","In ogm veritas: un brindisi transgenico per la ricerca",1450612901,[109,62],"http://radioblackout.org/tag/cattaneo/",[24,15],{"post_content":112},{"matched_tokens":113,"snippet":114,"value":115},[68,77],"che si può attingere dalla \u003Cmark>natura\u003C/mark> in modo \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>, gestendola in maniera diversa da quella","In radio si è tenuto il 29 novembre un incontro solidale con Billy Silvia e Costa, che saranno nuovamente processati dalla solita procura torinese il 13 gennaio e ne è scaturita una \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza dell'urgenza (o meglio del ritardo con cui ci si muove) nell'opporsi al totalitarismo creato dalle tecnoscienze, che creano ulteriori nocività, ancora più intollerabili, perché sono espressione del dominio dei poteri forti; proprio gli ogm sono stati individuati come potenziale obiettivo su cui molte contrapposizioni potrebbero convergere con qualche possibilità di successo, per estendere la mobilitazione alla lotta a tutte le tecnoscienze (http://www.informa-azione.info/appello_per_una_settimana_di_mobilitazione_contro_le_nanobiotecnologie).\r\n\r\nPer questo ci siamo rivolti a una delle realtà già attive in quella direzione: la situazione agricola.\r\n\r\nLo spunto per la diretta con Luca è nato dalla lettura di un articolo scritto su \"la Repubblica\" di domenica 13 dicembre, dove la senatrice a vita Cattaneo, non nuova a uscite di questo tipo, probabilmente dovute a interessi personali per ottenere fondi per la sua ricerca (ma anche per legami con poteri forti e multinazionali), insisteva a sublimare le progressive frontiere dell'applicazione degli ogm nella viticoltura, portando come fulgido esempio l'iniziativa di un improvvido agricoltore di Barbaresco, che vorrebbe utilizzare tecniche ogm. La pulzella del geneticamente modificato insisteva in modo populistico da un lato sul fatto che si importano già molti mangimi ogm, mentre qui si continua a piantare semi (da lei supposti) deboli, dall'altro insufflando l'ipotesi che si possano evitare agrofarmaci sostituiti da \"sofisticati innesti\", che nominati in questo modo appaiono innocui, anzi esaltatori di tipicità, secondo l'uso delle parole d'ordine ‘disseminate’ ad arte nell'intero articolo. La ricercatrice della Statale di Milano, e senatrice rappresentante di quegli interessi in parlamento, lamentava che il ministero bloccasse ancora la sperimentazione sul campo e perciò abbiamo parlato con Luca, che sui campi ci lavora, aggiungendo altri due tasselli: il primo è che al cop21 le associazioni civiche raggruppate sotto il logo Oca (Organica Consumer Association) hanno deciso di processare Monsanto (un po’ come il tribunale dei popoli contro il tav tenutosi in corso Trapani): il processo dovrebbe emettere la sentenza il 16 ottobre e ora va montando l'istruttoria (http://www.greenstyle.it/pesticidi-ogm-monsanto-processo-ecocidio-179892.html); l'altro tassello del mosaico è la notizia che da Bruxelles si stanno bloccando nuove autorizzazioni a operare con ogm, una buona notizia che potrebbe nascondere una trappola, preludendo a una revisione dell'intero processo di autorizzazione, preludio a un sistema più lasco di rilascio di autorizzazioni.\r\n\r\nCome una trappola è stata quella ordita da UE, governo italiano e lobbies delle modificazioni genetiche nel caso degli ulivi estirpati per legge nelle campagne leccesi, decisione affrettata, inutile, spropositata e... riconducibile alla sperimentazione (illecita quando è stata effettuata), di cui la Cattaneo richiede a gran voce il riconoscimento legale, visto quanto sta emergendo adesso riguardo alla vicenda salentina da fonti non sospette: la magistratura arriva buona ultima a ricostruire quanto documentato da una diretta su radio blackout già del maggio scorso (http://radioblackout.org/2015/05/salento-ulivi-e-quello-che-non-si-dice/). I test di fitofarmaci non autorizzati per combattere la lebbra dell’olivo e per diserbare i terreni sono i principali indiziati del disseccamento che ha colpito le piante. Tra il 2010 e il 2012, sono stati avviati dei campi sperimentali appositi nelle campagne intorno a Gallipoli, cuore del primo focolaio dell’infezione. In particolare, in quel periodo è stato concesso per due volte l’utilizzo in deroga di un fitofarmaco di nome Insigna della Basf, distribuito in grossi quantitativi dai consorzi agrari ai coltivatori. «Risulta possibile – scrivono i pm – che questo secondo impiego del prodotto per un periodo così lungo e senza limitazioni di trattamenti abbia scatenato l’esplosione della sintomatologia che ha poi portato alla ricerca di altri patogeni. Altamente probabile è dunque l’ipotesi che prodotti impiegati, unitamente ad altri fattori antropici e ambientali, abbiano causato un drastico abbassamento delle difese immunitarie degli alberi di olivo, favorendo la virulenza dell’azione dei funghi e batteri, tra i quali Xylella fastidiosa». A questi si sono aggiunti i test del Roundup Platinum di Monsanto. «Quel che è dato acquisito – è riportato nel decreto – è che le due società interessate alle sperimentazioni in campo nel Salento sono collegate tra loro da investimenti comuni, avendo la Monsanto acquisito sin dal 2008 la società Allelyx (curiosamente palindromo di xylellA…) dalla società brasiliana Canavialis e avendo la Basf a sua volta investito 13,5 milioni di dollari in Allelyx nel marzo 2012».\r\n\r\nCon Luca quindi si è ricollocata la Monsanto al suo posto, mentre la Cattaneo fingeva nel suo articolo di non ricordare che proprio la multinazionale – che ora esprime anche il nuovo ministro dell'agricoltura argentino – produce quegli antiparassitari e invece la senatrice si proponeva come paladina del rifiuto dell'invasione delle multinazionali nel nome della ricerca italiana (vorrebbe semplicemente sostituire gli ogm di importazione con ogm patriotticamente italici); evidentemente la Cattaneo cerca una nuova veste per ammantare i margini di profitto e di guadagno nascosti sotto gli impresentabili ogm, a cui si può contrapporre invece un sano e responsabile percorso di vera salubrità, esaltando quello che si può attingere dalla \u003Cmark>natura\u003C/mark> in modo \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>, gestendola in maniera diversa da quella che è l'agro-industria.\r\n\r\nUnknown\r\n\r\ndue appuntamenti nel primo mese del 2016:\r\n\r\na. Da tutte queste argomentazioni in occasione di quella riunione in radio di fine novembre è sorta l'idea di una settimana di mobilitazione contro le bionanotecnologie e le scienze convergenti nel loro insieme, settimana da collegare con una delle prossime udienze del processo contro Billy, Silvia e Costa (13 gennaio) e dove ogni situazione potrà organizzare iniziative sul proprio territorio, a cominciare dall'incontro il 9 gennaio alle 10 a El Paso, via Passo Buole, 47 (dove il giorno precedente alle 20 sarà presentato il giornale ecologista “L'urlo della terra”)\r\n\r\nb. 31 gennaio, ‘Una babele di semi’, iniziativa alla cascina Roccafranca a Torino: scambio di semi e di saperi a favore della biodiversità e documentazione dei percorsi differenti. Ci saranno due laboratori tecnico-pratici e culinari, dove si discuterà di soia non ogm e si presenteranno alcuni tipi di soia di quel tipo a disposizione dell'agricoltura non industriale per alimentazione di allevamenti e anche per chi ha bisogno di prodotti di origine non animale",[117],{"field":118,"matched_tokens":119,"snippet":114,"value":115},"post_content",[68,77],1157451471172665300,{"best_field_score":122,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":123,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"2211897737216","1157451471172665457",{"document":125,"highlight":142,"highlights":147,"text_match":150,"text_match_info":151},{"cat_link":126,"category":127,"comment_count":47,"id":128,"is_sticky":47,"permalink":129,"post_author":50,"post_content":130,"post_date":131,"post_excerpt":53,"post_id":128,"post_modified":132,"post_thumbnail":133,"post_thumbnail_html":134,"post_title":135,"post_type":56,"sort_by_date":136,"tag_links":137,"tags":141},[44],[46],"82413","http://radioblackout.org/2023/05/i-percorsi-di-mobilitazione-indigena-dellafrica-dellest-per-la-conservazione-ambientale/","Per questo fuori onda dell'Informazione di Radio Blackout abbiamo contattato Teresa che è un'attivista Ogiek di Chepkitale (una comunità indigena che vive sul Monte Elgon, in Kenya). Assieme a molte altre donne e uomini è attiva nell'organizzazione delle prime assemblee popolari regionali che vedono riunirsi 13 comunità indigene dal Kenya, Uganda, Tanzania e rep. democratica del Congo. Come Teresa ci spiega queste assemblee autogestite sono nate da uno scambio e incontro tra donne di 6 comunità indigene provenienti dal Kenya e l'Uganda che ha portato ad una consapevolezza maggiore e uniforme del legame diretto tra la lotta portata avanti come donne per i propri diritti a quella per la difesa della propria terra e cultura. La difesa è primariamente una difesa organizzata su base comunitaria dalle conseguenze nefaste che l'applicazione del concetto neo-coloniale di “area protetta” produce nella vita quotidiana delle comunità che abitano ancestralmente i territori in questione. Un esempio di queste pratiche sono quelle che il governo della Tanzania ha implementato brutalmente lo scorso anno contro la popolazione Maasai di Loliondo, in nome della conservazione ambientale ma in realtà usate per allargare la superficie di foreste e pascoli da destinare come “game reserve” per i turisti che vogliono ammirare la “natura selvaggia” o praticare la caccia sportiva, cioè bracconaggio legalizzato ( vedi articolo). Con gli attivisti colpiti dalla repressione in Loliondo, membri di altre comunità attraverso queste assemblee si sono attivati per coprire mediaticamente quello che stava avvenendo.