","Macedonia - un caso complicato","post",1431415940,[60,61,62,63,64,65,66,67,68,69,70,71],"http://radioblackout.org/tag/1-maggio/","http://radioblackout.org/tag/intercettazioni/","http://radioblackout.org/tag/kumanovo/","http://radioblackout.org/tag/lotte-lavoratori/","http://radioblackout.org/tag/lotte-studenti/","http://radioblackout.org/tag/mecedonia/","http://radioblackout.org/tag/misure-economiche-ue/","http://radioblackout.org/tag/precari/","http://radioblackout.org/tag/scioperi/","http://radioblackout.org/tag/scontri/","http://radioblackout.org/tag/skopje/","http://radioblackout.org/tag/unione-europea/",[25,73,23,31,74,27,33,75,76,77,17,78],"intercettazioni","lotte studenti","precari","scioperi","scontri","Unione Europea",{"post_content":80,"tags":85},{"matched_tokens":81,"snippet":83,"value":84},[82],"Misure","del paese nell'UE nel 2023. \u003Cmark>Misure\u003C/mark> accettate ed implementate dall'attuale governo di destra,","In Macedonia la situazione è di forte tensione e per il 17 maggio è prevista una grande mobilitazione a Skopje con l'obiettivo di far cadere l'attuale governo che ha represso duramente i lavoratori e gli scioperi nel corso dell'ultimo anno.\r\n\r\nLe proteste, che ultimamente sono state riportate da media europei, sarebbero portate avanti da un gruppo auto-organizzato che segue gli scandali sulle intercettazioni telefoniche. Al momento non è ancora chiara la composizione di questo gruppo. A Kumanovo, nel nord del paese, ci sono stati finora 22 morti: 8 poliziotti e 14 dimostranti, probabilmente armati. Le intercettazioni telefoniche, che in Macedonia sono una violazione della privacy, sono state messe on line su un canale You Tube in maniera che chiunque potesse ascoltarle e riguardano sia il partito attualmente al potere che quelli dell'opposizione.\r\n\r\nNel settembre 2014 c'erano già state ampie mobilitazioni di operai, lavoratori del settore pubblico, studenti e precari contro le riforme strutturali imposte dall'Unione Europea, in previsione della futura entrata del paese nell'UE nel 2023. \u003Cmark>Misure\u003C/mark> accettate ed implementate dall'attuale governo di destra, che non ha mai realizzato un referendum relativo all'ingresso della Macedonia nell'UE.\r\n\r\nLo scorso 1 maggio i sindacati ed il movimento dei lavoratori hanno organizzato una giornata di lotta che ha visto sfilare per le strade di Skopje migliaia di persone. Le \u003Cmark>misure\u003C/mark> decise dall'UE hanno fatto aumentare molto il livello di povertà, mentre i diritti dei lavoratori vengono smantellati quotidianamente. Il governo, complice di questa situazione che anzi contribuisce ad aggravare, viene ormai considerato solo più un'élite che manipola e deruba la popolazione.\r\n\r\nAbbiamo parlato della situazione e degli scontri degli ultimi giorni con Milena, ascolta il contributo:\r\n\r\nmilena_macedonia\r\n\r\n ",[86,88,90,92,94,96,98,104,106,108,110,112],{"matched_tokens":87,"snippet":25},[],{"matched_tokens":89,"snippet":73},[],{"matched_tokens":91,"snippet":23},[],{"matched_tokens":93,"snippet":31},[],{"matched_tokens":95,"snippet":74},[],{"matched_tokens":97,"snippet":27},[],{"matched_tokens":99,"snippet":103},[100,101,102],"misure","economiche","UE","\u003Cmark>misure\u003C/mark> \u003Cmark>economiche\u003C/mark> \u003Cmark>UE\u003C/mark>",{"matched_tokens":105,"snippet":75},[],{"matched_tokens":107,"snippet":76},[],{"matched_tokens":109,"snippet":77},[],{"matched_tokens":111,"snippet":17},[],{"matched_tokens":113,"snippet":78},[],[115,121],{"field":34,"indices":116,"matched_tokens":118,"snippets":120},[117],6,[119],[100,101,102],[103],{"field":122,"matched_tokens":123,"snippet":83,"value":84},"post_content",[82],1736172819517538300,{"best_field_score":126,"best_field_weight":127,"fields_matched":38,"num_tokens_dropped":46,"score":128,"tokens_matched":129,"typo_prefix_score":46},"3315704398080",13,"1736172819517538410",3,{"document":131,"highlight":156,"highlights":179,"text_match":188,"text_match_info":189},{"cat_link":132,"category":133,"comment_count":46,"id":134,"is_sticky":46,"permalink":135,"post_author":49,"post_content":136,"post_date":137,"post_excerpt":52,"post_id":134,"post_modified":138,"post_thumbnail":139,"post_thumbnail_html":140,"post_title":141,"post_type":57,"sort_by_date":142,"tag_links":143,"tags":152},[43],[45],"30668","http://radioblackout.org/2015/06/grecia-quasi-dentro-o-del-tutto-fuori/","Dopo le interminabili riunioni degli ultimi giorni, i finti negoziati per stabilire le \"nuove\" misure economiche che il governo greco dovrebbe adottare, sembrano definitivamente saltati.\r\n\r\nIn questo momento la Grecia sembra avvicinarsi ad una reale uscita dall'euro di fronte a ricatti di chiara matrice politica. L'economia sembra davvero essere rimasta sullo sfondo. Intanto Tsipras lancia il referendum per il 5 luglio per chiedere alla popolazione se accettare o rifiutare le nuove misure proposte - \"generosamente\", secondo la cancelleria tedesca - dalla ex-Troika.\r\n\r\nLe misure di austerity sono le stesse di sempre, ci sono soltanto FMI, BCE ed Eurogruppo più rigidi del solito e Angela Merkel che riceve istruzioni dagli States. In questo quadro diventa evidente come resti un divieto assoluto tassare e imporre maggiori contributi a imprese e oligarchi da parte dei governi nazionali, in questo caso il governo greco. Per cercare di capire cosa sta capitando realmente nel paese e quali scenari potrebbero aprirsi dopo il 5 luglio prossimo, abbiamo parlato con Andrea Fumagalli docente di economia politica presso l'Università di Pavia.\r\n\r\nAscolta il contributo\r\n\r\nUnknown\r\n\r\n ","29 Giugno 2015","2015-07-02 11:47:19","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/06/grecia-tagli-704x400-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"170\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/06/grecia-tagli-704x400-300x170.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/06/grecia-tagli-704x400-300x170.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/06/grecia-tagli-704x400.jpg 704w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Grecia: quasi dentro o del tutto fuori?",1435581849,[144,145,146,147,148,149,150,151],"http://radioblackout.org/tag/austerity/","http://radioblackout.org/tag/crisi/","http://radioblackout.org/tag/default/","http://radioblackout.org/tag/grecia/","http://radioblackout.org/tag/ricatto-grecia/","http://radioblackout.org/tag/troika/","http://radioblackout.org/tag/tsipras/","http://radioblackout.org/tag/ue/",[153,154,21,155,29,15,19,102],"austerity","crisi","grecia",{"post_content":157,"tags":161},{"matched_tokens":158,"snippet":159,"value":160},[100,101],"negoziati per stabilire le \"nuove\" \u003Cmark>misure\u003C/mark> \u003Cmark>economiche\u003C/mark> che il governo greco dovrebbe","Dopo le interminabili riunioni degli ultimi giorni, i finti negoziati per stabilire le \"nuove\" \u003Cmark>misure\u003C/mark> \u003Cmark>economiche\u003C/mark> che il governo greco dovrebbe adottare, sembrano definitivamente saltati.\r\n\r\nIn questo momento la Grecia sembra avvicinarsi ad una reale uscita dall'euro di fronte a ricatti di chiara matrice politica. 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Tuttora ignoto il numero reale delle vittime, sicuramente centinaia. \r\nInsieme ad un'esperta di economia politica in questa puntata ci addentriamo nel colonialismo francese in Africa occidentale, per esplorare il contributo umano ed economico che la Francia imponeva ai territori colonizzati. Nei 300 anni di colonizzazione del Senegal, oltre a disseminare morte e violenze attraverso il commercio schiavista, i francesi stabilirono una rigida segregazione fra i locali (les indigènes) e la popolazione di 4 aree del paese che vennero riconosciute come territorio francese, con conseguente estensione della cittadinanza e altri diritti agli abitanti di queste zone. Il sistema dell'indigenato oltre al pagamento di imposte economiche prevedeva anche diverse misure coercitive quali giornate di lavoro non retribuito al servizio dell'amministrazione coloniale, l'imposizione della coltivazione dell'arachide (business molto redditizio per i colonizzatori) e l'arruolamento di giovani uomini nell'esercito coloniale. A partire dalla fine del 1800 venne infatti istituita una sezione dell'esercito francese composta da soldati delle colonie africane arruolati con la forza, i quali avevano l'obbligo di difendere la madrepatria in caso di guerra.\r\nPartendo dal Massacro di Thiaroye tracceremo un fil rouge che lega le politiche coloniali di allora alle politiche neocolonialiste di oggi, fino ad a risalire alla prima testimonianza di un massiccio flusso di corpi razzializzati attraverso l'Europa e riportando a galla un passato che i colonizzatori hanno sapientemente scelto di dimenticare, ma che rimane ben vivido nella memoria dei Paesi del Nord Africa e dell'Africa Subsahariana.","13 Dicembre 2022","2022-12-10 00:38:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/12/manifestation-au-temps-de-la-colonisation-du-Senegal-200x110.png","Thiaroye 44 - Il colonialismo francese in Africa occidentale","podcast",1670920259,[],[],{"post_content":239},{"matched_tokens":240,"snippet":241,"value":242},[101,100],"oltre al pagamento di imposte \u003Cmark>economiche\u003C/mark> prevedeva anche diverse \u003Cmark>misure\u003C/mark> coercitive quali giornate di lavoro","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/12/BlackIn-Thiaroye.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nDakar 1 dicembre 1944, nel Camp de Thiaroye l'esercito francese apre il fuoco sulla folla di tirailleurs africains che demandano il pagamento del loro lavoro dopo esser stati forzati a combattere per la Francia durante la Seconda Guerra Mondiale. 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La Turchia si propone come protagonista nel costante scontro tra potenze locali mediorientali e dunque la trasformazione della lotta armata in richiesta di confederalismo democratico laico e socialista ci ha spinto a chiedere a <strong>Murat Cinar</strong> un'analisi molto problematica e ne è scaturita una sorta di autocoscienza sulle potenzialità di questa scelta, che per Murat era inevitabile e giunge nel momento migliore. Una idea che <strong>Alberto Negri</strong> nega nella sua visione del quadro della regione che compone arrivando alla centralità del dinamismo di Erdoğan a partire dal nuovo abisso di contrasti che attraversano la Tripolitania.\r\nLa puntata trova compimento con uno sguardo gettato insieme a <strong>Sabrina Moles</strong> sulle sfide che aspettano l'economia cinese di fronte ai dazi del nemico americano e alle guerre dell'amico russo.</em>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n<em>La lotta armata del Pkk ha \"esaurito\" i suoi compiti e consegna le armi</em>, da non sconfitto, proponendosi come forza politica con l’intento di aggiornare il concetto di confederalismo democratico in salsa turca. <strong>Murat Cinar</strong> ci guida nella fluida situazione geopolitica del Sudovest asiatico che vede grandi differenze tra i quattro stati che amministrano il territorio abitato da popolazioni di lingua curda; così, semmai sia esistito, il nazionalismo curdo viene superato e nelle indicazioni di Ocalan dall’isolamento di Imrali leggono il momento come propizio per riproporre unilateralmente a un regime autoritario di cessare il fuoco che in 45 anni ha registrato decine di migliaia di morti, ulteriore motivo per resistenze da parte dei parenti delle vittime, potenziale bacino di consensi per i partiti di ultradestra non alleati dell’Akp.