","Dall'attacco allo sciopero nei trasporti al G7 lavoro","post",1498572096,[60,61,62,63,64,65,66],"http://radioblackout.org/tag/lavoro/","http://radioblackout.org/tag/limitazioni-del-diritto-di-sciopero/","http://radioblackout.org/tag/renzi/","http://radioblackout.org/tag/sciopero/","http://radioblackout.org/tag/sciopero-nei-trasporti/","http://radioblackout.org/tag/sindacalismo-di-bae/","http://radioblackout.org/tag/trasporti/",[68,33,15,69,31,29,70],"lavoro","sciopero","trasporti",{"post_content":72,"post_title":79,"tags":82},{"matched_tokens":73,"snippet":77,"value":78},[74,75,69,76],"diritto","di","del","che chiede un'ulteriore stretta sul \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> nel servizio pubblico, non pago \u003Cmark>del\u003C/mark> fitto reticolo normativo che lo","La buona riuscita dello \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> trasporti e logistica \u003Cmark>di\u003C/mark> venerdì 16 giugno ha suscitato un ampio coro \u003Cmark>di\u003C/mark> proteste. Ha dato il “la” il segretario \u003Cmark>del\u003C/mark> PD Matteo Renzi, che chiede un'ulteriore stretta sul \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> nel servizio pubblico, non pago \u003Cmark>del\u003C/mark> fitto reticolo normativo che lo imbriglia da anni.\r\n\r\n \r\n\r\nLe ragioni dello \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> scompaiono \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte alla canea politica che si è scatenata negli scorsi giorni.\r\n\r\nLa questione è chiara. Chi lavora nei trasporti e nella logistica può fare davvero male al padrone. Il governo e la sua opposizione in parlamento mirano a dividere il fronte \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta, moltiplicando le gabbie normative.\r\n\r\n \r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano della CUB.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 06 27 stef \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> trasporti\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nÉ stata l'occasione per riflettere sulle prospettive \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta in un contesto che rende sempre più difficile essere efficaci e rispettare le regole. Spezzare le gabbie imposte dai governi è condizione indispensabile al moltiplicarsi \u003Cmark>di\u003C/mark> lotte che obblighino il governo a battere in ritirata.\r\n\r\n \r\n\r\nIl prossimo G7 \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro, previsto a Torino dal 26 settembre a 1 ottobre, sarà un interessante banco \u003Cmark>di\u003C/mark> prova per il sindacalismo \u003Cmark>di\u003C/mark> base, autogestionario e conflittuale.\r\n\r\n \r\n\r\nUn appuntamento importante per tutti.\r\n\r\n \r\n\r\nIeri si è tenuto in Prefettura un vertice sulla sicurezza cui ha preso parte il ministro dell'Interno Marco Minniti. La proposta \u003Cmark>di\u003C/mark> spostare altrove il G7 è stata al momento respinta.\r\n\r\n \r\n\r\nIl vertice si svolgerà solo alla reggia \u003Cmark>di\u003C/mark> Venaria, mentre la location al Lingotto è stata cancellata. 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Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. Anche per evitare che quando tutto questo sarà finito non ci aspetti una realtà peggiore del virus stesso.”","10 Marzo 2020","2020-03-10 15:59:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"185\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-300x185.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-300x185.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-1024x633.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-768x475.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-1536x950.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà.jpg 1577w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La solidarietà non va in quarantena",1583855968,[138,139,140,141,142,143],"http://radioblackout.org/tag/autogestione/","http://radioblackout.org/tag/covid-19/","http://radioblackout.org/tag/militarizzazione/","http://radioblackout.org/tag/mutuo-appoggio/","http://radioblackout.org/tag/salute/","http://radioblackout.org/tag/solidarieta/",[23,19,145,27,146,147],"militarizzazione","salute","solidarietà",{"post_content":149},{"matched_tokens":150,"snippet":151,"value":152},[76,74,75,69],"siamo giunti alla definitiva sospensione \u003Cmark>del\u003C/mark> \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark>. 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Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia \u003Cmark>di\u003C/mark> un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, \u003Cmark>di\u003C/mark> pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione \u003Cmark>del\u003C/mark> coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione \u003Cmark>del\u003C/mark> virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi \u003Cmark>del\u003C/mark> confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove \u003Cmark>di\u003C/mark> emergenza in emergenza, c’è quella \u003Cmark>del\u003C/mark> terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella \u003Cmark>del\u003C/mark> coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione \u003Cmark>di\u003C/mark> cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno \u003Cmark>di\u003C/mark> scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso \u003Cmark>di\u003C/mark> alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni \u003Cmark>di\u003C/mark> potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato \u003Cmark>di\u003C/mark> emergenza impone una maggiore concentrazione \u003Cmark>del\u003C/mark> potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio \u003Cmark>di\u003C/mark> ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio \u003Cmark>di\u003C/mark> essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia \u003Cmark>di\u003C/mark> sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina \u003Cmark>di\u003C/mark> regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano \u003Cmark>di\u003C/mark> un possibile governo \u003Cmark>di\u003C/mark> unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento \u003Cmark>del\u003C/mark> Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi \u003Cmark>di\u003C/mark> dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione \u003Cmark>del\u003C/mark> contagio anche fuori dalle regioni \u003Cmark>del\u003C/mark> nord Italia viene emesso un primo \u003Cmark>di\u003C/mark> una serie \u003Cmark>di\u003C/mark> decreti della Presidenza \u003Cmark>del\u003C/mark> Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco \u003Cmark>di\u003C/mark> pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> manifestazione e \u003Cmark>di\u003C/mark> riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli \u003Cmark>di\u003C/mark> qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento \u003Cmark>di\u003C/mark> persone tale da non consentire il rispetto della distanza \u003Cmark>di\u003C/mark> sicurezza interpersonale \u003Cmark>di\u003C/mark> almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione \u003Cmark>di\u003C/mark> Garanzia \u003Cmark>Sciopero\u003C/mark> che sospendono \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto il \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione \u003Cmark>del\u003C/mark> 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola \u003Cmark>del\u003C/mark> 6 marzo. La seconda \u003Cmark>del\u003C/mark> 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta femminista dell’8 e \u003Cmark>del\u003C/mark> 9 marzo. Si tratta \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto \u003Cmark>di\u003C/mark> un divieto \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> specifico per la giornata \u003Cmark>del\u003C/mark> 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> con rischio \u003Cmark>di\u003C/mark> pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto \u003Cmark>di\u003C/mark> entrata e uscita e \u003Cmark>di\u003C/mark> spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno \u003Cmark>del\u003C/mark> territorio dell’intera Regione Lombardia e \u003Cmark>di\u003C/mark> 14 provincie \u003Cmark>del\u003C/mark> Piemonte, dell’Emilia Romagna, \u003Cmark>del\u003C/mark> Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli \u003Cmark>di\u003C/mark> qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le \u003Cmark>limitazioni\u003C/mark> agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> assembramento \u003Cmark>di\u003C/mark> persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> riunione e manifestazione, con il potere discrezionale \u003Cmark>di\u003C/mark> questori e prefetti \u003Cmark>di\u003C/mark> vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine \u003Cmark>di\u003C/mark> interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni \u003Cmark>di\u003C/mark> provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione \u003Cmark>del\u003C/mark> \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark>. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo \u003Cmark>del\u003C/mark> 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali \u003Cmark>di\u003C/mark> NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento \u003Cmark>del\u003C/mark> governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme \u003Cmark>di\u003C/mark> manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata \u003Cmark>di\u003C/mark> mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al \u003Cmark>di\u003C/mark> là \u003Cmark>del\u003C/mark> coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti \u003Cmark>di\u003C/mark> speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato \u003Cmark>di\u003C/mark> emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione \u003Cmark>di\u003C/mark> questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni \u003Cmark>di\u003C/mark> sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti \u003Cmark>di\u003C/mark> emergenza \u003Cmark>del\u003C/mark> governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare \u003Cmark>di\u003C/mark> recessione, \u003Cmark>di\u003C/mark> crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> chi lavora. In un articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Repubblica \u003Cmark>del\u003C/mark> 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working \u003Cmark>del\u003C/mark> Politecnico \u003Cmark>di\u003C/mark> Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità \u003Cmark>di\u003C/mark> lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia \u003Cmark>di\u003C/mark> risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio \u003Cmark>di\u003C/mark> precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno \u003Cmark>di\u003C/mark> dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi \u003Cmark>di\u003C/mark> euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione \u003Cmark>di\u003C/mark> “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono \u003Cmark>di\u003C/mark> essere responsabili \u003Cmark>di\u003C/mark> fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura \u003Cmark>di\u003C/mark> distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione \u003Cmark>di\u003C/mark> malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni \u003Cmark>di\u003C/mark> vita e \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro malsane? Chi è responsabile \u003Cmark>del\u003C/mark> fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento \u003Cmark>di\u003C/mark> malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono \u003Cmark>di\u003C/mark> essere responsabili, \u003Cmark>di\u003C/mark> fare altri sacrifici e \u003Cmark>di\u003C/mark> non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto \u003Cmark>di\u003C/mark> questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “\u003Cmark>di\u003C/mark> guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio \u003Cmark>del\u003C/mark> paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti \u003Cmark>del\u003C/mark> governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri \u003Cmark>di\u003C/mark> telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni \u003Cmark>di\u003C/mark> questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non \u003Cmark>di\u003C/mark> una dittatura quantomeno \u003Cmark>di\u003C/mark> uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più \u003Cmark>di\u003C/mark> soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che \u003Cmark>di\u003C/mark> tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al \u003Cmark>di\u003C/mark> là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso \u003Cmark>di\u003C/mark> errori \u003Cmark>di\u003C/mark> valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo \u003Cmark>di\u003C/mark> deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso \u003Cmark>di\u003C/mark> impotenza e impossibilità \u003Cmark>di\u003C/mark> incidere \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità \u003Cmark>di\u003C/mark> reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme \u003Cmark>di\u003C/mark> prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme \u003Cmark>di\u003C/mark> autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella \u003Cmark>di\u003C/mark> attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella \u003Cmark>di\u003C/mark> tenere vive e rafforzare le reti \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> opposizione \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza e ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>sciopero\u003C/mark>, \u003Cmark>di\u003C/mark> manifestazione e \u003Cmark>di\u003C/mark> riunione contro i provvedimenti repressivi \u003Cmark>del\u003C/mark> governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà e mutuo appoggio esistenti. Anche per evitare che quando tutto questo sarà finito non ci aspetti una realtà peggiore \u003Cmark>del\u003C/mark> virus stesso.”",[154],{"field":114,"matched_tokens":155,"snippet":151,"value":152},[76,74,75,69],2891363715989373000,{"best_field_score":158,"best_field_weight":159,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":160,"tokens_matched":106,"typo_prefix_score":46},"4423805894656",14,"2891363715989373041",{"document":162,"highlight":184,"highlights":192,"text_match":197,"text_match_info":198},{"cat_link":163,"category":164,"comment_count":46,"id":165,"is_sticky":46,"permalink":166,"post_author":49,"post_content":167,"post_date":131,"post_excerpt":52,"post_id":165,"post_modified":168,"post_thumbnail":169,"post_thumbnail_html":170,"post_title":171,"post_type":57,"sort_by_date":172,"tag_links":173,"tags":180},[43],[45],"58015","http://radioblackout.org/2020/03/otto-marzo-di-lotta-da-torino-a-livorno/","L’otto marzo ai tempi del Covid 19. Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione di garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati di base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato di cancellare lo sciopero.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative di lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, di rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari statunitensi in tempo di epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma di opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana di informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria di Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una di meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli di genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua del marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira di un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia di Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nDi seguito la cronaca della settimana di lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al di là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere di più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione di un’immagine femminile che si adegui a modelli di seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\nDi seguito l’appello per l’8 marzo di NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia di rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione di libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio di violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione di violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi di violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza di chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale di rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e del militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo di coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro di cura di anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione di reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti di una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano di stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto di essere in piazza contro chi cerca di imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”","2020-03-10 13:34:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1536x1024.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Otto marzo di lotta da Torino a Livorno",1583847293,[174,175,176,177,178,179],"http://radioblackout.org/tag/8-marzo/","http://radioblackout.org/tag/femminismo/","http://radioblackout.org/tag/livorno/","http://radioblackout.org/tag/nudm-livorno/","http://radioblackout.org/tag/torino/","http://radioblackout.org/tag/wild-c-a-t/",[17,181,182,25,183,21],"femminismo","livorno","torino",{"post_content":185,"post_title":189},{"matched_tokens":186,"snippet":187,"value":188},[74,75],"il silenzio e affermare il \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> essere in piazza contro chi","L’otto marzo ai tempi \u003Cmark>del\u003C/mark> Covid 19. Lo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione \u003Cmark>di\u003C/mark> garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati \u003Cmark>di\u003C/mark> base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato \u003Cmark>di\u003C/mark> cancellare lo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark>.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, \u003Cmark>di\u003C/mark> rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari statunitensi in tempo \u003Cmark>di\u003C/mark> epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana \u003Cmark>di\u003C/mark> informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria \u003Cmark>di\u003C/mark> Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una \u003Cmark>di\u003C/mark> meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua \u003Cmark>del\u003C/mark> marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira \u003Cmark>di\u003C/mark> un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia \u003Cmark>di\u003C/mark> Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito la cronaca della settimana \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta \u003Cmark>di\u003C/mark> vendere la pillola \u003Cmark>del\u003C/mark> giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono \u003Cmark>di\u003C/mark> abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria \u003Cmark>di\u003C/mark> gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne \u003Cmark>del\u003C/mark> nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti \u003Cmark>di\u003C/mark> forza all'interno \u003Cmark>di\u003C/mark> una società. La spinta \u003Cmark>del\u003C/mark> movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione \u003Cmark>di\u003C/mark> governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita \u003Cmark>di\u003C/mark> alcune \u003Cmark>di\u003C/mark> loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame \u003Cmark>di\u003C/mark> psicologi e medici, a sottostare alle decisioni \u003Cmark>di\u003C/mark> genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare \u003Cmark>di\u003C/mark> praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma \u003Cmark>di\u003C/mark> assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte \u003Cmark>di\u003C/mark> referendum e iniziative legislative, la strategia \u003Cmark>di\u003C/mark> chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità \u003Cmark>di\u003C/mark> questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico \u003Cmark>di\u003C/mark> un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia \u003Cmark>di\u003C/mark> maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità \u003Cmark>di\u003C/mark> accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli \u003Cmark>di\u003C/mark> giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato \u003Cmark>di\u003C/mark> zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito alcuni passaggi \u003Cmark>del\u003C/mark> volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano \u003Cmark>di\u003C/mark> segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe \u003Cmark>di\u003C/mark> avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili \u003Cmark>del\u003C/mark> perpetuarsi \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli \u003Cmark>di\u003C/mark> non essere prudenti, \u003Cmark>di\u003C/mark> non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo \u003Cmark>di\u003C/mark> “quelle che se la cercano”, che si tratti \u003Cmark>di\u003C/mark> sex worker o \u003Cmark>di\u003C/mark> donne che non vestono abiti simili a gabbie \u003Cmark>di\u003C/mark> stoffa, è una costante \u003Cmark>del\u003C/mark> racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano \u003Cmark>di\u003C/mark> privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus \u003Cmark>di\u003C/mark> follia, eccessi \u003Cmark>di\u003C/mark> sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale \u003Cmark>di\u003C/mark> via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito \u003Cmark>di\u003C/mark> contenuti un intenso pomeriggio \u003Cmark>di\u003C/mark> comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> ciascun* \u003Cmark>di\u003C/mark> noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza \u003Cmark>di\u003C/mark> chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali \u003Cmark>di\u003C/mark> Torino, tra i principali luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> produzione e consumo.