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Sono quelli salvati dalle navi Humanity1 e Medici senza frontiere, fermi in rada a Catania. Sulla Humanity1 ci sono 35 persone delle 179 soccorse, dopo che 144 sono state fatte scendere perché ritenute ‘fragili’ della commissione medica Usmaf. Sulla nave di MSF, invece, sino a ieri restavano 212 profughi, dopo che sono state fatte scendere 357.\r\nTra chi è rimasto, costretto, sulle navi la situazione è drammatica: nel pomeriggio tre giovani a bordo della Geo Barents si sono tuffati in mare nel tentativo di raggiungere la terraferma. Hanno nuotato fino ad un galleggiante e poi sono stati portati sul molo dove hanno trascorso la notte all’addiaccio. In mattinata dalla nave sono giunte coperte termiche e abiti asciutti. Entrambi siriani, nonostante abbiano dichiarato di voler chiedere la protezione umanitaria, sono stati abbandonati in un limbo tra terra e mare.\r\nSulla Humanity invece numerosi migranti hanno iniziato a rifiutare il cibo, come protesta contro la loro deportazione lontano dalla terraferma. Il loro sbarco è stato chiesto ufficialmente anche da Unhcr e Oim.\r\nIl governo vuole però che le due imbarcazioni tornino in mezzo al mare, ma le ong si rifiutano, appellandosi alla legge del mare, che impone di salvare chi è in difficoltà, portandolo al primo porto utile. Il decreto che impone agli equipaggi di tornare in mare aperto con il loro carico umano minaccia carcere e multe, ma, come ci ha detto Riccardo Gatti della Geo Bartens, loro non hanno alcuna intenzione di obbedire.\r\nAscolta la diretta con Riccardo Gatti della Geo Barents:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/2022-11-08-gatti-barents.mp3\"][/audio]","8 Novembre 2022","2022-11-08 14:51:50","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/migranti-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"171\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/migranti-300x171.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/migranti-300x171.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/migranti-1024x584.jpeg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/migranti-768x438.jpeg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/11/migranti.jpeg 1217w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Migranti in ostaggio del governo",1667919110,[114,61,115,116,117],"http://radioblackout.org/tag/catania/","http://radioblackout.org/tag/humanity1/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/salvini/",[119,15,120,121,122],"catania","humanity1","migranti","salvini",{"post_content":124},{"matched_tokens":125,"snippet":127,"value":128},[126],"MSF","medica Usmaf. 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Ci sono anche le Ybs, unità di resistenza di Shengal, la città nel nord dell'Iraq, che nel 2014 subì un duro attacco da parte dell'Isis. I Daesh avevano compiuto un vero e proprio massacro verso gli Yezidi: circa 7.500 persone furono deportate dai monti di Shengal e molte donne furono rivendute come schiave, oppure date come spose ai miliziani dell'Isis, per le strade di Shengal i Daesh non si fecero scrupolo a tagliare le teste anche a bambini di un anno.\r\n\r\n \r\n\r\nLe forze di Shengal sono presenti in città anche per vendicare gli yezidi massacrati nel 2014.\r\n\r\n \r\n\r\nSu alcuni giornali sono uscite molte polemiche contro le Sdf e le forze statunitensi, per i bombardamenti sui civili, per cui l'Onu vorrebbe aprire un corridoio umanitario. Raqqa è una città fantasma, non c'é nessuno per strada e i civili che sono in città sono in mano all'Isis: chi ha potuto è fuggito.\r\nA Tabqa i Daesh utilizzarono i civili come arma di contrattazione: l'Isis minacciò di sgozzare i civili se non li avessero fatti fuggire, e quindi le Sdf decisero di far fuggire i miliziani dell'Isis per salvare la vita di centinaia di persone, un convoglio di 200 persone fuggì dalla città. Qui credo che non ci sia la possibilità di aprire un corridoio: la città è piena di mine e per strada non ci sono civili, ci sono i combattenti dell'Isis che sparano a ogni cosa che si muove, certamente i civili non possono muoversi e andarsene, purtroppo sono sotto tiro dei bombardamenti anche se si cerca di essere i più precisi possibili.","7 Settembre 2017","2017-09-09 23:46:01","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/IMG-20170901-WA0014-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/IMG-20170901-WA0014-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/IMG-20170901-WA0014-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/IMG-20170901-WA0014-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/IMG-20170901-WA0014-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/09/IMG-20170901-WA0014.jpg 1600w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Corrispondenza dal fronte di Raqqa",1504787254,[152,153,154,155,156,157,158,159,160,161,162],"http://radioblackout.org/tag/cekdar-agir/","http://radioblackout.org/tag/daesh/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/mine/","http://radioblackout.org/tag/onu/","http://radioblackout.org/tag/raqqa/","http://radioblackout.org/tag/sdf/","http://radioblackout.org/tag/shengal/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/ypg/",[34,164,165,166,22,167,24,18,168,169,170],"Daesh","iraq","isis","ONU","shengal","Siria","YPG",{"post_content":172},{"matched_tokens":173,"snippet":175,"value":176},[174],"Msf","le forze cristiane assire denominate \u003Cmark>Msf\u003C/mark>. 