","I profughi, la Lega, i fronti di guerra","post",1433872107,[51,52,53,54,55,56],"http://radioblackout.org/tag/caos-sistemico/","http://radioblackout.org/tag/guerre/","http://radioblackout.org/tag/lega-nord/","http://radioblackout.org/tag/m-issione-nel-mediterraneo/","http://radioblackout.org/tag/neocolonialismo/","http://radioblackout.org/tag/profughi/",[21,15,19,25,23,17],{"post_content":59,"tags":65},{"matched_tokens":60,"snippet":63,"value":64},[61,62],"nel","Mediterraneo","l'impatto emotivo dell'ultima gravissima strage \u003Cmark>nel\u003C/mark> \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark> era tale da suggerire prudenza","La Lega Nord è uscita dal pantano \u003Cmark>nel\u003C/mark> quale stava affondando, dopo le inchieste che hanno travolto il padre e nume tutelare della formazione padana e il suo “cerchio magico”. Il piede di porco che ha sollevato il partito guidato dal rampante e ruspante Salvini è un classico nella cassetta degli attrezzi leghista: la xenofobia, il razzismo esplicito, la guerra ai migranti.\r\nNiente di strano che, dopo le elezioni regionali della scorsa settimana, Roberto Maroni abbia intrapreso una crociata contro i profughi, un argomento poco toccato nella campagna elettorale di Salvini, che ha puntato il dito sui rom, obiettivo facile in un paese dove il pregiudizio antitzigano è molto potente e diffuso.\r\nRenzi pareva padrone della situazione, dopo aver incassato l'assenso degli altri paesi europei ad accogliere qualche migliaio di profughi in deroga al trattato di Dublino. Il moltiplicarsi delle defezioni ha indebolito la posizione del primo ministro, aprendo le porte all'iniziativa leghista.\r\nD'altra parte, nonostante l'assenza di pudore dei padanisti doc, sino a poco tempo fa l'impatto emotivo dell'ultima gravissima strage \u003Cmark>nel\u003C/mark> \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark> era tale da suggerire prudenza su quel fronte. Il tempo passa, la com-passione si stempera e le ostilità possono ri-partire.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alessandro Dal Lago, studioso delle migrazioni e della loro percezione sociale nella nostra società.\r\nNe è scaturita una chiacchierata a tutto campo, in cui inevitabilmente si è passati a ragionare della missione europea \u003Cmark>nel\u003C/mark> \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark>, degli interessi italiani in Libia, dei tanti fronti di guerra, che alimentano i flussi di profughi e richiedenti asilo diretti in Europa.\r\n\r\nDi qui la spinta rinnovata a costruire campi di raccolta nei paesi della sponda sud del Mare di Mezzo, ribadita in un'intervista dal governatore del Piemonte, Sergio Chiamparino.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nalessandro dal lago_rifugiati_analisi sociologica",[66,68,70,72,78,80],{"matched_tokens":67,"snippet":21},[],{"matched_tokens":69,"snippet":15},[],{"matched_tokens":71,"snippet":19},[],{"matched_tokens":73,"snippet":77},[74,75,61,76],"m","issione","mediterraneo","\u003Cmark>m\u003C/mark> \u003Cmark>issione\u003C/mark> \u003Cmark>nel\u003C/mark> \u003Cmark>mediterraneo\u003C/mark>",{"matched_tokens":79,"snippet":23},[],{"matched_tokens":81,"snippet":17},[],[83,89],{"field":26,"indices":84,"matched_tokens":86,"snippets":88},[85],3,[87],[74,75,61,76],[77],{"field":90,"matched_tokens":91,"snippet":63,"value":64},"post_content",[61,62],2314894167593451500,{"best_field_score":94,"best_field_weight":95,"fields_matched":96,"num_tokens_dropped":37,"score":97,"tokens_matched":98,"typo_prefix_score":37},"4419510927616",13,2,"2314894167593451626",4,6646,{"collection_name":48,"first_q":25,"per_page":29,"q":25},{"facet_counts":102,"found":132,"hits":133,"out_of":297,"page":14,"request_params":298,"search_cutoff":27,"search_time_ms":299},[103,110],{"counts":104,"field_name":108,"sampled":27,"stats":109},[105],{"count":106,"highlighted":107,"value":107},5,"anarres","podcastfilter",{"total_values":14},{"counts":111,"field_name":26,"sampled":27,"stats":131},[112,114,115,117,119,121,123,125,127,129],{"count":14,"highlighted":113,"value":113},"Iran",{"count":14,"highlighted":17,"value":17},{"count":14,"highlighted":116,"value":116},"buon anno",{"count":14,"highlighted":118,"value":118},"afganistan",{"count":14,"highlighted":120,"value":120},"militarismo",{"count":14,"highlighted":122,"value":122},"spesa bellica",{"count":14,"highlighted":124,"value":124},"mafia capitale",{"count":14,"highlighted":126,"value":126},"arabia saudita",{"count":14,"highlighted":128,"value":128},"missioni militari",{"count":14,"highlighted":130,"value":130},"affari sui migranti",{"total_values":95},7,[134,161,186,216,242,267],{"document":135,"highlight":148,"highlights":153,"text_match":156,"text_match_info":157},{"comment_count":37,"id":136,"is_sticky":37,"permalink":137,"podcastfilter":138,"post_author":107,"post_content":139,"post_date":140,"post_excerpt":43,"post_id":136,"post_modified":141,"post_thumbnail":142,"post_title":143,"post_type":144,"sort_by_date":145,"tag_links":146,"tags":147},"88841","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-12-aprile-lanarchia-in-100-canti-ilaria-salis-g7-energia-e-ambiente-gaia-dan-sulla-repressione-in-israele-a-bordo-della-life-support-di-emercency/",[107],"ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.\r\n\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/04/2024-04-12-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nL’anarchia in 100 canti\r\nSabato 20 aprile alla FAT “L’anarchia in 100 canti” presentazione del libro e concerto di Alessio Lega\r\nI canti anarchici si inseriscono nella tradizione del canto popolare, che è anche d’autore, ma più spesso emerge dalle lotte, riprende arie già note, si modifica nel tempo, adattandosi a nuovi luoghi, nuovi soggetti, nuove sfide.\r\nÉ un filo rosso e nero che non si interrompe, oltrepassa le generazioni ed è la memoria di un movimento orgoglioso dei suoi 150 anni di storia.\r\nMai diviene mero retaggio del passato, perché è pratica viva che arriva ai giorni nostri con nuovi testi, nuove musiche, nuova linfa.\r\nLe canzoni anarchiche si cantano più spesso nelle strade che nei teatri.\r\nAlessio Lega, cantautore e cantore dell’anarchia, ha contribuito negli anni sia a mantenere viva la memoria sia ad arricchire il canzoniere rosso e nero.\r\nAlessio, già targa Tenco, ha un’intesa attività sia come autore e musicista sia come curatore di antologie dedicate alla musica popolare, di lotta, d’autore.\r\nLo incontrate nei migliori teatri, ma, più spesso, nelle manifestazioni, nelle piazze, nei posti dove si incontrano i suoi compagni e le sue compagne. \r\nIn vista dell’incontro/concerto del 20 aprile ne abbiamo parlato con Alessio Lega\r\n\r\nIlaria Salis o dell’ambigua liason tra fascismo e democrazia\r\nAl peggio, a volte, non c’è fine. Ilaria Salis, suo malgrado, ci ha mostrato che possono esserci pozzi ancora più profondi e neri di quelli che, anche da noi, inghiottono e piegano tante vite, luoghi dove, per legge, puoi essere incatenato, trascinato, umiliato.\r\nIl pozzo nero dell’Ungheria sedotta dal nazismo è lo specchio nel quale rischiamo di scorgere un futuro ancora più scuro per l’Europa intera. E, in primis per il nostro paese, dove i fascisti al governo rendono sempre più violenta e autoritaria la stretta intorno ai movimenti di opposizione sociale.\r\n\r\nAntimilitarist* contro il G7 energia e ambiente, contro l'ENI, la logica estrattivista, le missioni militari neocoloniali dell'Italia\r\nL'assemblea antimilitarista fa proprio l'appello dei compagni e compagne di Torino per la costruzione di uno spezzone antimilitarista al corteo di domenica 28 aprile contro il G7 ambiente ed energia, che si terrà alla Reggia di Venaria dal 28 al 30 aprile.