\r\nDa queste assemblee sono nate diverse dichiarazioni, una particolarmente significativa è la “people-to-people declaration of Laboot”, presentata al congresso che si è tenuto a Kigali in Uganda a Luglio dello scorso anno, promosso dalla IUCN (international union for conservation of nature ) che aveva per tema le aree protette e vedeva la partecipazione oltre che dei governi coinvolti, di ONG e realtà della società civile. Qui attraverso questa dichiarazione e le testimonianze che raccoglie le persone delle comunità hanno potuto far sentire la propria voce in qualità di uniche legittime responsabili della conservazione della natura.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/Kenya.Finale.mp3\"][/audio]","30 Maggio 2023","2023-05-31 16:53:50","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-1024x769.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-768x576.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-1536x1153.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","I percorsi di mobilitazione indigena dell'Africa dell'est per la conservazione ambientale.",1685450648,[138,139,140],"http://radioblackout.org/tag/kenya/","http://radioblackout.org/tag/land-defence/","http://radioblackout.org/tag/women/",[20,26,18],{"post_content":143},{"matched_tokens":144,"snippet":145,"value":146},[77],"che ha portato ad una \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza maggiore e uniforme del legame","Per questo fuori onda dell'Informazione di Radio Blackout abbiamo contattato Teresa che è un'attivista Ogiek di Chepkitale (una comunità indigena che vive sul Monte Elgon, in Kenya). Assieme a molte altre donne e uomini è attiva nell'organizzazione delle prime assemblee popolari regionali che vedono riunirsi 13 comunità indigene dal Kenya, Uganda, Tanzania e rep. democratica del Congo. Come Teresa ci spiega queste assemblee autogestite sono nate da uno scambio e incontro tra donne di 6 comunità indigene provenienti dal Kenya e l'Uganda che ha portato ad una \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza maggiore e uniforme del legame diretto tra la lotta portata avanti come donne per i propri diritti a quella per la difesa della propria terra e cultura. La difesa è primariamente una difesa organizzata su base comunitaria dalle conseguenze nefaste che l'applicazione del concetto neo-coloniale di “area protetta” produce nella vita quotidiana delle comunità che abitano ancestralmente i territori in questione. Un esempio di queste pratiche sono quelle che il governo della Tanzania ha implementato brutalmente lo scorso anno contro la popolazione Maasai di Loliondo, in nome della conservazione ambientale ma in realtà usate per allargare la superficie di foreste e pascoli da destinare come “game reserve” per i turisti che vogliono ammirare la “\u003Cmark>natura\u003C/mark> selvaggia” o praticare la caccia sportiva, cioè bracconaggio legalizzato ( vedi articolo). Con gli attivisti colpiti dalla repressione in Loliondo, membri di altre comunità attraverso queste assemblee si sono attivati per coprire mediaticamente quello che stava avvenendo.\r\nDa queste assemblee sono nate diverse dichiarazioni, una particolarmente significativa è la “people-to-people declaration of Laboot”, presentata al congresso che si è tenuto a Kigali in Uganda a Luglio dello scorso anno, promosso dalla IUCN (international union for conservation of nature ) che aveva per tema le aree protette e vedeva la partecipazione oltre che dei governi coinvolti, di ONG e realtà della società civile. Qui attraverso questa dichiarazione e le testimonianze che raccoglie le persone delle comunità hanno potuto far sentire la propria voce in qualità di uniche legittime responsabili della conservazione della \u003Cmark>natura\u003C/mark>.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/Kenya.Finale.mp3\"][/audio]",[148],{"field":118,"matched_tokens":149,"snippet":145,"value":146},[77],1155199637401895000,{"best_field_score":152,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":153,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},"1112369528832","1155199637401895025",{"document":155,"highlight":178,"highlights":183,"text_match":150,"text_match_info":186},{"cat_link":156,"category":157,"comment_count":47,"id":158,"is_sticky":47,"permalink":159,"post_author":50,"post_content":160,"post_date":161,"post_excerpt":53,"post_id":158,"post_modified":162,"post_thumbnail":163,"post_thumbnail_html":164,"post_title":165,"post_type":56,"sort_by_date":166,"tag_links":167,"tags":174},[44],[46],"58020","http://radioblackout.org/2020/03/la-solidarieta-non-va-in-quarantena/","Lo Stato italiano prova a convincerci che rinunciare ad ogni libertà ci salverà dall’epidemia. Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. Anche per evitare che quando tutto questo sarà finito non ci aspetti una realtà peggiore del virus stesso.”","10 Marzo 2020","2020-03-10 15:59:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"185\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-300x185.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-300x185.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-1024x633.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-768x475.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà-1536x950.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/solidarietà.jpg 1577w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La solidarietà non va in quarantena",1583855968,[168,169,170,171,172,173],"http://radioblackout.org/tag/autogestione/","http://radioblackout.org/tag/covid-19/","http://radioblackout.org/tag/militarizzazione/","http://radioblackout.org/tag/mutuo-appoggio/","http://radioblackout.org/tag/salute/","http://radioblackout.org/tag/solidarieta/",[28,22,175,30,176,177],"militarizzazione","salute","solidarietà",{"post_content":179},{"matched_tokens":180,"snippet":181,"value":182},[68],"e gli spettacoli di qualsiasi \u003Cmark>natura\u003C/mark>, ivi inclusi quelli cinematografici e","Lo Stato italiano prova a convincerci che rinunciare ad ogni libertà ci salverà dall’epidemia. Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi \u003Cmark>natura\u003C/mark>, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi \u003Cmark>natura\u003C/mark>, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua \u003Cmark>natura\u003C/mark> si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. Anche per evitare che quando tutto questo sarà finito non ci aspetti una realtà peggiore del virus stesso.”",[184],{"field":118,"matched_tokens":185,"snippet":181,"value":182},[68],{"best_field_score":152,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":153,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},6646,{"collection_name":56,"first_q":32,"per_page":189,"q":32},6,7,{"facet_counts":192,"found":189,"hits":223,"out_of":378,"page":17,"request_params":379,"search_cutoff":36,"search_time_ms":190},[193,206],{"counts":194,"field_name":204,"sampled":36,"stats":205},[195,198,200,202],{"count":196,"highlighted":197,"value":197},3,"liberation front",{"count":17,"highlighted":199,"value":199},"anarres",{"count":17,"highlighted":201,"value":201},"Macerie su macerie",{"count":17,"highlighted":203,"value":203},"I Bastioni di Orione","podcastfilter",{"total_values":39},{"counts":207,"field_name":35,"sampled":36,"stats":222},[208,210,212,214,216,218,220],{"count":17,"highlighted":209,"value":209},"rom",{"count":17,"highlighted":211,"value":211},"Trump",{"count":17,"highlighted":213,"value":213},"appendino",{"count":17,"highlighted":215,"value":215},"femminismi",{"count":17,"highlighted":217,"value":217},"cacerolata",{"count":17,"highlighted":219,"value":219},"antimilitarismo",{"count":17,"highlighted":221,"value":221},"Bastioni di Orione",{"total_values":190},[224,252,283,306,328,350],{"document":225,"highlight":240,"highlights":245,"text_match":248,"text_match_info":249},{"comment_count":47,"id":226,"is_sticky":47,"permalink":227,"podcastfilter":228,"post_author":229,"post_content":230,"post_date":231,"post_excerpt":53,"post_id":226,"post_modified":232,"post_thumbnail":233,"post_title":234,"post_type":235,"sort_by_date":236,"tag_links":237,"tags":239},"80692","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-09-03-2023-francia-la-piazza-ribolle-macron-insiste-la-retraite-si-allunga-a-64-anni-taiwanmicroprocessori-nazionalismo-e-venti-di-guerra/",[203],"radiokalakuta","Bastioni di Orione in questa puntata racconta degli scioperi in Francia contro la riforma delle pensioni di Macron parlandone con Marta e Tomas ,due compagni che vivono oltralpe e che ci danno il polso della determinazione nel continuare la lotta e la sostanziale consapevolezza della natura di classe di questa riforma restauratrice. Gli scioperi hanno adesioni massicce ed è prevista la mobilitazione continua che coinvolge ampi settori del sindacato e dei lavoratori nonostante l'iter legislativo della legge di riforma continui nell'Assemblea nazionale.\r\n\r\nCon loro ci soffermiamo su alcuni aspetti salienti della riforma la cui supposta urgenza viene utilizzata come alibi dal governo ,mentre le reali urgenze dei francesi sono ben altre dalla sanità alla scuola al deperimento del potere di acquisto dei salari.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/BASTIONI-090323-MARTA-E-TOMAS-FRANCIA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nIn un lungo colloquio con Lorenzo Lamperti giornalista free lance ,esperto conoscitore di Taiwan parliamo della situazione di tensione nell'isola ,delle posizioni nazionaliste che incarnate dalla presidente Tsai ing wen trovano sempre piu' spazio a Taiwan ,delle manovre commerciali e militari degli Stati Uniti ,del rafforzamento di Xi nella cina continentale,del mercato dei microprocessori e l'effetto del \" chips and science act \",delle nuove nomine dopo il congresso del PCC .