\r\nQuindi la critica alla obsolescenza del modello della lotta armata otto-novecentesca, che punta sullo stato-nazione, è una scommessa ma, ci dice Murat, forse non ci sono alternative alla svolta disarmata per avanzare nuove richieste a una repubblica ora retta da una cricca di oligarchi autocratici senza contrappesi democratici riconducibili a una nuova lotta per una Turchia laica, indipendente e socialista: ora il Pkk si rivolge all’intera società turca in un momento di forti tensioni interne, puntando alla trasformazione culturale della Turchia.\r\nMurat adduce motivi di vario genere per dimostrare che recedere dalla lotta armata in questo momento può produrre risultati maggiori di quanto si sia conseguito finora, sia cercando modelli di guerriglie andate al negoziato negli ultimi decenni ai quattro angoli del pianeta, sia sviluppando l’analisi sincronica su un presente attraversato da alleanze variabili e guerre di ogni tipo. Erdogan è indebolito in patria ma ha un attivismo in politica internazionale che sta ripagando nella considerazione dei risultati geopolitici in un momento di riposizionamento e di grande caos.\r\nOvviamente questo panorama vede un percorso diverso per i curdi siriani: in Rojava le dinamiche sono diverse e ci sono protagonisti internazionali diretti (americani, Idf nel Golan, l’influenza dei curdi di Barzani…) che dipingono un quadro diverso per cui le organizzazioni sorelle tra curdi operano strategie diverse. E lo stesso avviene in Iran dove l’organizzazione curda ha rinunciato da tempo alla creazione di uno stato indipendente.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/51Su0lG6XrzCMs80p3Oaof?si=hpkV_FFCRIKFWmosuaTX1g\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/pkk-rondò-à-la-turk.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast precedenti relativi al neottomanesimo si trovano <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/le-guerre-ottomane-del-nuovo-millennio--4610767\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n \r\n\r\n«Regolamenti di conti mortali e scontri tra le fazioni in Tripolitania, avanzata delle truppe del generale Khalifa Haftar da Bengasi alla Sirte: la Libia sfugge a ogni controllo e soprattutto a quello del governo di Giorgia Meloni», così scriveva il 15 maggio <strong>Alberto Negri</strong> per “il manifesto” e da qui comincia il lungo excursus che illustra la situazione della regione Mena, a partire dalla Libia, dove le milizie tornano a scontrarsi in Tripolitania, vedendo soccombere i tagliagole sostenuti dalla Fortress Europe, a cominciare dal governo Meloni che ha coccolato al-Masri, il massacratore ricercato internazionalmente. 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La Turchia rimane al centro delle strategie che passano dal Mediterraneo in equilibrio anche con i sauditi e avendo imposto il vincitore di Assad in Siria, quell’Al-Jolani a cui Trump ha stretto la mano nonostante i 10 milioni di taglia; intanto all’interno si assiste alla svolta di Ocalan che – inopinatamente secondo Alberto Negri in un momento in cui l’area sta esplodendo e sono in corso mutamenti epocali – cede le armi e propone un percorso pacifico alla trasformazione della repubblica. In attesa di assistere e posizionarsi nella trattativa iraniana, con Teheran indebolita dalla escalation israeliana.\r\nE qui si giunge al centro del discorso mediorientale, perché da qualunque punto lo si rigiri <em>l’intento di Netanyahu di annettersi la Cisgiordania a cominciare dal genocidio gazawi sarà il punto di ricompattamento con l’amministrazione Trump</em>, in questi giorni invece impegnata a contenere il famelico criminale di Cesarea.\r\nSullo sfondo di tutto ciò Alberto si inalbera per il ruolo inesistente dell’Europa, se non per l’istinto neocoloniale di Macron, che non riesce comunque a conferire uno spessore da soggetti politici agli europei, in particolare per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, mai preso in considerazione dalla nomenklatura germano-balcanica che regola la politica comunitaria, totalmente disinteressata alle coste meridionali, se non per il contenimento dei migranti.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/ogni-rais-persegue-una-sua-visione-del-medioriente-tranne-gli-europei--66134433\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Il-garbuglio-mediorientale-incomprensibile-per-gli-europei.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi alla questione mediorientale <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/israele-compra-a-saldo-paesi-arabi--4645793\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a> potete trovare quelli che riconducono all'espansionismo sionista i conflitti in corso\r\n\r\n \r\n\r\n<hr />\r\n\r\nDopo una prima maratona negoziale durata due giorni ,Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo sulla sospensione per 90 giorni dei dazi reciproci che in pochi giorni avevano difatto bloccato gli scambi fra i due paesi. Nel dettaglio, gli Stati Uniti hanno annullato il 91% delle tariffe aggiuntive imposte alla Cina, sospeso il 24% dei “dazi reciproci” e mantenuto il restante 10%. Rimangono ancora in atto le misure su veicoli elettrici, acciaio e alluminio ,è un primo passo verso la creazione di un meccanismo di consultazione che regoli le relazioni commerciali e di fatto uno stop al processo di \"decoupling\" ,disaccopiamento ,fra le due economie che la nuova amministrazione americana non sembra gradire. Secondo varie fonti, negli ultimi giorni sono riprese le forniture di Boeing, che Pechino aveva interrotto in risposta ai dazi. Ma le restrizioni sui materiali critici ufficialmente sono ancora lì. Anche se sono state emesse le prime licenze per l’export di alcune terre rare, di cui potrebbero beneficiare anche le 28 aziende americane rimosse dalla lista delle entità interdette dalla Cina alle importazioni e altre attività economiche.\r\nNe parliamo con <b>Sabrina Moles</b> di China files.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/accordo-stati-uniti-cina-sui-dazi--66192697\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/sabrinomia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","3 Giugno 2025","2025-06-03 00:36:14","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 15/05/2025 - FINE DELLA LOTTA ARMATA DEL PKK IN TURCHIA E SUBBUGLIO MEDIORIENTALE; LA CINA DELL'ECONOMIA TRA DAZI E GUERRE ALTRUI",1748910974,[262],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[218],{"post_content":265},{"matched_tokens":266,"snippet":267,"value":268},[100],"Rimangono ancora in atto le \u003Cmark>misure\u003C/mark> su veicoli elettrici, acciaio e","<em>Questa settimana la fine della lotta armata iniziata dal Pkk nel 1978 è la notizia che ci è sembrata epocale, per quanto sia passata senza troppi approfondimenti dai commentatori mainstream (e forse proprio per questo e per la loro incapacità di identificarla come centrale nel momento di rivolgimenti di un Sudovest asiatico in subbuglio). La Turchia si propone come protagonista nel costante scontro tra potenze locali mediorientali e dunque la trasformazione della lotta armata in richiesta di confederalismo democratico laico e socialista ci ha spinto a chiedere a <strong>Murat Cinar</strong> un'analisi molto problematica e ne è scaturita una sorta di autocoscienza sulle potenzialità di questa scelta, che per Murat era inevitabile e giunge nel momento migliore. Una idea che <strong>Alberto Negri</strong> nega nella sua visione del quadro della regione che compone arrivando alla centralità del dinamismo di Erdoğan a partire dal nuovo abisso di contrasti che attraversano la Tripolitania.\r\nLa puntata trova compimento con uno sguardo gettato insieme a <strong>Sabrina Moles</strong> sulle sfide che aspettano l'economia cinese di fronte ai dazi del nemico americano e alle guerre dell'amico russo.</em>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n<em>La lotta armata del Pkk ha \"esaurito\" i suoi compiti e consegna le armi</em>, da non sconfitto, proponendosi come forza politica con l’intento di aggiornare il concetto di confederalismo democratico in salsa turca. <strong>Murat Cinar</strong> ci guida nella fluida situazione geopolitica del Sudovest asiatico che vede grandi differenze tra i quattro stati che amministrano il territorio abitato da popolazioni di lingua curda; così, semmai sia esistito, il nazionalismo curdo viene superato e nelle indicazioni di Ocalan dall’isolamento di Imrali leggono il momento come propizio per riproporre unilateralmente a un regime autoritario di cessare il fuoco che in 45 anni ha registrato decine di migliaia di morti, ulteriore motivo per resistenze da parte dei parenti delle vittime, potenziale bacino di consensi per i partiti di ultradestra non alleati dell’Akp.\r\nQuindi la critica alla obsolescenza del modello della lotta armata otto-novecentesca, che punta sullo stato-nazione, è una scommessa ma, ci dice Murat, forse non ci sono alternative alla svolta disarmata per avanzare nuove richieste a una repubblica ora retta da una cricca di oligarchi autocratici senza contrappesi democratici riconducibili a una nuova lotta per una Turchia laica, indipendente e socialista: ora il Pkk si rivolge all’intera società turca in un momento di forti tensioni interne, puntando alla trasformazione culturale della Turchia.\r\nMurat adduce motivi di vario genere per dimostrare che recedere dalla lotta armata in questo momento può produrre risultati maggiori di quanto si sia conseguito finora, sia cercando modelli di guerriglie andate al negoziato negli ultimi decenni ai quattro angoli del pianeta, sia sviluppando l’analisi sincronica su un presente attraversato da alleanze variabili e guerre di ogni tipo. Erdogan è indebolito in patria ma ha un attivismo in politica internazionale che sta ripagando nella considerazione dei risultati geopolitici in un momento di riposizionamento e di grande caos.\r\nOvviamente questo panorama vede un percorso diverso per i curdi siriani: in Rojava le dinamiche sono diverse e ci sono protagonisti internazionali diretti (americani, Idf nel Golan, l’influenza dei curdi di Barzani…) che dipingono un quadro diverso per cui le organizzazioni sorelle tra curdi operano strategie diverse. E lo stesso avviene in Iran dove l’organizzazione curda ha rinunciato da tempo alla creazione di uno stato indipendente.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/51Su0lG6XrzCMs80p3Oaof?si=hpkV_FFCRIKFWmosuaTX1g\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/pkk-rondò-à-la-turk.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast precedenti relativi al neottomanesimo si trovano <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/le-guerre-ottomane-del-nuovo-millennio--4610767\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a>\r\n\r\n<hr />\r\n\r\n \r\n\r\n«Regolamenti di conti mortali e scontri tra le fazioni in Tripolitania, avanzata delle truppe del generale Khalifa Haftar da Bengasi alla Sirte: la Libia sfugge a ogni controllo e soprattutto a quello del governo di Giorgia Meloni», così scriveva il 15 maggio <strong>Alberto Negri</strong> per “il manifesto” e da qui comincia il lungo excursus che illustra la situazione della regione Mena, a partire dalla Libia, dove le milizie tornano a scontrarsi in Tripolitania, vedendo soccombere i tagliagole sostenuti dalla Fortress Europe, a cominciare dal governo Meloni che ha coccolato al-Masri, il massacratore ricercato internazionalmente. Ora Haftar, il rais su cui punta dall’inizio la Russia in Cirenaica, è alleato anche della Turchia, dunque si assiste a un nuovo tentativo di rivolgimento del potere tripolino ormai al lumicino.