\r\nNegli anni si sono moltiplicate le missioni militari italiane all'estero, che, soprattutto in Africa, difendono gli interessi dell'ENI, testa di ponte del neocolonialismo italiano.\r\nLa bandiera con il cane a sei zampe dell'ENI sventola a fianco di quella tricolore in luoghi in cui la desertificazione e la predazione delle risorse macinano le vite di tanta parte di chi ci vive.\r\nENI, al di là del greenwashing di Plenitude, ha recentemente annunciato di voler ulteriormente incrementare la produzione di energia basata su fonti fossili, rendendosi responsabile di un ulteriore catastrofico aumento delle emissioni climaticide.\r\nNon solo. L'Italia mantiene una missione militare in Niger, sia per la repressione dei flussi migratori, sia per il controllo delle miniere di uranio. L'uranio è il combustibile delle centrali nucleari, per le quali è ripresa una martellante propaganda anche nel nostro paese. Inutile ricordare il potenziale distruttivo e devastante per l'ambiente di questa tecnologia, in cui il confine tra militare e civile è impalpabile.\r\nLa logica del profitto ad ogni costo sta trascinando l'umanità verso il baratro.\r\nContrastiamo il militarismo neocoloniale dell'Italia!\r\nFermarli è possibile, fermarli è urgente.\r\n\r\nUna lettera di Gaia Dan del Refuser Solidarity Network sulla repressione dell’opposizione alla guerra in Israele\r\n“La vera violenza e gli arresti subiti dagli attivisti sia israeliani che palestinesi hanno reso tutti timorosi di parlare apertamente e di unirsi alle proteste, ma lentamente le persone stanno cominciando ad acquisire la fiducia necessaria per parlare apertamente contro la guerra. La mia speranza è che alzeremo la nostra voce, una sola voce, contro la guerra.”\r\n\r\nA bordo della Life Support di Emercency\r\nGiacomo Sini, compagno e fotoreporter, ha trascorso alcuni giorni a bordo della Life Support una delle navi delle ONG, che soccorrono i naufraghi nel Mediterraneo centrale.\r\nQueste navi sono spesso l’unica possibilità di sopravvivenza per i migranti quando le frontiere chiuse e blindate della Fortezza Europa rischiano di inghiottirne le vite.\r\nIl Mediterraneo centrale è affollato come un supermercato il sabato pomeriggio, ma le imbarcazioni dei “clandestini” paiono diventare invisibili per le tante imbarcazioni che lo attraversano. Per i mezzi della Marina Militare, dotati dei più potenti strumenti di osservazione satellitare, le navi dei migranti sono avvolte nella nebbia. Sempre. 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Per vederci bene serve la luce, se la luce è troppa si rischia di restare abbagliati, di non vedere quello che conta. E’ il caso delle recenti inchieste sugli intrallazzi miliardari che hanno coinvolto l’amministrazione comunale romana, l’ex sindaco (post)fascista Alemanno, e un giro trasversale di politici, malavitosi e coop rosse, dall’ex Nar/banda della Magliana Carminati al democratico Buzzi. \r\nIl colore dei soldi unisce più di quello della politica. \r\nL’inchiesta ha dato visibilità ad un malaffare diffuso, capillare, sistemico, chiarendo quale grosso e lucroso affare sia la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo o “l’integrazione” di rom e sinti. Occorre tuttavia guardare oltre il dito che indica la luna. Quando le assegnazioni sono fatte seguendo le regole, i rifugiati e i rom sono comunque un buon affare per chi gestisce l’accoglienza. \r\nBen poco, a volte nulla, di quello che dovrebbe essere garantito viene davvero offerto a chi fugge guerre e persecuzioni ed approda nel nostro paese per cercare di ottenere asilo. \r\nIl business sulla pelle degli immigrati, dei richiedenti asilo, delle comunità rom e sinti è enorme. L'attenzione mediatica si è concentrata sulle tangenti versate per accaparrarsi i fondi destinati all'accoglienza, ma pochissimi si sono interrogati su quali siano i meccanismi che permettono questi enormi affari sulle spalle dei migranti e di noi tutti. \r\nPartiamo da una considerazione banale ma importante: qualsiasi spesa pubblica di grossa entità - in particolare ma non solo, se affidata a enti esterni – ha un corollario di speculazioni, ingordo appetito di individui privi di scrupoli, corruzione... Questa regola vale per l’edilizia, assistenza o qualsiasi altro ambito. \r\nI meccanismi che regolano i contributi per l'assistenza a rom e richiedenti asilo sono diversi ma con vari aspetti in comune e stesse tecniche per poterne ricavare ingenti somme. Se per i rom una buona parte dei contributi viene dall'Unione Europea, per “l'emergenza dei richiedenti asilo” i soldi vengono tutti dal ministero dell'interno. \r\nVogliamo capirne di più. Per questa ragione abbiamo sentito Federico, un compagno di Trieste che conosce bene la questione. \r\nAscolta la diretta con Federico:\r\n\r\n2014 12 19 denitto business rifugiati\r\n\r\n\r\nVale la pena fare un passo indietro.\r\nTutto comincia nel 2011: la guerra civile in Libia e la fuga di migliaia di persone che si dirigono nel nostro paese sono all’origine di una ennesima, sin troppo prevedibile, “emergenza”. La prassi adottata ancora oggi è stata elaborata e sperimentata in quell’occasione. Le prefetture, tramite i comuni, individuano nei vari territori soggetti terzi (consorzi, cooperative, enti caritatevoli, ecc) disposti a prendersi in carico (in strutture proprie o dei comuni stessi) un certo numero di richiedenti asilo. Con questi soggetti terzi vengono stipulate convenzioni. Niente gara di appalto al ribasso come nei CIE, ma un’assegnazione diretta, che di fatto molto spesso ricade su cordate amiche. Chi entra nell’affare riceve, per ogni giorno di permanenza nelle strutture, un quota fissa di 35 euro a persona. Con questa quota devono essere garantiti una serie di servizi: vitto, abbigliamento, spese sanitarie, assistenza legale, mediazione culturale e interpreti, corsi di italiano, ecc ed ovviamente le paghe agli operatori che seguono le persone prese in carico. Di questi 35 euro ai richiedenti asilo rimangono in mano solamente 2,50 euro al giorno (il cosiddetto pocket money) che in genere viene dato a cadenza mensile.\r\nÈ un meccanismo con numerosi punti critici. Ecco i principali.\r\nLa scelta dei soggetti terzi a cui affidare le convenzioni e quali servizi siano poi effettivamente effettuati. È abbastanza evidente che una cosa è affidare l'assistenza a soggetti che - nel bene e nel male e pur con mille limiti e criticità - sono nati ed hanno esperienza nel lavorare coi migranti e in particolare coi richiedenti asilo (pensiamo ad esempio a piccoli consorzi o associazioni di base locali slegati dai grandi carrozzoni nazionali tipo Caritas) e altro è darlo a cooperative o associazioni “amiche” che normalmente fanno tutt'altro e che si improvvisano gestori di strutture di accoglienza. Da questo al business sulla pelle dei migranti il passo è breve. Perché - e qui veniamo al secondo punto - il lucro si costruisce su quanti e quali servizi vengono effettivamente forniti ai richiedenti asilo e sulle paghe degli operatori che vi lavorano. Il cibo scadente costa meno di pasti dignitosi, come i corsi di italiano da burla, l’assistenza legale fittizia. E la lista degli esempi si potrebbe ancora allungare. È ovvio che pagare un operatore 700 euro al mese non è la stessa cosa che pagarlo 1300. La quota erogata è sempre la stessa e non ci sono controlli: i margini per guadagnarci sopra sono enormi. \r\nIl meccanismo partito nel 2011 non si esaurito con la fine di quel flusso di profughi (le convenzioni si sono chiuse quasi tutte a fine 2013) ma è stato riproposto pari pari con l'ondata iniziata nel 2013 di persone provenienti soprattutto da Pakistan, Afganistan e Siria. Una nuova “emergenza”, un nuovo enorme business.