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/BASTIONI-090323-LAMPERTI-TAIWAN.mp3\"][/audio]","12 Marzo 2023","2023-03-12 15:41:57","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-2-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 09/03/2023-FRANCIA LA PIAZZA RIBOLLE ,MACRON INSISTE , \"LA RETRAITE\" SI ALLUNGA A 64 ANNI-TAIWAN,MICROPROCESSORI ,NAZIONALISMO E VENTI DI GUERRA.","podcast",1678635717,[238],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[221],{"post_content":241},{"matched_tokens":242,"snippet":243,"value":244},[77,68],"la lotta e la sostanziale \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza della \u003Cmark>natura\u003C/mark> di classe di questa riforma","Bastioni di Orione in questa puntata racconta degli scioperi in Francia contro la riforma delle pensioni di Macron parlandone con Marta e Tomas ,due compagni che vivono oltralpe e che ci danno il polso della determinazione nel continuare la lotta e la sostanziale \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza della \u003Cmark>natura\u003C/mark> di classe di questa riforma restauratrice. Gli scioperi hanno adesioni massicce ed è prevista la mobilitazione continua che coinvolge ampi settori del sindacato e dei lavoratori nonostante l'iter legislativo della legge di riforma continui nell'Assemblea nazionale.\r\n\r\nCon loro ci soffermiamo su alcuni aspetti salienti della riforma la cui supposta urgenza viene utilizzata come alibi dal governo ,mentre le reali urgenze dei francesi sono ben altre dalla sanità alla scuola al deperimento del potere di acquisto dei salari.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/BASTIONI-090323-MARTA-E-TOMAS-FRANCIA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nIn un lungo colloquio con Lorenzo Lamperti giornalista free lance ,esperto conoscitore di Taiwan parliamo della situazione di tensione nell'isola ,delle posizioni nazionaliste che incarnate dalla presidente Tsai ing wen trovano sempre piu' spazio a Taiwan ,delle manovre commerciali e militari degli Stati Uniti ,del rafforzamento di Xi nella cina continentale,del mercato dei microprocessori e l'effetto del \" chips and science act \",delle nuove nomine dopo il congresso del PCC .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/BASTIONI-090323-LAMPERTI-TAIWAN.mp3\"][/audio]",[246],{"field":118,"matched_tokens":247,"snippet":243,"value":244},[77,68],1157451436947144700,{"best_field_score":250,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":251,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},"2211881025536","1157451436947144817",{"document":253,"highlight":266,"highlights":274,"text_match":279,"text_match_info":280},{"comment_count":47,"id":254,"is_sticky":47,"permalink":255,"podcastfilter":256,"post_author":257,"post_content":258,"post_date":259,"post_excerpt":53,"post_id":254,"post_modified":260,"post_thumbnail":261,"post_title":262,"post_type":235,"sort_by_date":263,"tag_links":264,"tags":265},"68657","http://radioblackout.org/podcast/uomo-e-natura-letica-della-terra-di-leopold-e-linganno-della-transizione-ecologica/",[197],"liberationfront","Bombardati come siamo dalla retorica della transizione ecologica, è buona pratica rivolgersi a discorsi che affrontino la tematica ambientale con trasparenza e al di fuori delle acrobazie lessicali ormai inflazionate miranti a nascondere la solita triade: produzione-consumo-profitto. \"Pensare come una montagna\", traduzione italiana di \"A sand county almanac\", scritto da Aldo Leopold e pubblicato postumo nel 1949, è ancora oggi un testo importante per tenere vivo un immaginario del rapporto tra uomo e natura in grado di opporsi all'ostinazione produttivista a cui quotidianamente assistiamo. L'approfondimento che abbiamo proposto seleziona le tematiche più salienti del libro: dal recupero della capacità di percezione all'elaborazione di un'etica che non sia centrata esclusivamente sull'umano, dalla critica al turismo intensivo all'utopia di un mondo in cui la natura venga attraversata da tutti con consapevolezza. Potete ascoltarlo qui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/04/Leopold.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nEd ora volgiamo lo sguardo al presente: il nuovo Ministero della Transizione Ecologica, affidato a Cingolani (appassionato di trivelle e di estrazione di idrocarburi), non sembra curarsi troppo dell'etica, nè della natura. Intriso di ottimismo ipertecnologico, sembra voler attuare una transizione ecologica decisamente placida e pacificata. La relazione tra uomo e natura che sembra suggerire l'idea di transizione ecologica di Cingolani rimane irrimediabilmente mediata da geo-tecnologie, combustibili fossili, crescita economica e iper-sfruttamento delle risorse. Ma qual è il vero significato della parola \"transizione\" e perchè pensiamo sia totalmente inadatto a rappresentare ciò che veramente andrebbe fatto per fronteggiare la crisi ecologica in corso? Con l'aiuto di un interessante articolo apparso su Machina (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/contro-il-concetto-di-transizione-per-un-ecologia-liberata), ne abbiamo parlato qui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/04/Transizione.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","22 Aprile 2021","2021-04-22 10:25:01","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/04/StockSnap_XLR3VEF1J1-200x110.jpg","Uomo e natura: l'etica della terra di Leopold e l'inganno della transizione ecologica",1619087101,[],[],{"post_content":267,"post_title":271},{"matched_tokens":268,"snippet":269,"value":270},[68,77],"un mondo in cui la \u003Cmark>natura\u003C/mark> venga attraversata da tutti con \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza. Potete ascoltarlo qui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/04/Leopold.mp3\"][/audio]\r","Bombardati come siamo dalla retorica della transizione ecologica, è buona pratica rivolgersi a discorsi che affrontino la tematica ambientale con trasparenza e al di fuori delle acrobazie lessicali ormai inflazionate miranti a nascondere la solita triade: produzione-consumo-profitto. \"Pensare come una montagna\", traduzione italiana di \"A sand county almanac\", scritto da Aldo Leopold e pubblicato postumo nel 1949, è ancora oggi un testo importante per tenere vivo un immaginario del rapporto tra uomo e \u003Cmark>natura\u003C/mark> in grado di opporsi all'ostinazione produttivista a cui quotidianamente assistiamo. L'approfondimento che abbiamo proposto seleziona le tematiche più salienti del libro: dal recupero della capacità di percezione all'elaborazione di un'etica che non sia centrata esclusivamente sull'umano, dalla critica al turismo intensivo all'utopia di un mondo in cui la \u003Cmark>natura\u003C/mark> venga attraversata da tutti con \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza. Potete ascoltarlo qui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/04/Leopold.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nEd ora volgiamo lo sguardo al presente: il nuovo Ministero della Transizione Ecologica, affidato a Cingolani (appassionato di trivelle e di estrazione di idrocarburi), non sembra curarsi troppo dell'etica, nè della \u003Cmark>natura\u003C/mark>. Intriso di ottimismo ipertecnologico, sembra voler attuare una transizione ecologica decisamente placida e pacificata. La relazione tra uomo e \u003Cmark>natura\u003C/mark> che sembra suggerire l'idea di transizione ecologica di Cingolani rimane irrimediabilmente mediata da geo-tecnologie, combustibili fossili, crescita economica e iper-sfruttamento delle risorse. Ma qual è il vero significato della parola \"transizione\" e perchè pensiamo sia totalmente inadatto a rappresentare ciò che veramente andrebbe fatto per fronteggiare la crisi ecologica in corso? Con l'aiuto di un interessante articolo apparso su Machina (https://www.machina-deriveapprodi.com/post/contro-il-concetto-di-transizione-per-un-ecologia-liberata), ne abbiamo parlato qui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/04/Transizione.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",{"matched_tokens":272,"snippet":273,"value":273},[68],"Uomo e \u003Cmark>natura\u003C/mark>: l'etica della terra di Leopold e l'inganno della transizione ecologica",[275,277],{"field":118,"matched_tokens":276,"snippet":269,"value":270},[68,77],{"field":88,"matched_tokens":278,"snippet":273,"value":273},[68],1157451436410273800,{"best_field_score":281,"best_field_weight":38,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":282,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},"2211880763392","1157451436410273906",{"document":284,"highlight":297,"highlights":302,"text_match":150,"text_match_info":305},{"comment_count":47,"id":285,"is_sticky":47,"permalink":286,"podcastfilter":287,"post_author":288,"post_content":289,"post_date":290,"post_excerpt":53,"post_id":285,"post_modified":291,"post_thumbnail":292,"post_title":293,"post_type":235,"sort_by_date":294,"tag_links":295,"tags":296},"74326","http://radioblackout.org/podcast/macerie-su-macerie-21-03-22-intorno-alla-questione-tecnologica-in-cina/",[201],"macerie su macerie","La guerra in Ucraina ha levato un velo di occutamento: si stanno modificando una serie di assetti geopolitici, di differenziazione rispetto all'omogenea globalizzazione produttiva e di immaginario che gli Stati Uniti hanno imposto, col guanto o col ferro, negli ultimi trent'anni. Il conflitto ucraino pone così lo sguardo anche dei notoriamente meno arguti commentatori nostrani sui nuovi tentativi di egemonia o multipolarizzazione, che vedono Russia e Cina protagoniste. Se anche gli intellettuali del bel paese sono passati dal dissertare su quanto sia essenziale per l'umanità l'implementazione del biologico nella filiera della chianina a parlare di una fine epocale significa proprio che l'impero romano d'occidente è bello che collassato e nicchiare in uno spettacolo andato ben oltre il palcoscenico e la chiusura delle quinte non era più possibile.\r\n\r\nCon collasso non si intende certo la fine del potere di Stati Uniti e dei paesi sotto la loro influenza in una visione prosaicamente geopolitica - pronostico lontano peraltro dal vero, ma è qualcosa di assai più profondo e radicato, da sempre presente come monito in molte teorie rivoluzionarie: è lo stadio finale e marcescente della spinta propulsiva del capitalismo occidentale, impossibilitato per sua natura a riconoscere la catastrofe non solo sociale, ma anche cognitiva e spirituale che gli è consustanziale.