\r\nMa questa situazione regolata dalla Turchia nell’Occidente libico nell’analisi di Alberto Negri si può anche vedere come uno dei 50 fronti dell’attivismo internazionale turco, fluido e adattabile alla condizione geopolitica, che vede Dbeibah – l’interlocutore dell’Europa per contenere e torturare le persone in movimento – sostenuto solo dalle milizie di Misurata nella girandola di alleanze e rivalità tripoline. La Turchia rimane al centro delle strategie che passano dal Mediterraneo in equilibrio anche con i sauditi e avendo imposto il vincitore di Assad in Siria, quell’Al-Jolani a cui Trump ha stretto la mano nonostante i 10 milioni di taglia; intanto all’interno si assiste alla svolta di Ocalan che – inopinatamente secondo Alberto Negri in un momento in cui l’area sta esplodendo e sono in corso mutamenti epocali – cede le armi e propone un percorso pacifico alla trasformazione della repubblica. In attesa di assistere e posizionarsi nella trattativa iraniana, con Teheran indebolita dalla escalation israeliana.\r\nE qui si giunge al centro del discorso mediorientale, perché da qualunque punto lo si rigiri <em>l’intento di Netanyahu di annettersi la Cisgiordania a cominciare dal genocidio gazawi sarà il punto di ricompattamento con l’amministrazione Trump</em>, in questi giorni invece impegnata a contenere il famelico criminale di Cesarea.\r\nSullo sfondo di tutto ciò Alberto si inalbera per il ruolo inesistente dell’Europa, se non per l’istinto neocoloniale di Macron, che non riesce comunque a conferire uno spessore da soggetti politici agli europei, in particolare per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, mai preso in considerazione dalla nomenklatura germano-balcanica che regola la politica comunitaria, totalmente disinteressata alle coste meridionali, se non per il contenimento dei migranti.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/ogni-rais-persegue-una-sua-visione-del-medioriente-tranne-gli-europei--66134433\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/Il-garbuglio-mediorientale-incomprensibile-per-gli-europei.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi alla questione mediorientale <a href=\"https://www.spreaker.com/podcast/israele-compra-a-saldo-paesi-arabi--4645793\" target=\"_blank\" rel=\"noopener noreferrer\">qui</a> potete trovare quelli che riconducono all'espansionismo sionista i conflitti in corso\r\n\r\n \r\n\r\n<hr />\r\n\r\nDopo una prima maratona negoziale durata due giorni ,Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo sulla sospensione per 90 giorni dei dazi reciproci che in pochi giorni avevano difatto bloccato gli scambi fra i due paesi. Nel dettaglio, gli Stati Uniti hanno annullato il 91% delle tariffe aggiuntive imposte alla Cina, sospeso il 24% dei “dazi reciproci” e mantenuto il restante 10%. Rimangono ancora in atto le \u003Cmark>misure\u003C/mark> su veicoli elettrici, acciaio e alluminio ,è un primo passo verso la creazione di un meccanismo di consultazione che regoli le relazioni commerciali e di fatto uno stop al processo di \"decoupling\" ,disaccopiamento ,fra le due economie che la nuova amministrazione americana non sembra gradire. Secondo varie fonti, negli ultimi giorni sono riprese le forniture di Boeing, che Pechino aveva interrotto in risposta ai dazi. Ma le restrizioni sui materiali critici ufficialmente sono ancora lì. Anche se sono state emesse le prime licenze per l’export di alcune terre rare, di cui potrebbero beneficiare anche le 28 aziende americane rimosse dalla lista delle entità interdette dalla Cina alle importazioni e altre attività \u003Cmark>economiche\u003C/mark>.\r\nNe parliamo con <b>Sabrina Moles</b> di China files.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/accordo-stati-uniti-cina-sui-dazi--66192697\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/sabrinomia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[270],{"field":122,"matched_tokens":271,"snippet":267,"value":268},[100],1155199671761633300,{"best_field_score":274,"best_field_weight":191,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":275,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},"1112386306048","1155199671761633393",{"document":277,"highlight":290,"highlights":295,"text_match":272,"text_match_info":298},{"comment_count":46,"id":278,"is_sticky":46,"permalink":279,"podcastfilter":280,"post_author":281,"post_content":282,"post_date":283,"post_excerpt":52,"post_id":278,"post_modified":284,"post_thumbnail":285,"post_title":286,"post_type":234,"sort_by_date":287,"tag_links":288,"tags":289},"67304","http://radioblackout.org/podcast/frittura-mistaradio-fabbrica-02-03-2021/",[202],"fritturamista","8 marzo 2021: Sciopero globale femminista e transfemminista. Essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta!\r\n\r\n\r\nIl primo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Carlotta Guaragna USB Torino sull'adesione allo sciopero femminista dell'8 marzo, facendo: un analisi delle ragioni dell'adesione di tutte le categorie lavorative partendo dalla piattaforma rivendicativa USB; sottolineando l'importanza di aderire all'appello di non una di meno e rivendicando che la copertura c'è per tutt*.\r\nBuon Ascolto\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/F_m_02_03_Usb-su-8-marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nil secondo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Luisa di Non Una Di Meno Torino sullo sciopero femminista e transfemminista dell'8 marzo:\r\nNegli ultimi anni abbiamo vissuto lo sciopero femminista e transfemminista globale come una manifestazione di forza, il grido di chi non accetta di essere vittima della violenza maschile e di genere. Abbiamo riempito le piazze e le strade di tutto il mondo con i nostri corpi e il nostro desiderio di essere vive e libere, abbiamo sfidato la difficoltà di scioperare causata dalla precarietà, dall’isolamento, dal razzismo istituzionale, abbiamo dimostrato che non esiste produzione di ricchezza senza il nostro lavoro quotidiano di cura e riproduzione della vita, abbiamo affermato che non siamo più disposte a subirlo in condizioni di sfruttamento e oppressione.\r\nA un anno dall’esplosione dell’emergenza sanitaria, la pandemia ha travolto tutto, anche il nostro movimento e la nostra lotta, rendendoli ancora più necessari e urgenti. Lo scorso 8 marzo ci siamo ritrovatə allo scoccare del primo lockdown e abbiamo scelto di non scendere in piazza a migliaia e migliaia come gli anni precedenti, per la salute e la sicurezza di tutte. È a partire dalla consapevolezza e dalla fantasia che abbiamo maturato in questi mesi di pandemia, in cui abbiamo iniziato a ripensare le pratiche di lotta di fronte alla necessità della cura collettiva, che sentiamo il bisogno di costruire per il prossimo 8 marzo un nuovo sciopero femminista e transfemminista, della produzione, della riproduzione, del e dal consumo, dei generi e dai generi. Non possiamo permetterci altrimenti. il prossimo 8 marzo sarà sciopero femminista e transfemminista, della produzione, della riproduzione, del e dal consumo, dei generi e dai generi.\r\nDobbiamo creare l’occasione per dare voce a chi sta vivendo sulla propria pelle i violentissimi effetti sociali della pandemia, e per affermare il nostro programma di lotta contro piani di ricostruzione che confermano l’organizzazione patriarcale della società contro la quale da anni stiamo combattendo insieme in tutto il mondo. Non abbiamo bisogno di spiegare l’urgenza di questa lotta. Le tantissime donne che sono state costrette a licenziarsi perché non potevano lavorare e contemporaneamente prendersi cura della propria famiglia sanno che non c’è più tempo da perdere. Lo sanno le migliaia di lavoratrici che hanno dovuto lavorare il doppio per ‘sanificare’ ospedali e fabbriche in cambio di salari bassissimi e nell’indifferenza delle loro condizioni di salute e sicurezza. Lo sanno tutte le donne e persone Lgbt*QIAP+ che sono state segregate dentro alle case in cui si consuma la violenza di mariti, padri, fratelli. Lo sanno coloro che hanno combattuto affinché i centri antiviolenza e i consultori, i reparti IVG, i punti nascita, le sale parto, continuassero a funzionare nonostante la strutturale mancanza di personale e di finanziamenti pubblici aggravata nell’emergenza. continuassero a funzionare nonostante la strutturale mancanza di fondi.\r\nLo sanno le migranti, quelle che lavorano nelle case e all’inizio della pandemia si sono viste negare ogni tipo di sussidio, o quelle che sono costrette ad accettare i nuovi turni impossibili del lavoro pandemico per non perdere il permesso di soggiorno. Lo sanno le insegnanti ridotte a ‘lavoratrici a chiamata’, costrette a fare i salti mortali per garantire la continuità dell’insegnamento mentre magari seguono i propri figli e figlie nella didattica a distanza. Lo sanno lə studenti che si sono vistə abbandonare completamente dalle istituzioni scolastiche, già carenti in materia di educazione sessuale, al piacere, alle diversità e al consenso, sullo sfondo di un vertiginoso aumento delle violenze tra giovanissimə. Lo sanno le persone trans* che hanno perso il lavoro e fanno ancora più fatica a trovarlo perché la loro dissidenza viene punita sul mercato. Lo sanno lə sex workers, invisibilizzatə, criminalizzatə e stigmatizzatə, senza alcun tipo di tutela nè sindacalizzazione, che hanno dovuto affrontare la pandemia e il lockdown da solə.\r\nA tuttə loro, a chi nonostante le difficoltà in questi mesi ha lottato e scioperato, noi rivolgiamo questo appello: l’8 marzo scioperiamo! Abbiamo bisogno di tenere alta la sfida transnazionale dello sciopero femminista e transfemminista perché i piani di ricostruzione postpandemica sono piani patriarcali.\r\nA fronte di uno stanziamento di risorse economiche per la ripresa, il Recovery Plan non rompe la disciplina dell’austerità sulle vite e sui corpi delle donne e delle persone LGBT*QIAP+. Da una parte si parla di politiche attive per l’inclusione delle donne al lavoro e di «politiche di conciliazione», dando per scontato che chi deve conciliare due lavori, quello dentro e quello fuori casa, sono le donne. Dall’altra non sono le donne, ma è la famiglia – la stessa dove si consuma la maggior parte della violenza maschile, la stessa che impedisce la libera espressione delle soggettività dissidenti ‒ il soggetto destinatario dei fondi sociali previsti dal Family Act. E da questi fondi sono del tutto escluse le migranti, confermando e mantenendo salde le gerarchie razziste che permettono di sfruttarle duramente in ogni tipo di servizi. Così anche gli investimenti su salute e sanità finiranno per essere basati su forme inaccettabili di sfruttamento razzista e patriarcale. Miliardi di euro sono poi destinati a una riconversione verde dell’economia, che mira soltanto ai profitti e pianifica modalità aggiornate di sfruttamento e distruzione dei corpi tutti, dell’ecosistema e della terra.