\r\nUna macchina che rende ricco chi la manovra, stritola le vite di chi già è fuggito a guerre e persecuzioni.\r\nIn questi giorni hanno avuto una certa eco i dati diffusi dall’agenzia delle Nazioni Unite sui morti nel Mediterraneo, che, alla faccia di Mare Nostrum, nel 2014 sono state più che nei tre anni precedenti. \r\nNei primi 10 mesi dell’anno sono arrivati sulle coste italiane circa 150mila migranti, più del triplo rispetto al 2013, soprattutto eritrei e siriani.\r\nL’accoglienza dei profughi in Italia è trattata da media e politici come eterna “emergenza”, per consentire operazioni “tappabuchi” dove la grande abbuffata di soldi pubblici possa proseguire senza grossi intoppi.\r\nLa Svezia, paese molto meno popoloso dell’Italia ha accolto molti più rifugiati dell’Italia. In un solo weekend di ottobre, quando era al culmine la crisi di Kobane, sono arrivati in Turchia oltre 150mila profughi, più di quanti ne abbia accolti l’intera Unione europea dall’inizio del conflitto a Damasco. Cifre che la dicono lunga sulle frontiere serrate dell’Unione Europea. \r\nLe cifre di chi non arriva ci raccontano di una strage i cui responsabili siedono nei parlamenti e nei governi dell’UE. In prima fila l’Italia. \r\nOltre 3400 morti in mare. Una catastrofe umanitaria destinata ad aumentare ancora: I rifugiati sono più del 60% di chi approda nel nostro paese. L’acuirsi e moltiplicarsi di conflitti, in cui spesso il nostro paese è impegnato direttamente, rende facile prevedere che sempre più persone cercheranno rifugio in Europa. Molti, sempre più non arriveranno. La sostituzione di Mare Nostrum con Triton, la missione UE con meno mezzi e meno soldi, non potrà che far crescere la lista di chi affoga. \r\nMare Nostrum fu la risposta alla strage del 3 ottobre 2013 di fronte a Lampedusa, quando le acque del Mediterraneo inghiottirono 366 uomini, donne, bambini. \r\nUna risposta umanitaria – 150.000 persone intercettate – una risposta di polizia: il nome stesso della “missione” ce lo racconta. \r\nCon Triton, 2,9 milioni mensili di budget contro i 9 di Mare Nostrum, ed il compito di pattugliare entro le trenta miglia dalla nostra costa, resta solo la polizia. E non avrebbe potuto essere altrimenti: Triton è una missione di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. \r\nChi affoga in mezzo al mare lascerà traccia di se solo nei cuori chi lo ha visto partire senza più dare notizie. Chi passa e viene immesso nel programma per i rifugiati si apre la strada dell’accoglienza made in Italy. Tanti soldi per chi gestisce, un lungo limbo per chi resta intrappolato in un paese dove pochi vorrebbero restare. \r\nLungo una frontiera fatta di nulla si consuma un’idea di civiltà fatta di sopraffazione, guerra, di sfruttamento selvaggio. \r\nMentre scriviamo qualcuno muore in carcere, sul filo spinato di un confine, qualcuno chiude gli occhi senza aver mai mangiato a sufficienza, altri vivono raspando tra i rifiuti di una discarica, qualcuno nasce in una baracca ed ha già il destino segnato. \r\nSu quella baracca non c’è nessuna buona stella.\r\nOggi i cristiani festeggiano l’anniversario della nascita di un dio che si è fatto uomo e da uomo si è fatto torturare ed uccidere per una salvezza che non è di questa terra.\r\nNoi che abitiamo la terra e il tempo che ci è capitato, sappiamo che quel poco di bene che potremo ottenere, dipende da ciascuno di noi. \r\nUn mondo senza padroni, governanti, galere, sfruttamento, eserciti è possibile.\r\nUn buon anno di lotta e libertà a tutti e a tutte.","25 Dicembre 2014","2018-10-17 22:59:22","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/morti-in-mare-200x110.jpg","Anarres-info. 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E’ il caso delle recenti inchieste sugli intrallazzi miliardari che hanno coinvolto l’amministrazione comunale romana, l’ex sindaco (post)fascista Alemanno, e un giro trasversale di politici, malavitosi e coop rosse, dall’ex Nar/banda della Magliana Carminati al democratico Buzzi. \r\nIl colore dei soldi unisce più di quello della politica. \r\nL’inchiesta ha dato visibilità ad un malaffare diffuso, capillare, sistemico, chiarendo quale grosso e lucroso affare sia la gestione dell’accoglienza dei richiedenti asilo o “l’integrazione” di rom e sinti. Occorre tuttavia guardare oltre il dito che indica la luna. Quando le assegnazioni sono fatte seguendo le regole, i rifugiati e i rom sono comunque un buon affare per chi gestisce l’accoglienza. \r\nBen poco, a volte nulla, di quello che dovrebbe essere garantito viene davvero offerto a chi fugge guerre e persecuzioni ed approda \u003Cmark>nel\u003C/mark> nostro paese per cercare di ottenere asilo. \r\nIl business sulla pelle degli immigrati, dei richiedenti asilo, delle comunità rom e sinti è enorme. L'attenzione mediatica si è concentrata sulle tangenti versate per accaparrarsi i fondi destinati all'accoglienza, ma pochissimi si sono interrogati su quali siano i meccanismi che permettono questi enormi affari sulle spalle dei migranti e di noi tutti. \r\nPartiamo da una considerazione banale ma importante: qualsiasi spesa pubblica di grossa entità - in particolare ma non solo, se affidata a enti esterni – ha un corollario di speculazioni, ingordo appetito di individui privi di scrupoli, corruzione... Questa regola vale per l’edilizia, assistenza o qualsiasi altro ambito. \r\nI meccanismi che regolano i contributi per l'assistenza a rom e richiedenti asilo sono diversi ma con vari aspetti in comune e stesse tecniche per poterne ricavare ingenti somme. Se per i rom una buona parte dei contributi viene dall'Unione Europea, per “l'emergenza dei richiedenti asilo” i soldi vengono tutti dal ministero dell'interno. \r\nVogliamo capirne di più. Per questa ragione abbiamo sentito Federico, un compagno di Trieste che conosce bene la questione. \r\nAscolta la diretta con Federico:\r\n\r\n2014 12 19 denitto business rifugiati\r\n\r\n\r\nVale la pena fare un passo indietro.\r\nTutto comincia \u003Cmark>nel\u003C/mark> 2011: la guerra civile in Libia e la fuga di migliaia di persone che si dirigono \u003Cmark>nel\u003C/mark> nostro paese sono all’origine di una ennesima, sin troppo prevedibile, “emergenza”. La prassi adottata ancora oggi è stata elaborata e sperimentata in quell’occasione. Le prefetture, tramite i comuni, individuano nei vari territori soggetti terzi (consorzi, cooperative, enti caritatevoli, ecc) disposti a prendersi in carico (in strutture proprie o dei comuni stessi) un certo numero di richiedenti asilo. Con questi soggetti terzi vengono stipulate convenzioni. Niente gara di appalto al ribasso come nei CIE, ma un’assegnazione diretta, che di fatto molto spesso ricade su cordate amiche. Chi entra nell’affare riceve, per ogni giorno di permanenza nelle strutture, un quota fissa di 35 euro a persona. Con questa quota devono essere garantiti una serie di servizi: vitto, abbigliamento, spese sanitarie, assistenza legale, mediazione culturale e interpreti, corsi di italiano, ecc ed ovviamente le paghe agli operatori che seguono le persone prese in carico. Di questi 35 euro ai richiedenti asilo rimangono in mano solamente 2,50 euro al giorno (il cosiddetto pocket money) che in genere viene dato a cadenza mensile.\r\nÈ un meccanismo con numerosi punti critici. Ecco i principali.