\r\n\r\nL'eterno presente, la fine della storia, il mondo ridotto a essere fisicamente il pianeta terra, le persone divenute soggetti e poi corpi, il consumo come unico orizzonte di crescita personale (quantitativa - va da sé) e come riproduzione sociale, la fine dei riti e dei momenti di festa collettiva realmente sentita, non sono solo spunti che raccontano quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ma segni chiari di una crisi di civilizzazione, di un declino che l'occidente trascina e che ormai non si può nascondere.\r\n\r\nE poi ancora: l'egoismo assoluto come paradigma psicologico, l'analfabetismo funzionale, l'incapacità di concepire una dimensione collettiva e ampia del vivere, non sono bias cognitivi come vuole la deprecabile diagnosi delle neuroscienze, ma i figli legittimi di un \"mondo\" i cui gli unici punti di riferimento solidi non sono che la competizione e la merce, figuriamoci una verità condivisa.\r\n\r\nNegli ultimi anni mentre a queste latitudini nei centri di fabbricazione del sapere venivano assemblati concetti indegni come bias, resilienza e altre linguistiche di giustificazione del piccolo esistente circostante, altrove non solo veniva cambiata la preferenza delle mappe del mondo in pacific centered map, indicazione plastica di dove debba stare l'Europa, ma ci si poneva il problema fondamentale di come non cadere nell'impasse di civilizzazione occidentale, del suo nichilismo, nella sua concezione della tecnologia in chiave evoluzionistica e senza scampo (dall'ominazione data per certa col primo utensile al metaverso).\r\n\r\nPer costruire un dominio che funzioni e che non sia la continua governance dell'entropia, in altre parti del mondo guardano proprio all'Occidente come esempio negativo, cercando di emarciparsi e non cadere negli stessi errori.\r\n\r\nIl caso più fulgido e allo stesso tempo terrificante è quello della Cina in cui esistono influenti studiosi come Yuk Hui, ingegnere e filosofo, che passano al vaglio tutta la storia del pensiero occidentale, ne studiano attentamente gli autori e cercano di capire come far funzionare una società altamente tecnologizzata in maniera da dare una prospettiva appagante ai propri concittadini, non nella visione banalizzante di una crescita economica, ma nella consapevolezza che l'essere umano non può essere ridotto alla sola dimensione materiale e che il dominio per funzionare deve essere in grado di offrire una cosmologia che sia allo stesso tempo attuale e spirituale, che concepisca le questioni più profonde dell'umanità e la tecnica del XXI secolo:\r\n\r\n \r\n\r\n«Lasciatemi innanzitutto dare una definizione preliminare di ciò che chiamo cosmotecnica: l'unificazione dell'ordine cosmico e dell'ordine morale attraverso attività tecniche. Uso questo concetto per riaprire la questione della tecnica, e volevo mostrare che la technē greca è solo un tipo di cosmotecnica - ce ne sono molte. Se oggi in Occidente non esiste più il concetto di cosmotecnica è perché non esiste più la cosmologia ma solo l'astrofisica.\r\n[...] Fino agli anni '90, discipline come gli studi scientifici e tecnologici e la filosofia della tecnologia non esistevano in Cina, erano tutte inserite in una \"dialettica della natura\", che è il titolo di un manoscritto di Engels. Tuttavia, questa lettura antropo-logica della tecnologia che si può trovare nel capitolo \"La parte giocata dal lavoro nella transizione dalla scimmia all'uomo\" impedisce un'ulteriore riflessione poiché presuppone un concetto universale di tecnologia. Marx stesso avrebbe potuto ammettere che la sua teoria è molto europea, che è il prodotto storico della tradizione giudeocristiana, ma i marxiani tendono a cercare nel suo pensiero una soluzione universale alla realizzazione della storia mondiale. C'è un'enorme differenza tra applicare il pensiero di Marx a una cultura non europea e considerare il pensiero di Marx come una tappa del Geist.\r\n[...] L'analisi di Heidegger sulla tecnologia è allo stesso tempo fondamentale e polemica. È fondamentale perché Heidegger ha potuto analizzare la relazione tra la tecnologia moderna e la storia della metafisica occidentale. Questo eleva la questione della tecnologia da un livello sociale ed economico a un livello metafisico. È poetico perché il concetto di tecnica è limitato alla nozione greca di technē (poiesis, hervorbringen) e perché la tecnica è uscita dalla modernità europea, la cui essenza non è più technē ma Gestell. Il quadro che Heidegger ha costruito prepara i futuri dialoghi con altri sistemi filosofici.\r\n\r\n[...] Liberare la filosofia orientale significa riattivarla, darle le ali affinché possa superare l'emarginazione della tecnologia (metafisica) occidentale e comprendere quest'ultima da un nuovo punto di vista. Penso che solo così si possa sviluppare una \"teoria critica\" o \"filosofia critica\" orientale. Riaprire la questione della tecnologia è una tale liberazione e reinvenzione.\r\n\r\n[...]La ricerca di modernità in Asia in nome della decolonizzazione risulta essere una sorta di neocolonizzazione di se stessa. Rifiuto quindi il concetto di una modernità non europea per ripensare la questione della storia che non risiede più sullo stesso asse temporale definito da pre-moderno, moderno, post-moderno. La modernità in Europa ha avuto origine da una trasformazione epistemologica e metodologica in tutti i campi della vita culturale e intellettuale, che ha presentato una rottura o una rottura con l'epoca precedente.\r\n\r\n[...]Come possono le culture senza una \"modernità\" occidentale affrontare l'Antropocene? Dovrebbero tornare alla loro tradizione o adottare di nuovo il disordine occidentale? Il dilemma qui: tornare indietro è una trappola, il semplice adattamento è l'oblio. [...] La domanda decisiva è: sarà possibile desostanzializzare la tradizione per liberarla dal nazionalismo e dal consumismo, in modo che possa ritrovare la sua forza per impegnarsi con la tecnologia, l'urbanistica e l'immaginazione sociale in modo nuovo? »1\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nA Macerie su Macerie la lettura di alcune parti dell'introduzione francese di \"Cosmotecnica, la questione della tecnologia in Cina\" di Yuk Hui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/maceriecosmotecnica21.3.22.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n ","22 Marzo 2022","2022-03-22 23:53:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/6a00d83452a98069e200e54f2a9b5c8834-640wi-200x110.jpg","Macerie su Macerie - 21.03.22, Intorno alla questione \"tecnologica\" in Cina",1647974921,[],[],{"post_content":298},{"matched_tokens":299,"snippet":300,"value":301},[68],"capitalismo occidentale, impossibilitato per sua \u003Cmark>natura\u003C/mark> a riconoscere la catastrofe non","La guerra in Ucraina ha levato un velo di occutamento: si stanno modificando una serie di assetti geopolitici, di differenziazione rispetto all'omogenea globalizzazione produttiva e di immaginario che gli Stati Uniti hanno imposto, col guanto o col ferro, negli ultimi trent'anni. Il conflitto ucraino pone così lo sguardo anche dei notoriamente meno arguti commentatori nostrani sui nuovi tentativi di egemonia o multipolarizzazione, che vedono Russia e Cina protagoniste. Se anche gli intellettuali del bel paese sono passati dal dissertare su quanto sia essenziale per l'umanità l'implementazione del biologico nella filiera della chianina a parlare di una fine epocale significa proprio che l'impero romano d'occidente è bello che collassato e nicchiare in uno spettacolo andato ben oltre il palcoscenico e la chiusura delle quinte non era più possibile.\r\n\r\nCon collasso non si intende certo la fine del potere di Stati Uniti e dei paesi sotto la loro influenza in una visione prosaicamente geopolitica - pronostico lontano peraltro dal vero, ma è qualcosa di assai più profondo e radicato, da sempre presente come monito in molte teorie rivoluzionarie: è lo stadio finale e marcescente della spinta propulsiva del capitalismo occidentale, impossibilitato per sua \u003Cmark>natura\u003C/mark> a riconoscere la catastrofe non solo sociale, ma anche cognitiva e spirituale che gli è consustanziale.\r\n\r\nL'eterno presente, la fine della storia, il mondo ridotto a essere fisicamente il pianeta terra, le persone divenute soggetti e poi corpi, il consumo come unico orizzonte di crescita personale (quantitativa - va da sé) e come riproduzione sociale, la fine dei riti e dei momenti di festa collettiva realmente sentita, non sono solo spunti che raccontano quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo ma segni chiari di una crisi di civilizzazione, di un declino che l'occidente trascina e che ormai non si può nascondere.\r\n\r\nE poi ancora: l'egoismo assoluto come paradigma psicologico, l'analfabetismo funzionale, l'incapacità di concepire una dimensione collettiva e ampia del vivere, non sono bias cognitivi come vuole la deprecabile diagnosi delle neuroscienze, ma i figli legittimi di un \"mondo\" i cui gli unici punti di riferimento solidi non sono che la competizione e la merce, figuriamoci una verità condivisa.\r\n\r\nNegli ultimi anni mentre a queste latitudini nei centri di fabbricazione del sapere venivano assemblati concetti indegni come bias, resilienza e altre linguistiche di giustificazione del piccolo esistente circostante, altrove non solo veniva cambiata la preferenza delle mappe del mondo in pacific centered map, indicazione plastica di dove debba stare l'Europa, ma ci si poneva il problema fondamentale di come non cadere nell'impasse di civilizzazione occidentale, del suo nichilismo, nella sua concezione della tecnologia in chiave evoluzionistica e senza scampo (dall'ominazione data per certa col primo utensile al metaverso).\r\n\r\nPer costruire un dominio che funzioni e che non sia la continua governance dell'entropia, in altre parti del mondo guardano proprio all'Occidente come esempio negativo, cercando di emarciparsi e non cadere negli stessi errori.