\r\nPoco o nulla si dice delle misure contro la violenza maschile e di genere, nonostante questa sia aumentata esponenzialmente durante la pandemia, mentre il «reddito di libertà» è una risposta del tutto insufficiente alla nostra rivendicazione dell’autodeterminazione contro la violenza, anche se dimostra che la nostra forza non può essere ignorata. Questo 8 Marzo non sarà facile, ma è necessario. Lo sciopero femminista e transfemminista non è soltanto una tradizionale forma di interruzione del lavoro ma è un processo di lotta che attraversa i confini tra posti di lavoro e società, entra nelle case, invade ogni spazio in cui vogliamo esprimere il nostro rifiuto di subire violenza e di essere oppressə e sfruttatə. Questa è da sempre la nostra forza e oggi lo pensiamo più che mai, perché ogni donna che resiste, che sopravvive, ogni soggettività dissidente che si ribella, ogni migrante afferma la propria libertà fa parte del nostro sciopero.\r\nIl 30 e 31 una prima tappa verso l’8 marzo, nel corso della quale ci siamo incontrat* in gruppi divisi per tematiche per costruire le prime tappe dello sciopero femminista ed il 6 febbraio l’Assemblea per discutere collettivamente e indicare quali sono per noi terreni di lotta nella ricostruzione pandemica.\r\nProprio oggi che il nostro lavoro, dentro e fuori casa, è stato definito «essenziale», e questo ci ha costrette a livelli di sfruttamento, isolamento e costrizione senza precedenti, noi diciamo che “essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta!”.\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/F_m_02_03_Non-una-di-meno-su-8-marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nil terzo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Elisabetta Petragallo Cub Torino sull'adesione allo sciopero dell' 8 marzo facendo: un analisi delle ragioni dell'adesione di tutte le categorie lavorative partendo dalla piattaforma rivendicativa Cub; l'importanza di aderire all'appello di non una di meno; la questione commissione di garanzia che proibisce lo sciopero della scuola l'8 marzo e tracciando un bilancio ad un'anno di pandemia della condizione lavorativa di genere.\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/F_m_02_03_Cub-su-8-marzo.mp3\"][/audio]","4 Marzo 2021","2021-03-04 19:56:32","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/nudm_-200x110.jpg","frittura mista|radio fabbrica 02/03/2021",1614887792,[],[],{"post_content":291},{"matched_tokens":292,"snippet":293,"value":294},[101],"di uno stanziamento di risorse \u003Cmark>economiche\u003C/mark> per la ripresa, il Recovery","8 marzo 2021: Sciopero globale femminista e transfemminista. Essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta!\r\n\r\n\r\nIl primo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Carlotta Guaragna USB Torino sull'adesione allo sciopero femminista dell'8 marzo, facendo: un analisi delle ragioni dell'adesione di tutte le categorie lavorative partendo dalla piattaforma rivendicativa USB; sottolineando l'importanza di aderire all'appello di non una di meno e rivendicando che la copertura c'è per tutt*.\r\nBuon Ascolto\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/F_m_02_03_Usb-su-8-marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nil secondo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Luisa di Non Una Di Meno Torino sullo sciopero femminista e transfemminista dell'8 marzo:\r\nNegli ultimi anni abbiamo vissuto lo sciopero femminista e transfemminista globale come una manifestazione di forza, il grido di chi non accetta di essere vittima della violenza maschile e di genere. Abbiamo riempito le piazze e le strade di tutto il mondo con i nostri corpi e il nostro desiderio di essere vive e libere, abbiamo sfidato la difficoltà di scioperare causata dalla precarietà, dall’isolamento, dal razzismo istituzionale, abbiamo dimostrato che non esiste produzione di ricchezza senza il nostro lavoro quotidiano di cura e riproduzione della vita, abbiamo affermato che non siamo più disposte a subirlo in condizioni di sfruttamento e oppressione.\r\nA un anno dall’esplosione dell’emergenza sanitaria, la pandemia ha travolto tutto, anche il nostro movimento e la nostra lotta, rendendoli ancora più necessari e urgenti. Lo scorso 8 marzo ci siamo ritrovatə allo scoccare del primo lockdown e abbiamo scelto di non scendere in piazza a migliaia e migliaia come gli anni precedenti, per la salute e la sicurezza di tutte. È a partire dalla consapevolezza e dalla fantasia che abbiamo maturato in questi mesi di pandemia, in cui abbiamo iniziato a ripensare le pratiche di lotta di fronte alla necessità della cura collettiva, che sentiamo il bisogno di costruire per il prossimo 8 marzo un nuovo sciopero femminista e transfemminista, della produzione, della riproduzione, del e dal consumo, dei generi e dai generi. Non possiamo permetterci altrimenti. il prossimo 8 marzo sarà sciopero femminista e transfemminista, della produzione, della riproduzione, del e dal consumo, dei generi e dai generi.\r\nDobbiamo creare l’occasione per dare voce a chi sta vivendo sulla propria pelle i violentissimi effetti sociali della pandemia, e per affermare il nostro programma di lotta contro piani di ricostruzione che confermano l’organizzazione patriarcale della società contro la quale da anni stiamo combattendo insieme in tutto il mondo. Non abbiamo bisogno di spiegare l’urgenza di questa lotta. Le tantissime donne che sono state costrette a licenziarsi perché non potevano lavorare e contemporaneamente prendersi cura della propria famiglia sanno che non c’è più tempo da perdere. Lo sanno le migliaia di lavoratrici che hanno dovuto lavorare il doppio per ‘sanificare’ ospedali e fabbriche in cambio di salari bassissimi e nell’indifferenza delle loro condizioni di salute e sicurezza. Lo sanno tutte le donne e persone Lgbt*QIAP+ che sono state segregate dentro alle case in cui si consuma la violenza di mariti, padri, fratelli. Lo sanno coloro che hanno combattuto affinché i centri antiviolenza e i consultori, i reparti IVG, i punti nascita, le sale parto, continuassero a funzionare nonostante la strutturale mancanza di personale e di finanziamenti pubblici aggravata nell’emergenza. continuassero a funzionare nonostante la strutturale mancanza di fondi.\r\nLo sanno le migranti, quelle che lavorano nelle case e all’inizio della pandemia si sono viste negare ogni tipo di sussidio, o quelle che sono costrette ad accettare i nuovi turni impossibili del lavoro pandemico per non perdere il permesso di soggiorno. Lo sanno le insegnanti ridotte a ‘lavoratrici a chiamata’, costrette a fare i salti mortali per garantire la continuità dell’insegnamento mentre magari seguono i propri figli e figlie nella didattica a distanza. Lo sanno lə studenti che si sono vistə abbandonare completamente dalle istituzioni scolastiche, già carenti in materia di educazione sessuale, al piacere, alle diversità e al consenso, sullo sfondo di un vertiginoso aumento delle violenze tra giovanissimə. Lo sanno le persone trans* che hanno perso il lavoro e fanno ancora più fatica a trovarlo perché la loro dissidenza viene punita sul mercato. Lo sanno lə sex workers, invisibilizzatə, criminalizzatə e stigmatizzatə, senza alcun tipo di tutela nè sindacalizzazione, che hanno dovuto affrontare la pandemia e il lockdown da solə.\r\nA tuttə loro, a chi nonostante le difficoltà in questi mesi ha lottato e scioperato, noi rivolgiamo questo appello: l’8 marzo scioperiamo! 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E da questi fondi sono del tutto escluse le migranti, confermando e mantenendo salde le gerarchie razziste che permettono di sfruttarle duramente in ogni tipo di servizi. Così anche gli investimenti su salute e sanità finiranno per essere basati su forme inaccettabili di sfruttamento razzista e patriarcale. Miliardi di euro sono poi destinati a una riconversione verde dell’economia, che mira soltanto ai profitti e pianifica modalità aggiornate di sfruttamento e distruzione dei corpi tutti, dell’ecosistema e della terra.\r\nPoco o nulla si dice delle \u003Cmark>misure\u003C/mark> contro la violenza maschile e di genere, nonostante questa sia aumentata esponenzialmente durante la pandemia, mentre il «reddito di libertà» è una risposta del tutto insufficiente alla nostra rivendicazione dell’autodeterminazione contro la violenza, anche se dimostra che la nostra forza non può essere ignorata. Questo 8 Marzo non sarà facile, ma è necessario. Lo sciopero femminista e transfemminista non è soltanto una tradizionale forma di interruzione del lavoro ma è un processo di lotta che attraversa i confini tra posti di lavoro e società, entra nelle case, invade ogni spazio in cui vogliamo esprimere il nostro rifiuto di subire violenza e di essere oppressə e sfruttatə. Questa è da sempre la nostra forza e oggi lo pensiamo più che mai, perché ogni donna che resiste, che sopravvive, ogni soggettività dissidente che si ribella, ogni migrante afferma la propria libertà fa parte del nostro sciopero.\r\nIl 30 e 31 una prima tappa verso l’8 marzo, nel corso della quale ci siamo incontrat* in gruppi divisi per tematiche per costruire le prime tappe dello sciopero femminista ed il 6 febbraio l’Assemblea per discutere collettivamente e indicare quali sono per noi terreni di lotta nella ricostruzione pandemica.\r\nProprio oggi che il nostro lavoro, dentro e fuori casa, è stato definito «essenziale», e questo ci ha costrette a livelli di sfruttamento, isolamento e costrizione senza precedenti, noi diciamo che “essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta!”.\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/F_m_02_03_Non-una-di-meno-su-8-marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nil terzo approfondimento lo abbiamo fatto in compagnia di Elisabetta Petragallo Cub Torino sull'adesione allo sciopero dell' 8 marzo facendo: un analisi delle ragioni dell'adesione di tutte le categorie lavorative partendo dalla piattaforma rivendicativa Cub; l'importanza di aderire all'appello di non una di meno; la questione commissione di garanzia che proibisce lo sciopero della scuola l'8 marzo e tracciando un bilancio ad un'anno di pandemia della condizione lavorativa di genere.\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/F_m_02_03_Cub-su-8-marzo.mp3\"][/audio]",[296],{"field":122,"matched_tokens":297,"snippet":293,"value":294},[101],{"best_field_score":274,"best_field_weight":191,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":275,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},{"document":300,"highlight":318,"highlights":323,"text_match":272,"text_match_info":326},{"comment_count":46,"id":301,"is_sticky":46,"permalink":302,"podcastfilter":303,"post_author":304,"post_content":305,"post_date":306,"post_excerpt":307,"post_id":301,"post_modified":308,"post_thumbnail":309,"post_title":310,"post_type":234,"sort_by_date":311,"tag_links":312,"tags":317},"7815","http://radioblackout.org/podcast/poligono-di-quirra-il-punto-su-una-strage-di-stato-dopo-linquisizione-di-generali-ed-esperti/",[],"anarres","L’inchiesta sulla strage che da molti anni colpisce le popolazioni che vivono nella zona del Poligono di Quirra è giunta ad una prima conclusione. Nel registro degli indagati sono finiti in venti: gli ex comandanti del poligono sperimentale di Perdasdefogu e del distaccamento di Capo San Lorenzo, ma anche i responsabili sanitari del comando militare, alcuni professori universitari e i membri di un commissione nominata dal Ministero della Difesa che avrebbero dovuto studiare gli effetti della contaminazione dell’uranio.\r\nNell’elenco dei primi venti indagati è finito anche il sindaco di Perdasdefogu, uno dei paesi su cui ricade la gigantesca base militare sarda. Walter Mura, insieme al medico competente del poligono, è accusato di aver ostacolato l’inchiesta sul disastro.