti e l’invio di altri 250 militari in Clarea. Evidentemente questo governo, soprattutto nella sua componente di destra, mira a evitare lo strappo con alcuni dei propri settori sociali di riferimento, concedendo spazi di manovra negati ad altri.\r\nLa sinistra civilizzata, nei brevi periodi in cui è riuscita a saltare in sella al destriero governativo ha garantito la vita facile alla grande industria, facilitando la demolizione mattone su mattone di ogni forma di tutela per il lavoratori dipendenti e collaborando attivamente nella trasformazione di tanti di loro in lavoratori indipendenti ma di fatto subordinati. In tempi di crisi il popolo delle partite IVA si ritrova nella stessa condizione dei mercatari torinesi cui il comune chiede 500 euro al mese per la pulizia dei mercati. A tutti questi si aggiungono i tanti giovani – uno su quattro dicono le statistiche - che non hanno né un lavoro né un percorso formativo. Per non dire dei ragazzi degli istituti professionali che sanno di essere parcheggiati in attesa di disoccupazione.\r\n\r\nNelle piazze torinesi animate dal popolo delle periferie, quello cresciuto tra facebook e il bar sport, si sono ritrovati quelli dei banchi dei mercati, qualche disoccupato, i ragazzi degli istituti professionali.\r\n\r\n Nella sinistra intorno alle giornate di lotta indette dal “coordinamento 9 dicembre” si è sviluppato un dibattito molto ampio, spesso anche aspro.\r\n\r\nDi fronte all’ampiezza della partecipazione, alcuni hanno osservato che era difficile che il mestolo stesse in mano alla destra cittadina. A Torino sia la Destra istituzionale – Fratelli d’Italia – sia chi – come Forza Nuova e Casa Pound - vive nel limbo tra istituzioni e velleità rivoluzionarie – non avrebbero un peso ed una capacità organizzativa tali da poterlo fare.\r\n\r\nUn fatto è certo: nelle piazze di Torino e dintorni i rappresentanti di queste formazioni si sono fatti vedere più volte accolti dagli applausi della gente. Come è certo che buona parte delle tifoserie torinesi, ben presenti nei giorni più caldi, siano ormai da lunghi anni egemonizzate dall’estrema destra. In almeno un caso un esponente di “Alba Dorata” è stato cacciato dal blocco di piazza Derna grazie alla presenza di esponenti di sinistra, che avevano deciso di partecipare all’iniziativa. È tuttavia un caso isolato che non cambia il quadro. Anche la favola dei profughi africani, accolti con un applauso da quelli del “coordinamento 9 dicembre” è stata è stata ampiamente sfatata da resoconti circolati successivamente.\r\nLa questione è comunque mal posta. Qualunque sia stato il peso della destra, nelle sue varie componenti, la domanda vera è un’altra. Il movimento che si è espresso nelle piazze in un garrir di tricolori, inviti alla polizia a fraternizzare, richiami all’unità della nazione contro la casta corrotta e asservita ai diktat dell’Europa delle banche è un movimento di destra o no?\r\nNoi pensiamo di si.\r\n\r\nI resoconti fatti girare dalla sinistra radicale torinese hanno privilegiato l’immagine di piazze ambiguamente acefale: prive di capi, prive di organizzazione, prive di reale comprensione delle ragioni che li avevano condotti lì. Una sorta di creta che chiunque avrebbe potuto plasmare e dirigere. Una descrizione a mio avviso inconsapevolmente intrisa di orgoglio intellettuale e del mai sopito sogno di poter governare o alimentarsi delle jacquerie. Alcuni ne hanno assunto il mero contenuto antisistema, nella vecchia convinzione che il nemico del tuo nemico è un tuo amico. Una mostruosità ideologica che abbiamo visto annegare nel sangue tra Baghdad e Kabul ma sinora non ci aveva toccato da vicino.\r\n\r\nBisogna guardare in faccia la realtà. Una realtà che certo non ci piace, ma il mero desiderio di vederla diversa non si concreta, se non la si sa vedere per quello che è. I protagonisti di questi giorni di blocchi e serrate sono i figli del deserto sociale degli ultimi trent'anni. Gente che credeva di avere ancoraggi e certezze e oggi si trova sospesa sul nulla. \r\nL’analisi della composizione di classe di questo movimento, della sua natura popolare, periferica,perché avvertivamo forte la necessità di capire ed intervenire per poter fermare l’onda lunga di destra che ha messo a loro disposizione un lessico comune, una chiave di lettura ed un orizzonte progettuale.\r\n\r\nSiamo andati nelle piazze e nei bar ad ascoltare e capire il vento che stava cambiando, perché in periferia, tra i mercati e le strade attraversate dai cortei per l'ordine e la legalità, tra la gente che fatica a campare e non vede prospettive, ci siamo da anni. Da anni sappiamo che l'incapacità di parlare con gli italiani poveri, quelli che guardano con simpatia alla destra xenofoba e razzista, quelli che avevano qualcosa e ora hanno solo paura, avrebbe aperto la strada a chi predica il governo forte, la polizia ovunque, la nazione contro la globalizzazione, l'unione degli italiani, sfruttati e sfruttatori contro il grande complotto internazionale delle banche. Oggi lo chiamano signoraggio: non puntano il dito sugli ebrei ma la melodia della canzone è la stessa dagli anni Trenta del secolo scorso. Gli stranieri di seconda generazione che sventolavano il tricolore con i loro colleghi del mercato, sebbene in realtà pochini rispetto la realtà dei banchi, non ci stupiscono: li abbiamo visti inveire contro altri stranieri, ultimi arrivati che “delinquono”. Molti di loro assumono giovani connazionali poveri e li sfruttano senza pietà così come gli italiani doc. Il gioco del capitalismo piace ad ogni latitudine.\r\n\r\nI protagonisti di questi tre/quattro giorni di blocchi e iniziative sono ceti impoveriti e rancorosi: l’Italia delle clientele prima democristiane e socialiste, poi forza italiote, oggi piegata dalla crisi, dalla pressione fiscale, dall’indebolirsi della compagine berlusconiana e della \u003Cmark>Lega\u003C/mark>, partiti politici di riferimento per oltre vent’anni.\r\n\r\nIl loro programma – esplicitamente delineato nei volantini tricolori distribuiti in ogni dove – è chiaro: far cadere il governo, sostituirlo con un esecutivo forte e onesto, capace di traghettare l’Italia fuori dall’euro, fuori dall’Europa delle banche, garantendo significative misure protezioniste.\r\nIl tutto all’insegna di una deriva identitaria di segno nazionalista dove la nazione è descritta e vissuta come un corpo sano attaccato da agenti esterni che si ricompone intorno all’alleanza interclassista dei produttori.\r\nQuesto è un programma di destra. Di destra radicale.\r\n\r\nNon sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”. La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.\r\n\r\nÈ ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c'è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.\r\n\r\nIn questo “tutti a casa” c'è chi ha sentito l'eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell'istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.\r\n\r\nSappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.\r\nL’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all'eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. \r\n\r\nNell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.\r\n\r\nL’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.\r\n\r\nVedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.\r\n\r\nArticolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà e lotta con gli altri settori popolari.\r\n\r\n Se poi l'immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l'orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.\r\n\r\nA Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.\r\n\r\n Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell'andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.\r\nQuando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da \u003Cmark>calcio\u003C/mark> ma all'eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.\r\nChi a sinistra sottovaluta l'importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l'autunno ed il più gelido degli inverni.\r\nChi frequenta i bar di periferia sa che sesso, \u003Cmark>calcio\u003C/mark>, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l'idea che “così va il mondo”. 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