\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito il testo \u003Cmark>del\u003C/mark> volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello \u003Cmark>sciopero\u003C/mark>.\r\nLo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori \u003Cmark>di\u003C/mark> cura, dai lavori domestici e dai ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione \u003Cmark>del\u003C/mark> welfare.\r\nLa riaffermazione \u003Cmark>di\u003C/mark> logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nSiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso \u003Cmark>di\u003C/mark> produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche \u003Cmark>di\u003C/mark> auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte \u003Cmark>del\u003C/mark> peso imposto dal diffondersi \u003Cmark>del\u003C/mark> virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, \u003Cmark>di\u003C/mark> mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra \u003Cmark>di\u003C/mark> moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte \u003Cmark>del\u003C/mark> processo \u003Cmark>di\u003C/mark> asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media \u003Cmark>del\u003C/mark> 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo \u003Cmark>del\u003C/mark> 23% ed hanno un tasso \u003Cmark>di\u003C/mark> partecipazione al mercato \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro \u003Cmark>del\u003C/mark> 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto \u003Cmark>di\u003C/mark> essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere a disposizione \u003Cmark>del\u003C/mark> padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta \u003Cmark>di\u003C/mark> vendere la pillola \u003Cmark>del\u003C/mark> giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono \u003Cmark>di\u003C/mark> abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria \u003Cmark>di\u003C/mark> gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne \u003Cmark>del\u003C/mark> nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti \u003Cmark>di\u003C/mark> forza all'interno \u003Cmark>di\u003C/mark> una società. La spinta \u003Cmark>del\u003C/mark> movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione \u003Cmark>di\u003C/mark> governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita \u003Cmark>di\u003C/mark> alcune \u003Cmark>di\u003C/mark> loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame \u003Cmark>di\u003C/mark> psicologi e medici, a sottostare alle decisioni \u003Cmark>di\u003C/mark> genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare \u003Cmark>di\u003C/mark> praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma \u003Cmark>di\u003C/mark> assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte \u003Cmark>di\u003C/mark> referendum e iniziative legislative, la strategia \u003Cmark>di\u003C/mark> chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità \u003Cmark>di\u003C/mark> questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico \u003Cmark>di\u003C/mark> un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia \u003Cmark>di\u003C/mark> maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità \u003Cmark>di\u003C/mark> accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli \u003Cmark>di\u003C/mark> giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato \u003Cmark>di\u003C/mark> zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito alcuni passaggi \u003Cmark>del\u003C/mark> volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano \u003Cmark>di\u003C/mark> segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe \u003Cmark>di\u003C/mark> avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili \u003Cmark>del\u003C/mark> perpetuarsi \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli \u003Cmark>di\u003C/mark> non essere prudenti, \u003Cmark>di\u003C/mark> non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo \u003Cmark>di\u003C/mark> “quelle che se la cercano”, che si tratti \u003Cmark>di\u003C/mark> sex worker o \u003Cmark>di\u003C/mark> donne che non vestono abiti simili a gabbie \u003Cmark>di\u003C/mark> stoffa, è una costante \u003Cmark>del\u003C/mark> racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano \u003Cmark>di\u003C/mark> privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus \u003Cmark>di\u003C/mark> follia, eccessi \u003Cmark>di\u003C/mark> sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale \u003Cmark>di\u003C/mark> via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito \u003Cmark>di\u003C/mark> contenuti un intenso pomeriggio \u003Cmark>di\u003C/mark> comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> ciascun* \u003Cmark>di\u003C/mark> noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza \u003Cmark>di\u003C/mark> chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali \u003Cmark>di\u003C/mark> Torino, tra i principali luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> produzione e consumo.\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito il testo \u003Cmark>del\u003C/mark> volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello \u003Cmark>sciopero\u003C/mark>.\r\nLo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori \u003Cmark>di\u003C/mark> cura, dai lavori domestici e dai ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione \u003Cmark>del\u003C/mark> welfare.\r\nLa riaffermazione \u003Cmark>di\u003C/mark> logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nSiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno \u003Cmark>sciopero\u003C/mark> in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso \u003Cmark>di\u003C/mark> produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche \u003Cmark>di\u003C/mark> auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte \u003Cmark>del\u003C/mark> peso imposto dal diffondersi \u003Cmark>del\u003C/mark> virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, \u003Cmark>di\u003C/mark> mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra \u003Cmark>di\u003C/mark> moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte \u003Cmark>del\u003C/mark> processo \u003Cmark>di\u003C/mark> asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media \u003Cmark>del\u003C/mark> 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo \u003Cmark>del\u003C/mark> 23% ed hanno un tasso \u003Cmark>di\u003C/mark> partecipazione al mercato \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro \u003Cmark>del\u003C/mark> 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto \u003Cmark>di\u003C/mark> essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere a disposizione \u003Cmark>del\u003C/mark> padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere al lavoro i loro corpi al \u003Cmark>di\u003C/mark> là \u003Cmark>del\u003C/mark> compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere \u003Cmark>di\u003C/mark> più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio \u003Cmark>del\u003C/mark> cliente passa dalla perpetuazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un’immagine femminile che si adegui a modelli \u003Cmark>di\u003C/mark> seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito l’appello per l’8 marzo \u003Cmark>di\u003C/mark> NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e \u003Cmark>del\u003C/mark> mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia \u003Cmark>di\u003C/mark> rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con \u003Cmark>limitazioni\u003C/mark> pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza \u003Cmark>di\u003C/mark> chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale \u003Cmark>di\u003C/mark> rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e \u003Cmark>del\u003C/mark> militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo \u003Cmark>di\u003C/mark> coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi \u003Cmark>del\u003C/mark> lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura \u003Cmark>di\u003C/mark> anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione \u003Cmark>di\u003C/mark> reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti \u003Cmark>di\u003C/mark> una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano \u003Cmark>di\u003C/mark> stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il \u003Cmark>diritto\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> essere in piazza contro chi cerca \u003Cmark>di\u003C/mark> imporre continuamente la logica dell’emergenza, \u003Cmark>del\u003C/mark> sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”",{"matched_tokens":190,"snippet":191,"value":191},[75],"Otto marzo \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta da Torino a Livorno",[193,195],{"field":114,"matched_tokens":194,"snippet":187,"value":188},[74,75],{"field":117,"matched_tokens":196,"snippet":191,"value":191},[75],2886860116630438000,{"best_field_score":199,"best_field_weight":159,"fields_matched":200,"num_tokens_dropped":46,"score":201,"tokens_matched":106,"typo_prefix_score":46},"2224782770176",2,"2886860116630438002",6646,{"collection_name":57,"first_q":33,"per_page":204,"q":33},6,{"facet_counts":206,"found":105,"hits":230,"out_of":355,"page":14,"request_params":356,"search_cutoff":35,"search_time_ms":357},[207,217],{"counts":208,"field_name":215,"sampled":35,"stats":216},[209,211,213],{"count":200,"highlighted":210,"value":210},"anarres",{"count":14,"highlighted":212,"value":212},"liberation front",{"count":14,"highlighted":214,"value":214},"I Bastioni di Orione","podcastfilter",{"total_values":38},{"counts":218,"field_name":34,"sampled":35,"stats":229},[219,221,223,225,227],{"count":14,"highlighted":220,"value":220},"no tav",{"count":14,"highlighted":222,"value":222},"crainz",{"count":14,"highlighted":224,"value":224},"salvadori",{"count":14,"highlighted":226,"value":226},"sabotaggio",{"count":14,"highlighted":228,"value":228},"Bastioni di Orione",{"total_values":106},[231,262,288,310],{"document":232,"highlight":249,"highlights":255,"text_match":258,"text_match_info":259},{"comment_count":46,"id":233,"is_sticky":46,"permalink":234,"podcastfilter":235,"post_author":210,"post_content":236,"post_date":237,"post_excerpt":52,"post_id":233,"post_modified":238,"post_thumbnail":239,"post_title":240,"post_type":241,"sort_by_date":242,"tag_links":243,"tags":248},"18143","http://radioblackout.org/podcast/sabotaggi-intellettuali-e-fiammiferi/",[210],"Politici, imprenditori falliti, media hanno scatenato un attacco senza precedenti al movimento No Tav. Negli ultimi giorni sono scesi in campo anche intellettuali e storici, che rileggono gli eventi di oggi con la lente distorta di una narrazione che trascolora nel mito. Il mito degli anni di “piombo”, degli “antimoderni” moti luddisti, della perdita di consenso di avanguardie che scelgono la lotta armata.