\r\nLa scelta dei soggetti terzi a cui affidare le convenzioni e quali servizi siano poi effettivamente effettuati. È abbastanza evidente che una cosa è affidare l'assistenza a soggetti che - \u003Cmark>nel\u003C/mark> bene e \u003Cmark>nel\u003C/mark> male e pur con mille limiti e criticità - sono nati ed hanno esperienza \u003Cmark>nel\u003C/mark> lavorare coi migranti e in particolare coi richiedenti asilo (pensiamo ad esempio a piccoli consorzi o associazioni di base locali slegati dai grandi carrozzoni nazionali tipo Caritas) e altro è darlo a cooperative o associazioni “amiche” che normalmente fanno tutt'altro e che si improvvisano gestori di strutture di accoglienza. Da questo al business sulla pelle dei migranti il passo è breve. Perché - e qui veniamo al secondo punto - il lucro si costruisce su quanti e quali servizi vengono effettivamente forniti ai richiedenti asilo e sulle paghe degli operatori che vi lavorano. Il cibo scadente costa meno di pasti dignitosi, come i corsi di italiano da burla, l’assistenza legale fittizia. E la lista degli esempi si potrebbe ancora allungare. È ovvio che pagare un operatore 700 euro al mese non è la stessa cosa che pagarlo 1300. La quota erogata è sempre la stessa e non ci sono controlli: i margini per guadagnarci sopra sono enormi. \r\nIl meccanismo partito \u003Cmark>nel\u003C/mark> 2011 non si esaurito con la fine di quel flusso di profughi (le convenzioni si sono chiuse quasi tutte a fine 2013) ma è stato riproposto pari pari con l'ondata iniziata \u003Cmark>nel\u003C/mark> 2013 di persone provenienti soprattutto da Pakistan, Afganistan e Siria. Una nuova “emergenza”, un nuovo enorme business.\r\nUna macchina che rende ricco chi la manovra, stritola le vite di chi già è fuggito a guerre e persecuzioni.\r\nIn questi giorni hanno avuto una certa eco i dati diffusi dall’agenzia delle Nazioni Unite sui morti \u003Cmark>nel\u003C/mark> \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark>, che, alla faccia di Mare Nostrum, \u003Cmark>nel\u003C/mark> 2014 sono state più che nei tre anni precedenti. \r\nNei primi 10 mesi dell’anno sono arrivati sulle coste italiane circa 150mila migranti, più del triplo rispetto al 2013, soprattutto eritrei e siriani.\r\nL’accoglienza dei profughi in Italia è trattata da media e politici come eterna “emergenza”, per consentire operazioni “tappabuchi” dove la grande abbuffata di soldi pubblici possa proseguire senza grossi intoppi.\r\nLa Svezia, paese molto meno popoloso dell’Italia ha accolto molti più rifugiati dell’Italia. In un solo weekend di ottobre, quando era al culmine la crisi di Kobane, sono arrivati in Turchia oltre 150mila profughi, più di quanti ne abbia accolti l’intera Unione europea dall’inizio del conflitto a Damasco. Cifre che la dicono lunga sulle frontiere serrate dell’Unione Europea. \r\nLe cifre di chi non arriva ci raccontano di una strage i cui responsabili siedono nei parlamenti e nei governi dell’UE. In prima fila l’Italia. \r\nOltre 3400 morti in mare. Una catastrofe umanitaria destinata ad aumentare ancora: I rifugiati sono più del 60% di chi approda \u003Cmark>nel\u003C/mark> nostro paese. L’acuirsi e moltiplicarsi di conflitti, in cui spesso il nostro paese è impegnato direttamente, rende facile prevedere che sempre più persone cercheranno rifugio in Europa. Molti, sempre più non arriveranno. La sostituzione di Mare Nostrum con Triton, la \u003Cmark>missione\u003C/mark> UE con meno mezzi e meno soldi, non potrà che far crescere la lista di chi affoga. \r\nMare Nostrum fu la risposta alla strage del 3 ottobre 2013 di fronte a Lampedusa, quando le acque del \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark> inghiottirono 366 uomini, donne, bambini. \r\nUna risposta umanitaria – 150.000 persone intercettate – una risposta di polizia: il nome stesso della “\u003Cmark>missione”\u003C/mark> ce lo racconta. \r\nCon Triton, 2,9 milioni mensili di budget contro i 9 di Mare Nostrum, ed il compito di pattugliare entro le trenta miglia dalla nostra costa, resta solo la polizia. E non avrebbe potuto essere altrimenti: Triton è una \u003Cmark>missione\u003C/mark> di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. \r\nChi affoga in mezzo al mare lascerà traccia di se solo nei cuori chi lo ha visto partire senza più dare notizie. 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La spesa complessiva del dl è di circa 265 milioni di euro - 265.801.614 per la precisione - tra rifinanziamento delle missioni, competenze del ministero degli esteri e \"interventi umanitari\". Per le prime due voci il costo è di 256 milioni di euro.\r\nLa legge approvata continua a sostenere che \"Le missioni delle Forze Armate e di Polizia italiane sono “iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione“. 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Una storia di guerra.\r\n\r\nQueste le missioni internazionali in cui sono impegnate le forze armate italiane:\r\nMissioni ISAF-EUPOL (Afganistan) 124.536.000 euro\r\nMissione UNIFIL (Libano) 40.237.496 euro\r\nMissioni Joint Enterprise – MSU – MLO- EULEX (Kossovo) 22.447.777 euro\r\nMissione ALTHEA – IPU (Bosnia-Ervegovina) 75.320 euro\r\nMissione Active Endeavour (Mediterraneo) 5.090.340 euro\r\nMissione TIPH 2 (Hebron, Palestina) 285.997 euro\r\nMissione EUBAM (valico di Rafah)\r\nMissione UNAMID (Darfur)\r\nMissione UNFICYP (Cipro) 66.961 euro\r\nMissioni ATALANTA e OCEAN SHIELD (antipirateria) 11.424.069 euro\r\nMissione la logistica per l'Afganistan in Barhein - 5.509.576 euro\r\nMissioni EUTM – EUCAP NESTOR (Somalia e Corno d’Africa) 3.689.030 euro\r\nMissione EUBAM (Libia) 2.547.405 euro\r\nMissione EUMM (Georgia)\r\nMissione UNMISS (Sud Sudan)\r\nMissione EUCAP Sahel Niger e iniziative ONU ed EU per il Mali 726.003 euro\r\nCooperazione delle Forze di polizia italiane (Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Corpo della guardia di finanza) in Albania e nei Paesi dell’area balcanica\r\nMissione EUPOL COPPS (Palestina)\r\nUfficio Interforze Area Balcani\r\nAgenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) a protezione del personale delle Forze armate impiegato nelle missioni internazionali.\r\nSi aggiungono il corpo militare volontario e Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana per le esigenze di supporto sanitario delle missioni internazionali in Afganistan e negli Emirati Arabi Uniti.\r\n\r\nLa più corposa è la missione Isaf-Eupol in Afganistan, a guida Nato la prima, decisa dal Consiglio Europeo la seconda: oltre 3mila soldati impegnati, con mezzi terrestri e aerei, per un totale di oltre 124 milioni di euro (124.536.000)\r\nLa seconda per importanza e voce di spese è la Unifil, in Libano, al confine sud del paese fino a quello con Israele. Più di mille i soldati impiegati, come mezzi militari, aerei e navali: in tutto 40 milioni di euro.\r\nNon mancano le missioni navali, tra queste l’Active Endeavour, “impegno attivo” 347 militari, 3 aerei e 4 navi sotto la bandiera della Nato per un costo di 5 milioni di euro.\r\nLa missione nasce per il controllo del mar Mediterraneo: secondo i dati raccolti, nel 2009 veniva controllato il 60% delle acque. La percentuale è in aumento negli ultimi anni: ci sono unità di 62 paesi, tra cui anche la Russia, che tengono sotto controllo oltre 100mila mercantili.\r\nIl dato curioso di questa enorme operazione di controllo del mare è quello che non c'é. Ci si aspetterebbe che in tanti anni qualcuno avesse incrociato qualche barcone degli immigrati, che percorrono le rotte del Mediterraneo per approdare in Sicilia. Invece no. nonostante i collegamenti satellitari e i radar potentissimi l'enorme flotta militare internazionale che pattuglia il Mediterraneo non ha mai visto nessuno.