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Nella mattinata di venerdì 8 aprile quarantacinque di pakistani sono stati deportati in Turchia da Lesvos. Quattro attivisti hanno tentato di bloccare la nave, gettandosi in mare e cercando di scalare l’ancora. Sono stati bloccati, fermati e poi rilasciati.\r\nDue pakistani deportati martedì 5 aprile, appena giunti nel campo di detenzione in Turchia avrebbero tentato il suicidio. Secondo una notizia diffusa nei social media ma non confermata da altre fonti uno di loro sarebbe morto.\r\nMercoledì è stata diffusa la notizia che il governo greco avrebbe sospeso le deportazioni, per avere il tempo di esaminare le richieste d’asilo fioccate dopo le prime espulsioni forzate.\r\nLe persone provenienti da paesi considerati “sicuri”, tra cui Pakistan, l’Afganistan e il Bangladesh probabilmente verranno respinte. Gli stessi siriani si trovano intrappolati, perché, anche in caso di risposta favorevole, sarebbero obbligati ad interrompere il proprio viaggio verso le destinazioni prescelte.\r\nFare richiesta di asilo è però il solo modo per evitare le deportazioni, la detenzione in Turchia e il rimpatrio.\r\nNegli ultimi giorni si sono drasticamemente ridotti gli sbarchi a Lesvos, Chios, Samos e le altre isole greche di fronte alla costa turca. Le vie dell'esodo presto saranno altre, probabilmente più costose e pericolose. Un viaggio clandestino dalla Turchia verso l'Italia potrebbe costare sino a cinquemila euro. Crescono le difficoltà, si alzano i prezzi della carne umana nello spaventoso risiko delle frontiere.\r\nIl governo greco continua a lavarsene le mani. Le deportazioni sono fatte dagli uomini di Frontex, mentre i poliziotti greci assistono da lontano. Per la Grecia la Turchia non è un paese sicuro: per questa ragione non collaborano alle espulsioni.\r\nA Idomeni la polizia ha sparato proiettili di gomma e lanciato lacrimogeni contro i profughi, annegati nel fango e nella disperazione, che domenica hanno provato a bucare la frontiera. La polizia greca assisteva da lontano senza intervenire. Le equipe di Medici Senza Frontiere (MSF) hanno trattato centinaia di intossicati, tre profughi sono stati ricoverati in ospedale. La violenza è divampata dopo ore di manifestazione pacifica. Sin dalla mattina 500 rifugiati si sono avvicinati alla barriera che divide la Grecia dalla Macedonia, finché la polizia ha cominciato a sparare gomma e gas.\r\nA Idomeni ci sono cinquantamila persone ostaggio di un gioco di cui sanno poco o nulla. 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I profughi, la trojka, il governo Tsipras",1460484118,[195,196,197,198,199,200,201,202,203,204],"http://radioblackout.org/tag/chios/","http://radioblackout.org/tag/grecia/","http://radioblackout.org/tag/idomeni/","http://radioblackout.org/tag/lesbo/","http://radioblackout.org/tag/macedonia/","http://radioblackout.org/tag/profughi/","http://radioblackout.org/tag/samo/","http://radioblackout.org/tag/trojka/","http://radioblackout.org/tag/tsipras/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[26,206,32,207,208,209,20,28,30,210],"grecia","Lesbo","Macedonia","profughi","Turchia",{"post_content":212},{"matched_tokens":213,"snippet":214,"value":215},[126],"equipe di Medici Senza Frontiere (\u003Cmark>MSF\u003C/mark>) hanno trattato centinaia di intossicati,","Lesbo. Nella mattinata di venerdì 8 aprile quarantacinque di pakistani sono stati deportati in Turchia da Lesvos. Quattro attivisti hanno tentato di bloccare la nave, gettandosi in mare e cercando di scalare l’ancora. 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Gli stessi siriani si trovano intrappolati, perché, anche in caso di risposta favorevole, sarebbero obbligati ad interrompere il proprio viaggio verso le destinazioni prescelte.\r\nFare richiesta di asilo è però il solo modo per evitare le deportazioni, la detenzione in Turchia e il rimpatrio.\r\nNegli ultimi giorni si sono drasticamemente ridotti gli sbarchi a Lesvos, Chios, Samos e le altre isole greche di fronte alla costa turca. Le vie dell'esodo presto saranno altre, probabilmente più costose e pericolose. Un viaggio clandestino dalla Turchia verso l'Italia potrebbe costare sino a cinquemila euro. Crescono le difficoltà, si alzano i prezzi della carne umana nello spaventoso risiko delle frontiere.\r\nIl governo greco continua a lavarsene le mani. Le deportazioni sono fatte dagli uomini di Frontex, mentre i poliziotti greci assistono da lontano. Per la Grecia la Turchia non è un paese sicuro: per questa ragione non collaborano alle espulsioni.\r\nA Idomeni la polizia ha sparato proiettili di gomma e lanciato lacrimogeni contro i profughi, annegati nel fango e nella disperazione, che domenica hanno provato a bucare la frontiera. La polizia greca assisteva da lontano senza intervenire. Le equipe di Medici Senza Frontiere (\u003Cmark>MSF\u003C/mark>) hanno trattato centinaia di intossicati, tre profughi sono stati ricoverati in ospedale. La violenza è divampata dopo ore di manifestazione pacifica. Sin dalla mattina 500 rifugiati si sono avvicinati alla barriera che divide la Grecia dalla Macedonia, finché la polizia ha cominciato a sparare gomma e gas.\r\nA Idomeni ci sono cinquantamila persone ostaggio di un gioco di cui sanno poco o nulla. Sopravvivono grazie alla solidarietà della popolazione, stremata dalla crisi, da una disoccupazione che ha traforato il 25%, dalla secca riduzione delle attività produttive, scese in un anno del 13,5%, ma capace di mutuo aiuto con chi si trova a stare ancora peggio.