\r\n\r\nIl caso più fulgido e allo stesso tempo terrificante è quello della Cina in cui esistono influenti studiosi come Yuk Hui, ingegnere e filosofo, che passano al vaglio tutta la storia del pensiero occidentale, ne studiano attentamente gli autori e cercano di capire come far funzionare una società altamente tecnologizzata in maniera da dare una prospettiva appagante ai propri concittadini, non nella visione banalizzante di una crescita economica, ma nella \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza che l'essere umano non può essere ridotto alla sola dimensione materiale e che il dominio per funzionare deve essere in grado di offrire una cosmologia che sia allo stesso tempo attuale e spirituale, che concepisca le questioni più profonde dell'umanità e la tecnica del XXI secolo:\r\n\r\n \r\n\r\n«Lasciatemi innanzitutto dare una definizione preliminare di ciò che chiamo cosmotecnica: l'unificazione dell'ordine cosmico e dell'ordine morale attraverso attività tecniche. Uso questo concetto per riaprire la questione della tecnica, e volevo mostrare che la technē greca è solo un tipo di cosmotecnica - ce ne sono molte. Se oggi in Occidente non esiste più il concetto di cosmotecnica è perché non esiste più la cosmologia ma solo l'astrofisica.\r\n[...] Fino agli anni '90, discipline come gli studi scientifici e tecnologici e la filosofia della tecnologia non esistevano in Cina, erano tutte inserite in una \"dialettica della \u003Cmark>natura\u003C/mark>\", che è il titolo di un manoscritto di Engels. Tuttavia, questa lettura antropo-logica della tecnologia che si può trovare nel capitolo \"La parte giocata dal lavoro nella transizione dalla scimmia all'uomo\" impedisce un'ulteriore riflessione poiché presuppone un concetto universale di tecnologia. Marx stesso avrebbe potuto ammettere che la sua teoria è molto europea, che è il prodotto storico della tradizione giudeocristiana, ma i marxiani tendono a cercare nel suo pensiero una soluzione universale alla realizzazione della storia mondiale. C'è un'enorme differenza tra applicare il pensiero di Marx a una cultura non europea e considerare il pensiero di Marx come una tappa del Geist.\r\n[...] L'analisi di Heidegger sulla tecnologia è allo stesso tempo fondamentale e polemica. È fondamentale perché Heidegger ha potuto analizzare la relazione tra la tecnologia moderna e la storia della metafisica occidentale. Questo eleva la questione della tecnologia da un livello sociale ed economico a un livello metafisico. È poetico perché il concetto di tecnica è limitato alla nozione greca di technē (poiesis, hervorbringen) e perché la tecnica è uscita dalla modernità europea, la cui essenza non è più technē ma Gestell. Il quadro che Heidegger ha costruito prepara i futuri dialoghi con altri sistemi filosofici.\r\n\r\n[...] Liberare la filosofia orientale significa riattivarla, darle le ali affinché possa superare l'emarginazione della tecnologia (metafisica) occidentale e comprendere quest'ultima da un nuovo punto di vista. Penso che solo così si possa sviluppare una \"teoria critica\" o \"filosofia critica\" orientale. Riaprire la questione della tecnologia è una tale liberazione e reinvenzione.\r\n\r\n[...]La ricerca di modernità in Asia in nome della decolonizzazione risulta essere una sorta di neocolonizzazione di se stessa. Rifiuto quindi il concetto di una modernità non europea per ripensare la questione della storia che non risiede più sullo stesso asse temporale definito da pre-moderno, moderno, post-moderno. La modernità in Europa ha avuto origine da una trasformazione epistemologica e metodologica in tutti i campi della vita culturale e intellettuale, che ha presentato una rottura o una rottura con l'epoca precedente.\r\n\r\n[...]Come possono le culture senza una \"modernità\" occidentale affrontare l'Antropocene? Dovrebbero tornare alla loro tradizione o adottare di nuovo il disordine occidentale? Il dilemma qui: tornare indietro è una trappola, il semplice adattamento è l'oblio. [...] La domanda decisiva è: sarà possibile desostanzializzare la tradizione per liberarla dal nazionalismo e dal consumismo, in modo che possa ritrovare la sua forza per impegnarsi con la tecnologia, l'urbanistica e l'immaginazione sociale in modo nuovo? »1\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nA Macerie su Macerie la lettura di alcune parti dell'introduzione francese di \"Cosmotecnica, la questione della tecnologia in Cina\" di Yuk Hui:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/maceriecosmotecnica21.3.22.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n ",[303],{"field":118,"matched_tokens":304,"snippet":300,"value":301},[68],{"best_field_score":152,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":153,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},{"document":307,"highlight":319,"highlights":324,"text_match":150,"text_match_info":327},{"comment_count":47,"id":308,"is_sticky":47,"permalink":309,"podcastfilter":310,"post_author":257,"post_content":311,"post_date":312,"post_excerpt":53,"post_id":308,"post_modified":313,"post_thumbnail":314,"post_title":315,"post_type":235,"sort_by_date":316,"tag_links":317,"tags":318},"63888","http://radioblackout.org/podcast/smontiamo-la-gabbia/",[197],"In vista del corteo di domenica 18 in solidarietà con gli/le orsi/e rinchiusi/e nel bunker di Casteller in Trentino, abbiamo sentito Marco dell'assemblea antispecista.\r\nLa storia del ripopolamento degli orsi in trentino inizia negli anni '90 col progetto Life Ursus con lo scopo di introdurre nuove specie al fine di attirare turisti nelle verdeggianti montagne trentine. Peccato che gli orsi non siano statue e si comportano da orsi: riproducendosi, mangiando, difendendosi, valicando confini di cui non ne immaginano neppure l'esistenza creando, con questi comportamenti, paura e sgomento tra cittadini e visitatori. Non un euro dei finanziamenti è stato investito per progetti di convivenza con questa specie, anzi politici di destra e sinistra hanno strumentalizzato la paura reagendo con uccisioni e imprigionamenti.\r\n\r\nPiù di tutti il leghista Fugatti, presidente della provincia di Trento, che ha fatto della caccia all'orso una vera e propria crociata. E se non sono gli orsi sono i lupi, o i cinghiali, o le marmotte o gli uccelli, insomma Fugatti ha nei cacciatori e negli allevatori il suo più grande bacino di voti e cerca di ingraziarseli strumentalizzando la paura, come dimostrano gli enormi (quasi 1 milione) finanziamenti della provincia alle associazioni venatorie che, assurdamente, gestiscono anche centri faunistici, il censimento gli animali selvatici, le cure e la detenzione, come nel caso del Casteller.\r\n\r\nIn questo bunker gli/le ors* rinchius* stanno lottando con tentativi di fughe, autolesionismo, scioperi della fame, tentativi di distruggere la struttura. Gli/le ors* cercano e rivendicano la propria libertà.\r\n\r\nRitrovo ore 11 stazione di Villazzano - Trento\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/orsi-liberi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nIl volantino di lancio della manifestazione:\r\n\r\nFra il 1999 e il 2002 viene realizzato in provincia di Trento il Progetto Life Ursus finanziato dall’Unione Europea, con finalità di ripopolamento degli orsi bruni, all’epoca sostanzialmente estinti nell’arco alpino. Evidentemente, qualche ors* nei boschi fa bene al turismo e alle casse provinciali, deve aver pensato qualcuno. Ma bastano pochi anni e ci si rende conto che la presenza dell’orso Yoghi non è compatibile con un modello di turismo consumista e invasivo, nel contesto di un territorio in realtà ampiamente antropizzato.\r\n\r\nIl risultato 20 anni dopo: 34 ors* “indisciplinati* scompars*, uccis*, imprigionat*. Tra loro gli orsi (chiamati dalle autorità) M49 e M57 e l’orsa DJ3, attualmente detenut* nella struttura/prigione del Casteller, la cui gestione è - con macabra ironia - affidata all’Associazione dei Cacciatori Trentini. M49 evade clamorosamente, superando e forzando barriere e recinzioni apparentemente invalicabili, nella notte del 15 luglio 2019 (neanche un’ora dopo esser stato catturato a causa delle numerose denunce di danni da parte degli allevatori della zona) e fugge nuovamente il 27 luglio 2020, per poi venire nuovamente catturato poche settimane fa. Suoi compagni di prigionia DJ3 (figlia di Daniza, probabilmente l’orsa più tristemente nota nella mala gestione della provincia di Trento) reclusa da ben 9 anni (metà della sua vita) ed M57, riuscito a trascorrere solo due anni della sua vita in libertà prima di essere imprigionato (la vita media di un orso in natura è fra i 30 e i 35 anni). È notizia di questi giorni che le condizioni psico-fisiche dei tre plantigradi sono state definite “inaccettabili” persino dagli organi di controllo istituzionali che, come da copione, propongono per voce delle associazioni veterinarie la costituzione di “comitati etici” per ripulirsi la faccia con la solita favola del “benessere animale”.\r\n\r\nLa classe politica che ha governato il Trentino ha più volte dimostrato tutti i limiti e l’ipocrisia di un’impostazione antropocentrica rispetto alla convivenza con gli altri animali. Ovviamente le cose non sono né cambiate né migliorate dall’insediamento della nuova giunta leghista (sì, proprio loro: i machisti dei banchetti a base di carne d'orso).\r\n\r\nI milioni di euro che per il Progetto Life Ursus la Provincia ha ricevuto dall’Europa andavano spesi molto diversamente: progetti di educazione nelle scuole, formazione mirata agli operatori turistici, sensibilizzazione e informazione a tappeto a residenti e turisti, nell’ottica di una convivenza pacifica e rispettosa. E invece? E invece questa specie è stata presa, piazzata sul territorio, tolta dal territorio, uccisa, imprigionata, mostrata, nascosta, a seconda delle esigenze del potere.\r\n\r\nMa in conseguenza di quali colpe è stato deciso che la coercizione fisica di questi animali fosse necessaria? Il fatto è che gli animali selvatici hanno la pessima abitudine di comportarsi da tali. Non sono peluche, non sono gli animali depressi e tristi che vediamo negli zoo, resi inoffensivi dalla rassegnazione e dalle sbarre. Sono ors* che, come tutti gli individui, vogliono “solo” vivere liber*, scegliere cosa mangiare, dove andare, cosa esplorare, come giocare, oziare, odorare; e che, come chiunque altr*, se si sentono infastidit* o minacciat* reagiscono e si difendono. Ors* che fanno gli ors*, insomma.