\r\nNelle ossa di dodici cadaveri riesumati per ordine del magistrato ci sono tracce del micidiale torio. Le persone stroncate dal nemico radioattivo potrebbero essere non meno di centosessanta.\r\nLa diffusione dei tumori e delle leucemie tra gli abitanti della zona dimostrano come le sostanze tossiche e radioattive abbiano contaminato il suolo, le falde acquifere che alimentano diversi paesi e persino l'atmosfera. Gli effetti, oltre alla morte di militari e dei pastori che hanno allevato le loro greggi dentro il poligono, sono dimostrati dalla nascita di bambini e agnelli malformati. Ora c’è la prova, quella che non hanno mai riscontrato le commissioni nominate per far luce su una strage contro la quale si battevano da anni ambientalisti e antimilitaristi.\r\n\r\nSecondo Francesco, attivista antimilitarista di Villaputzu, l’inchiesta sarebbe stata aperta per bloccare una possibile insorgenza popolare, ridare fiducia nelle stesse istituzioni che per decenni hanno coperto la strage, perché gli affari potessero andare avanti.\r\nPurtroppo in molti casi le stesse vittime diventano complici. I pastori, che, quando non ci sono esercitazioni, pascolano le pecore nella vastissima area del poligono, non hanno purtroppo interesse a far rilevare che i loro animali vivono in un territorio pesantemente inquinato.\r\nLa stessa proposta di riconversione dal militare al civile del Poligono non modificherebbe la situazione, poiché le ditte private che già oggi sperimentano a Quirra, producono danni equivalenti se non superiori a quelli dei militari. Solo la chiusura definitiva del Poligono aprirebbe qualche prospettiva per la salute delle persone e per un diverso futuro del territorio ogliastrino.\r\n\r\nAscolta l’intervista a Francesco per Radio Blackout: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/2012-03-25-francesco-quirra2.mp3|titles=2012 03 25 francesco quirra2]\r\n\r\nscarica il file\r\n\r\nDi seguito una scheda sul poligono del Salto di Quirra.\r\nÈ la base militare sperimentale più grande d'Europa, costruita intorno al 1954 ed estesa su circa13.500 ettari a terra, con una ulteriore superficie che si estende a mare fino a superare l'intera superficie dell'isola di Sardegna (quasi 29 mila Kmq).\r\nIn quanto base militare viene utilizzata dall'esercito italiano e da eserciti stranieri (NATO, ma non solo) per esercitazioni e addestramento.\r\nIn quanto sito di sperimentazione, la base è attrezzata ed utilizzata per la prova di prototipi di armamenti e come mercato dimostrativo dove i produttori di armi possono esporre ai potenziali acquirenti il funzionamento e l’efficacia dei dispositivi proposti. Questa funzione rende il PISQ molto particolare: esistono al mondo solo altri tre poligoni che possono essere noleggiati da eserciti stranieri e industrie private. Il costo medio è di circa 50 mila euro l'ora.\r\nLe attrezzature del Poligono sono usate anche per il test di tecnologie militari applicate ad usi civili (se ha senso tale distinzione): si tratta di esperimenti pericolosi ed esplodenti, come quelli sulla tenuta degli oleodotti o sui motori dei razzi per satelliti, che richiedono le stesse strutture usate per la prova di armamenti. Attualmente sono questi gli usi con le ricadute più pesanti in termini di inquinamento.\r\n\r\nche cosa comporta il PISQ\r\nIl Sarrabus-Gerrei è una delle zone a minor densità abitativa in Europa, ma non per questo nel 1954 ci si sarebbe privati del territorio oggi occupato dal Poligono; quelle aree avevano una loro vocazione alla viticoltura ed all’allevamento e, verosimilmente, se oggi non ci fosse la base, si sarebbero sviluppati anche altri settori: turismo, pesca, agrumeti, serricoltura, ortalizie, apicoltura, ecc...\r\nLa base è nata da esigenze estranee a quelle delle popolazioni ed ha trasformato il rapporto con il territorio creando delle condizioni che oggi vengono percepite come uno stato di fatto immutabile:\r\n\r\n· sottrazione di sovranità: le popolazioni subiscono decisioni prese completamente al di fuori del proprio controllo, estranee ai propri interessi, senza avere alcuna voce in capitolo, anzi spesso volutamente disinformate dalle autorità;\r\n· cristallizzazione economica (se non arretramento): la popolazione complessiva attorno al PISQ, è diminuita tra il 1971 ed il 2009 di 4.580 unità ovvero del 12% (dati ISTAT). Una realtà demografica cui fa riscontro il reddito medio per abitante che per il 2008 è di appena 6.857,00 €, contro una media italiana di 18.900,00\r\n· distruzione del patrimonio archeologico e naturalistico: vale per tutti il caso del complesso carsico di S’Ingutidroxa, denunciato all’opinione pubblica da realtà autonome che operano nel territorio contro il poligono militare;\r\n· inquinamento dell'intera area tanto da causare modificazioni genetiche negli organismi vegetali ed animali e diffusione di alcune patologie (aumento dei malati di diabete fino al 300%, disturbi alla tiroide, ecc...), linfomi e cancri di vario genere, aborti e malformazioni negli animali e nell’uomo.\r\n\r\nIl territorio e le popolazioni che \"ospitano\" il PISQ appaiono essere le prime vittime del Poligono e ne subiscono le conseguenze immediate, ma deve essere ben presente che gli ordigni sviluppati all’interno della base trovano utilizzo nei teatri di guerra di tutto il mondo come nuovi e più efficaci sistemi di distruzione e morte.\r\nLa nocività del Poligono si estende ben oltre i confini dell’isola ed è difficile giustificare l’esistenza di una tale struttura nei termini dei posti di lavoro che sarebbe in grado di garantire, senza considerare che - oltre ai costi sanitari, sociali, economici e politici che pagano le popolazioni locali - i frutti del “lavoro” svolto nel Poligono ricadono sui morti e sui profughi nelle guerre dell’Africa e del Medioriente e sono un mezzo per il mantenimento di oppressione e sottosviluppo.\r\nTutto ciò è potuto accadere anche perché le stesse genti che subiscono la presenza della base militare hanno permesso questa situazione.\r\nI motivi di ciò sono, tutto sommato, spiegabili:\r\n· fiducia verso istituzioni statali, a cui si affida lo sviluppo del territorio, la creazione di opportunità economiche, la tutela della salute ed il rispetto delle leggi;\r\n· penetrazione dell’economia militare, per cui tutti hanno un parente, un amico, un vicino a qualche titolo coinvolto nell’attività bellica; pertanto una presa di posizione contraria al poligono comporta una frattura nella comunità e questo è forse il principale motivo per cui il territorio esprime una opposizione debole e disorganizzata, pronta a delegare a terzi (partiti, stampa, magistratura, ecc.) l’onere di una lotta di cui nessuno sembra volersi veramente fare carico;\r\n· sentimento di isolamento e di debolezza nei confronti di interessi che appaiono essere troppo più grandi rispetto a quelli delle popolazioni locali;\r\n· fondo di fatalismo e di cinismo, per cui si spera sempre che quanto succede agli altri non succeda a noi e si cerca di vivere la propria vita senza porsi troppi problemi.\r\n\r\nSe oggi va maturando la consapevolezza della necessità di riappropriarsi del territorio e chiudere la struttura del Poligono, è evidente che è necessario superare la passività ed intraprendere un percorso di lotta.\r\n\r\nsituazione attuale \r\nL’esistenza di una situazione sanitaria anomala è stata oggetto negli anni di molte denunce e ricerche. Oggi non è più necessario dimostrare l’esistenza o la consistenza della “sindrome di Quirra”, così come ci sono chiare evidenze di quelle che ne potrebbero essere le cause, tutte riconducibili alle attività del Poligono.\r\nFin dai primi anni ’80 tra le specie viventi (flora e fauna, inclusi gli umani) si son verificate molteplici anomalie che per gli abitanti della zona sono fatti noti: morìa ed aborti in bestie ed esseri umani, malformazioni nei feti e nei nati vivi, fino al caso di Escalaplano dove, a cavallo del 1988, su 25 nuovi nati, 14 risultarono affetti da malformazioni più o meno gravi.\r\nNel 2001 un oncologo ed un medico di base di Villaputzu denunciavano una anomala quantità di tumori emolinfatici.\r\nNel 2004 l’Istituto Superiore di Sanità raccomandava indagini epidemiologiche settoriali nell’intorno del Poligono.\r\nNel 2006 lo screening sullo stato di salute della Regione Sardegna riscontrava percentuali di malattie paragonabili a quelle delle zone industriali.\r\nNel 2008 il Comitato Scientifico di Base, organismo indipendente, agendo su incarico di associazioni locali attive nella lotta contro il PISQ, pubblicava uno studio in cui denunciava l’inquinamento elettromagnetico prodotto dalle apparecchiature in uso al Poligono.\r\nNel 2009 lo stesso Comitato Scientifico di Base denunciava una percentuale abnorme di leucemie tra i lavoratori ed i residenti nell’intorno della base e tra i lavoratori civili del Poligono.\r\nÈ di oggi, infine, la denuncia dei veterinari della zona, che riscontra, tra gli allevatori operanti nella zona del Poligono, una percentuale di malati di leucemie pari al 65% dei residenti, oltre a dati inquietanti relativi allo stato di salute del bestiame.\r\nNei primi anni del 2000 ci si è concentrati sull’uranio impoverito, che potrebbe essere una con-causa, ma è stato dimostrato non essere il principale responsabile della situazione. Nonostante ciò sia noto da allora, ancora si svolgono inutili e costose indagini per la ricerca di agenti radioattivi non significativi, e ciò non può che destare allarme.\r\nE’ poi appena il caso di ricordare il tentativo di depistaggio che attribuiva la diffusione di leucemie alle vecchie miniere di arsenico, che è pure un agente patogeno, ma per tutt’altro tipo di tumori, peraltro poco presenti nel territorio. Tuttavia ancora c’è chi sostiene questa tesi!\r\nGli studi indipendenti e quelli svolti dalle diverse commissioni hanno invece evidenziato la presenza di nanoparticelle di metalli pesanti, generate negli impatti, nelle esplosioni e nelle combustioni dei propellenti usati dai missili; la presenza di inquinanti chimici (idrazina, tungsteno, ecc.) utilizzati nei combustibili dei missili e in alcuni dispositivi militari; la presenza di intensissimi campi elettromagnetici dovuti ai radar di controllo, segnalazione ed inseguimento, oltre ai dispositivi di guerra elettronica utilizzati e sperimentati nelle esercitazioni\r\n\r\nresponsabili e responsabilità\r\nI responsabili diretti di quanto sta accadendo al territorio ed alle popolazioni attorno al Poligono Interforze del Salto di Quirra sono i governi, i militari e le industrie di armi e munizionamenti. Costoro hanno voluto il Poligono, lo hanno realizzato ed usato sulla base esclusiva dei propri interessi economici, politici, strategici, lucrando sulla vita e la salute delle popolazioni, senza metterle al corrente né dei rischi, né di eventuali misure protettive, negando, tacendo e falsificando anche di fronte all'evidenza. Le istituzioni politiche hanno agito in continuità con gli interessi militari ed industriali, senza mai ricredersi sulle scelte operate in passato e reiterando (ancora oggi) l'intoccabilità del Poligono e delle sue attività.