\r\nScomodare un termine ingombrante come “terrorismo” è normale per tanti giornalisti e commentatori politici. Il paragone tra la lotta armata di trent’anni fa e la resistenza No Tav ne è la pietra miliare.\r\nDa quando i PM Padalino e Rinaudo il 29 luglio hanno accusato una dozzina di ragazzi di associazione a scopo terroristico, affibbiandogli l’articolo 180 del codice, gli scritti su questo tema si sono moltiplicati. Le iniziative di lotta estive li hanno scatenati. Nella loro lente deformante sono finite le passeggiate di lotta in Clarea, i sabotaggi, i blocchi, persino la marcia simbolica degli over 50, simbolo del legame tra le generazioni, del filo robusto che lega tutti gli attivisti in una lotta in cui ogni tassello si incastra nel mosaico deciso collettivamente. I sabotaggi delle ultime settimane verso ditte collaborazioniste – spesso aziende stracotte, plurifallite, in odore di mafia – li hanno scatenati definitivamente.\r\nIn piena sintonia con i media la Procura torinese ha ordinato perquisizioni e limitazioni della libertà con scadenza sempre più ravvicinata. Ultimi i tre No Tav arrestati con l’accusa di violenza privata – ma la Procura voleva infilarci anche la tentata rapina – perché, secondo Erica De Blasi, giornalista del quotidiano “la Repubblica”, avrebbero fatto parte del folto gruppo di No Tav che avevano smascherato l’inganno con cui si era infiltrata nella manifestazione degli over 50. De Blasi si era finta una manifestante ed aveva scattato foto che, per sua stessa ammissione, erano destinate alla Digos. Per quest’episodio insignificante è stata scomodata la libertà di stampa, dimenticando che questa “giornalista” era venuta meno alla sua stessa deontologia professionale, ponendosi al servizio della polizia.\r\nNella guerra mediatica scatenata contro il movimento No Tav si inserisce il dossier uscito proprio sul quotidiano “la Repubblica” il 12 settembre.\r\nLo storico Salvadori tenta una genealogia della pratica del sabotaggio, ricostruendo la vicenda del movimento che, tra il 1811 e il 1816, scosse l’Inghilterra. La pratica della distruzione delle macchine viene descritta da Salvadori come una sorta di disperata resistenza alla miseria frutto delle nuove tecnologie produttive, che riducevano il bisogno di manodopera. Salvadori liquida la rivolta, che pure durò a lungo nonostante i manifestanti uccisi dalla polizia, le deportazioni e le condanne a morte, come ultimo inutile grido di un’epoca preindustriale condannata a sparire.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Cosimo Scarinzi, un sindacalista che si è occupato a fondo della pratica del sabotaggio all’interno del movimento dei lavoratori. Secondo Scarinzi la radicalità del movimento “luddista” non era una critica alle macchine, quanto la risposta alla ferocissima repressione che colpiva ogni forma di protesta. Lotte meno dure venivano sanzionate con la deportazione e la condanna a morte, non lasciando alcun margine di trattativa ai lavoratori che si ribellavano ad una miseria estrema. In questa situazione l’attacco alla macchine diviene il mezzo per tentare di piegare un padronato indisponibile a qualsiasi concessione.\r\nScarinzi esamina la pratica del sabotaggio, attraverso la storia del movimento operaio, che ne è attraversato costantemente, sia che si tratti di pratiche spontanee, che non si rivendicano come tali, sia che vengano assunte e valorizzate come uno dei tasselli della lotta contro lo sfruttamento capitalista. Nell’opuscolo “Sabotage” Emile Pouget, esponente del sindacalismo rivoluzionario di segno libertario teorizza esplicitamente l’utilizzo del sabotaggio come segno incontrovertibile dell’indisponibilità ad un compromesso con una società divisa in classi. In questo caso, al di là della materialità dell’agire, emerge la volontà di scoraggiare ogni tentativo di compromesso tra capitale e lavoro, demolendo nei fatti la propaganda che vorrebbe sfruttati e sfruttatori sulla stessa barca, con gli stessi interessi di fondo.\r\nAscolta qui la chiacchierata con Cosimo, che è proseguita con l'analisi del sabotaggio nella pratica dei lavoratori del secolo appena trascorso:\r\n2013 09 13 sabotaggio cosimo\r\n\r\nTorniamo al dossier di “la Repubblica”.\r\nNell’analisi di Salvadori, che pure prudentemente si limita alle rivolte inglesi all’epoca della cosiddetta “rivoluzione industriale”, si possono cogliere due elementi che spiegano le ragioni dell’inserimento in un paginone che si apre con un articolo di Guido Crainz dedicato ai sabotaggi contro l’alta velocità in Val Susa.\r\nIl primo elemento è il carattere antimoderno delle rivolte luddiste, il secondo è l’ineluttabilità della sconfitta di chi si batte contro un progresso inarrestabile. In altri termini l’articolo di Salvadori, anche al di là dell’esplicita volontà dell’autore, svolge il compito che la rivista di intelligence Gnosis affida all’”agente di influenza“, ossia orientare l’opinione pubblica, demolire la fiducia dei No Tav, insinuando il dubbio sulle prospettive della lotta.\r\nQuesti elementi ci consentono vedere la trama del mosaico che la lobby Si Tav sta componendo. Il governo alza il tiro, appesantisce la repressione, picchia, arresta, criminalizza. La speranza è dividere, spaventare il movimento per far emergere la componente più istituzionale e spezzare la resistenza dei No Tav, riducendoli a meri testimoni indignati dello scempio.\r\nLa spettacolarità insita negli attacchi con il fuoco alle ditte, che pure si collocano a pieno nell’alveo della lotta non violenta, da la stura alla retorica sulla violenza. Il pezzo di Crainz si apre con l’occhiello “le polemiche recenti sulle azioni contro (la) Tav in Val di Susa riprono la questione del confine tra diritto al dissenso e forme illegali di opposizione” nel sottotitolo diventa più esplicito con un secco “quando le proteste diventano violenza”. Il pezzo si caratterizza per una continua equiparazione tra illegalità e violenza, il che dimostra, al di là dell’insistito discettare sulla lotta non violenta, la fondamentale incomprensione del senso e dei modi di questa pratica. Non tutto quel che è illegale è necessariamente anche violento, che non tutto quel che è legale è non violento. Che spaccare una ruspa e spaccare la testa di qualcuno non siano gesti equivalenti mi pare non meriti dimostrazioni di sorta. Se in questo gioco si inserisce la distinzione tra legale ed illegale il quadro invece si intorbida.\r\nI poliziotti che spaccano le teste dei No Tav, che sparano in faccia lacrimogeni, che mandano in coma un attivista e cavano un occhio ad un altro non fanno che compiere il loro dovere.\r\nI governi di turno ne solo tanto convinti che hanno garantito una buona carriera a tutti i massacratori di Bolzaneto, nonostante, in questo caso, vi sia stata una sentenza di condanna della magistratura. Per la mezza dozzina di capri espiatori di quelle giornate di lotta sono scattate condanne sino a sedici anni di reclusione, nonostante avessero soltanto rotto delle cose.\r\nSe è di Stato vale anche la tortura, se è espressione di lotta sociale viene perseguito anche un semplice danneggiamento. Anzi. Si parla addirittura di terrorismo, l’espressione che venne usata negli anni Settanta per definire la lotta armata. Crainz considera le vicende della Diaz e Bolzaneto errori di percorso da evitare di offrire argomenti a chi vorrebbe una diversa organizzazione politica e sociale. Scivoloni pericolosi perché si fanno delle gran brutte figure.\r\nL’autore, echeggiando Salvadori, sostiene che il sabotaggio è sintomo di debolezza, di sconfitta, di separazione dal movimento popolare. Crainz richiama i fantasmi del “rozzo pedagogismo giacobino ‘del gesto esemplare’ e dell’avanguardia leninista” che, per disprezzo, si sostituiscono all’azione autonoma dei cittadini.\r\nSu questa base Crainz ricostruisce le lotte degli anni Settanta, rievocando le figure dei cattivi maestri e riducendo la dinamica sociale di quegli anni ad una sorta di gigantesca cupio dissolvi culminata nella lotta armata.\r\nParte dall’assunto che le forme di lotta più radicali sono legittime contro le dittature, non certo in un regime democratico.\r\nPeccato che la democrazia reale, non quella dei libri delle scuole elementari, sia quella della Diaz e di Bolzaneto, perché la “sospensione del diritto” non è l’eccezione ma la regola. Peggio. In questi anni la sospensione del diritto si è fatta regola. L’intera legislazione sull’immigrazione, i respingimenti collettivi, gli accordi con la Libia per l’outsourcing della detenzione, le guerre umanitarie, le bombe intelligenti, le carceri che scoppiano, i morti nelle caserme, i militari nelle strade, le proteste popolari sedate con gas e manganelli…\r\nLa sospensione del diritto si fa sempre regola, quando qualcuno si ribella a regole del gioco che garantiscono il ricambio delle elite, negando un reale spazio di partecipazione ai cittadini, sancendo come insuperabile una società divisa in classi, dove il profitto di pochi conta più della vita e della dignità dei più.\r\nCrainz conclude il pezzo ironizzando sugli intellettuali che giocano con i fiammiferi. Quelli come lui usano le penne come i poliziotti i manganelli. Un gioco stupido ma trasparente.\r\nGrande assente nell’analisi di Crainz è il movimento No Tav. Un movimento che non può essere ingabbiato in nessuno degli schemi in cui tanti analisti hanno provato ad incasellarlo negli anni. Un movimento che cresce e si alimenta della sue tante anime, che elabora le proprie strategie attraverso un lento e, a volte difficile, confronto. Un movimento radicale e radicato nel territorio. Un movimento che ha optato per l’azione diretta, che non delega a nessuno e ha deciso di resistere attivamente all’imposizione violenta di un’opera la cui unica utilità è il drenaggio di soldi pubblici a fini privati.\r\nIl movimento No Tav ha scelto alcuni mesi fa di appoggiare la pratica del sabotaggio. Di questa decisione restano poche tracce sui media, sia tra i cronisti che tra gli analisti, perché di fronte alla volontà di un’assemblea popolare tanti teoremi si sgretolano come neve al sole.\r\nIl movimento in questi mesi dovrà affrontare una sfida complessa: mantenere radicalità e radicamento sociale. Non sarà facile, perché la magistratura sta preparando una operazione repressiva in grande stile, come dimostrano le gite dei PM torinesi a Milano e in altre città. Non sarà facile, perché le prossime amministrative rischiano ancora una volta di assorbire troppe energie a discapito dell’azione quotidiana per gettare sabbia negli ingranaggi dell’occupazione militare.