\r\n\r\nCome gli esseri umani da sempre hanno resistito alle oppressioni e alle discriminazioni, anche tutti gli animali non umani mal sopportano prigionia e sfruttamento, aggrediscono per difendersi e provano a fuggire, talvolta con successo. È ora di aprire gli occhi, di comprendere che gli animali non umani sono l’avanguardia del movimento di liberazione animale. È ora di smettere di pensare che gli altri animali siano creature senza voce, per le quali è necessario usare la nostra. La voce è espressione di potere e descrivere gli animali come privi di essa toglie potere alle loro esperienze di ribellione. Oltre la narrazione tossica dell’animalismo “classico”, che vede gli altri animali come inermi che solo degli umani illuminati possono adoperarsi a salvare, esiste una consistente storia di ribelli e di ribellione ancora tutta da raccontare, di fronte alla quale il posizionamento degli individui umani non può che considerarsi come mera solidarietà. Riconosciamo la capacità degli animali di sottrarsi allo sfruttamento umano come una forza socialmente non trascurabile, una forza in grado di muovere le energie di associazioni, singole persone, gruppi locali verso una solidarietà che può essere definita senza dubbio politica. Una solidarietà attiva che si esprime nella consapevolezza di condurre lotte comuni tra sfruttati, indipendentemente dalla specie di appartenenza. Aprendoci alla possibilità di adozione di un inedito sguardo decoloniale, scegliamo di dismettere il nostro privilegio di specie per metterlo al servizio della resistenza animale.\r\n\r\nNell’operato della Giunta Fugatti in questo particolare frangente, riconosciamo con evidenza le stesse politiche repressive nei confronti di tutti quei corpi indecorosi ed eccedenti, che varcano confini ed esprimono volontà di autodeterminazione, che mille volte abbiamo visto all’opera nei più disparati contesti di resistenza. Da sempre solidali con la lotta di chi viola i confini per riprendersi la libertà, ci schieriamo senza esitazioni dalla parte degli/le ors* ribelli.\r\n\r\nNella persecuzione contro di loro nella nostra piccola, periferica provincia non possiamo non individuare la comune matrice della più grande e cieca persecuzione ai danni di tutte le forme di vita terrestri che sta determinando a livello planetario la catastrofe climatica ormai alle porte.\r\n\r\nPer questa ragione, nella decisione di schierarci al fianco di questi corpi resistenti, facciamo appello per allargare la mobilitazione a tutte le soggettività ed i collettivi impegnati nelle lotte ecotransfemministe, antirazziste, antifasciste e per la giustizia climatica, a tutt* coloro che credono che la mobilitazione contro la guerra totale al vivente attualmente in corso da parte del sistema capitalista vada fermata non tanto - per dirla con un’altra narrazione tossica - per “salvare il pianeta”, ma per provare a garantire alla nostra specie e a tutte le altre (animali e vegetali) la possibilità di continuare ad abitare la Terra. Crediamo fermamente che solo l’intersezione di tutte queste lotte possa ambire a scardinare il paradigma del capitalismo antropocentrico che ci ha già condotti dentro la sesta estinzione di massa. Un sistema rapace che attraverso un meccanismo distopico e perfetto distrugge e strappa territori ad animali ed umani, capitalizzando ogni respiro. E che avvelena anche il linguaggio ed il pensiero, relegando nella dimensione dell’irrilevanza e del silenzio, minorizzandole, tutte quelle identità che si discostano dal paradigma proprietario dell’antropocentrismo colonialista maschio e bianco. Noi non ci stiamo, e ci batteremo perché i prossimi mesi ed anni vedano l’attraversamento delle piazze da parte di una nuova ondata di ribellione globale generalizzata. Iniziamo da qui. Restituiamo agli/le ors* i boschi e le montagne in cui sono nati/e liber*.\r\n\r\n ","16 Ottobre 2020","2020-10-17 18:04:56","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/m49-200x110.jpg","smontiamo la gabbia",1602868099,[],[],{"post_content":320},{"matched_tokens":321,"snippet":322,"value":323},[68],"media di un orso in \u003Cmark>natura\u003C/mark> è fra i 30 e","In vista del corteo di domenica 18 in solidarietà con gli/le orsi/e rinchiusi/e nel bunker di Casteller in Trentino, abbiamo sentito Marco dell'assemblea antispecista.\r\nLa storia del ripopolamento degli orsi in trentino inizia negli anni '90 col progetto Life Ursus con lo scopo di introdurre nuove specie al fine di attirare turisti nelle verdeggianti montagne trentine. Peccato che gli orsi non siano statue e si comportano da orsi: riproducendosi, mangiando, difendendosi, valicando confini di cui non ne immaginano neppure l'esistenza creando, con questi comportamenti, paura e sgomento tra cittadini e visitatori. Non un euro dei finanziamenti è stato investito per progetti di convivenza con questa specie, anzi politici di destra e sinistra hanno strumentalizzato la paura reagendo con uccisioni e imprigionamenti.\r\n\r\nPiù di tutti il leghista Fugatti, presidente della provincia di Trento, che ha fatto della caccia all'orso una vera e propria crociata. E se non sono gli orsi sono i lupi, o i cinghiali, o le marmotte o gli uccelli, insomma Fugatti ha nei cacciatori e negli allevatori il suo più grande bacino di voti e cerca di ingraziarseli strumentalizzando la paura, come dimostrano gli enormi (quasi 1 milione) finanziamenti della provincia alle associazioni venatorie che, assurdamente, gestiscono anche centri faunistici, il censimento gli animali selvatici, le cure e la detenzione, come nel caso del Casteller.\r\n\r\nIn questo bunker gli/le ors* rinchius* stanno lottando con tentativi di fughe, autolesionismo, scioperi della fame, tentativi di distruggere la struttura. Gli/le ors* cercano e rivendicano la propria libertà.\r\n\r\nRitrovo ore 11 stazione di Villazzano - Trento\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/orsi-liberi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nIl volantino di lancio della manifestazione:\r\n\r\nFra il 1999 e il 2002 viene realizzato in provincia di Trento il Progetto Life Ursus finanziato dall’Unione Europea, con finalità di ripopolamento degli orsi bruni, all’epoca sostanzialmente estinti nell’arco alpino. Evidentemente, qualche ors* nei boschi fa bene al turismo e alle casse provinciali, deve aver pensato qualcuno. Ma bastano pochi anni e ci si rende conto che la presenza dell’orso Yoghi non è compatibile con un modello di turismo consumista e invasivo, nel contesto di un territorio in realtà ampiamente antropizzato.\r\n\r\nIl risultato 20 anni dopo: 34 ors* “indisciplinati* scompars*, uccis*, imprigionat*. Tra loro gli orsi (chiamati dalle autorità) M49 e M57 e l’orsa DJ3, attualmente detenut* nella struttura/prigione del Casteller, la cui gestione è - con macabra ironia - affidata all’Associazione dei Cacciatori Trentini. M49 evade clamorosamente, superando e forzando barriere e recinzioni apparentemente invalicabili, nella notte del 15 luglio 2019 (neanche un’ora dopo esser stato catturato a causa delle numerose denunce di danni da parte degli allevatori della zona) e fugge nuovamente il 27 luglio 2020, per poi venire nuovamente catturato poche settimane fa. Suoi compagni di prigionia DJ3 (figlia di Daniza, probabilmente l’orsa più tristemente nota nella mala gestione della provincia di Trento) reclusa da ben 9 anni (metà della sua vita) ed M57, riuscito a trascorrere solo due anni della sua vita in libertà prima di essere imprigionato (la vita media di un orso in \u003Cmark>natura\u003C/mark> è fra i 30 e i 35 anni). È notizia di questi giorni che le condizioni psico-fisiche dei tre plantigradi sono state definite “inaccettabili” persino dagli organi di controllo istituzionali che, come da copione, propongono per voce delle associazioni veterinarie la costituzione di “comitati etici” per ripulirsi la faccia con la solita favola del “benessere animale”.\r\n\r\nLa classe politica che ha governato il Trentino ha più volte dimostrato tutti i limiti e l’ipocrisia di un’impostazione antropocentrica rispetto alla convivenza con gli altri animali. Ovviamente le cose non sono né cambiate né migliorate dall’insediamento della nuova giunta leghista (sì, proprio loro: i machisti dei banchetti a base di carne d'orso).\r\n\r\nI milioni di euro che per il Progetto Life Ursus la Provincia ha ricevuto dall’Europa andavano spesi molto diversamente: progetti di educazione nelle scuole, formazione mirata agli operatori turistici, sensibilizzazione e informazione a tappeto a residenti e turisti, nell’ottica di una convivenza pacifica e rispettosa. E invece? E invece questa specie è stata presa, piazzata sul territorio, tolta dal territorio, uccisa, imprigionata, mostrata, nascosta, a seconda delle esigenze del potere.\r\n\r\nMa in conseguenza di quali colpe è stato deciso che la coercizione fisica di questi animali fosse necessaria? Il fatto è che gli animali selvatici hanno la pessima abitudine di comportarsi da tali. Non sono peluche, non sono gli animali depressi e tristi che vediamo negli zoo, resi inoffensivi dalla rassegnazione e dalle sbarre. Sono ors* che, come tutti gli individui, vogliono “solo” vivere liber*, scegliere cosa mangiare, dove andare, cosa esplorare, come giocare, oziare, odorare; e che, come chiunque altr*, se si sentono infastidit* o minacciat* reagiscono e si difendono. Ors* che fanno gli ors*, insomma.