\r\nAll’inizio la missione era diretta al controllo delle rotte di Al Qaeda, ma non è stato mai fermato nessuno. Solo controlli sui mercantili, oltre 100mila: delle navi dei rifugiati neanche un accenno. Il tratto tra la Libia e la Sicilia, è pattugliato, mentre sul canale tra Tunisia e Italia volano gli aerei: sulla mappa c’è Lampedusa, eppure, da questa missione non giungono dati sulla presenza di navi che non siano mercantili.\r\nUn inghippo interessante da sciogliere, mentre, dopo la strage di Lampedusa, sono diventate più pressanti le richieste di intervento da parte dell'Unione Europea e della sua agenzia per il controllo delle frontiere, la famigerata Frontex.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Stefano Raspa del Comitato contro Aviano 2000. 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La spesa complessiva del dl è di circa 265 milioni di euro - 265.801.614 per la precisione - tra rifinanziamento delle missioni, competenze del ministero degli esteri e \"interventi umanitari\". Per le prime due voci il costo è di 256 milioni di euro.\r\nLa legge approvata continua a sostenere che \"Le missioni delle Forze Armate e di Polizia italiane sono “iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione“. Quelli approvati questa settimana e più volte finanziati dal parlamento non sarebbero interventi di guerra, ma operazioni di mantenimento, istruzione, formazione e controllo di territori a rischio, dove sono in corso conflitti.\r\nI dati a nostra disposizione, specie per l'Afganistan dove l'Italia è maggiormente impegnata, raccontano un'altra storia, la storia di un'occupazione militare violenta, fatta di bombardamenti, mitragliamenti, perquisizioni notturne, assassini di civili. Una storia di guerra.\r\n\r\nQueste le missioni internazionali in cui sono impegnate le forze armate italiane:\r\nMissioni ISAF-EUPOL (Afganistan) 124.536.000 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> UNIFIL (Libano) 40.237.496 euro\r\nMissioni Joint Enterprise – MSU – MLO- EULEX (Kossovo) 22.447.777 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> ALTHEA – IPU (Bosnia-Ervegovina) 75.320 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> Active Endeavour (\u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark>) 5.090.340 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> TIPH 2 (Hebron, Palestina) 285.997 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> EUBAM (valico di Rafah)\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> UNAMID (Darfur)\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> UNFICYP (Cipro) 66.961 euro\r\nMissioni ATALANTA e OCEAN SHIELD (antipirateria) 11.424.069 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> la logistica per l'Afganistan in Barhein - 5.509.576 euro\r\nMissioni EUTM – EUCAP NESTOR (Somalia e Corno d’Africa) 3.689.030 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> EUBAM (Libia) 2.547.405 euro\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> EUMM (Georgia)\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> UNMISS (Sud Sudan)\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> EUCAP Sahel Niger e iniziative ONU ed EU per il Mali 726.003 euro\r\nCooperazione delle Forze di polizia italiane (Polizia di Stato, Arma dei carabinieri e Corpo della guardia di finanza) in Albania e nei Paesi dell’area balcanica\r\n\u003Cmark>Missione\u003C/mark> EUPOL COPPS (Palestina)\r\nUfficio Interforze Area Balcani\r\nAgenzia informazioni e sicurezza esterna (AISE) a protezione del personale delle Forze armate impiegato nelle missioni internazionali.\r\nSi aggiungono il corpo militare volontario e Corpo delle infermiere volontarie della Croce Rossa Italiana per le esigenze di supporto sanitario delle missioni internazionali in Afganistan e negli Emirati Arabi Uniti.\r\n\r\nLa più corposa è la \u003Cmark>missione\u003C/mark> Isaf-Eupol in Afganistan, a guida Nato la prima, decisa dal Consiglio Europeo la seconda: oltre 3mila soldati impegnati, con mezzi terrestri e aerei, per un totale di oltre 124 milioni di euro (124.536.000)\r\nLa seconda per importanza e voce di spese è la Unifil, in Libano, al confine sud del paese fino a quello con Israele. Più di mille i soldati impiegati, come mezzi militari, aerei e navali: in tutto 40 milioni di euro.\r\nNon mancano le missioni navali, tra queste l’Active Endeavour, “impegno attivo” 347 militari, 3 aerei e 4 navi sotto la bandiera della Nato per un costo di 5 milioni di euro.\r\nLa \u003Cmark>missione\u003C/mark> nasce per il controllo del mar \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark>: secondo i dati raccolti, \u003Cmark>nel\u003C/mark> 2009 veniva controllato il 60% delle acque. La percentuale è in aumento negli ultimi anni: ci sono unità di 62 paesi, tra cui anche la Russia, che tengono sotto controllo oltre 100mila mercantili.\r\nIl dato curioso di questa enorme operazione di controllo del mare è quello che non c'é. Ci si aspetterebbe che in tanti anni qualcuno avesse incrociato qualche barcone degli immigrati, che percorrono le rotte del \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark> per approdare in Sicilia. Invece no. nonostante i collegamenti satellitari e i radar potentissimi l'enorme flotta militare internazionale che pattuglia il \u003Cmark>Mediterraneo\u003C/mark> non ha mai visto nessuno.\r\nAll’inizio la \u003Cmark>missione\u003C/mark> era diretta al controllo delle rotte di Al Qaeda, ma non è stato mai fermato nessuno. Solo controlli sui mercantili, oltre 100mila: delle navi dei rifugiati neanche un accenno. Il tratto tra la Libia e la Sicilia, è pattugliato, mentre sul canale tra Tunisia e Italia volano gli aerei: sulla mappa c’è Lampedusa, eppure, da questa \u003Cmark>missione\u003C/mark> non giungono dati sulla presenza di navi che non siano mercantili.\r\nUn inghippo interessante da sciogliere, mentre, dopo la strage di Lampedusa, sono diventate più pressanti le richieste di intervento da parte dell'Unione Europea e della sua agenzia per il controllo delle frontiere, la famigerata Frontex.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Stefano Raspa del Comitato contro Aviano 2000. Ne è scaturita una discussione a tutto campo, sul confine sempre più labile tra guerra esterna e guerra interna.\r\n\r\nAscolta la chiacchierata:\r\n\r\n2013 12 04 raspa missioni estero",[210],{"field":90,"matched_tokens":211,"snippet":207,"value":208},[206,62,206],1733921019569111000,{"best_field_score":214,"best_field_weight":159,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":215,"tokens_matched":85,"typo_prefix_score":37},"2216192704512","1733921019569111153",{"document":217,"highlight":229,"highlights":235,"text_match":238,"text_match_info":239},{"comment_count":37,"id":218,"is_sticky":37,"permalink":219,"podcastfilter":220,"post_author":107,"post_content":221,"post_date":222,"post_excerpt":43,"post_id":218,"post_modified":223,"post_thumbnail":224,"post_title":225,"post_type":144,"sort_by_date":226,"tag_links":227,"tags":228},"87830","http://radioblackout.org/podcast/anarres-dell8-marzo-stupri-di-guerra-con-uno-sguardo-a-israele-e-gaza-missioni-militari-una-barriera-contro-i-militari/",[107],"ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/2024-03-08-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nL’Italia in guerra. Missioni militari all’estero\r\nSono state approvate le missioni militari all’estero del 2024. Tra queste spicca la missione Aspides, missione europea cui partecipano Italia, Grecia e Francia, approvata dal Consiglio dei ministri dopo che era divenuta operativa da tempo nel Mar Rosso.