\r\nIl governo Tispras ha deciso di gettare la questione dei profughi sul tavolo delle trattative con il Fondo Monetario per evitare ancora una volta il default.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Cosimo Caridi corrispondente da Lesvos del Fatto Quotidiano.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-04-12-caridi-grecia",[217],{"field":131,"matched_tokens":218,"snippet":214,"value":215},[126],{"best_field_score":135,"best_field_weight":136,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":137,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},{"document":221,"highlight":235,"highlights":240,"text_match":133,"text_match_info":243},{"cat_link":222,"category":223,"comment_count":47,"id":224,"is_sticky":47,"permalink":225,"post_author":50,"post_content":226,"post_date":227,"post_excerpt":53,"post_id":224,"post_modified":228,"post_thumbnail":229,"post_thumbnail_html":230,"post_title":231,"post_type":58,"sort_by_date":232,"tag_links":233,"tags":234},[44],[46],"26976","http://radioblackout.org/2014/12/testimonianza-di-un-medico-dal-sud-sudan/","La mattina del 23 dicembre abbiamo avuto ospite in studio Margherita, già attivista nel movimento torinese e reduce da un'esperienza di due mesi (agosto e settembre) in Sud Sudan in un ospedale di Medici Senza Frontiere.\r\n\r\nIl Sud Sudan è uno stato nato tre anni fa, nel 2011, da una secessione dal Sudan al termine di un lungo conflitto. Le due principali etnie che lo abitano, i Dinka e i Nuer, prima combattevano il governo centrale sudanese, ora invece si fanno la guerra tra loro; si tratta di un'ostilità che esiste da sempre per quanto riguarda il possesso dei capi di bestiame, risorsa fondamentale dell'economia rurale della zona, ma che ora si è approfondita per il controllo dei pozzi petroliferi. E' facile immaginare che dietro le quinte di questo conflitto vi siano gli interessi delle varie potenze straniere nello sfruttamento delle materie prime della regione.\r\n\r\nLa zona di guerra è quella corrispondente all'ovest del paese, lungo il corso del Nilo. L'ospedale di MSF nel quale Margherita ha prestato il suo soccorso si trova invece a est, nel \"Warrab State\", ed era rivolto soprattutto a madri e bambini, che sono affetti cronicamente da varie infezioni e soprattutto dalla malaria che continua in quest'area a mietere moltissime vittime.\r\n\r\nIn Sud Sudan lo stato è pressochè assente, la società è strutturata secondo un ordinamento tribale e un'economia di villaggio, nei centri urbani (soprattutto la capitale Juba) le uniche risorse in più sono quelle erogate dalle ONG, il cui ruolo si può ironicamente definire come di \"colonialismo umanitario\", anche se tra queste MSF è tra le realtà più sincere e lontane dai casi di corruzione e dunque tra le più consigliabili per chi vuole vivere un'esperienza in regioni che altrimenti sarebbe ben difficile conoscere da vicino.\r\n\r\nDi questo e altro abbiamo parlato nell'intervista:\r\n\r\nsudsudan\r\n\r\n \r\n\r\n ","24 Dicembre 2014","2015-01-20 13:13:58","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/Sud-Sudan-1024x682-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/Sud-Sudan-1024x682-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/Sud-Sudan-1024x682-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/Sud-Sudan-1024x682-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/12/Sud-Sudan-1024x682.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Testimonianza di un medico dal Sud Sudan",1419444030,[],[],{"post_content":236},{"matched_tokens":237,"snippet":238,"value":239},[126],"corso del Nilo. 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I bombardamenti seguono incessanti su Rafah e altri campi profughi, in attesa della ormai quasi certa operazione di terra sulla città. \r\n\r\nMentre la Knesset approvava la decisione del governo israeliano di non accettare alcuna risoluzione unilaterale per la creazione di uno Stato palestinese, nella Striscia di Gaza ieri sono finite ancora una volta nel mirino delle forze armate israeliane le organizzazioni internazionali umanitarie. Le cannonate dei tank hanno colpito per la seconda volta in due mesi un rifugio di Medici Senza Frontiere (Msf) nei pressi di Khan Younis, nel sud della Striscia.\r\n\r\nIn Cisgiordania proseguono le violenze dei coloni, ormai indistinguibili dall'esercito, essendo molti di loro riservisti, in barba agli appelli di Blinken e Biden e alle sanzioni imposte a quattro coloni con interessi negli Usa.\r\n\r\nPer parlare della situazione in West Bank abbiamo raggiunto ai nostri microfoni un cooperante italiano ad Hebron.\r\n\r\nLunedì 19 febbraio era a Torino uno dei fondatori del BDS (Boycott, Divestment, Sanctions) e leader carismatico della società civile palestinese Omar Bargouthi. Riportiamo nel podcast alcuni estratti del suo intervento.\r\n\r\nNotizia di ieri è il terzo veto degli USA alla risoluzione per il cessate il fuoco immediato a Gaza. La Gran Bretagna si è astenuta. Si starebbe lavorando a una risoluzione che piaccia agli States, che subordini il cessate il fuoco alla liberazione degli ostaggi e condanni i fatti del 7 ottobre. Una condanna tanto cara a certi ambienti e ad una narrazione che vorrebbe i fatti legati a questa data come l'inizio di tutto, causati dalla follia di Hamas, come per altri versi è l'appellativo \"unprovoked war\" usato per definire la guerra di Putin contro l’ Ucraina martirizzata per interessi non suoi.