\r\n\r\nCome gli esseri umani da sempre hanno resistito alle oppressioni e alle discriminazioni, anche tutti gli animali non umani mal sopportano prigionia e sfruttamento, aggrediscono per difendersi e provano a fuggire, talvolta con successo. È ora di aprire gli occhi, di comprendere che gli animali non umani sono l’avanguardia del movimento di liberazione animale. È ora di smettere di pensare che gli altri animali siano creature senza voce, per le quali è necessario usare la nostra. La voce è espressione di potere e descrivere gli animali come privi di essa toglie potere alle loro esperienze di ribellione. Oltre la narrazione tossica dell’animalismo “classico”, che vede gli altri animali come inermi che solo degli umani illuminati possono adoperarsi a salvare, esiste una consistente storia di ribelli e di ribellione ancora tutta da raccontare, di fronte alla quale il posizionamento degli individui umani non può che considerarsi come mera solidarietà. Riconosciamo la capacità degli animali di sottrarsi allo sfruttamento umano come una forza socialmente non trascurabile, una forza in grado di muovere le energie di associazioni, singole persone, gruppi locali verso una solidarietà che può essere definita senza dubbio politica. Una solidarietà attiva che si esprime nella \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza di condurre lotte comuni tra sfruttati, indipendentemente dalla specie di appartenenza. Aprendoci alla possibilità di adozione di un inedito sguardo decoloniale, scegliamo di dismettere il nostro privilegio di specie per metterlo al servizio della resistenza animale.\r\n\r\nNell’operato della Giunta Fugatti in questo particolare frangente, riconosciamo con evidenza le stesse politiche repressive nei confronti di tutti quei corpi indecorosi ed eccedenti, che varcano confini ed esprimono volontà di autodeterminazione, che mille volte abbiamo visto all’opera nei più disparati contesti di resistenza. Da sempre solidali con la lotta di chi viola i confini per riprendersi la libertà, ci schieriamo senza esitazioni dalla parte degli/le ors* ribelli.\r\n\r\nNella persecuzione contro di loro nella nostra piccola, periferica provincia non possiamo non individuare la comune matrice della più grande e cieca persecuzione ai danni di tutte le forme di vita terrestri che sta determinando a livello planetario la catastrofe climatica ormai alle porte.\r\n\r\nPer questa ragione, nella decisione di schierarci al fianco di questi corpi resistenti, facciamo appello per allargare la mobilitazione a tutte le soggettività ed i collettivi impegnati nelle lotte ecotransfemministe, antirazziste, antifasciste e per la giustizia climatica, a tutt* coloro che credono che la mobilitazione contro la guerra totale al vivente attualmente in corso da parte del sistema capitalista vada fermata non tanto - per dirla con un’altra narrazione tossica - per “salvare il pianeta”, ma per provare a garantire alla nostra specie e a tutte le altre (animali e vegetali) la possibilità di continuare ad abitare la Terra. Crediamo fermamente che solo l’intersezione di tutte queste lotte possa ambire a scardinare il paradigma del capitalismo antropocentrico che ci ha già condotti dentro la sesta estinzione di massa. Un sistema rapace che attraverso un meccanismo distopico e perfetto distrugge e strappa territori ad animali ed umani, capitalizzando ogni respiro. E che avvelena anche il linguaggio ed il pensiero, relegando nella dimensione dell’irrilevanza e del silenzio, minorizzandole, tutte quelle identità che si discostano dal paradigma proprietario dell’antropocentrismo colonialista maschio e bianco. Noi non ci stiamo, e ci batteremo perché i prossimi mesi ed anni vedano l’attraversamento delle piazze da parte di una nuova ondata di ribellione globale generalizzata. Iniziamo da qui. Restituiamo agli/le ors* i boschi e le montagne in cui sono nati/e liber*.\r\n\r\n ",[325],{"field":118,"matched_tokens":326,"snippet":322,"value":323},[68],{"best_field_score":152,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":153,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},{"document":329,"highlight":341,"highlights":346,"text_match":150,"text_match_info":349},{"comment_count":47,"id":330,"is_sticky":47,"permalink":331,"podcastfilter":332,"post_author":257,"post_content":333,"post_date":334,"post_excerpt":53,"post_id":330,"post_modified":335,"post_thumbnail":336,"post_title":337,"post_type":235,"sort_by_date":338,"tag_links":339,"tags":340},"53155","http://radioblackout.org/podcast/presentazione-del-gruppo-truc-escursionismo-politico-a-torino/",[197],"Mercoledì 13 marzo abbiamo parlato del gruppo d’escursionismo politico Trùc, una realtà che avevamo già presentato più approfonditamente con il vecchio nome di Ape Torino (ascolta il podcast precedente qui https://radioblackout.org/podcast/nasce-a-p-e-torino-associazione-proletari-escursionisti), che si occupa di tematiche legate alla montagna. L’attività di escursionismo, con l’organizzazione di gite prevalentemente nelle valli delle Alpi occidentali, vuole unire l’aspetto ludico del camminare in montagna e dello stare insieme, alle tematiche politiche, sociali, storiche o culturali legate al territorio attraversato. Durante le escursioni si cerca il più possibile di camminare assieme, senza delegare scelta del percorso, conoscenza dei sentieri e supporto logistico a nessun*, per un’autogestione e orizzontalità considerate fondamentali all’interno del gruppo. Ci siamo fatti spiegare da dove deriva questo nuovo nome, che cambia la forma ma non la sostanza di quest’attività e abbiamo presentato l’iniziativa del 16 marzo a Clapie, Cels, frazione di Exilles in Valsusa.\r\n\r\nQui sotto il testo di presentazione del gruppo\r\n\r\nNelle Alpi occidentali il trùc indica una sella montuosa, un picco o una guglia rocciosa di media montagna.\r\n\r\nRappresenta di per sé un terrazzo, un punto di osservazione privilegiato da cui guardare l’ambiente\r\n\r\ncircostante e spesso anche ultima resistenza e rifugio nei conflitti che da sempre hanno segnato le\r\n\r\nmontagne.\r\n\r\nDal trùc si godono i panorami, si coglie con maggior consapevolezza il senso del territorio, ci si lascia più facilmente coinvolgere dalle sue suggestioni.\r\n\r\nIl trùc per noi rappresenta un luogo fisico in cui fare una sosta e ritrovarsi, ma anche uno spazio di\r\n\r\ncondivisione e discussione delle prospettive che attraversano le nostre camminate.\r\n\r\nCamminare restituisce la possibilità di sperimentare uno spazio e un tempo sufficientemente\r\n\r\ndilata in cui è possibile relazionarsi, stare insieme, pensare e agire. Camminare significa anche\r\n\r\nparlare, scambiare idee, proposte, conoscenze e metodi. Camminare non significa per forza\r\n\r\narrivare da un luogo a un altro, ma donare senso a ogni punto dello spazio attraversato nel\r\n\r\npercorso. Consideriamo importante che sia la conformazione, l’accessibilità o meno dello spazio a\r\n\r\nrenderlo attraversabile, e non solamente gli strumenti e la tecnologia posseduta. Per questo\r\n\r\npuntiamo a camminare con un ritmo non competitivo che si adegui alle condizioni morfologiche e\r\n\r\natmosferiche del territorio a attraversato da ciascuna escursione.\r\n\r\nIl gruppo non è regolato da tessere o statuti, vuole essere una dimensione di libera aggregazione\r\n\r\nconnotata da orizzontalità e informalità. Un’unione collettiva nella quale non si va a perdere la\r\n\r\ndiversità di ognuno, ma anzi la si amplifica, ed essa si arricchisce e contribuisce a valorizzare\r\n\r\nl’esperienza del gruppo. C’è spazio per tutti ma non per chi discrimina: non accettiamo\r\n\r\ncomportamenti oppressivi e tesi a limitare la libertà altrui.\r\n\r\nSentiamo oggi il bisogno di contrapporci all’imperante sfruttamento della montagna, al suo\r\n\r\nconsumo e mercificazione, come già cento anni fa vi era la necessità di contrapporsi all’approccio\r\n\r\ndominante di alpinismo ed escursionismo, espressione della classe benestante che tramite il mito\r\n\r\ndella conquista della vetta e del dominio sulla natura affermava il proprio potere sulla società.\r\n\r\nLe montagne, le vette e la terra tutta sono spesso viste in funzione di conquista e di colonizzazione,\r\n\r\nche di fatto impongono la narrazione di una dimensione di proprietà, determinandone le\r\n\r\npossibilità di accesso e a attraversamento. Questo gruppo, invece, vuole veicolare il senso che questi luoghi debbano essere vissuti con la possibilità e la libertà di essere percorsi da tutti e conquistati da nessuno.\r\n\r\nIl nostro desiderio e la nostra volontà vanno nella direzione di conoscere la montagna, le sue\r\n\r\nstorie, le sue culture, e le persone che vi abitano. Senza volerlo mitizzare, crediamo fortemente\r\n\r\nnell'ambiente montano come luogo di possibilità, che sia in passato che nel presente ha permesso\r\n\r\ne può permettere di sviluppare delle forme altre di autorganizzazione, di rapporti, di\r\n\r\nriconoscimento dei propri bisogni e di soddisfacimento in prima persona degli stessi.\r\n\r\nNoi non portiamo nessuno in montagna, ma ci andiamo insieme, e richiediamo che ognuno sia\r\n\r\nresponsabile di sé stesso e rispettoso degli altri e dell’ambiente.\r\n\r\nPer info sulle prossime iniziative e per iscriverti alla newsletter scrivi a truc.torino@inventati.org\r\n\r\nE qui l’audio della puntata:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/03/truc.mp3\"][/audio]","18 Marzo 2019","2019-03-18 22:03:59","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/03/Senzanome-200x110.jpg","Presentazione del gruppo Trùc: escursionismo politico a Torino",1552946639,[],[],{"post_content":342},{"matched_tokens":343,"snippet":344,"value":345},[77],"panorami, si coglie con maggior \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza il senso del territorio, ci","Mercoledì 13 marzo abbiamo parlato del gruppo d’escursionismo politico Trùc, una realtà che avevamo già presentato più approfonditamente con il vecchio nome di Ape Torino (ascolta il podcast precedente qui https://radioblackout.org/podcast/nasce-a-p-e-torino-associazione-proletari-escursionisti), che si occupa di tematiche legate alla montagna. L’attività di escursionismo, con l’organizzazione di gite prevalentemente nelle valli delle Alpi occidentali, vuole unire l’aspetto ludico del camminare in montagna e dello stare insieme, alle tematiche politiche, sociali, storiche o culturali legate al territorio attraversato. Durante le escursioni si cerca il più possibile di camminare assieme, senza delegare scelta del percorso, conoscenza dei sentieri e supporto logistico a nessun*, per un’autogestione e orizzontalità considerate fondamentali all’interno del gruppo. Ci siamo fatti spiegare da dove deriva questo nuovo nome, che cambia la forma ma non la sostanza di quest’attività e abbiamo presentato l’iniziativa del 16 marzo a Clapie, Cels, frazione di Exilles in Valsusa.