\r\nLa missione ha il compito di tutelare gli interessi del trasporto commerciale italiano nell’area. Il Comando operativo dell'operazione ha sede a Larissa in Grecia e il comandante è il commodoro greco Vasilios Griparis. Il Force commander (che guida le operazioni nel teatro operativo, a bordo della nave ammiraglia) è il contrammiraglio italiano Stefano Costantino.\r\nAspides affianca l’operazione Atalanta, operativa sin dal 2008, che si muove su un’area più vasta che comprende Mar Mediterraneo, Mar Rosso, Golfo di Aden, Mar Arabico, bacino somalo, Canale del Mozambico e Oceano Indiano.\r\nSono due delle 46 missioni militari italiane tra Europa, Asia ed Africa.\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli dell’Assemblea Antimilitarista\r\n\r\nStupri di guerra. Con uno sguardo a Israele e Gaza\r\nLo stupro è un’arma di guerra, di tutte le guerre, un modo per umiliare gli uomini del nemico, incapaci di mantenere il controllo delle “proprie” donne. Ma, soprattutto, è l’esplicitazione più cruda della guerra patriarcale contro le donne. Una guerra senza esclusione di colpi. La libertà delle donne è la posta in gioco: ucciderle non basta, vanno annientate, ridotte a nulla. Per terrorizzare tutte le altre, per dire a chiare lettere che questo pianeta non è un luogo dove le donne possano vivere in libertà senza pagarne il prezzo.\r\nLo stupro di guerra, fatto di torture e mutilazioni, spesso si conclude con l’uccisione, delle bambine, delle ragazze, delle donne.\r\nIn guerra il sangue, le lacerazioni, le ferite i corpi distrutti sono esibiti come trofei, mostrati nei video compiaciuti dei carnefici, esibiti sui social.\r\nImmagini che vorremmo cancellare, coprire, non per nascondere la verità ma per sottrarre ai violenti il loro trofeo pubblico. Ma ci tocca guardare perché il nostro sguardo possa spezzare l’omertà che circonda alcune vicende.\r\nIn tempi di “pace armata”, la violenza degli stupri prosegue nelle aule di tribunale, dove le donne che scelgono di denunciare, sono, nei fatti, obbligate a dimostrare, mostrando lividi, ferite, lacerazioni la loro opposizione. Il semplice “no” è considerato sospetto, viene inquisito, mette le vittime sul banco delle imputate.\r\n“Sorella io ti credo.” è uno slogan che riecheggia nelle piazze femministe di ogni dove. Il sostegno concreto, attivo, solidale di donne verso altre donne. Di donne che conoscono, per averlo esperito sulla propria pelle, il sapore agre del sospetto, del chiacchiericcio, della “battutina”. Senza sangue non c’è violenza. O muori come Maria Goretti o, in fondo, te la sei cercata.\r\nIl femminismo è quasi sempre riuscito ad affrontare con lucidità e solidarietà gli stupri di guerra, al di là del proprio posizionamento politico. \r\nDopo il 7 ottobre questo è meno vero.\r\nL’incapacità o, più spesso, la decisione di ignorare o quantomeno minimizzare gli orrori commessi dagli uomini di Hamas che hanno attaccato gli abitanti di alcuni kibbutz e i partecipanti al festival musicale Nova, è sconcertante.\r\nSu testate, pubblicazioni e siti di movimento è partita la gara alla negazione, all’inquisizione, alla pretesa, che in mezzo a cumuli di cadaveri venissero avviate inchieste con autopsie e prove del DNA. Settori di movimento si sono comportati come i tribunali di ogni dove: sotto accusa le donne, le poche sopravvissute, le testimoni stesse. Persino i filmati girati e diffusi dagli stessi aguzzini sono stati ignorati o sottoposti alla lente di ingrandimento alla ricerca del particolare discordante.\r\nIn alcuni casi gli stupri e le violenze sono state descritte come “non sistematiche” e comunque opera di sbandati, non dei miliziani di Hamas. Le solite mele marce.\r\nUn atteggiamento razzista, escludente, che getta un’ombra pesante sulla strada del femminismo alle nostre latitudini.\r\nAbbiamo provato, in punta di piedi, nel rispetto delle donne stuprate, mutilate ed uccise, a parlarvi di questa vicenda. \r\nMa certo non dimentichiamo ne minimizziamo la violenza dell’esercito israeliano verso le donne e le bambine palestinesi. Anche qui, in punta di piedi, nel rispetto di queste vite negate, vi abbiamo parlato delle loro esistenze umiliate ed offese.\r\nPerché nel mondo che vogliamo non c’è spazio per frontiere tra i corpi, tra le persone, tra gente che parla lingue diverse.\r\nPer questo approfondimento abbiamo scelto l’8 marzo: non avremmo potuto fare altrimenti di fronte al sostanziale silenzio dei movimenti transfemministi.\r\nSappiamo già che qualcun* griderà che abbiamo fatto il gioco del governo fascista di Israele. Lo diciamo chiaro: chi nega, chi nasconde chi minimizza le brutali violenze di genere del 7 ottobre fa davvero il gioco di Netanyahu e della sua banda di predoni confessionali. La gran parte delle persone massacrate il 7 ottobre viveva in kibbutz di estrema sinistra, dove la solidarietà con i vicini oltre il confine blindato era normale. Le ragazze e i ragazzi che ballavano al festival Nova, con i loro corpi e identità libere facevano parte di quei settori di società israeliana sempre più nel mirino della destra religiosa e colonialista.\r\nI sopravvissuti hanno detto a chiare lettere che né loro né gli amici e parenti uccisi da Hamas avrebbero voluto la rappresaglia scatenata dal governo Netanyahu.\r\n\r\nGli infiniti orrori della guerra a Gaza non possono in alcun modo giustificare il silenzio o il negazionismo sugli stupri del 7 ottobre. \r\nLa violenza patriarcale è fatta anche di confini, guerre, nazionalismi giocati sulla pelle delle donne. Ed ai quali non intendiamo piegarci. Né qui, né altrove.\r\nAnarres ne ha parlato con l’aiuto di Lorenzo, che ha tradotto i documenti e letto le testimonianze disponibili\r\n\r\nUna Barriera contro i militari\r\nPer la prima volta dopo più un mese i soldati dell'operazione \"Strade sicure\" non hanno bivaccato nello spiazzo tra corso Palermo e via Sesia. All'arrivo degli antimilitaristi si sono allontanati per l'intero pomeriggio.\r\nLa piazza smilitarizzata ha mutato subito aspetto: si sono avvicinate diverse persone che abitano il quartiere e scelgono la solidarietà ed il mutuo appoggio.\r\nUna ragazza ci avvicina e ci dice, guardando la fermata dell'autobus: \"qui servirebbero più mezzi, invece attese infinite e sovraffollamento. E pretendono che paghiamo il biglietto.\" Il discorso scivola sui costi dell'avamposto militare di fronte ai continui tagli ai servizi essenziali.\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nSabato 16 marzo\r\nCorteo No CPR\r\nore 14,30\r\npiazza Castello\r\n\r\nVenerdì 22 marzo\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nAnarchia e decolonialità\r\nVerso un’idea non nazionalista della decolonizzazione, per un universale plurale, che emerge nella concretezza dei percorsi di lotta.\r\nIl concetto di decolonialità è molto citato negli ultimi anni ma non sempre compreso. Manca soprattutto un’elaborazione di questa idea che la separi da nazionalismi, comunitarismi e approcci basati su una prospettiva unica (piuttosto che su intersezioni) che rischiano di farla diventare una concezione escludente quando non lo è. È importante ricordare che, come elaborata originariamente dal collettivo Modernità-Colonialità-Decolonialità (MCD) e poi arricchita dai contributi del femminismo indigeno, degli studi sul pluriverso e delle epistemologie del Sud per non citare che alcuni dei principali ambiti di discussione, la decolonialità mira a superare i limiti di precedenti approcci.