\r\n\r\n--------------------------------------------------\r\n\r\nL'Ucraina devastata da due anni di guerra batte in ritirata da quella che era considerata la vera roccaforte del fronte Donetsk, Avdiivka. Una ritirata su cui si è giocata in parte anche l'estromissione del generalissimo Zaluzhny. In Europa torna in auge una retorica aggressiva come testimoniano i recenti interventi di Stoltenberg, dell'ammiraglio Bauer (presidente del comitato militare NATO) e della stessa Van Der Leyen, retorica che si è fatta ancora più aggressiva dopo la morte di Navalny. Di questo e di altro abbiamo discusso con il prof. Francesco Dall'Aglio, esperto di Est Europa e autore del canale Telegram War Room.\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/la-fine-22-02.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMATERIALI\r\n\r\nLa Palestina e il ruolo dell'Occidente - Incontro con Omar Barghouti (BDS) Torino 19/02/2024\r\n\r\n \r\n\r\n ","23 Febbraio 2024","2024-02-23 19:52:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/1708688289236-200x110.png","LA FINE DELLA FINE DELLA STORIA S.2 #18 -Rafah resta in attesa. 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I blocchi delle raffineria e gli scioperi di ferrovieri e lavoratori di EDF. Nostro corrispondente Gianni Carrozza, corrispondente parigino di Collegamenti e redattore di Vive La Sociale! su radio Frequence Plurielle.\r\nAl di là della cronaca dell'ultima settimana, tra blocchi delle raffinerie, scioperi delle ferrovie e grandi manifestazioni di piazza, con Gianni abbiamo provato a cogliere le prospettive di un movimento che, dopo due mesi, continua ad essere in crescita, nonostante ampi settori del maggiore sindacato, la CGT, abbiano scelto di radicalizzarsi per provare a controllare una situazione che minaccia(va) di non essere più controllabile dalle burocrazie sindacali. In quest'ultima settimana è scesa in campo anche FO, Force Ouvriere, sindacato classicamente padronale, mentre meno rilevante è il ruolo degli studenti. Crepe si aprono nel fronte governativo, dove il partito socialista deve fare i conti con una crescente fronda della sua base sociale e politica.\r\nContinuano le Nouit Debout e tentano – sia pure a fatica - di sbarcare anche nella banlieaue, mentre gli attivisti si spostano dove ci sono blocchi e azioni di picchetto.\r\nUna riflessione particolare è stata dedicata al tema del blocco (delle merci, delle persone, dei flussi di notizie) come strumento per mettere in difficoltà un padronato, molto più libero di agire, vista la leggerezza estrema del sistema produttivo, ancorato al just in time, privo di magazzino, con capannoni e macchine in leasing.\r\nNe è scaturito un dibattito interessante, in cui è emerso, che sebbene la pratica del blocco sia efficace nel mettere in difficoltà la controparte, l'ingovernabilità del territorio, passa, necessariamente da un allargamento del fronte di lotta più radicale. \r\n\r\n* Torino. Anarchici in piazza contro razzisti e polizia. 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Grandi scheletri senza infissi, sanitari, fili elettrici, recuperati e riciclati negli anni da chi ne aveva bisogno.\r\nProbabilmente non c'è neppure l'acqua.\r\nQui, i profughi, isolati in piccoli gruppi, sorvegliati dall'esercito, saranno lontani dagli sguardi e dalla possibilità da rendere visibile, e quindi politicamente rilevante, la loro condizione.\r\nIntorno alle ex fabbriche quartieri di immigrati dall'est, spesso ostili ai profughi, dove Crisi Argi, i nazisti di Alba Dorata, guadagnano terreno. Nelle ultime settimane hanno provato ad alzare la testa, facendo ronde per i quartieri, cosa mai avvenuta a Salonicco ed inquietante, nonostante i nazisti siano stati intercettati e fermati dai compagni.\r\nA Idomeni restano solo più 500 persone, le sole che non paiono disponibili ad andarsene volontariamente. Gli altri 7.900, in parte sono saliti spontaneamente sui pullman dell'esercito, molti altri – forse 3000 - se ne sono andati prima dello sgombero, improvvisando accampamenti in altre località lungo il confine. A Polycastro, in una stazione di servizio, sono accampate oltre duemila persone, in parte provenienti da Idomeni.\r\nSecondo fonti No Border in 700 ce l'avrebbero fatta a bucare il confine macedone.\r\nLo sgombero sinora “pacifico” dell'accampamento di Idomeni è frutto del lungo lavorio fatto da ONG, volontari e funzionari statali. I profughi sono stati privati dell'acqua, ogni giorno il cibo non bastava per tutti, l'accesso ad internet per tentare la domanda di ricollocazione in un altro paese europeo non era altro che una chimera.\r\nPrivati della loro dignità, minacciati ed umiliati, metà dei profughi hanno finito con accettare senza proteste la deportazione, un'altra metà hanno deciso di fuggire, prima dello sgombero, nella notte del 24 maggio.\r\nIl divieto ai giornalisti di raccontare lo sgombero era parte della strategia di isolamento delle persone. Se nessuno vede e racconta quello che succede, anche la protesta sembra diventare inutile.\r\nUn risultato che il governo Tsipras non dava certo per scontato, viste le migliaia di agenti in assetto antisommossa mandati a Idomeni da ogni parte della Grecia.\r\n\r\n* Zitto e mangia la minestra. É il titolo del contributo di Benjamin Julian sul blog refugeestrail. Mostra in modo efficace il ruolo dei volontari apolitici nell'assistenza e controllo dei migranti in viaggio a Chios e Idomeni. nel fiaccare la resistenza, umiliando le persone che si aiutano, riducendole a tubi digerenti, minori da assistere, inferiori cui mostrare il modo giusto di vivere. Uno sguardo colonialista e complice delle politiche repressive del governo.