\r\nLa scommessa dei prossimi mesi sarà quella di riaprire gli spazi per l’azione diretta popolare, che la repressione e la violenza del governo stanno cercando di chiudere.\r\nIl governo e la lobby del Tav non hanno troppa paura dei sabotaggi o di un manipolo di amministratori No Tav, hanno invece gran timore di una nuova rivolta popolare che renda ingovernabile il territorio.\r\nA noi tutti il compito di rendere reali le loro paure.","15 Settembre 2013","2018-10-17 22:59:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/09/haywood-sabotagewww-color-200x110.jpg","Sabotaggi, intellettuali e fiammiferi","podcast",1379283095,[244,245,246,247],"http://radioblackout.org/tag/crainz/","http://radioblackout.org/tag/no-tav-2/","http://radioblackout.org/tag/sabotaggio/","http://radioblackout.org/tag/salvadori/",[222,220,226,224],{"post_content":250},{"matched_tokens":251,"snippet":253,"value":254},[75,76,252],"diritto”","sia quella della Diaz e \u003Cmark>di\u003C/mark> Bolzaneto, perché la “sospensione \u003Cmark>del\u003C/mark> \u003Cmark>diritto”\u003C/mark> non è l’eccezione ma la","Politici, imprenditori falliti, media hanno scatenato un attacco senza precedenti al movimento No Tav. Negli ultimi giorni sono scesi in campo anche intellettuali e storici, che rileggono gli eventi \u003Cmark>di\u003C/mark> oggi con la lente distorta \u003Cmark>di\u003C/mark> una narrazione che trascolora nel mito. Il mito degli anni \u003Cmark>di\u003C/mark> “piombo”, degli “antimoderni” moti luddisti, della perdita \u003Cmark>di\u003C/mark> consenso \u003Cmark>di\u003C/mark> avanguardie che scelgono la lotta armata.\r\nScomodare un termine ingombrante come “terrorismo” è normale per tanti giornalisti e commentatori politici. Il paragone tra la lotta armata \u003Cmark>di\u003C/mark> trent’anni fa e la resistenza No Tav ne è la pietra miliare.\r\nDa quando i PM Padalino e Rinaudo il 29 luglio hanno accusato una dozzina \u003Cmark>di\u003C/mark> ragazzi \u003Cmark>di\u003C/mark> associazione a scopo terroristico, affibbiandogli l’articolo 180 \u003Cmark>del\u003C/mark> codice, gli scritti su questo tema si sono moltiplicati. Le iniziative \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta estive li hanno scatenati. Nella loro lente deformante sono finite le passeggiate \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta in Clarea, i sabotaggi, i blocchi, persino la marcia simbolica degli over 50, simbolo \u003Cmark>del\u003C/mark> legame tra le generazioni, \u003Cmark>del\u003C/mark> filo robusto che lega tutti gli attivisti in una lotta in cui ogni tassello si incastra nel mosaico deciso collettivamente. I sabotaggi delle ultime settimane verso ditte collaborazioniste – spesso aziende stracotte, plurifallite, in odore \u003Cmark>di\u003C/mark> mafia – li hanno scatenati definitivamente.\r\nIn piena sintonia con i media la Procura torinese ha ordinato perquisizioni e \u003Cmark>limitazioni\u003C/mark> della libertà con scadenza sempre più ravvicinata. Ultimi i tre No Tav arrestati con l’accusa \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza privata – ma la Procura voleva infilarci anche la tentata rapina – perché, secondo Erica De Blasi, giornalista \u003Cmark>del\u003C/mark> quotidiano “la Repubblica”, avrebbero fatto parte \u003Cmark>del\u003C/mark> folto gruppo \u003Cmark>di\u003C/mark> No Tav che avevano smascherato l’inganno con cui si era infiltrata nella manifestazione degli over 50. De Blasi si era finta una manifestante ed aveva scattato foto che, per sua stessa ammissione, erano destinate alla Digos. Per quest’episodio insignificante è stata scomodata la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> stampa, dimenticando che questa “giornalista” era venuta meno alla sua stessa deontologia professionale, ponendosi al servizio della polizia.\r\nNella guerra mediatica scatenata contro il movimento No Tav si inserisce il dossier uscito proprio sul quotidiano “la Repubblica” il 12 settembre.\r\nLo storico Salvadori tenta una genealogia della pratica \u003Cmark>del\u003C/mark> sabotaggio, ricostruendo la vicenda \u003Cmark>del\u003C/mark> movimento che, tra il 1811 e il 1816, scosse l’Inghilterra. La pratica della distruzione delle macchine viene descritta da Salvadori come una sorta \u003Cmark>di\u003C/mark> disperata resistenza alla miseria frutto delle nuove tecnologie produttive, che riducevano il bisogno \u003Cmark>di\u003C/mark> manodopera. Salvadori liquida la rivolta, che pure durò a lungo nonostante i manifestanti uccisi dalla polizia, le deportazioni e le condanne a morte, come ultimo inutile grido \u003Cmark>di\u003C/mark> un’epoca preindustriale condannata a sparire.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Cosimo Scarinzi, un sindacalista che si è occupato a fondo della pratica \u003Cmark>del\u003C/mark> sabotaggio all’interno \u003Cmark>del\u003C/mark> movimento dei lavoratori. Secondo Scarinzi la radicalità \u003Cmark>del\u003C/mark> movimento “luddista” non era una critica alle macchine, quanto la risposta alla ferocissima repressione che colpiva ogni forma \u003Cmark>di\u003C/mark> protesta. Lotte meno dure venivano sanzionate con la deportazione e la condanna a morte, non lasciando alcun margine \u003Cmark>di\u003C/mark> trattativa ai lavoratori che si ribellavano ad una miseria estrema. In questa situazione l’attacco alla macchine diviene il mezzo per tentare \u003Cmark>di\u003C/mark> piegare un padronato indisponibile a qualsiasi concessione.\r\nScarinzi esamina la pratica \u003Cmark>del\u003C/mark> sabotaggio, attraverso la storia \u003Cmark>del\u003C/mark> movimento operaio, che ne è attraversato costantemente, sia che si tratti \u003Cmark>di\u003C/mark> pratiche spontanee, che non si rivendicano come tali, sia che vengano assunte e valorizzate come uno dei tasselli della lotta contro lo sfruttamento capitalista. Nell’opuscolo “Sabotage” Emile Pouget, esponente \u003Cmark>del\u003C/mark> sindacalismo rivoluzionario \u003Cmark>di\u003C/mark> segno libertario teorizza esplicitamente l’utilizzo \u003Cmark>del\u003C/mark> sabotaggio come segno incontrovertibile dell’indisponibilità ad un compromesso con una società divisa in classi. In questo caso, al \u003Cmark>di\u003C/mark> là della materialità dell’agire, emerge la volontà \u003Cmark>di\u003C/mark> scoraggiare ogni tentativo \u003Cmark>di\u003C/mark> compromesso tra capitale e lavoro, demolendo nei fatti la propaganda che vorrebbe sfruttati e sfruttatori sulla stessa barca, con gli stessi interessi \u003Cmark>di\u003C/mark> fondo.\r\nAscolta qui la chiacchierata con Cosimo, che è proseguita con l'analisi \u003Cmark>del\u003C/mark> sabotaggio nella pratica dei lavoratori \u003Cmark>del\u003C/mark> secolo appena trascorso:\r\n2013 09 13 sabotaggio cosimo\r\n\r\nTorniamo al dossier \u003Cmark>di\u003C/mark> “la Repubblica”.\r\nNell’analisi \u003Cmark>di\u003C/mark> Salvadori, che pure prudentemente si limita alle rivolte inglesi all’epoca della cosiddetta “rivoluzione industriale”, si possono cogliere due elementi che spiegano le ragioni dell’inserimento in un paginone che si apre con un articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Guido Crainz dedicato ai sabotaggi contro l’alta velocità in Val Susa.\r\nIl primo elemento è il carattere antimoderno delle rivolte luddiste, il secondo è l’ineluttabilità della sconfitta \u003Cmark>di\u003C/mark> chi si batte contro un progresso inarrestabile. In altri termini l’articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Salvadori, anche al \u003Cmark>di\u003C/mark> là dell’esplicita volontà dell’autore, svolge il compito che la rivista \u003Cmark>di\u003C/mark> intelligence Gnosis affida all’”agente \u003Cmark>di\u003C/mark> influenza“, ossia orientare l’opinione pubblica, demolire la fiducia dei No Tav, insinuando il dubbio sulle prospettive della lotta.\r\nQuesti elementi ci consentono vedere la trama \u003Cmark>del\u003C/mark> mosaico che la lobby Si Tav sta componendo. Il governo alza il tiro, appesantisce la repressione, picchia, arresta, criminalizza. La speranza è dividere, spaventare il movimento per far emergere la componente più istituzionale e spezzare la resistenza dei No Tav, riducendoli a meri testimoni indignati dello scempio.\r\nLa spettacolarità insita negli attacchi con il fuoco alle ditte, che pure si collocano a pieno nell’alveo della lotta non violenta, da la stura alla retorica sulla violenza. Il pezzo \u003Cmark>di\u003C/mark> Crainz si apre con l’occhiello “le polemiche recenti sulle azioni contro (la) Tav in Val \u003Cmark>di\u003C/mark> Susa riprono la questione \u003Cmark>del\u003C/mark> confine tra \u003Cmark>diritto\u003C/mark> al dissenso e forme illegali \u003Cmark>di\u003C/mark> opposizione” nel sottotitolo diventa più esplicito con un secco “quando le proteste diventano violenza”. Il pezzo si caratterizza per una continua equiparazione tra illegalità e violenza, il che dimostra, al \u003Cmark>di\u003C/mark> là dell’insistito discettare sulla lotta non violenta, la fondamentale incomprensione \u003Cmark>del\u003C/mark> senso e dei modi \u003Cmark>di\u003C/mark> questa pratica. Non tutto quel che è illegale è necessariamente anche violento, che non tutto quel che è legale è non violento. Che spaccare una ruspa e spaccare la testa \u003Cmark>di\u003C/mark> qualcuno non siano gesti equivalenti mi pare non meriti dimostrazioni \u003Cmark>di\u003C/mark> sorta. Se in questo gioco si inserisce la distinzione tra legale ed illegale il quadro invece si intorbida.\r\nI poliziotti che spaccano le teste dei No Tav, che sparano in faccia lacrimogeni, che mandano in coma un attivista e cavano un occhio ad un altro non fanno che compiere il loro dovere.\r\nI governi \u003Cmark>di\u003C/mark> turno ne solo tanto convinti che hanno garantito una buona carriera a tutti i massacratori \u003Cmark>di\u003C/mark> Bolzaneto, nonostante, in questo caso, vi sia stata una sentenza \u003Cmark>di\u003C/mark> condanna della magistratura. Per la mezza dozzina \u003Cmark>di\u003C/mark> capri espiatori \u003Cmark>di\u003C/mark> quelle giornate \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta sono scattate condanne sino a sedici anni \u003Cmark>di\u003C/mark> reclusione, nonostante avessero soltanto rotto delle cose.\r\nSe è \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato vale anche la tortura, se è espressione \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta sociale viene perseguito anche un semplice danneggiamento. Anzi. Si parla addirittura \u003Cmark>di\u003C/mark> terrorismo, l’espressione che venne usata negli anni Settanta per definire la lotta armata. Crainz considera le vicende della Diaz e Bolzaneto errori \u003Cmark>di\u003C/mark> percorso da evitare \u003Cmark>di\u003C/mark> offrire argomenti a chi vorrebbe una diversa organizzazione politica e sociale. Scivoloni pericolosi perché si fanno delle gran brutte figure.