\r\nSi tratta in particolare del culturalismo dei Postcolonial Studies, che si sono spesso limitati a critiche della colonialità che restavano limitate a un’analisi del discorso e confinate in ambiti accademici, e dell’economicismo di teorie quali lo sviluppo ineguale o il sistema mondo, incapaci di includere quello che gli approcci decoloniali chiamano la ‘decolonizzazione epistemica’. In questo senso, i punti qualificanti della decolonialità sono la necessità di non limitarsi alla pura teoria per connettersi alle lotte e situazioni reali, di riscoprire modi di pensare al di fuori delle tradizioni intellettuali europee e di costruire ponti di solidarietà militanti attraverso diverse culture e assi di intervento.\r\nSulla base di questo discorso introduttivo, e di alcuni casi empirici sudamericani di interazione tra gruppi anarchici e comunità indigene e afrodiscendenti, si discuteranno le basi di un progetto anarchico di decolonialità, basato sul fatto che la tradizione anarchica e molte delle comunità sopracitate condividono punti chiave quali la prassi organizzativa orizzontale, l’azione diretta e l’idea di territorio come relazione sociale piuttosto che come area delimitata da confini “sovrani”. Esse condividono inoltre critiche delle principali pratiche autoritarie che hanno caratterizzato la Sinistra europea ed eurocentrica, quali il concetto di avanguardia politica, quello di intellettuale organico (di solito maschio e bianco) chiamato a “guidare” le lotte, l’idea della rivoluzione come mera presa del potere politico e quella della decolonizzazione o “liberazione nazionale” come mera costruzione di un nuovo Stato.\r\nIn una singola definizione, anarchismo e “lotta afro-indigena” condividono il principio della coerenza tra la teoria e la prassi, che dovrebbe ispirare il più vasto campo della decolonialità.\r\nInterverrà Federico Ferretti, geografo, docente all'università di Bologna.\r\n\r\nSabato 23 marzo\r\nore 15 giardinetti tra corso Giulio Cesare e via Montanaro\r\nAssemblea\r\nCase senza persone, persone senza casa\r\nCon Filippo Borreani, sociologo e con Prendocasa\r\npoi musica, poesia, socialità\r\n(organizza oltredora antifascista)\r\n\r\nVenerdì 12 aprile\r\nEmma Goldman\r\nLa donna più pericolosa d'America\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nNe parliamo con Selva Varengo curatrice della nuova edizione di \"Vivendo la mia vita\", l'autobiografia che Emma Goldman scrisse nel 1934.\r\n\r\nOgni martedì fai un salto da\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro\r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\ndalle 18 alle 20 in corso Palermo 46\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20\r\nContatti:\r\nfai_torino@autistici.org\r\n@senzafrontiere.to/\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","11 Marzo 2024","2024-03-11 14:10:44","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/faccia-spinata-200x110.jpg","Anarres dell’8 marzo. 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È importante ricordare che, come elaborata originariamente dal collettivo Modernità-Colonialità-Decolonialità (MCD) e poi arricchita dai contributi del femminismo indigeno, degli studi sul pluriverso e delle epistemologie del Sud per non citare che alcuni dei principali ambiti di discussione, la decolonialità mira a superare i limiti di precedenti approcci.\r\nSi tratta in particolare del culturalismo dei Postcolonial Studies, che si sono spesso limitati a critiche della colonialità che restavano limitate a un’analisi del discorso e confinate in ambiti accademici, e dell’economicismo di teorie quali lo sviluppo ineguale o il sistema mondo, incapaci di includere quello che gli approcci decoloniali chiamano la ‘decolonizzazione epistemica’. In questo senso, i punti qualificanti della decolonialità sono la necessità di non limitarsi alla pura teoria per connettersi alle lotte e situazioni reali, di riscoprire modi di pensare al di fuori delle tradizioni intellettuali europee e di costruire ponti di solidarietà militanti attraverso diverse culture e assi di intervento.\r\nSulla base di questo discorso introduttivo, e di alcuni casi empirici sudamericani di interazione tra gruppi anarchici e comunità indigene e afrodiscendenti, si discuteranno le basi di un progetto anarchico di decolonialità, basato sul fatto che la tradizione anarchica e molte delle comunità sopracitate condividono punti chiave quali la prassi organizzativa orizzontale, l’azione diretta e l’idea di territorio come relazione sociale piuttosto che come area delimitata da confini “sovrani”. Esse condividono inoltre critiche delle principali pratiche autoritarie che hanno caratterizzato la Sinistra europea ed eurocentrica, quali il concetto di avanguardia politica, quello di intellettuale organico (di solito maschio e bianco) chiamato a “guidare” le lotte, l’idea della rivoluzione come mera presa del potere politico e quella della decolonizzazione o “liberazione nazionale” come mera costruzione di un nuovo Stato.\r\nIn una singola definizione, anarchismo e “lotta afro-indigena” condividono il principio della coerenza tra la teoria e la prassi, che dovrebbe ispirare il più vasto campo della decolonialità.\r\nInterverrà Federico Ferretti, geografo, docente all'università di Bologna.\r\n\r\nSabato 23 marzo\r\nore 15 giardinetti tra corso Giulio Cesare e via Montanaro\r\nAssemblea\r\nCase senza persone, persone senza casa\r\nCon Filippo Borreani, sociologo e con Prendocasa\r\npoi musica, poesia, socialità\r\n(organizza oltredora antifascista)\r\n\r\nVenerdì 12 aprile\r\nEmma Goldman\r\nLa donna più pericolosa d'America\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nNe parliamo con Selva Varengo curatrice della nuova edizione di \"Vivendo la mia vita\", l'autobiografia che Emma Goldman scrisse \u003Cmark>nel\u003C/mark> 1934.\r\n\r\nOgni martedì fai un salto da\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro\r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\ndalle 18 alle 20 in corso Palermo 46\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20\r\nContatti:\r\nfai_torino@autistici.org\r\n@senzafrontiere.to/\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org",[236],{"field":90,"matched_tokens":237,"snippet":233,"value":234},[61,232],1733921019434893300,{"best_field_score":240,"best_field_weight":159,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":241,"tokens_matched":85,"typo_prefix_score":37},"2216192638976","1733921019434893425",{"document":243,"highlight":255,"highlights":260,"text_match":263,"text_match_info":264},{"comment_count":37,"id":244,"is_sticky":37,"permalink":245,"podcastfilter":246,"post_author":107,"post_content":247,"post_date":248,"post_excerpt":43,"post_id":244,"post_modified":249,"post_thumbnail":250,"post_title":251,"post_type":144,"sort_by_date":252,"tag_links":253,"tags":254},"82854","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-9-giugno-clima-e-capitalismo-missioni-militari-allestero-torino-vetrina-per-turisti/",[107],"ll podcast del nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming. \r\n\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/2023-06-09-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nVetrina per turisti? Torino tra riqualificazioni escludenti e la precarietà delle vite povere e migranti\r\nAbbiamo lanciato due giornate di approfondimento e confronto sul futuro di Torino. La prima, sull’industria delle armi, si è svolta lo scorso 25 maggio, la seconda, sulla città vetrina, si è tenuta il 9 giugno.\r\nNe abbiamo parlato con uno dei due relatori, Giovanni Semi, sociologo, insegna all’università di Torino ed è autore di numerosi studi sui processi di gentrification all’ombra della Mole.