\r\n\r\nSotto trovate la traduzione fatta dal blog Hurriya, che abbiamo letto ad Anarres\r\n\r\nOggi le autorità greche hanno dato l’avvio a quello che minacciavano da tempo: lo sgombero dell’accampamento di Idomeni. Il portavoce del ministro dell’immigrazione ha detto che tutti sapevano che “le condizioni di vita” sarebbero state migliori nei campi in cui le persone saranno ricollocate e aveva promesso che “non sarebbe stata usata la forza”, ma anche che si aspettava che le 8000 persone che hanno vissuto lì per mesi sarebbero state spostate in meno di una settimana. Per garantire che nessuno potesse vedere il modo pacifico con cui Idomeni sarebbe stata sgomberata, a giornalisti e attivisti è stato precluso l’accesso all’area.\r\n\r\nUna spiegazione di come questo paradosso dello spostamento non violento di migliaia di persone, che non avevano intenzione di spostarsi, potesse essere risolto, è stata data da un rappresentante di MSF, secondo il quale la gestione del campo da parte della polizia ha “reso complicata la fornitura di cibo e l’assistenza sanitaria”.\r\n\r\nSi tratta di una mossa simile a quella riportata dai/dalle migranti di Vial a Chios, quando venne detto loro che avrebbero dovuto lasciare il campo per trasferirsi nell’altro hotspot di Kos: “Non avevamo l’acqua per poter usare i bagni o poter farci una doccia”, ha detto un migrante. “Avevamo giusto l’acqua potabile da bere. La polizia ha tagliato l’acqua perché, ci hanno detto, dobbiamo spostarci su un’altra isola”.\r\n\r\nQueste tattiche vengono solitamente definite assedi di guerra, intimidazioni, abusi o, per ultimo, atti antiumanitari. Ma negli ultimi tempi sembra essersi affermata la scuola di pensiero che ritiene queste pratiche non sostanzialmente sbagliate, trattandosi solo di una questione di procedure. Il lavoro umanitario consiste nel trovare “un buon posto”, identificato dai volontari o dalle autorità, dove poter trasferire i/le migranti. I desideri e le richieste dei/delle migranti sono semplicemente ignorati. Questo approccio cresce naturalmente nel contesto della politica di confine europea, e dovremmo cominciare a resistere e opporci ad essa.\r\n\r\nRimani in fila\r\nNon è solo il consueto sentimento europeo di superiorità che nutre questo atteggiamento. Durante il lavoro che ho svolto nelle mense questo inverno, mi ha colpito quanto velocemente una mentalità paternalista, o peggio autoritaria, si possa sviluppare tra i volontari.\r\nNoi, per lo più ventenni bianchi/e, eravamo donatori e loro riceventi. Noi avevamo cose che la maggior parte dei/delle migranti non aveva. Potevamo viaggiare, prendere in affitto case, guidare auto, mentre loro non potevano. Eravamo noi che l* facevamo mettere in fila, che decidevamo le loro porzioni, che decidevamo se una persona poteva ricevere una, due o nessuna porzione di zuppa, che l* facevamo allineare in fila, che facevamo rispettare la coda a chi la saltava e così via. Questa posizione di superiorità può facilmente sfociare nella prepotenza, e ho visto spesso e in diversi luoghi volontari urlare contro i/le migranti che erano in attesa in fila per ottenere un paio di mutande o una carta di registrazione. Si tratta di uno spettacolo che non vorrei vedere mai più.\r\n\r\nQuesta denigrazione è divenuta a volte sistematica quando le ONG e i distributori di cibo hanno marcato le unghie o distribuito braccialetti identificativi ai/alle migranti in modo da poter assegnare loro la “quota giusta”. La motivazioni sono candide, la pratica repellente. Ma quando le condizioni sono come erano quest’inverno in Grecia, la dignità dei migranti deve essere anteposta alle pratiche del lavoro umanitario. Le condizioni in cui sono stati portati dalla guerra a casa loro e dalla chiusura delle frontiere ci lascia pochissimi spazi di manovra.\r\n\r\nLo sfortunato risultato di questo schema è che “‘umanitarismo” è diventata una parola molto flessibile. Il trasferimento di migranti dall’hotspot sovraffollato di Vial a quello sull’isola di Kos potrebbe essere descritto come guidato da uno scopo “umanitario”, perché essi avrebbero avuto molto più spazio a Kos. Il fatto che essi fossero chiusi dentro, mentre a Vial erano liberi di uscire, mi è stato spiegato da un volontario come un piccolo e temporaneo inconveniente – non un abuso fondamentale dei diritti dei detenuti e un diniego della loro autonomia. Che i/le migranti detenute negli hotspot dicessero di subire trattamenti “da animali”, per molti vuol dire dar loro più zuppa, più spazio, più coperte piuttosto che una questione di dignità.\r\n\r\nApolitici\r\nÈ questa ridefinizione della parola “umanitario” come semplice fornitore di “comfort” che permette alle autorità greche di presentare l’evacuazione dei residenti di Idomeni verso i campi “più umanitari”, come un aiuto ai poveri ignoranti spaventati migranti ad effettuare la scelta più saggia. (Questo si chiama agire come un “salvatore bianco”). Ma è semplicemente irrilevante quanto buoni siano i campi militari. Il punto è che ai migranti non è lasciata scelta. Quello che manca qui è quello che dovrebbe essere un principio fondamentale dell’umanitarismo: non opporsi alla volontà e desideri di chi vi è soggetto. Trascinare adulti come se fossero bestie da un luogo a un altro non è mai un aiuto, non importa quanto gradevole sia il luogo dove verranno sistemati.