\r\nL’autore, echeggiando Salvadori, sostiene che il sabotaggio è sintomo \u003Cmark>di\u003C/mark> debolezza, \u003Cmark>di\u003C/mark> sconfitta, \u003Cmark>di\u003C/mark> separazione dal movimento popolare. Crainz richiama i fantasmi \u003Cmark>del\u003C/mark> “rozzo pedagogismo giacobino ‘\u003Cmark>del\u003C/mark> gesto esemplare’ e dell’avanguardia leninista” che, per disprezzo, si sostituiscono all’azione autonoma dei cittadini.\r\nSu questa base Crainz ricostruisce le lotte degli anni Settanta, rievocando le figure dei cattivi maestri e riducendo la dinamica sociale \u003Cmark>di\u003C/mark> quegli anni ad una sorta \u003Cmark>di\u003C/mark> gigantesca cupio dissolvi culminata nella lotta armata.\r\nParte dall’assunto che le forme \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta più radicali sono legittime contro le dittature, non certo in un regime democratico.\r\nPeccato che la democrazia reale, non quella dei libri delle scuole elementari, sia quella della Diaz e \u003Cmark>di\u003C/mark> Bolzaneto, perché la “sospensione \u003Cmark>del\u003C/mark> \u003Cmark>diritto”\u003C/mark> non è l’eccezione ma la regola. Peggio. In questi anni la sospensione \u003Cmark>del\u003C/mark> \u003Cmark>diritto\u003C/mark> si è fatta regola. L’intera legislazione sull’immigrazione, i respingimenti collettivi, gli accordi con la Libia per l’outsourcing della detenzione, le guerre umanitarie, le bombe intelligenti, le carceri che scoppiano, i morti nelle caserme, i militari nelle strade, le proteste popolari sedate con gas e manganelli…\r\nLa sospensione \u003Cmark>del\u003C/mark> \u003Cmark>diritto\u003C/mark> si fa sempre regola, quando qualcuno si ribella a regole \u003Cmark>del\u003C/mark> gioco che garantiscono il ricambio delle elite, negando un reale spazio \u003Cmark>di\u003C/mark> partecipazione ai cittadini, sancendo come insuperabile una società divisa in classi, dove il profitto \u003Cmark>di\u003C/mark> pochi conta più della vita e della dignità dei più.\r\nCrainz conclude il pezzo ironizzando sugli intellettuali che giocano con i fiammiferi. Quelli come lui usano le penne come i poliziotti i manganelli. Un gioco stupido ma trasparente.\r\nGrande assente nell’analisi \u003Cmark>di\u003C/mark> Crainz è il movimento No Tav. Un movimento che non può essere ingabbiato in nessuno degli schemi in cui tanti analisti hanno provato ad incasellarlo negli anni. Un movimento che cresce e si alimenta della sue tante anime, che elabora le proprie strategie attraverso un lento e, a volte difficile, confronto. Un movimento radicale e radicato nel territorio. Un movimento che ha optato per l’azione diretta, che non delega a nessuno e ha deciso \u003Cmark>di\u003C/mark> resistere attivamente all’imposizione violenta \u003Cmark>di\u003C/mark> un’opera la cui unica utilità è il drenaggio \u003Cmark>di\u003C/mark> soldi pubblici a fini privati.\r\nIl movimento No Tav ha scelto alcuni mesi fa \u003Cmark>di\u003C/mark> appoggiare la pratica \u003Cmark>del\u003C/mark> sabotaggio. \u003Cmark>Di\u003C/mark> questa decisione restano poche tracce sui media, sia tra i cronisti che tra gli analisti, perché \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte alla volontà \u003Cmark>di\u003C/mark> un’assemblea popolare tanti teoremi si sgretolano come neve al sole.\r\nIl movimento in questi mesi dovrà affrontare una sfida complessa: mantenere radicalità e radicamento sociale. Non sarà facile, perché la magistratura sta preparando una operazione repressiva in grande stile, come dimostrano le gite dei PM torinesi a Milano e in altre città. Non sarà facile, perché le prossime amministrative rischiano ancora una volta \u003Cmark>di\u003C/mark> assorbire troppe energie a discapito dell’azione quotidiana per gettare sabbia negli ingranaggi dell’occupazione militare.\r\nLa scommessa dei prossimi mesi sarà quella \u003Cmark>di\u003C/mark> riaprire gli spazi per l’azione diretta popolare, che la repressione e la violenza \u003Cmark>del\u003C/mark> governo stanno cercando \u003Cmark>di\u003C/mark> chiudere.\r\nIl governo e la lobby \u003Cmark>del\u003C/mark> Tav non hanno troppa paura dei sabotaggi o \u003Cmark>di\u003C/mark> un manipolo \u003Cmark>di\u003C/mark> amministratori No Tav, hanno invece gran timore \u003Cmark>di\u003C/mark> una nuova rivolta popolare che renda ingovernabile il territorio.\r\nA noi tutti il compito \u003Cmark>di\u003C/mark> rendere reali le loro paure.",[256],{"field":114,"matched_tokens":257,"snippet":253,"value":254},[75,76,252],2312642367376589000,{"best_field_score":260,"best_field_weight":159,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":261,"tokens_matched":105,"typo_prefix_score":46},"3319999102976","2312642367376588913",{"document":263,"highlight":276,"highlights":281,"text_match":284,"text_match_info":285},{"comment_count":46,"id":264,"is_sticky":46,"permalink":265,"podcastfilter":266,"post_author":267,"post_content":268,"post_date":269,"post_excerpt":52,"post_id":264,"post_modified":270,"post_thumbnail":271,"post_title":272,"post_type":241,"sort_by_date":273,"tag_links":274,"tags":275},"58078","http://radioblackout.org/podcast/58078/",[212],"liberationfront","I dati propinati dall'Istituto Superiore della Sanità dimostrano come in questo periodo i contagi da influenza siano sempre presenti e colpiscono milioni di persone. Anche il Covd-19 segue la prassi delle influenze stagionali, ma con un tasso di mortalità più alto che colpisce in particolar modo anziani e persone con patologie già pre-esistenti. L'alto numero di decessi ha generato uno stato di panico, alimentato a spron battuto dai media, che ha generato una psicosi cavalcata dalle forze politiche al governo. Il decreto del 9 marzo estende su tutto il territorio nazionale le limitazioni da Zona Rossa, sospendendo il diritto alla circolazione e di riunione, dunque sospendendo lo stato di diritto, ed ogni libertà, applicando di fatto la legge marziale.\r\nMa dietro le spalle dei politici vi si innalza il Potere della Scienza, una voce inoppugnabile che scavalca ogni forma di diritto e garanzia di libertà. La campagna di terrorismo propinata per il CoronaVirus ha l'obbiettivo di abituare la popolazione ad accettare come normale la sospensione della libertà e a chinarsi obbediente all'assolutismo scientista.\r\n\r\nDal 2017 con l'applicazione dell'obbligo vaccinale lo Stato Italiano ha fatto un ulteriore passo in avanti verso l'esproprio dell'autonomia sanitaria dell'individuo, in favore di una salute pubblica, ossia obbligatoria, in cui è lo Stato ha decidere di quali cure e precauzioni ha bisogno il cittadino, al di sopra della sua volontà. La caccia al Covd-19 è un ulteriore tassello verso la soggezione materiale della popolazione mondiale, applicando la propria forza di intervento, di soggezione delle masse e di reazione delle stesse al fascismo sanitario. A dimostrarlo è stato il clima di panico generato che ha portato le persone a chiudersi in casa ancor prima dei provvedimenti ministeriali, questa è la dimostrazione di come il potere scientista ha la capacità di soggiogare gli individui anche senza coercizione.\r\n\r\nIn tutto questo la definizione di virus rimane labile, a partire dal fatto che non si tratta di animaletti infetti, ma bensì di veleni. 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La campagna \u003Cmark>di\u003C/mark> terrorismo propinata per il CoronaVirus ha l'obbiettivo \u003Cmark>di\u003C/mark> abituare la popolazione ad accettare come normale la sospensione della libertà e a chinarsi obbediente all'assolutismo scientista.\r\n\r\nDal 2017 con l'applicazione dell'obbligo vaccinale lo Stato Italiano ha fatto un ulteriore passo in avanti verso l'esproprio dell'autonomia sanitaria dell'individuo, in favore \u003Cmark>di\u003C/mark> una salute pubblica, ossia obbligatoria, in cui è lo Stato ha decidere \u003Cmark>di\u003C/mark> quali cure e precauzioni ha bisogno il cittadino, al \u003Cmark>di\u003C/mark> sopra della sua volontà. La caccia al Covd-19 è un ulteriore tassello verso la soggezione materiale della popolazione mondiale, applicando la propria forza \u003Cmark>di\u003C/mark> intervento, \u003Cmark>di\u003C/mark> soggezione delle masse e \u003Cmark>di\u003C/mark> reazione delle stesse al fascismo sanitario. A dimostrarlo è stato il clima \u003Cmark>di\u003C/mark> panico generato che ha portato le persone a chiudersi in casa ancor prima dei provvedimenti ministeriali, questa è la dimostrazione \u003Cmark>di\u003C/mark> come il potere scientista ha la capacità \u003Cmark>di\u003C/mark> soggiogare gli individui anche senza coercizione.\r\n\r\nIn tutto questo la definizione \u003Cmark>di\u003C/mark> virus rimane labile, a partire dal fatto che non si tratta \u003Cmark>di\u003C/mark> animaletti infetti, ma bensì \u003Cmark>di\u003C/mark> veleni. Veleni che noi ogni giorno espelliamo nelle normali attività fisiologiche, ma se il nostro corpo si nutre male, si imbottisce \u003Cmark>di\u003C/mark> farmaci, è stressato, respira aria inquinata, allora le funzioni escretorie non riescono a svolgere il proprio compito e l'accumulo \u003Cmark>di\u003C/mark> veleni genera la malattia: l'estremo tentativo \u003Cmark>del\u003C/mark> corpo \u003Cmark>di\u003C/mark> mettersi a riposo e a digiuno per ripulirsi organicamente.\r\nL'idea \u003Cmark>del\u003C/mark> virus che attacca il corpo umano (teoria batterica) è una teoria propinata dalla scienza, in pieno spirito ottocentesco (\u003Cmark>di\u003C/mark> dominazione sulla natura) che presuppone una natura versata alla morte contro cui si stagliano i pilastri dell'occidente: cultura, scienza e Stato.\r\n\r\nper altre info: https://www.enricomanicardi.it/\r\nper ascoltare il podcast premi qui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/manicardi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[282],{"field":114,"matched_tokens":283,"snippet":279,"value":280},[87,74,75],2312642366839718000,{"best_field_score":286,"best_field_weight":159,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":287,"tokens_matched":105,"typo_prefix_score":46},"3319998840832","2312642366839718001",{"document":289,"highlight":301,"highlights":306,"text_match":284,"text_match_info":309},{"comment_count":46,"id":290,"is_sticky":46,"permalink":291,"podcastfilter":292,"post_author":210,"post_content":293,"post_date":294,"post_excerpt":52,"post_id":290,"post_modified":295,"post_thumbnail":296,"post_title":297,"post_type":241,"sort_by_date":298,"tag_links":299,"tags":300},"16693","http://radioblackout.org/podcast/stoccolma-alle-radici-della-rivolta/",[210],"Corrispondenza da Stoccolma. I sobborghi nordovest e sud ovest della capitale svedese sono stati teatro di scontri dal 20 al 25 maggio 2013.\r\nIn sintesi le cifre della rivolta.\r\nOltre 50 le auto bruciate a Stoccolma, alcune decine sono andate in fumo ad Orebro.\r\n2 commissariati di polizia sono stati attaccati e vandalizzati uno a Jakobsberg (Stoccolma), il secondo a Orebro (ciità a circa 100 km dalla capitale svedese).\r\n2 scuole bruciate a Stoccolma e Orebro.\r\n30 le persone arrestate per la rivolta a Stoccolma.\r\nL'età media degli arrestati si aggira sui 20 anni.