\r\n\r\nClima e capitalismo\r\nIl capitalismo, lo sappiamo, è una macchina anomica animata dalla logica del profitto a tutti i costi, che macina le vite degli ingranaggi meno pregiati e facilmente sostituibili, come uomini e donne messi al lavoro alle migliori condizioni che i padroni riescono a negoziare.\r\nFinché è prevalsa l’opinione che la crescita capitalista fosse potenzialmente infinita, alcuni ritenevano che il capitalismo si potesse correggere con la socialdemocrazia. Oggi tutti sanno che la crescita infinita in un pianeta dalle risorse limitate è impossibile. Non solo. La capacità distruttiva dell’ambiente non umano è divenuta tale da innescare un cambiamento climatico che sta arrivando rapidamente al punto di non ritorno.\r\nI ragazzi che scendono in piazza con i cartelli “non abbiamo un pianeta B” colgono efficacemente nel segno. Tuttavia dopo alcuni anni la spinta di quei movimenti si è rapidamente esaurita, perché fare pressione sui responsabili del disastro perché cambino rotta è una strategia perdente.\r\nNon solo.\r\nIl capitalismo dei mille balocchi esercita una fascinazione tale da essere spesso impermeabile alla critica e persino al buon senso. Si vive come se non ci fosse un domani.\r\nSe vogliamo che un domani vi sia occorre una trasformazione radicale dell’immaginario e delle relazioni politiche e sociali.\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nMissioni militari all’estero\r\nIl primo maggio il governo ha approvato le missioni militari all’estero per il 2023. Il quadro di riferimento prevalente resta immutato, concentrandosi sulla estesissima nozione di Mediterraneo allargato, che comprende l’Europa continentale, il Medio Oriente comprensivo di Penisola Arabica e Golfo Persico, l’Africa nella sua fascia settentrionale e sub-Sahariana, il Corno d’Africa fino al Golfo di Guinea, passando per il Sahel.\r\nMa accanto a questa sostanziale conferma in termini di linee di azione e aree di interesse definite oramai da qualche anno, emerge invece con chiarezza quella che è la sostanziale novità di questo 2023: l’Indo-Pacifico dove si prevede di mantenere una presenza navale. É già nell’area il Pattugliatore Polivalente di Altura PPA Morosini mentre nelle settimane scorse sono circolate informazioni sull’arrivo di un gruppo di battaglia incentrato sulla portaerei Cavour, attualmente in manutenzione al porto di Palermo.\r\nLe nuove missioni sono quattro, tre in Africa e una in Europa.\r\nL’Italia parteciperà all’European Union Military Assistance Mission in Ucraina – EUMAM Ucraina mentre per il continente Africano si segnalano l’avvio della missione European Union Border Assistance Mission in Libya – EUBAM Lybia, European Union Military Partnership Mission in Niger – EUMPM Niger e, infine, una nuova Missione bilaterale in Burkina Faso.\r\nL’Italia quindi addestrerà direttamente le truppe ucraine, sia nel nostro paese, sia all’estero, allargando il coinvolgimento diretto in quel fronte di guerra.\r\nIn Burkina Faso, il recente golpe ha sconvolto il paese non ferma le mire di controllo dell’Italia in quell’area.\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli dell’Assemblea Antimilitarista\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46 \r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 21\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","22 Giugno 2023","2023-06-22 10:28:57","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/clima-200x110.jpg","Anarres del 9 giugno. 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In un messaggio su Twitter, il responsabile ha avvertito che gli attentati in Libano proseguiranno fino a quando il movimento Hezbollah non si ritirerà dalla vicina Siria.\r\n\r\nUn messaggio chiaro che mostra in modo inequivocabile come la guerra civile siriana si stia estendendo anche nel vicino Libano, acuendo le tensioni tra sunniti e shiiti.\r\n\r\nA far da eco alle bombe di Beirut, il giorno successivo, ben sette autobomba sono scoppiate in altrettanti quartieri di Baghdad, tutti a maggioranza shiita. Il bilancio è stato di 20 morti e 60 feriti.\r\nLe esplosioni sono avvenute attorno alle sette e mezza di mattina nei quartieri di Sadriya, Karrada, Shaab, Tobchi, Azamiya e Amil. L’episodio più grave si è verificato a Sadriya, una zona abitata per lo più da sciiti, dove l’autobomba è esplosa nei pressi di un mercato popolare.\r\nIn Iraq l’ultima ondata di attentati e violenze era coincisa domenica con la festività religiosa dell’Ashura. In un solo giorno erano state uccise più di 40 persone. Secondo la Missione di assistenza dell’Onu in Iraq (Unami), dall’inizio dell’anno le vittime della guerra civile non dichiarata che continua a scuotere il paese sono state 5700.\r\nA pochi mesi dalle elezioni legislative, in programma ad aprile, il governo dello sciita Nouri Al Maliki ha fatto incarcerare nella regione di Baghdad numerosi attivisti sunniti, accusati di appartenere a gruppi affiliati ad Al Qaida.\r\n\r\nLa grande partita mediorientale si gioca anche sulla pelle delle tante persone che vengono tritate in un infinito stillicidio di morti.\r\n\r\nIl quadro delle alleanze sta subendo alcuni mutamenti inediti, che segnalano il riposizionamento dei maggiori attori sulla scena.\r\nLe relazioni tra Stati Uniti e Israele sono al minimo storico, persino peggiori del 1982, quando Israele attaccò ed invase il Libano meridionale contro la volontà del potente alleato.\r\nIsraele sta facendo di tutto per inceppare il processo di pace tra Iran e Stati Uniti, che invece sta faticosamente andando avanti.\r\nGli Stati Uniti stanno cercando di ridefinire la propria posizione nell'area, smarcandosi progressivamente dall'ingombrante alleanza con i sauditi. Non è certo casuale che l'ammnistrazione Obama abbia annunciato un programma energetico che dovrebbe portare gli Stati Uniti ad una sostanziale autosufficienza nell'approvigionamento degli idrocarburi, che sarebbe limitata all'area del Nafta, la zona di libero scambio tra gli stessi Stati Uniti, il Canada e il Messico.\r\nLa decadenza dal ruolo di potenza mondiale assoluta e l'affermarsi di una stagione caratterizzata di un'estesa multipolarità spinge gli Stati Uniti ad evitare la contrapposizione secca con l'Iran, che oggi, grazie ad Hezbollah in Libano e alla situazione favorevole in Iraq, è molto più forte che in passato. Era dai tempi di Ciro il Grande che i persiani non avevano uno sbocco agevole sul Mediterraneo.\r\nNell'area lo scontro, che è anche confessionale, tra le aree a prevalenza shiita e quelle sunnite si sta intensificando. Ne sono il segno tangibile i morti di Beirut e Baghdad della scorsa settimana.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2013 11 22 stefanone libano\r\n\r\n ","22 Novembre 2013","2018-10-17 22:10:35","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/11/403x296_231362_libano-autobomba-esplode-in-quartier-200x110.jpg","La grande partita del medioriente",1385141595,[279,280,281,282,283],"http://radioblackout.org/tag/arabia-saudita/","http://radioblackout.org/tag/iran/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/libano/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/",[126,113,285,286,287],"iraq","libano","Stati Uniti",{"post_content":289},{"matched_tokens":290,"snippet":291,"value":292},[61],"colpito il quartiere Bir Hassan \u003Cmark>nel\u003C/mark> sud della capitale libanese. Una","Martedì 19 novembre un duplice attentato ha colpito il quartiere Bir Hassan \u003Cmark>nel\u003C/mark> sud della capitale libanese. 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