\r\nPer non aver svolto il proprio ruolo di controllo e tutela sono responsabili: le istituzioni regionali e provinciali che si sono alternate dal 1954 fino ad oggi; i sindaci e le amministrazioni comunali, in particolare quelli di Perdasdefogu, Escalaplano e Villaputzu; le ASL competenti e l’ARPAS. Enti che avrebbero dovuto prevenire, controllare ed impedire lo scempio e che invece hanno sempre negato l'evidenza. Enti che insistono tutt'ora nel richiedere non solo il mantenimento della base militare ma finanche l'intensificazione delle sue attività. \r\nPer aver taciuto i rischi ed occultato informazioni allarmanti sono responsabili: tutte le imprese - pubbliche e private - che collaborano con il PISQ e che avrebbero potuto divulgare notizie relative alla pericolosità delle attività svolte nel Poligono; i sindacati, che - per tutelare pochi posti di lavoro (dai quali andrebbero sottratti quei pastori, agricoltori, pescatori, impiegati in attività civili, decimati dalla pandemia militarista) - difendono l'esproprio di un territorio vastissimo, accreditando il mestiere di militare come un “lavoro come gli altri”. Si trovano così vittime della contraddizione di tutelare la busta paga piuttosto che la persona. \r\nUna responsabilità nell'occultamento della verità e nel mantenimento della \"pace sociale\" deve essere attribuita anche alle istituzioni della chiesa cattolica che hanno mediato e diffuso l’ignoranza su quanto avveniva nella base. Vale su tutto la dichiarazione di mons. Mani, arcivescovo di Cagliari e generale di corpo d'armata, in quanto ex-capellano militare, che assicura personalmente «che nelle basi in Sardegna non viene utilizzato uranio impoverito».\r\n\r\nuna prima conclusione\r\nNessuno dei responsabili dell’accaduto vuole in realtà porre fine alle malattie, all’impoverimento economico, alla distruzione dell’ambiente che hanno imposto per oltre mezzo secolo alle comunità locali, ne' sarà disposto a permettere un controllo sulle attività belliche, che - in verità - non sarebbero neanche possibili se non fossero occultate dal segreto militare. E’ evidente, quindi, che non ci può essere incontro tra gli interessi di chi guadagna dalle attività del Poligono e di quanti vi perdono la vita, come singoli, come comunità e come vittime della guerra.\r\n\r\nAttendersi che l'intera popolazione si sollevi all'unisono e pretenda la chiusura del PISQ è una prospettiva irreale, sia perché parte della popolazione stessa è portatrice di interesse, sia perché l’atteggiamento prevalente è di indifferenza e cinismo. È’ necessario partire da questa realtà ed effettuare una scelta di campo: chi vuole mantenere il Poligono già lo manifesta; chi ne vorrebbe la chiusura deve prendere coscienza di questa divergenza di interessi. Non solo: l'esperienza di oltre mezzo secolo e le posizioni espresse quotidianamente dai responsabili mostrano che non si può fare affidamento su istituzioni che - a tutti i livelli - hanno dato copertura ai militari.\r\n\r\nDelegare e, dunque, affidare la vita, la salute, il territorio in cui viviamo in mani altrui, senza poter esercitare alcun controllo, è il meccanismo che ha portato alla condizione attuale. È necessaria, pertanto, una mobilitazione di base, in prima persona, in autonomia dalle organizzazioni istituzionali e tale da poter agire in modo diretto ed organizzato.","27 Marzo 2012","L’inchiesta sulla strage che da molti anni colpisce le popolazioni che vivono nella zona del Poligono di Quirra è giunta ad una prima conclusione. Nel registro degli indagati sono finiti in venti: gli ex comandanti del poligono sperimentale di Perdasdefogu e del distaccamento di Capo San Lorenzo, ma anche i responsabili sanitari del comando militare, alcuni professori universitari e i membri di un commissione nominata dal Ministero della Difesa che avrebbero dovuto studiare gli effetti della contaminazione dell’uranio.\r\nNell’elenco dei primi venti indagati è finito anche il sindaco di Perdasdefogu, uno dei paesi su cui ricade la gigantesca base militare sarda. Walter Mura, insieme al medico competente del poligono, è accusato dal procuratore Domenico Fiordalisi di aver ostacolato l’inchiesta sul disastro.\r\nNelle ossa di dodici cadaveri riesumati per ordine del magistrato ci sono tracce del micidiale torio. Le persone stroncate dal nemico radioattivo potrebbero essere non meno di centosessanta. E proprio per questo la Procura della Repubblica di Lanusei ha deciso di approfondire ulteriormente l’inchiesta sui veleni della base militare del Salto di Quirra.\r\nLa diffusione dei tumori e delle leucemie tra gli abitanti della zona, secondo la tesi della procura, dimostrano come le sostanze tossiche e radioattive abbiano contaminato il suolo, le falde acquifere che alimentano diversi paesi e persino l'atmosfera. Gli effetti, oltre alla morte di tanti militari e dei pastori che hanno allevato le loro greggi dentro il poligono, sono dimostrati dalla nascita di bambini e agnelli malformati. Ora c’è la prova, quella che non hanno mai riscontrato le commissioni nominate per far luce su uno strano fenomeno di cui si parlava da molti anni. E anche per questo, nell’elenco degli indagati, ci sono professori e altri specialisti che avrebbero volutamente negato gli effetti della contaminazione.\r\n\r\nSecondo Francesco, attivista antimilitarista di Villaputzu, l’inchiesta sarebbe stata aperta per bloccare una possibile insorgenza popolare, ridare fiducia nelle stesse istituzioni che per decenni hanno coperto la strage, perché gli affari potessero andare avanti.\r\nPurtroppo in molti casi le stesse vittime diventano complici. I pastori, che, quando non ci sono esercitazioni, pascolano le pecore nella vastissima area del poligono, non hanno purtroppo interesse a far rilevare che i loro animali vivono in un territorio pesantemente inquinato. \r\nLa stessa proposta di riconversione dal militare al civile del Poligono non modificherebbe la situazione, poiché le ditte private che già oggi sperimentano nel poligono, producono danni equivalenti se non superiori a quelli dei militari. Solo la chiusura definitiva del Poligono aprirebbe qualche prospettiva per la salute delle persone e per un diverso futuro del territorio ogliastrino. \r\n\r\nAscolta l’intervista a Francesco per Radio Blackout: \r\n\r\nscarica il file\r\n\r\nDi seguito una scheda sul poligono del Salto di Quirra.\r\nÈ la base militare sperimentale più grande d'Europa, costruita intorno al 1954 ed estesa su circa13.500 ettari a terra, con una ulteriore superficie che si estende a mare fino a superare l'intera superficie dell'isola di Sardegna (quasi 29 mila Kmq).\r\nIn quanto base militare viene utilizzata dall'esercito italiano e da eserciti stranieri (NATO, ma non solo) per esercitazioni e addestramento. \r\nIn quanto sito di sperimentazione, la base è attrezzata ed utilizzata per la prova di prototipi di armamenti e come mercato dimostrativo dove i produttori di armi possono esporre ai potenziali acquirenti il funzionamento e l’efficacia dei dispositivi proposti. Questa funzione rende il PISQ molto particolare: esistono al mondo solo altri tre poligoni che possono essere noleggiati da eserciti stranieri e industrie private. Il costo medio è di circa 50 mila euro l'ora.\r\nLe attrezzature del Poligono sono usate anche per il test di tecnologie militari applicate ad usi civili (se ha senso tale distinzione): si tratta di esperimenti pericolosi ed esplodenti, come quelli sulla tenuta degli oleodotti o sui motori dei razzi per satelliti, che richiedono le stesse strutture usate per la prova di armamenti. Attualmente sono questi gli usi con le ricadute più pesanti in termini di inquinamento.\r\n\r\nche cosa comporta il PISQ \r\nIl Sarrabus-Gerrei è una delle zone a minor densità abitativa in Europa, ma non per questo nel 1954 ci si sarebbe privati del territorio oggi occupato dal Poligono; quelle aree avevano una loro vocazione alla viticoltura ed all’allevamento e, verosimilmente, se oggi non ci fosse la base, si sarebbero sviluppati anche altri settori: turismo, pesca, agrumeti, serricoltura, ortalizie, apicoltura, ecc...\r\nLa base è nata da esigenze estranee a quelle delle popolazioni ed ha trasformato il rapporto con il territorio creando delle condizioni che oggi vengono percepite come uno stato di fatto immutabile:\r\n\r\n• sottrazione di sovranità: le popolazioni subiscono decisioni prese completamente al di fuori del proprio controllo, estranee ai propri interessi, senza avere alcuna voce in capitolo, anzi spesso volutamente disinformate dalle autorità;\r\n• cristallizzazione economica (se non arretramento): la popolazione complessiva attorno al PISQ, è diminuita tra il 1971 ed il 2009 di 4.580 unità ovvero del 12% (dati ISTAT). Una realtà demografica cui fa riscontro il reddito medio per abitante che per il 2008 è di appena 6.857,00 €, contro una media italiana di 18.900,00 \r\n• distruzione del patrimonio archeologico e naturalistico: vale per tutti il caso del complesso carsico di S’Ingutidroxa, denunciato all’opinione pubblica da realtà autonome che operano nel territorio contro il poligono militare;\r\n• inquinamento dell'intera area tanto da causare modificazioni genetiche negli organismi vegetali ed animali e diffusione di alcune patologie (aumento dei malati di diabete fino al 300%, disturbi alla tiroide, ecc...), linfomi e cancri di vario genere, aborti e malformazioni negli animali e nell’uomo.\r\n\r\nIl territorio e le popolazioni che \"ospitano\" il PISQ appaiono essere le prime vittime del Poligono e ne subiscono le conseguenze immediate, ma deve essere ben presente che gli ordigni sviluppati all’interno della base trovano utilizzo nei teatri di guerra di tutto il mondo come nuovi e più efficaci sistemi di distruzione e morte. \r\nLa nocività del Poligono si estende ben oltre i confini dell’isola ed è difficile giustificare l’esistenza di una tale struttura nei termini dei posti di lavoro che sarebbe in grado di garantire, senza considerare che - oltre ai costi sanitari, sociali, economici e politici che pagano le popolazioni locali - i frutti del “lavoro” svolto nel Poligono ricadono sui morti e sui profughi nelle guerre dell’Africa e del Medioriente e sono un mezzo per il mantenimento di oppressione e sottosviluppo.\r\nTutto ciò è potuto accadere anche perché le stesse genti che subiscono la presenza della base militare hanno permesso questa situazione. \r\nI motivi di ciò sono, tutto sommato, spiegabili:\r\n• fiducia verso istituzioni statali, a cui si affida lo sviluppo del territorio, la creazione di opportunità economiche, la tutela della salute ed il rispetto delle leggi;\r\n• penetrazione dell’economia militare, per cui tutti hanno un parente, un amico, un vicino a qualche titolo coinvolto nell’attività bellica; pertanto una presa di posizione contraria al poligono comporta una frattura nella comunità e questo è forse il principale motivo per cui il territorio esprime una opposizione debole e disorganizzata, pronta a delegare a terzi (partiti, stampa, magistratura, ecc.) l’onere di una lotta di cui nessuno sembra volersi veramente fare carico;\r\n• sentimento di isolamento e di debolezza nei confronti di interessi che appaiono essere troppo più grandi rispetto a quelli delle popolazioni locali;\r\n• fondo di fatalismo e di cinismo, per cui si spera sempre che quanto succede agli altri non succeda a noi e si cerca di vivere la propria vita senza porsi troppi problemi.\r\n\r\nSe oggi va maturando la consapevolezza della necessità di riappropriarsi del territorio e chiudere la struttura del Poligono, è evidente che è necessario superare la passività ed intraprendere un percorso di lotta. \r\n\r\nsituazione attuale \r\nL’esistenza di una situazione sanitaria anomala è stata oggetto negli anni di molte denunce e ricerche. Oggi non è più necessario dimostrare l’esistenza o la consistenza della “sindrome di Quirra”, così come ci sono chiare evidenze di quelle che ne potrebbero essere le cause, tutte riconducibili alle attività del Poligono.