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con un compagno, che a vissuto a lungo in Svezia, ed oggi vi è tornato per lavoro.\r\nAscolta la diretta\r\n2013 06 07 stoccolma\r\n\r\nLo scenario. Nella zona Nord Ovest di Stoccolma ci sono i quartieri di Husby, Jakobsberg, Rinkby, Tensta, a Sud Est quelli di Jakobsberg e Norsborg. In questi quartieri c'è un'alta presenza di immigrati dove la percentuale di disoccupati è decisamente maggiore di quella della popolazione di origini svedesi (il 16,5% tra gli immigrati, il 5,7% tra gli svedesi).\r\nLa Svezia è il paese simbolo della socialdemocrazia, negli anni della guerra fredda una sorta di terza via tra socialismo e capitalismo. Dal 1990 è cominciata un'ondata liberista che ha lentamente corroso dall'interno l’ organizzazione sociale dei decenni precedenti.\r\nTuttavia la facciata del modello sociale svedese resta, i quartieri periferici non hanno le caratteristiche di degrado urbano tipici del sud europeo, i servizi sociali funzionano anche se con qualche affanno. \r\nIl diritto allo studio garantito e il sussidio di disoccupazione anche se ridotto resta all’ 80% dell’ ultimo salario percepito per il primo anno ed il 70% nei 450 giorni successivi. Come diritto costituzionale tutti i cittadini svedesi al disopra dei 20 anni hanno un salario sociale di 9200 corone al mese (circa 1200 euro). Vengono dati circa 100 euro al mese per figlio, circa un anno retribuito per assistere il bambino con problemi di salute e un assegno aggiuntivo in base alla fascia di reddito per l’ affitto della casa.\r\nIl sistema di tutela resta in piedi, sebbene negli ultimi tre anni il governo di destra abbia introdotto alcune limitazioni come la ricerca coatta del lavoro dopo il secondo anno di disoccupazione.\r\nHusby, il quartiere da cui è partita la rivolta di fine maggio, non è simile alle banlieau parigine: i servizi di trasporto pubblico ci sono e funzionano bene.\r\nPerché allora negli ultimi anni sono scoppiate rivolte?\r\nLe periferie delle grandi città svedesi sono state costruite nell’ambito del progetto Million Programme (un milione di nuove case per i lavoratori) voluto negli anni Sessanta e Settanta dal governo socialdemocratico di allora. Queste grosse unità abitative di cemento armato che ricordano un po’ quelle della ex DDR (Germania dell’est) nei primi anni hanno accolto lavoratori svedesi e finlandesi. Persino qualche ministro e capo di governo aveva la sua residenza in questi quartieri. Negli anni Ottanta e Novanta c'è stato un cambiamento della composizione sociale con l'arrivo di turchi, libanesi, iraniani, latino americani e somali necessari a sostenere il regime di produzione fordista dell’apparato industriale (fabbriche chimiche, metallurgiche, automobilistiche, elettroniche).\r\nOggi Stoccolma continua a crescere ma questi quartieri, dove l’80% della popolazione è immigrata di prima o seconda generazione, andrebbero restaurati.\r\nEmblematico è il processo di “gentrification-deportation” dell’area di Kista adiacente al quartiere di Husby epicentro di una rivolta che ha coinvolto anche le altre periferie.\r\nKista nasce nel 2008 per diventare la Sylicon Valley di Stoccolma (Kista Science Park). Vengono costruite sia unità abitative ultra moderne che insediamenti finanziari ed industriali di multinazionali. L'allargamento di Kista porta alla sua fusione con Husby dove il comune vende alle multinazionali che radono al suolo o restaurano vecchi blocchi per poi metterli o rimetterli sul mercato a prezzi non compatibili con il reddito dei residenti storici del quartiere, cui nessuno chiede un parere.\r\nIn questi giorni ad Alby gli abitanti del quartiere hanno organizzato un referendum contro la vendita da parte del comune di 1300 appartamenti: non vogliono più accettare decisioni prese da altri sulla loro pelle.\r\nNel quartiere di Hammarkullen il comune ha deciso di vendere la biblioteca, la piscina e il centro ricreativo. Anche qui è partita una dura lotta degli abitanti. Per i più giovani la lotta è contro l’esclusione dalle decisioni che li riguardano. Il confronto con la società e diventato più duro: i figli degli immigrati sono additati come responsabili della marginalità in cui vivono. Per molti è tuttavia ben chiaro che la loro condizione dipende dal modello economico e di società non certo dalla loro volontà.\r\nI figli degli immigrati nati e cresciuti qui sono svedesi culturalmente legalmente ed intellettualmente hanno gli strumenti per decodificare quello che succede intorno a loro.\r\nContrariamente agli altri paesi nordici (Danimarca, Norvegia, Finlandia, Islanda) la Svezia ha un numero molto alto di svedesi figli di immigrati che hanno studiato all'Università ed ora lavorano come giornalisti, scrittori, musicisti e ricoprono cariche pubbliche importanti. Le periferie hanno i loro intellettuali. Sono attraversati dalla cultura della periferia, hanno esperienza del razzismo strutturale, della discriminazione. Sanno bene cosa significhi crescere in uno dei quartieri per immigrati.\r\nDopo l’ ingresso in parlamento del partito Sverige Demokraterna (Democratici svedesi), che ha messo ai primi posti nell’ agenda politica la questione dell’esclusione sociale dei figli degli immigrati, sono aumentati i dibattiti pubblici su razza, colori, culture, dove non sempre il punto di vista razzista ha avuto la meglio. Spesso le tesi anti razziste, di critica post coloniale si sono imposte grazie alla generazione di opinion makers che proviene dai sobborghi. Uno come Jonas Hassan Kehimeri è riuscito a far conosce la propria critica della società svedese dalle colonne del NY Times.\r\n\r\nLa rivolta delle periferie non è un fenomeno sociale nuovo in Svezia, nel 2008 si sono verificati a Malmo e Gottenburg episodi analoghi a quelli che hanno scosso Stoccolma, ma mai la capitale era stata coinvolta prima. Queste rivolte hanno innescato la nascita di collettivi politici di cittadini che vivono nei sobborghi delle principali città svedesi: le Panterna (le Pantere) a Gottenburg e Malmo e Megafonen (Il Megafono) a Stoccolma ed Orebro.\r\nI primi segnali della rivolta a Stoccolma di quest’ anno si sono verificati in aprile nel quartiere di Tensta adiacente a Husby, nella periferia nord ovest. A Tensta vennero bruciate le auto e l'ufficio dell’agenzia immobiliare che aveva deciso un aumento dell’affitto di alcuni blocchi abitativi che aveva in gestione per conto dei proprietari. Dopo il rogo l’ agenzia ha rivisto la sua decisione e ha deciso di non aumentare gli affitti.\r\nL'innesco della rivolta del 20 maggio invece viene attribuita all'uccisione da parte della polizia di un uomo di 69 anni nel quartiere di Husby avvenuta il 13 maggio. L’uomo era di origini portoghesi, la polizia lo uccide nella sua abitazione dove aveva fatto irruzione in seguito ad una lite tra la vittima ed alcuni passanti verificatasi in strada.\r\nAl di là di quest'episodio il conflitto sociale deflagra dopo l'entrata in vigore del progetto “REVA” per il controllo della frontiera interna. La polizia e l' ufficio centrale di stato per l'immigrazione hanno avviato un controllo capillare nelle metropolitane e sui servizi di trasporto pubblico per l'identificazione e cattura degli immigrati senza documenti. Il metodo usato è semplice e brutale: si basa su un profilo razziale dove vengono fermate tutte quelle persone che non hanno sembianze scandinave (biondi, occhi chiari etc). Durante il mese di marzo c’è stato un numero consistente di azioni dirette e manifestazioni contro questo progetto. Anche in questo caso il mondo della cultura si è schierato su posizioni anti governative rafforzando nella società i valori anti razzisti. Questa nuova sensibilità ha portato al consolidamento dell'organizzazione politica nelle periferie. Le Pantere di Gotenburg e Malmo hanno adottato aggiornandolo il programma delle Pantere Nere e bianche americane ed hanno sviluppato rapporti collaborativi con le stesse, la visita di Emory Douglas (Black Panther, US) nei giorni scorsi a Stoccolma ed il suo comizio a Husby va in questa direzione.\r\nNel quartiere di Husby dove è iniziata la rivolta l’'associazione Megafonen da anni ha costruito un intervento contro la gentrificazione riuscendo ad impedire la vendita del centro si assistenza sanitaria del quartiere e della piscina ed occupando il centro sociale del comune (TRAFFA) anch'esso posto in vendita. Un altro elemento importante nello scatenare la rivolta è stata la brutalità della polizia verso la generazione di svedesi figli di immigrati. L'atteggiamento provocatorio, razzista, e discriminatorio della polizia svedese è una costante nei quartieri periferici. La lotta contro i soprusi della polizia è l'altro elemento importante all'origine degli scontri.\r\nDopo l'omicidio del portoghese e il tentativo da parte della polizia di nascondere l'accaduto (l uomo viene lasciato una giornata morto nel suo appartamento) ed i goffi tentativi da parte del primo ministro di giustificare l'accaduto, Megafonen aveva indetto una manifestazione chiedendo chiarezza senza sortire effetti né istituzionali né nei mass media.\r\nLa notte del 20 maggio vengono bruciate le prime auto a Husby, si aspetta l'arrivo dei pompieri che vengono bloccati per impedirgli di spegnere gli incendi, in modo da far arrivare la polizia che viene accolta con lanci di pietre e cominciano gli scontri. La tattica si ripete, diffondendosi a macchia d’olio nelle altre zone periferiche. Il copione è sempre lo stesso: auto che bruciano arrivo della polizia accolto con lancio di pietre da parte dei ragazzi del quartiere. La polizia risponde chiamando rinforzi e caricando tutti gli abitanti dei quartieri periferici.\r\nData l'epidemia di incendi a Stoccolma la polizia chiede rinforzi che convergono sulla capitale da Malmo, Gotenburg, Norkopping, Vesteros, Uppsala. Nel secondo e terzo giorno in 14 quartieri di Stoccolma ci sono auto in fiamme, il 4 giorno la rivolta si estende ad altre città della Svezia. La polizia accerchia ed assedia Husby e la dichiara zona di conflitto. Nel frattempo squadre del partito di estrema destra vengono formate per sorvegliare i quartieri e a volte sono loro a bruciare le auto per poi dare la colpa agli abitanti del posto cercando di dare agli eventi una connotazione di scontro razziale. La polizia ha incolpato Magafonen di essere l’organizzazione politica alla base della rivolta, ma Megafonen ha risposto che il suo unico ruolo è stato quello di documentare la violenza della polizia e di impedire che compiesse ulteriori violenze contro la popolazione. Inoltre in questi giorni sta coordinando un fondo di solidarietà per pagare le i danni ricevuti dai cittadini del quartiere per il rogo delle auto, mentre il comune di Stoccolma sta esigendo il pagamento delle contravvenzioni per non aver rimosso le carcasse delle auto. Nonostante che la stampa internazionale interpreti quello che è accaduto come “fallimento del multiculturalismo in Svezia”, oggi, dopo la fine della fiammata, si può dire che non è andata cosi male: gli eventi hanno dimostrato il fallimento della politica liberista degli ultimi governi, una vasta maggioranza della popolazione svedese (70% secondo una recente analisi sociologica) identifica nella disoccupazione, razzismo strutturale, inadeguata scolarizzazione le cause del malessere sociale.