\r\n\r\nQuando i/le migranti hanno occupato il porto di Chios, ne è nata una discussione simile. Avevano trovato un posto dove non potevano essere ignorati, dove i media hanno parlato con loro, dove le loro proteste sono state viste. Ma i volontari e le ONG li hanno supplicati di andare in campi “migliori” perché dotati di docce e letti caldi. Come se ciò importasse! Hanno scelto di dormire sul cemento, non perché fossero stupidi o privi di buon senso, ma perché volevano fare una dichiarazione politica. Ma che è caduta nel vuoto a causa di quei volontari che hanno lavorato “apoliticamente”; che volevano migliorare il comfort, non cambiare la società.\r\n\r\nLe radici del volontariato apolitico meritano un approfondimento a parte, che non voglio fare in questa sede, ma più o meno significa lavorare all’interno del sistema, registrarti (farti accreditare) quando ti dicono di farlo e non andare dove non ti è permesso. A volte le persone in buona fede seguono questa semplice idea: trovare persone in difficoltà e fornire loro tutto ciò che li fa sentire meglio.\r\n\r\nMantieni la calma e mangia la minestra\r\nIl rischio che i volontari non politicizzati corrono è quello di diventare strumenti pratici di una disumana politica statale, finendo col lavorare in condizioni che, a lungo andare, distruggono le speranze dei migranti – e che potrebbero col tempo eliminare ogni traccia di umanitarismo nel trattamento che ricevono.\r\n\r\nIl caso più evidente di questo atteggiamento è quando i volontari dicono ai migranti di mantenere la calma. Si tratta di una strategia tipicamente non politica: se VOI mantenete la calma, NOI saremo meglio in grado di portarvi la zuppa. Manca completamente uno sguardo più ampio: i/le migranti vengono violentemente perseguitati dalla UE, e vogliono esporre la loro situazione al pubblico europeo. Non possono farlo senza l’attenzione dei media, e i media non si presentano senza che vi sia un “incidente”. I migranti devono piangere, morire di fame, gridare o annegare per rappresentare una storia. Non appena “l’umanitarismo” li avvolge nel suo abbraccio soffocante, vengono buttati fuori dalle prime pagine – e possono aspettare in silenzio la deportazione. (È anche opportuno ricordare che i migranti nell’hotspot di Vial hanno notevolmente migliorato le loro condizioni evadendo letteralmente dal carcere, dopo che i volontari gli avevano detto che sarebbe stato meglio “tacere”.)\r\n\r\nE così, l’umanitarismo non politico raggiunge l’ obiettivo opposto. 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I blocchi delle raffineria e gli scioperi di ferrovieri e lavoratori di EDF. Nostro corrispondente Gianni Carrozza, corrispondente parigino di Collegamenti e redattore di Vive La Sociale! su radio Frequence Plurielle.\r\nAl di là della cronaca dell'ultima settimana, tra blocchi delle raffinerie, scioperi delle ferrovie e grandi manifestazioni di piazza, con Gianni abbiamo provato a cogliere le prospettive di un movimento che, dopo due mesi, continua ad essere in crescita, nonostante ampi settori del maggiore sindacato, la CGT, abbiano scelto di radicalizzarsi per provare a controllare una situazione che minaccia(va) di non essere più controllabile dalle burocrazie sindacali. In quest'ultima settimana è scesa in campo anche FO, Force Ouvriere, sindacato classicamente padronale, mentre meno rilevante è il ruolo degli studenti. Crepe si aprono nel fronte governativo, dove il partito socialista deve fare i conti con una crescente fronda della sua base sociale e politica.\r\nContinuano le Nouit Debout e tentano – sia pure a fatica - di sbarcare anche nella banlieaue, mentre gli attivisti si spostano dove ci sono blocchi e azioni di picchetto.\r\nUna riflessione particolare è stata dedicata al tema del blocco (delle merci, delle persone, dei flussi di notizie) come strumento per mettere in difficoltà un padronato, molto più libero di agire, vista la leggerezza estrema del sistema produttivo, ancorato al just in time, privo di magazzino, con capannoni e macchine in leasing.\r\nNe è scaturito un dibattito interessante, in cui è emerso, che sebbene la pratica del blocco sia efficace nel mettere in difficoltà la controparte, l'ingovernabilità del territorio, passa, necessariamente da un allargamento del fronte di lotta più radicale. \r\n\r\n* Torino. Anarchici in piazza contro razzisti e polizia. Cronaca della giornata di lotta – corteo e contestazione della fiaccolata di poliziotti e comitati razzisti in sostegno ad un piano “sicurezza” il cui solo obiettivo è la guerra ai poveri.\r\n\r\n* Torino. Giovedì 2 giugno, ore 15,30 in piazza XVIII dicembre, vecchia Porta Susa\r\nQui l'appello per il corteo antimilitarista del 2 giugno a Torino\r\nAscolta e diffondi lo spot del corteo\r\n\r\n* Grecia. Abbiamo parlato dello sgombero di Idomeni con Jannis, anarchico greco, che ci racconta delle centri di detenzione che attendono i profughi deportati dall'accampamento spontaneo al confine tra Grecia e Macedonia.\r\nGrandi capannoni industriali all'estrema periferia di Salonicco, quello che resta delle fabbriche brasate dalla crisi, sono la destinazione “momentanea” per i profughi deportati in questi giorni da Idomeni. Grandi scheletri senza infissi, sanitari, fili elettrici, recuperati e riciclati negli anni da chi ne aveva bisogno.\r\nProbabilmente non c'è neppure l'acqua.