\r\nFin dai primi anni ’80 tra le specie viventi (flora e fauna, inclusi gli umani) si son verificate molteplici anomalie che per gli abitanti della zona sono fatti noti: morìa ed aborti in bestie ed esseri umani, malformazioni nei feti e nei nati vivi, fino al caso di Escalaplano dove, a cavallo del 1988, su 25 nuovi nati, 14 risultarono affetti da malformazioni più o meno gravi. \r\nNel 2001 un oncologo ed un medico di base di Villaputzu denunciavano una anomala quantità di tumori emolinfatici. \r\nNel 2004 l’Istituto Superiore di Sanità raccomandava indagini epidemiologiche settoriali nell’intorno del Poligono. \r\nNel 2006 lo screening sullo stato di salute della Regione Sardegna riscontrava percentuali di malattie paragonabili a quelle delle zone industriali. \r\nNel 2008 il Comitato Scientifico di Base, organismo indipendente, agendo su incarico di associazioni locali attive nella lotta contro il PISQ, pubblicava uno studio in cui denunciava l’inquinamento elettromagnetico prodotto dalle apparecchiature in uso al Poligono. \r\nNel 2009 lo stesso Comitato Scientifico di Base denunciava una percentuale abnorme di leucemie tra i lavoratori ed i residenti nell’intorno della base e tra i lavoratori civili del Poligono. \r\nÈ di oggi, infine, la denuncia dei veterinari della zona, che riscontra, tra gli allevatori operanti nella zona del Poligono, una percentuale di malati di leucemie pari al 65% dei residenti, oltre a dati inquietanti relativi allo stato di salute del bestiame.\r\nNei primi anni del 2000 ci si è concentrati sull’uranio impoverito, che potrebbe essere una con-causa, ma è stato dimostrato non essere il principale responsabile della situazione. Nonostante ciò sia noto da allora, ancora si svolgono inutili e costose indagini per la ricerca di agenti radioattivi non significativi, e ciò non può che destare allarme. \r\nE’ poi appena il caso di ricordare il tentativo di depistaggio che attribuiva la diffusione di leucemie alle vecchie miniere di arsenico, che è pure un agente patogeno, ma per tutt’altro tipo di tumori, peraltro poco presenti nel territorio. Tuttavia ancora c’è chi sostiene questa tesi!\r\nGli studi indipendenti e quelli svolti dalle diverse commissioni hanno invece evidenziato la presenza di nanoparticelle di metalli pesanti, generate negli impatti, nelle esplosioni e nelle combustioni dei propellenti usati dai missili; la presenza di inquinanti chimici (idrazina, tungsteno, ecc.) utilizzati nei combustibili dei missili e in alcuni dispositivi militari; la presenza di intensissimi campi elettromagnetici dovuti ai radar di controllo, segnalazione ed inseguimento, oltre ai dispositivi di guerra elettronica utilizzati e sperimentati nelle esercitazioni\r\n\r\nresponsabili e responsabilità\r\nI responsabili diretti di quanto sta accadendo al territorio ed alle popolazioni attorno al Poligono Interforze del Salto di Quirra sono i governi, i militari e le industrie di armi e munizionamenti. Costoro hanno voluto il Poligono, lo hanno realizzato ed usato sulla base esclusiva dei propri interessi economici, politici, strategici, lucrando sulla vita e la salute delle popolazioni, senza metterle al corrente né dei rischi, né di eventuali misure protettive, negando, tacendo e falsificando anche di fronte all'evidenza. Le istituzioni politiche hanno agito in continuità con gli interessi militari ed industriali, senza mai ricredersi sulle scelte operate in passato e reiterando (ancora oggi) l'intoccabilità del Poligono e delle sue attività. \r\nPer non aver svolto il proprio ruolo di controllo e tutela sono responsabili: le istituzioni regionali e provinciali che si sono alternate dal 1954 fino ad oggi; i sindaci e le amministrazioni comunali, in particolare quelli di Perdasdefogu, Escalaplano e Villaputzu; le ASL competenti e l’ARPAS. Enti che avrebbero dovuto prevenire, controllare ed impedire lo scempio e che invece hanno sempre negato l'evidenza. Enti che insistono tutt'ora nel richiedere non solo il mantenimento della base militare ma finanche l'intensificazione delle sue attività. \r\nPer aver taciuto i rischi ed occultato informazioni allarmanti sono responsabili: tutte le imprese - pubbliche e private - che collaborano con il PISQ e che avrebbero potuto divulgare notizie relative alla pericolosità delle attività svolte nel Poligono; i sindacati, che - per tutelare pochi posti di lavoro (dai quali andrebbero sottratti quei pastori, agricoltori, pescatori, impiegati in attività civili, decimati dalla pandemia militarista) - difendono l'esproprio di un territorio vastissimo, accreditando il mestiere di militare come un “lavoro come gli altri”. Si trovano così vittime della contraddizione di tutelare la busta paga piuttosto che la persona. \r\nUna responsabilità nell'occultamento della verità e nel mantenimento della \"pace sociale\" deve essere attribuita anche alle istituzioni della chiesa cattolica che hanno mediato e diffuso l’ignoranza su quanto avveniva nella base. Vale su tutto la dichiarazione di mons. Mani, arcivescovo di Cagliari e generale di corpo d'armata, in quanto ex-capellano militare, che assicura personalmente «che nelle basi in Sardegna non viene utilizzato uranio impoverito». \r\n\r\nuna prima conclusione\r\nNessuno dei responsabili dell’accaduto vuole in realtà porre fine alle malattie, all’impoverimento economico, alla distruzione dell’ambiente che hanno imposto per oltre mezzo secolo alle comunità locali, ne' sarà disposto a permettere un controllo sulle attività belliche, che - in verità - non sarebbero neanche possibili se non fossero occultate dal segreto militare. E’ evidente, quindi, che non ci può essere incontro tra gli interessi di chi guadagna dalle attività del Poligono e di quanti vi perdono la vita, come singoli, come comunità e come vittime della guerra.\r\n\r\nAttendersi che l'intera popolazione si sollevi all'unisono e pretenda la chiusura del PISQ è una prospettiva irreale, sia perché parte della popolazione stessa è portatrice di interesse, sia perché l’atteggiamento prevalente è di indifferenza e cinismo. È’ necessario partire da questa realtà ed effettuare una scelta di campo: chi vuole mantenere il Poligono già lo manifesta; chi ne vorrebbe la chiusura deve prendere coscienza di questa divergenza di interessi. Non solo: l'esperienza di oltre mezzo secolo e le posizioni espresse quotidianamente dai responsabili mostrano che non si può fare affidamento su istituzioni che - a tutti i livelli - hanno dato copertura ai militari. \r\n\r\nDelegare e, dunque, affidare la vita, la salute, il territorio in cui viviamo in mani altrui, senza poter esercitare alcun controllo, è il meccanismo che ha portato alla condizione attuale. È necessaria, pertanto, una mobilitazione di base, in prima persona, in autonomia dalle organizzazioni istituzionali e tale da poter agire in modo diretto ed organizzato. \r\n","2018-10-17 22:11:14","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/1a_quirra_001-200x110.jpg","Poligono di Quirra. 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Nel registro degli indagati sono finiti in venti: gli ex comandanti del poligono sperimentale di Perdasdefogu e del distaccamento di Capo San Lorenzo, ma anche i responsabili sanitari del comando militare, alcuni professori universitari e i membri di un commissione nominata dal Ministero della Difesa che avrebbero dovuto studiare gli effetti della contaminazione dell’uranio.\r\nNell’elenco dei primi venti indagati è finito anche il sindaco di Perdasdefogu, uno dei paesi su cui ricade la gigantesca base militare sarda. Walter Mura, insieme al medico competente del poligono, è accusato di aver ostacolato l’inchiesta sul disastro.\r\nNelle ossa di dodici cadaveri riesumati per ordine del magistrato ci sono tracce del micidiale torio. Le persone stroncate dal nemico radioattivo potrebbero essere non meno di centosessanta.\r\nLa diffusione dei tumori e delle leucemie tra gli abitanti della zona dimostrano come le sostanze tossiche e radioattive abbiano contaminato il suolo, le falde acquifere che alimentano diversi paesi e persino l'atmosfera. Gli effetti, oltre alla morte di militari e dei pastori che hanno allevato le loro greggi dentro il poligono, sono dimostrati dalla nascita di bambini e agnelli malformati. Ora c’è la prova, quella che non hanno mai riscontrato le commissioni nominate per far luce su una strage contro la quale si battevano da anni ambientalisti e antimilitaristi.\r\n\r\nSecondo Francesco, attivista antimilitarista di Villaputzu, l’inchiesta sarebbe stata aperta per bloccare una possibile insorgenza popolare, ridare fiducia nelle stesse istituzioni che per decenni hanno coperto la strage, perché gli affari potessero andare avanti.\r\nPurtroppo in molti casi le stesse vittime diventano complici. I pastori, che, quando non ci sono esercitazioni, pascolano le pecore nella vastissima area del poligono, non hanno purtroppo interesse a far rilevare che i loro animali vivono in un territorio pesantemente inquinato.\r\nLa stessa proposta di riconversione dal militare al civile del Poligono non modificherebbe la situazione, poiché le ditte private che già oggi sperimentano a Quirra, producono danni equivalenti se non superiori a quelli dei militari. Solo la chiusura definitiva del Poligono aprirebbe qualche prospettiva per la salute delle persone e per un diverso futuro del territorio ogliastrino.\r\n\r\nAscolta l’intervista a Francesco per Radio Blackout: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/03/2012-03-25-francesco-quirra2.mp3|titles=2012 03 25 francesco quirra2]\r\n\r\nscarica il file\r\n\r\nDi seguito una scheda sul poligono del Salto di Quirra.\r\nÈ la base militare sperimentale più grande d'Europa, costruita intorno al 1954 ed estesa su circa13.500 ettari a terra, con una ulteriore superficie che si estende a mare fino a superare l'intera superficie dell'isola di Sardegna (quasi 29 mila Kmq).\r\nIn quanto base militare viene utilizzata dall'esercito italiano e da eserciti stranieri (NATO, ma non solo) per esercitazioni e addestramento.\r\nIn quanto sito di sperimentazione, la base è attrezzata ed utilizzata per la prova di prototipi di armamenti e come mercato dimostrativo dove i produttori di armi possono esporre ai potenziali acquirenti il funzionamento e l’efficacia dei dispositivi proposti. Questa funzione rende il PISQ molto particolare: esistono al mondo solo altri tre poligoni che possono essere noleggiati da eserciti stranieri e industrie private. Il costo medio è di circa 50 mila euro l'ora.\r\nLe attrezzature del Poligono sono usate anche per il test di tecnologie militari applicate ad usi civili (se ha senso tale distinzione): si tratta di esperimenti pericolosi ed esplodenti, come quelli sulla tenuta degli oleodotti o sui motori dei razzi per satelliti, che richiedono le stesse strutture usate per la prova di armamenti. Attualmente sono questi gli usi con le ricadute più pesanti in termini di inquinamento.\r\n\r\nche cosa comporta il PISQ\r\nIl Sarrabus-Gerrei è una delle zone a minor densità abitativa in Europa, ma non per questo nel 1954 ci si sarebbe privati del territorio oggi occupato dal Poligono; quelle aree avevano una loro vocazione alla viticoltura ed all’allevamento e, verosimilmente, se oggi non ci fosse la base, si sarebbero sviluppati anche altri settori: turismo, pesca, agrumeti, serricoltura, ortalizie, apicoltura, ecc...