\r\n(liberamente tratto da un articolo di Molly Macguire uscito giovedì sul settimanale Umanità Nova)","10 Giugno 2013","2018-10-17 22:59:47","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/06/husby1-200x110.jpg","Stoccolma. 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Durante il mese \u003Cmark>di\u003C/mark> marzo c’è stato un numero consistente \u003Cmark>di\u003C/mark> azioni dirette e manifestazioni contro questo progetto. Anche in questo caso il mondo della cultura si è schierato su posizioni anti governative rafforzando nella società i valori anti razzisti. Questa nuova sensibilità ha portato al consolidamento dell'organizzazione politica nelle periferie. Le Pantere \u003Cmark>di\u003C/mark> Gotenburg e Malmo hanno adottato aggiornandolo il programma delle Pantere Nere e bianche americane ed hanno sviluppato rapporti collaborativi con le stesse, la visita \u003Cmark>di\u003C/mark> Emory Douglas (Black Panther, US) nei giorni scorsi a Stoccolma ed il suo comizio a Husby va in questa direzione.\r\nNel quartiere \u003Cmark>di\u003C/mark> Husby dove è iniziata la rivolta l’'associazione Megafonen da anni ha costruito un intervento contro la gentrificazione riuscendo ad impedire la vendita \u003Cmark>del\u003C/mark> centro si assistenza sanitaria \u003Cmark>del\u003C/mark> quartiere e della piscina ed occupando il centro sociale \u003Cmark>del\u003C/mark> comune (TRAFFA) anch'esso posto in vendita. Un altro elemento importante nello scatenare la rivolta è stata la brutalità della polizia verso la generazione \u003Cmark>di\u003C/mark> svedesi figli \u003Cmark>di\u003C/mark> immigrati. L'atteggiamento provocatorio, razzista, e discriminatorio della polizia svedese è una costante nei quartieri periferici. La lotta contro i soprusi della polizia è l'altro elemento importante all'origine degli scontri.\r\nDopo l'omicidio \u003Cmark>del\u003C/mark> portoghese e il tentativo da parte della polizia \u003Cmark>di\u003C/mark> nascondere l'accaduto (l uomo viene lasciato una giornata morto nel suo appartamento) ed i goffi tentativi da parte \u003Cmark>del\u003C/mark> primo ministro \u003Cmark>di\u003C/mark> giustificare l'accaduto, Megafonen aveva indetto una manifestazione chiedendo chiarezza senza sortire effetti né istituzionali né nei mass media.\r\nLa notte \u003Cmark>del\u003C/mark> 20 maggio vengono bruciate le prime auto a Husby, si aspetta l'arrivo dei pompieri che vengono bloccati per impedirgli \u003Cmark>di\u003C/mark> spegnere gli incendi, in modo da far arrivare la polizia che viene accolta con lanci \u003Cmark>di\u003C/mark> pietre e cominciano gli scontri. La tattica si ripete, diffondendosi a macchia d’olio nelle altre zone periferiche. Il copione è sempre lo stesso: auto che bruciano arrivo della polizia accolto con lancio \u003Cmark>di\u003C/mark> pietre da parte dei ragazzi \u003Cmark>del\u003C/mark> quartiere. La polizia risponde chiamando rinforzi e caricando tutti gli abitanti dei quartieri periferici.\r\nData l'epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> incendi a Stoccolma la polizia chiede rinforzi che convergono sulla capitale da Malmo, Gotenburg, Norkopping, Vesteros, Uppsala. Nel secondo e terzo giorno in 14 quartieri \u003Cmark>di\u003C/mark> Stoccolma ci sono auto in fiamme, il 4 giorno la rivolta si estende ad altre città della Svezia. La polizia accerchia ed assedia Husby e la dichiara zona \u003Cmark>di\u003C/mark> conflitto. Nel frattempo squadre \u003Cmark>del\u003C/mark> partito \u003Cmark>di\u003C/mark> estrema destra vengono formate per sorvegliare i quartieri e a volte sono loro a bruciare le auto per poi dare la colpa agli abitanti \u003Cmark>del\u003C/mark> posto cercando \u003Cmark>di\u003C/mark> dare agli eventi una connotazione \u003Cmark>di\u003C/mark> scontro razziale. La polizia ha incolpato Magafonen \u003Cmark>di\u003C/mark> essere l’organizzazione politica alla base della rivolta, ma Megafonen ha risposto che il suo unico ruolo è stato quello \u003Cmark>di\u003C/mark> documentare la violenza della polizia e \u003Cmark>di\u003C/mark> impedire che compiesse ulteriori violenze contro la popolazione. Inoltre in questi giorni sta coordinando un fondo \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà per pagare le i danni ricevuti dai cittadini \u003Cmark>del\u003C/mark> quartiere per il rogo delle auto, mentre il comune \u003Cmark>di\u003C/mark> Stoccolma sta esigendo il pagamento delle contravvenzioni per non aver rimosso le carcasse delle auto. Nonostante che la stampa internazionale interpreti quello che è accaduto come “fallimento \u003Cmark>del\u003C/mark> multiculturalismo in Svezia”, oggi, dopo la fine della fiammata, si può dire che non è andata cosi male: gli eventi hanno dimostrato il fallimento della politica liberista degli ultimi governi, una vasta maggioranza della popolazione svedese (70% secondo una recente analisi sociologica) identifica nella disoccupazione, razzismo strutturale, inadeguata scolarizzazione le cause \u003Cmark>del\u003C/mark> malessere sociale.\r\n(liberamente tratto da un articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Molly Macguire uscito giovedì sul settimanale Umanità Nova)",[307],{"field":114,"matched_tokens":308,"snippet":304,"value":305},[75,87,76],{"best_field_score":286,"best_field_weight":159,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":287,"tokens_matched":105,"typo_prefix_score":46},{"document":311,"highlight":325,"highlights":340,"text_match":351,"text_match_info":352},{"comment_count":46,"id":312,"is_sticky":46,"permalink":313,"podcastfilter":314,"post_author":315,"post_content":316,"post_date":317,"post_excerpt":52,"post_id":312,"post_modified":318,"post_thumbnail":319,"post_title":320,"post_type":241,"sort_by_date":321,"tag_links":322,"tags":324},"84277","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-12-10-2023-el-salvador-repressione-di-massa-e-lalibi-della-lotta-alle-maras-gaza-ulteriore-capitolo-del-progetto-sionista-di-stermino-del-popolo-palestinese-polonia-elezion/",[214],"radiokalakuta","Bastioni di Orione si occupa di El Salvador ,il paese piu' piccolo dell'America Centrale con Maria Teresa Messidoro che ha una lunga frequentazione con le realtà salvadoregne che si oppongono al regime del presidente Bukele .Con l'introduzione dello stato di eccezione nel marzo del 2022 con l'alibi della lotta alle\" pandillas\" si è scatenata una repressione di massa con migliaia di arresti e violenze, si sono introdotte limitazioni alla libertà di riunione e di associazione, è stato tolto il diritto alla inviolabilità della corrispondenza e della posta elettronica, non è garantito il diritto alla difesa, non esistono più limiti alla carcerazione preventiva, si può essere arrestati senza un ordine di cattura emesso da un giudice, possono passare 72 ore senza che una persona tratta in arresto conosca il suo capo d’accusa.\r\n\r\nBukele continua a godere di una certa popolarità ,dovuta anche all'utilizzo dei social media ,l'immagine informale con il cappellino rovesciato che fa presa sui giovani ,ed è sostenuto dalle oligarchie salvadoregne che stanno cambiando pelle orientandosi sulla speculazione e sullo sfruttamento delle risorse minerarie allo scopo di attirare investitori stranieri.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/BASTIONI-12102023-EL-SALVADOR.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nParliamo di quello che sta accadendo in Palestina con Eric Salerno che è stato corrispondente del Messaggero da Gerusalemme per quasi 30 anni il quale fa una ricostruzione della nascita di Hamas legandola all'interesse israeliano di dividere la leadership palestinese , fa risalire agli accordi di Oslo il ritiro dei coloni israeliani da Gaza ,commenta i fatti del 7 ottobre definendo Hamas un gruppo di terroristi e non riconoscendogli alcuna legittimità di rappresentanza della resistenza palestinese all'occupazione .Nonostante la sua indubbia esperienza maturata sul \"campo\", in linea con la narrazione corrente che utilizza le categorie manichee del bene e del male per analizzare la situazione in Palestina ,decontestualizza gli eventi dal processo storico ed espunge dalla riflessione le responsabiltà del progetto sionista che informa sempre più la politica dello stato israeliano contro i palestinesi negandone la loro stessa esistenza.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/BASTIONI-12102023-ERIC-SALERNO.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nInfine parliamo delle prossime elezioni in Polonia che si svolgeranno il 15 di Ottobre con Alessandro Ajres studioso di storia della Polonia ed esperto conoscitore dell'area ,con cui affrontiamo il tema dell'opposizione al governo reazionario del PIS il partito Diritto e giustizia, opposizione che è scesa in piazza con una manifestazione estremamente numerosa guidata da Donald Tusk.\r\n\r\nSecondo i sondaggi il Pis sarebbe in testa con il 35-37% delle preferenze, ma in calo rispetto all’ultima tornata elettorale, nella quale superò la barriera del 43% ottenendo la maggioranza assoluta grazie al premio di maggioranza per chi supera la soglia del 40%. Il partito di Tusk inseguirebbe a 6-7 punti di distanza, ma sarebbe in rimonta. Se queste previsioni fossero confermate, Morawiecki dovrebbe chiedere l’appoggio al partito di estrema destra e anti-Ue Konfederacja per tentare di formare un esecutivo. Tusk, dal canto suo, potrebbe puntare a una coalizione larga con i centristi dell’Alleanza della terza via e, qualora fosse necessario, eventualmente anche la Sinistra. Konfederacja, Alleanza della terza via e Sinistra mirano tutte a raggiungere il 10% dei consensi per avere più voce in capitolo possibile. Resta ancora alta la percentuale degli indecisi, stimata sopra il 30%, questo potrebbe rimescolare le carte in tavola in un senso o nell’altro.\r\n\r\nAffrontiamo anche alcuni temi di fondo come il nuovo ruolo della Polonia nell'architettura della NATO e relativamente alla guerra in Ucraina ,l'insofferenza polacca storicamente riproposta per la condizione di vicinanza a volte subordinata con Germania e Russia ,Il ruolo delle campagna nel sostegno al PIS in contrapposizione con la borghesia urbanizzata piu' favorevole all'opposizione ,il tema dei migranti che ha condizionato una campagna elettorale molto virulenta.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/10/AlessandroAjres_Polonia-di-guerra-e-di-piazza.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","14 Ottobre 2023","2023-10-14 12:27:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 12/10/2023- EL SALVADOR REPRESSIONE DI MASSA E L'ALIBI DELLA LOTTA ALLE 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