\r\nQui, i profughi, isolati in piccoli gruppi, sorvegliati dall'esercito, saranno lontani dagli sguardi e dalla possibilità da rendere visibile, e quindi politicamente rilevante, la loro condizione.\r\nIntorno alle ex fabbriche quartieri di immigrati dall'est, spesso ostili ai profughi, dove Crisi Argi, i nazisti di Alba Dorata, guadagnano terreno. Nelle ultime settimane hanno provato ad alzare la testa, facendo ronde per i quartieri, cosa mai avvenuta a Salonicco ed inquietante, nonostante i nazisti siano stati intercettati e fermati dai compagni.\r\nA Idomeni restano solo più 500 persone, le sole che non paiono disponibili ad andarsene volontariamente. Gli altri 7.900, in parte sono saliti spontaneamente sui pullman dell'esercito, molti altri – forse 3000 - se ne sono andati prima dello sgombero, improvvisando accampamenti in altre località lungo il confine. A Polycastro, in una stazione di servizio, sono accampate oltre duemila persone, in parte provenienti da Idomeni.\r\nSecondo fonti No Border in 700 ce l'avrebbero fatta a bucare il confine macedone.\r\nLo sgombero sinora “pacifico” dell'accampamento di Idomeni è frutto del lungo lavorio fatto da ONG, volontari e funzionari statali. I profughi sono stati privati dell'acqua, ogni giorno il cibo non bastava per tutti, l'accesso ad internet per tentare la domanda di ricollocazione in un altro paese europeo non era altro che una chimera.\r\nPrivati della loro dignità, minacciati ed umiliati, metà dei profughi hanno finito con accettare senza proteste la deportazione, un'altra metà hanno deciso di fuggire, prima dello sgombero, nella notte del 24 maggio.\r\nIl divieto ai giornalisti di raccontare lo sgombero era parte della strategia di isolamento delle persone. Se nessuno vede e racconta quello che succede, anche la protesta sembra diventare inutile.\r\nUn risultato che il governo Tsipras non dava certo per scontato, viste le migliaia di agenti in assetto antisommossa mandati a Idomeni da ogni parte della Grecia.\r\n\r\n* Zitto e mangia la minestra. É il titolo del contributo di Benjamin Julian sul blog refugeestrail. Mostra in modo efficace il ruolo dei volontari apolitici nell'assistenza e controllo dei migranti in viaggio a Chios e Idomeni. nel fiaccare la resistenza, umiliando le persone che si aiutano, riducendole a tubi digerenti, minori da assistere, inferiori cui mostrare il modo giusto di vivere. Uno sguardo colonialista e complice delle politiche repressive del governo.\r\n\r\nSotto trovate la traduzione fatta dal blog Hurriya, che abbiamo letto ad Anarres\r\n\r\nOggi le autorità greche hanno dato l’avvio a quello che minacciavano da tempo: lo sgombero dell’accampamento di Idomeni. Il portavoce del ministro dell’immigrazione ha detto che tutti sapevano che “le condizioni di vita” sarebbero state migliori nei campi in cui le persone saranno ricollocate e aveva promesso che “non sarebbe stata usata la forza”, ma anche che si aspettava che le 8000 persone che hanno vissuto lì per mesi sarebbero state spostate in meno di una settimana. Per garantire che nessuno potesse vedere il modo pacifico con cui Idomeni sarebbe stata sgomberata, a giornalisti e attivisti è stato precluso l’accesso all’area.\r\n\r\nUna spiegazione di come questo paradosso dello spostamento non violento di migliaia di persone, che non avevano intenzione di spostarsi, potesse essere risolto, è stata data da un rappresentante di \u003Cmark>MSF\u003C/mark>, secondo il quale la gestione del campo da parte della polizia ha “reso complicata la fornitura di cibo e l’assistenza sanitaria”.\r\n\r\nSi tratta di una mossa simile a quella riportata dai/dalle migranti di Vial a Chios, quando venne detto loro che avrebbero dovuto lasciare il campo per trasferirsi nell’altro hotspot di Kos: “Non avevamo l’acqua per poter usare i bagni o poter farci una doccia”, ha detto un migrante. “Avevamo giusto l’acqua potabile da bere. La polizia ha tagliato l’acqua perché, ci hanno detto, dobbiamo spostarci su un’altra isola”.\r\n\r\nQueste tattiche vengono solitamente definite assedi di guerra, intimidazioni, abusi o, per ultimo, atti antiumanitari. Ma negli ultimi tempi sembra essersi affermata la scuola di pensiero che ritiene queste pratiche non sostanzialmente sbagliate, trattandosi solo di una questione di procedure. Il lavoro umanitario consiste nel trovare “un buon posto”, identificato dai volontari o dalle autorità, dove poter trasferire i/le migranti. I desideri e le richieste dei/delle migranti sono semplicemente ignorati. Questo approccio cresce naturalmente nel contesto della politica di confine europea, e dovremmo cominciare a resistere e opporci ad essa.\r\n\r\nRimani in fila\r\nNon è solo il consueto sentimento europeo di superiorità che nutre questo atteggiamento. Durante il lavoro che ho svolto nelle mense questo inverno, mi ha colpito quanto velocemente una mentalità paternalista, o peggio autoritaria, si possa sviluppare tra i volontari.\r\nNoi, per lo più ventenni bianchi/e, eravamo donatori e loro riceventi. Noi avevamo cose che la maggior parte dei/delle migranti non aveva. Potevamo viaggiare, prendere in affitto case, guidare auto, mentre loro non potevano. Eravamo noi che l* facevamo mettere in fila, che decidevamo le loro porzioni, che decidevamo se una persona poteva ricevere una, due o nessuna porzione di zuppa, che l* facevamo allineare in fila, che facevamo rispettare la coda a chi la saltava e così via. Questa posizione di superiorità può facilmente sfociare nella prepotenza, e ho visto spesso e in diversi luoghi volontari urlare contro i/le migranti che erano in attesa in fila per ottenere un paio di mutande o una carta di registrazione. Si tratta di uno spettacolo che non vorrei vedere mai più.