\r\nLa base è nata da esigenze estranee a quelle delle popolazioni ed ha trasformato il rapporto con il territorio creando delle condizioni che oggi vengono percepite come uno stato di fatto immutabile:\r\n\r\n· sottrazione di sovranità: le popolazioni subiscono decisioni prese completamente al di fuori del proprio controllo, estranee ai propri interessi, senza avere alcuna voce in capitolo, anzi spesso volutamente disinformate dalle autorità;\r\n· cristallizzazione economica (se non arretramento): la popolazione complessiva attorno al PISQ, è diminuita tra il 1971 ed il 2009 di 4.580 unità ovvero del 12% (dati ISTAT). Una realtà demografica cui fa riscontro il reddito medio per abitante che per il 2008 è di appena 6.857,00 €, contro una media italiana di 18.900,00\r\n· distruzione del patrimonio archeologico e naturalistico: vale per tutti il caso del complesso carsico di S’Ingutidroxa, denunciato all’opinione pubblica da realtà autonome che operano nel territorio contro il poligono militare;\r\n· inquinamento dell'intera area tanto da causare modificazioni genetiche negli organismi vegetali ed animali e diffusione di alcune patologie (aumento dei malati di diabete fino al 300%, disturbi alla tiroide, ecc...), linfomi e cancri di vario genere, aborti e malformazioni negli animali e nell’uomo.\r\n\r\nIl territorio e le popolazioni che \"ospitano\" il PISQ appaiono essere le prime vittime del Poligono e ne subiscono le conseguenze immediate, ma deve essere ben presente che gli ordigni sviluppati all’interno della base trovano utilizzo nei teatri di guerra di tutto il mondo come nuovi e più efficaci sistemi di distruzione e morte.\r\nLa nocività del Poligono si estende ben oltre i confini dell’isola ed è difficile giustificare l’esistenza di una tale struttura nei termini dei posti di lavoro che sarebbe in grado di garantire, senza considerare che - oltre ai costi sanitari, sociali, economici e politici che pagano le popolazioni locali - i frutti del “lavoro” svolto nel Poligono ricadono sui morti e sui profughi nelle guerre dell’Africa e del Medioriente e sono un mezzo per il mantenimento di oppressione e sottosviluppo.\r\nTutto ciò è potuto accadere anche perché le stesse genti che subiscono la presenza della base militare hanno permesso questa situazione.\r\nI motivi di ciò sono, tutto sommato, spiegabili:\r\n· fiducia verso istituzioni statali, a cui si affida lo sviluppo del territorio, la creazione di opportunità \u003Cmark>economiche\u003C/mark>, la tutela della salute ed il rispetto delle leggi;\r\n· penetrazione dell’economia militare, per cui tutti hanno un parente, un amico, un vicino a qualche titolo coinvolto nell’attività bellica; pertanto una presa di posizione contraria al poligono comporta una frattura nella comunità e questo è forse il principale motivo per cui il territorio esprime una opposizione debole e disorganizzata, pronta a delegare a terzi (partiti, stampa, magistratura, ecc.) l’onere di una lotta di cui nessuno sembra volersi veramente fare carico;\r\n· sentimento di isolamento e di debolezza nei confronti di interessi che appaiono essere troppo più grandi rispetto a quelli delle popolazioni locali;\r\n· fondo di fatalismo e di cinismo, per cui si spera sempre che quanto succede agli altri non succeda a noi e si cerca di vivere la propria vita senza porsi troppi problemi.\r\n\r\nSe oggi va maturando la consapevolezza della necessità di riappropriarsi del territorio e chiudere la struttura del Poligono, è evidente che è necessario superare la passività ed intraprendere un percorso di lotta.\r\n\r\nsituazione attuale \r\nL’esistenza di una situazione sanitaria anomala è stata oggetto negli anni di molte denunce e ricerche. Oggi non è più necessario dimostrare l’esistenza o la consistenza della “sindrome di Quirra”, così come ci sono chiare evidenze di quelle che ne potrebbero essere le cause, tutte riconducibili alle attività del Poligono.\r\nFin dai primi anni ’80 tra le specie viventi (flora e fauna, inclusi gli umani) si son verificate molteplici anomalie che per gli abitanti della zona sono fatti noti: morìa ed aborti in bestie ed esseri umani, malformazioni nei feti e nei nati vivi, fino al caso di Escalaplano dove, a cavallo del 1988, su 25 nuovi nati, 14 risultarono affetti da malformazioni più o meno gravi.\r\nNel 2001 un oncologo ed un medico di base di Villaputzu denunciavano una anomala quantità di tumori emolinfatici.\r\nNel 2004 l’Istituto Superiore di Sanità raccomandava indagini epidemiologiche settoriali nell’intorno del Poligono.\r\nNel 2006 lo screening sullo stato di salute della Regione Sardegna riscontrava percentuali di malattie paragonabili a quelle delle zone industriali.\r\nNel 2008 il Comitato Scientifico di Base, organismo indipendente, agendo su incarico di associazioni locali attive nella lotta contro il PISQ, pubblicava uno studio in cui denunciava l’inquinamento elettromagnetico prodotto dalle apparecchiature in uso al Poligono.\r\nNel 2009 lo stesso Comitato Scientifico di Base denunciava una percentuale abnorme di leucemie tra i lavoratori ed i residenti nell’intorno della base e tra i lavoratori civili del Poligono.\r\nÈ di oggi, infine, la denuncia dei veterinari della zona, che riscontra, tra gli allevatori operanti nella zona del Poligono, una percentuale di malati di leucemie pari al 65% dei residenti, oltre a dati inquietanti relativi allo stato di salute del bestiame.\r\nNei primi anni del 2000 ci si è concentrati sull’uranio impoverito, che potrebbe essere una con-causa, ma è stato dimostrato non essere il principale responsabile della situazione. Nonostante ciò sia noto da allora, ancora si svolgono inutili e costose indagini per la ricerca di agenti radioattivi non significativi, e ciò non può che destare allarme.\r\nE’ poi appena il caso di ricordare il tentativo di depistaggio che attribuiva la diffusione di leucemie alle vecchie miniere di arsenico, che è pure un agente patogeno, ma per tutt’altro tipo di tumori, peraltro poco presenti nel territorio. Tuttavia ancora c’è chi sostiene questa tesi!\r\nGli studi indipendenti e quelli svolti dalle diverse commissioni hanno invece evidenziato la presenza di nanoparticelle di metalli pesanti, generate negli impatti, nelle esplosioni e nelle combustioni dei propellenti usati dai missili; la presenza di inquinanti chimici (idrazina, tungsteno, ecc.) utilizzati nei combustibili dei missili e in alcuni dispositivi militari; la presenza di intensissimi campi elettromagnetici dovuti ai radar di controllo, segnalazione ed inseguimento, oltre ai dispositivi di guerra elettronica utilizzati e sperimentati nelle esercitazioni\r\n\r\nresponsabili e responsabilità\r\nI responsabili diretti di quanto sta accadendo al territorio ed alle popolazioni attorno al Poligono Interforze del Salto di Quirra sono i governi, i militari e le industrie di armi e munizionamenti. Costoro hanno voluto il Poligono, lo hanno realizzato ed usato sulla base esclusiva dei propri interessi economici, politici, strategici, lucrando sulla vita e la salute delle popolazioni, senza metterle al corrente né dei rischi, né di eventuali \u003Cmark>misure\u003C/mark> protettive, negando, tacendo e falsificando anche di fronte all'evidenza. Le istituzioni politiche hanno agito in continuità con gli interessi militari ed industriali, senza mai ricredersi sulle scelte operate in passato e reiterando (ancora oggi) l'intoccabilità del Poligono e delle sue attività.\r\nPer non aver svolto il proprio ruolo di controllo e tutela sono responsabili: le istituzioni regionali e provinciali che si sono alternate dal 1954 fino ad oggi; i sindaci e le amministrazioni comunali, in particolare quelli di Perdasdefogu, Escalaplano e Villaputzu; le ASL competenti e l’ARPAS. Enti che avrebbero dovuto prevenire, controllare ed impedire lo scempio e che invece hanno sempre negato l'evidenza. Enti che insistono tutt'ora nel richiedere non solo il mantenimento della base militare ma finanche l'intensificazione delle sue attività. \r\nPer aver taciuto i rischi ed occultato informazioni allarmanti sono responsabili: tutte le imprese - pubbliche e private - che collaborano con il PISQ e che avrebbero potuto divulgare notizie relative alla pericolosità delle attività svolte nel Poligono; i sindacati, che - per tutelare pochi posti di lavoro (dai quali andrebbero sottratti quei pastori, agricoltori, pescatori, impiegati in attività civili, decimati dalla pandemia militarista) - difendono l'esproprio di un territorio vastissimo, accreditando il mestiere di militare come un “lavoro come gli altri”. Si trovano così vittime della contraddizione di tutelare la busta paga piuttosto che la persona. \r\nUna responsabilità nell'occultamento della verità e nel mantenimento della \"pace sociale\" deve essere attribuita anche alle istituzioni della chiesa cattolica che hanno mediato e diffuso l’ignoranza su quanto avveniva nella base. Vale su tutto la dichiarazione di mons. Mani, arcivescovo di Cagliari e generale di corpo d'armata, in quanto ex-capellano militare, che assicura personalmente «che nelle basi in Sardegna non viene utilizzato uranio impoverito».\r\n\r\nuna prima conclusione\r\nNessuno dei responsabili dell’accaduto vuole in realtà porre fine alle malattie, all’impoverimento economico, alla distruzione dell’ambiente che hanno imposto per oltre mezzo secolo alle comunità locali, ne' sarà disposto a permettere un controllo sulle attività belliche, che - in verità - non sarebbero neanche possibili se non fossero occultate dal segreto militare. E’ evidente, quindi, che non ci può essere incontro tra gli interessi di chi guadagna dalle attività del Poligono e di quanti vi perdono la vita, come singoli, come comunità e come vittime della guerra.\r\n\r\nAttendersi che l'intera popolazione si sollevi all'unisono e pretenda la chiusura del PISQ è una prospettiva irreale, sia perché parte della popolazione stessa è portatrice di interesse, sia perché l’atteggiamento prevalente è di indifferenza e cinismo. È’ necessario partire da questa realtà ed effettuare una scelta di campo: chi vuole mantenere il Poligono già lo manifesta; chi ne vorrebbe la chiusura deve prendere coscienza di questa divergenza di interessi. Non solo: l'esperienza di oltre mezzo secolo e le posizioni espresse quotidianamente dai responsabili mostrano che non si può fare affidamento su istituzioni che - a tutti i livelli - hanno dato copertura ai militari.\r\n\r\nDelegare e, dunque, affidare la vita, la salute, il territorio in cui viviamo in mani altrui, senza poter esercitare alcun controllo, è il meccanismo che ha portato alla condizione attuale. È necessaria, pertanto, una mobilitazione di base, in prima persona, in autonomia dalle organizzazioni istituzionali e tale da poter agire in modo diretto ed organizzato.",[324],{"field":122,"matched_tokens":325,"snippet":321,"value":322},[101],{"best_field_score":274,"best_field_weight":191,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":14,"score":275,"tokens_matched":38,"typo_prefix_score":46},6637,{"collection_name":234,"first_q":33,"per_page":117,"q":33},23,["Reactive",331],{},["Set"],["ShallowReactive",334],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fjjT1sC-94lo1wZRDdALvN8JQo4jxolH6ZLNItETvC0s":-1},true,"/search?query=misure+economiche+UE"]