\r\n\r\nQuesta denigrazione è divenuta a volte sistematica quando le ONG e i distributori di cibo hanno marcato le unghie o distribuito braccialetti identificativi ai/alle migranti in modo da poter assegnare loro la “quota giusta”. La motivazioni sono candide, la pratica repellente. Ma quando le condizioni sono come erano quest’inverno in Grecia, la dignità dei migranti deve essere anteposta alle pratiche del lavoro umanitario. Le condizioni in cui sono stati portati dalla guerra a casa loro e dalla chiusura delle frontiere ci lascia pochissimi spazi di manovra.\r\n\r\nLo sfortunato risultato di questo schema è che “‘umanitarismo” è diventata una parola molto flessibile. Il trasferimento di migranti dall’hotspot sovraffollato di Vial a quello sull’isola di Kos potrebbe essere descritto come guidato da uno scopo “umanitario”, perché essi avrebbero avuto molto più spazio a Kos. Il fatto che essi fossero chiusi dentro, mentre a Vial erano liberi di uscire, mi è stato spiegato da un volontario come un piccolo e temporaneo inconveniente – non un abuso fondamentale dei diritti dei detenuti e un diniego della loro autonomia. Che i/le migranti detenute negli hotspot dicessero di subire trattamenti “da animali”, per molti vuol dire dar loro più zuppa, più spazio, più coperte piuttosto che una questione di dignità.\r\n\r\nApolitici\r\nÈ questa ridefinizione della parola “umanitario” come semplice fornitore di “comfort” che permette alle autorità greche di presentare l’evacuazione dei residenti di Idomeni verso i campi “più umanitari”, come un aiuto ai poveri ignoranti spaventati migranti ad effettuare la scelta più saggia. (Questo si chiama agire come un “salvatore bianco”). Ma è semplicemente irrilevante quanto buoni siano i campi militari. Il punto è che ai migranti non è lasciata scelta. Quello che manca qui è quello che dovrebbe essere un principio fondamentale dell’umanitarismo: non opporsi alla volontà e desideri di chi vi è soggetto. Trascinare adulti come se fossero bestie da un luogo a un altro non è mai un aiuto, non importa quanto gradevole sia il luogo dove verranno sistemati.\r\n\r\nQuando i/le migranti hanno occupato il porto di Chios, ne è nata una discussione simile. Avevano trovato un posto dove non potevano essere ignorati, dove i media hanno parlato con loro, dove le loro proteste sono state viste. Ma i volontari e le ONG li hanno supplicati di andare in campi “migliori” perché dotati di docce e letti caldi. Come se ciò importasse! Hanno scelto di dormire sul cemento, non perché fossero stupidi o privi di buon senso, ma perché volevano fare una dichiarazione politica. Ma che è caduta nel vuoto a causa di quei volontari che hanno lavorato “apoliticamente”; che volevano migliorare il comfort, non cambiare la società.\r\n\r\nLe radici del volontariato apolitico meritano un approfondimento a parte, che non voglio fare in questa sede, ma più o meno significa lavorare all’interno del sistema, registrarti (farti accreditare) quando ti dicono di farlo e non andare dove non ti è permesso. A volte le persone in buona fede seguono questa semplice idea: trovare persone in difficoltà e fornire loro tutto ciò che li fa sentire meglio.\r\n\r\nMantieni la calma e mangia la minestra\r\nIl rischio che i volontari non politicizzati corrono è quello di diventare strumenti pratici di una disumana politica statale, finendo col lavorare in condizioni che, a lungo andare, distruggono le speranze dei migranti – e che potrebbero col tempo eliminare ogni traccia di umanitarismo nel trattamento che ricevono.\r\n\r\nIl caso più evidente di questo atteggiamento è quando i volontari dicono ai migranti di mantenere la calma. Si tratta di una strategia tipicamente non politica: se VOI mantenete la calma, NOI saremo meglio in grado di portarvi la zuppa. Manca completamente uno sguardo più ampio: i/le migranti vengono violentemente perseguitati dalla UE, e vogliono esporre la loro situazione al pubblico europeo. Non possono farlo senza l’attenzione dei media, e i media non si presentano senza che vi sia un “incidente”. I migranti devono piangere, morire di fame, gridare o annegare per rappresentare una storia. Non appena “l’umanitarismo” li avvolge nel suo abbraccio soffocante, vengono buttati fuori dalle prime pagine – e possono aspettare in silenzio la deportazione. (È anche opportuno ricordare che i migranti nell’hotspot di Vial hanno notevolmente migliorato le loro condizioni evadendo letteralmente dal carcere, dopo che i volontari gli avevano detto che sarebbe stato meglio “tacere”.)\r\n\r\nE così, l’umanitarismo non politico raggiunge l’ obiettivo opposto. Rimuovendo i/le migranti dalla scena politica e dei media presso il porto di Chios, sgomberandoli da Idomeni, dalle piazze e dai parchi, dando loro quel tanto che basta di cibo per scongiurare la fame, le autorità sono riuscite a farli tacere.",[334],{"field":131,"matched_tokens":335,"snippet":331,"value":332},[126],{"best_field_score":135,"best_field_weight":136,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":137,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},6637,{"collection_name":290,"first_q":71,"per_page":246,"q":71},["Reactive",340],{},["Set"],["ShallowReactive",343],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fnVGx9ZaozEtVzchfoIjwt9wnGsae3T-daqsshDYQQNQ":-1},true,"/search?query=msf"]