\r\n\r\nQui sotto il testo di presentazione del gruppo\r\n\r\nNelle Alpi occidentali il trùc indica una sella montuosa, un picco o una guglia rocciosa di media montagna.\r\n\r\nRappresenta di per sé un terrazzo, un punto di osservazione privilegiato da cui guardare l’ambiente\r\n\r\ncircostante e spesso anche ultima resistenza e rifugio nei conflitti che da sempre hanno segnato le\r\n\r\nmontagne.\r\n\r\nDal trùc si godono i panorami, si coglie con maggior \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza il senso del territorio, ci si lascia più facilmente coinvolgere dalle sue suggestioni.\r\n\r\nIl trùc per noi rappresenta un luogo fisico in cui fare una sosta e ritrovarsi, ma anche uno spazio di\r\n\r\ncondivisione e discussione delle prospettive che attraversano le nostre camminate.\r\n\r\nCamminare restituisce la possibilità di sperimentare uno spazio e un tempo sufficientemente\r\n\r\ndilata in cui è possibile relazionarsi, stare insieme, pensare e agire. Camminare significa anche\r\n\r\nparlare, scambiare idee, proposte, conoscenze e metodi. Camminare non significa per forza\r\n\r\narrivare da un luogo a un altro, ma donare senso a ogni punto dello spazio attraversato nel\r\n\r\npercorso. Consideriamo importante che sia la conformazione, l’accessibilità o meno dello spazio a\r\n\r\nrenderlo attraversabile, e non solamente gli strumenti e la tecnologia posseduta. Per questo\r\n\r\npuntiamo a camminare con un ritmo non competitivo che si adegui alle condizioni morfologiche e\r\n\r\natmosferiche del territorio a attraversato da ciascuna escursione.\r\n\r\nIl gruppo non è regolato da tessere o statuti, vuole essere una dimensione di libera aggregazione\r\n\r\nconnotata da orizzontalità e informalità. Un’unione collettiva nella quale non si va a perdere la\r\n\r\ndiversità di ognuno, ma anzi la si amplifica, ed essa si arricchisce e contribuisce a valorizzare\r\n\r\nl’esperienza del gruppo. C’è spazio per tutti ma non per chi discrimina: non accettiamo\r\n\r\ncomportamenti oppressivi e tesi a limitare la libertà altrui.\r\n\r\nSentiamo oggi il bisogno di contrapporci all’imperante sfruttamento della montagna, al suo\r\n\r\nconsumo e mercificazione, come già cento anni fa vi era la necessità di contrapporsi all’approccio\r\n\r\ndominante di alpinismo ed escursionismo, espressione della classe benestante che tramite il mito\r\n\r\ndella conquista della vetta e del dominio sulla \u003Cmark>natura\u003C/mark> affermava il proprio potere sulla società.\r\n\r\nLe montagne, le vette e la terra tutta sono spesso viste in funzione di conquista e di colonizzazione,\r\n\r\nche di fatto impongono la narrazione di una dimensione di proprietà, determinandone le\r\n\r\npossibilità di accesso e a attraversamento. Questo gruppo, invece, vuole veicolare il senso che questi luoghi debbano essere vissuti con la possibilità e la libertà di essere percorsi da tutti e conquistati da nessuno.\r\n\r\nIl nostro desiderio e la nostra volontà vanno nella direzione di conoscere la montagna, le sue\r\n\r\nstorie, le sue culture, e le persone che vi abitano. Senza volerlo mitizzare, crediamo fortemente\r\n\r\nnell'ambiente montano come luogo di possibilità, che sia in passato che nel presente ha permesso\r\n\r\ne può permettere di sviluppare delle forme altre di autorganizzazione, di rapporti, di\r\n\r\nriconoscimento dei propri bisogni e di soddisfacimento in prima persona degli stessi.\r\n\r\nNoi non portiamo nessuno in montagna, ma ci andiamo insieme, e richiediamo che ognuno sia\r\n\r\nresponsabile di sé stesso e rispettoso degli altri e dell’ambiente.\r\n\r\nPer info sulle prossime iniziative e per iscriverti alla newsletter scrivi a truc.torino@inventati.org\r\n\r\nE qui l’audio della puntata:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/03/truc.mp3\"][/audio]",[347],{"field":118,"matched_tokens":348,"snippet":344,"value":345},[77],{"best_field_score":152,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":153,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},{"document":351,"highlight":369,"highlights":374,"text_match":150,"text_match_info":377},{"comment_count":47,"id":352,"is_sticky":47,"permalink":353,"podcastfilter":354,"post_author":199,"post_content":355,"post_date":356,"post_excerpt":53,"post_id":352,"post_modified":357,"post_thumbnail":358,"post_title":359,"post_type":235,"sort_by_date":360,"tag_links":361,"tags":368},"38706","http://radioblackout.org/podcast/anarres-dell11-novembre-appendino-alla-guerra-contro-i-rom-la-vittoria-del-jocker-femminismi-antimilitarismo-referendum-un-gioco-a-carte-truccate/",[199],"Ogni venerdì vi invitiamo a sbarcare su Anarres, il pianeta delle utopie concrete, dalle 10,45 alle 12,45 sui 105.250 delle libere frequenze di Blackout\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n2016-11-11-anarres1\r\n\r\n2016-11-11-anarres2\r\n\r\n2016-11-11-anarres3\r\nIn questa puntata:\r\nAppendino e Padalino dichiarano guerra ai rom di via Germagnano. Sgomberi, retate, fogli di via e deportazioni\r\nThe president is a Trump. Sessista, razzista, volgare. Un miliardario outsider approda alla Casa Bianca, dopo una campagna elettorale con toni da bar Sport. Ne abbiamo parlato con Lorcon, redattore di Umanità Nova\r\n\r\nCacerolata femminista a San Salvario \r\nReferendum. La Carta e le carte truccate\r\nFuoco al Tricolore! Una settimana contro il militarismo\r\n\r\nPer approfondimenti:\r\nFuoco al Tricolore! Una settimana contro il militarismo\r\nUna bandiera tricolore è stata data alle fiamme di fronte alla polizia in assetto antisommossa e alla polizia politica in gran forze per difendere le forze armate, che, anche quest'anno, erano in piazza Castello per la cerimonia dell'ammainabandiera, che conclude la festa delle forze armate il 4 novembre. \r\nGli antimilitaristi puntuali all'appuntamento, si sono mossi in corteo con striscioni, bici da trasporto con carro armato e Samba Band dalla piazza del Comune fino al blocco di polizia in via Garibaldi, cento metri prima dei soldati in alta uniforme. \r\nUn applauso ha accolto l'azione antipatriottica. \r\nNumerosi gli interventi dal megafono per un'iniziativa di comunicazione e lotta, che, dopo un lungo fronteggiamento e l'intervento dell'automobilina kamicazza, si sono mossi per via Garibaldi, sino a guadagnare piazza Castello, dove i militari avevano chiuso alla svelta il loro rituale bellico. \r\nLa giornata di lotta del 4 novembre era l'ultima di una settimana di iniziative. Sabato 29 ottobre al Balon, un presidio itinerante, con performance contro eserciti e fabbriche d'armi, interventi e musica, aveva aperto le iniziative promosse dall'assemblea antimilitarista. \r\n\r\nIl mercoledì successivo si era svolta un'iniziativa di approfondimento “Bombe, muri e frontiere. Giochi di potenza dal Mediterraneo all’Eufrate. Dal nuovo secolo americano al tutti contro tutti”. La serata, introdotta da Stefano Capello, è stata occasione per capirne di più sugli equilibri geopolitici, in un pianeta sempre più multipolare, ad alleanze variabili, dove prevale la logica terrificante del caos sistemico. \r\n\r\nQui il testo dell’appello per la settimana antimilitarista\r\n\r\n*********\r\nCacerolata femminista a San Salvario \r\n\r\nQui il testo del volantino distribuito in piazza:\r\n\r\nSentieri di libertà\r\nLibertà, uguaglianza, solidarietà. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo con la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza.\r\nTanta parte dell’umanità resta(va) fuori dal loro ombrello protettivo: poveri, donne, omosessuali, bambini. L’universalità di questi principi, formalmente neutra, era modellata sul maschio adulto, benestante, eterosessuale. Il resto era margine. Chi non era pienamente umano non poteva certo aspirare alle libertà degli uomini.\r\nUna libertà soggetta a norma, regolata, imbrigliata, incasellata. La cultura dominante ne determina le possibilità, le leggi dello Stato ne fissano limiti e condizioni.\r\nLe nonne delle ragazze di oggi passavano dalla potestà paterna a quella maritale: le regole del matrimonio le mantenevano minorenni a vita.\r\nLe donne stuprate, sino al 5 settembre del 1981, potevano sottrarsi alla vergogna ed essere riammesse nel consesso sociale, se accettavano di sposare il proprio stupratore. Una violenza più feroce di quella già subita. Se una donna era uccisa per motivi di “onore”, questa era una potente attenuante. Uccidere per punire le donne infedeli era considerato giusto.\r\n\r\nSono passati 34 anni da quando quelle norme vennero cancellate dal codice penale. Poco prima era stato legalizzato il divorzio e depenalizzato l’aborto.\r\nSulla strada della libertà femminile e – con essa – quella di tutt* sono stati fatti tanti passi. Purtroppo non tutti in avanti.\r\n\r\nLe lotte delle donne hanno cancellato tante servitù. Ma ne paghiamo, ogni giorno, il prezzo.\r\n\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. La casa, il “privato”, è il luogo dove si consumano la maggior parte delle violenze e delle uccisioni. Le donne libere vengono picchiate, stuprate e ammazzate per affermare il potere maschile, per riprendere con la forza il controllo sui loro corpi e sulle loro menti.\r\n\r\nLa narrazione prevalente sui media è falsa, perché nasconde la realtà cruda della violenza maschile sulle donne. Non solo. Trasforma le donne in vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale ma non tanto, di rinforzare l’opinione che le donne siano intrinsecamente deboli.\r\nLa violenza esplicita è solo la punta dell’iceberg. Il patriarcato, sconfitto ma non in rotta, riemerge in maniere più subdole.\r\n\r\nIl prezzo dell’emancipazione femminile è stato anche l’adeguamento all’universale, che resta saldamente maschile ed eterosessuale. Lo scarto, la differenza femminile, in tutta l’ambiguità di un percorso identitario segnato da una schiavitù anche volontaria, finisce frantumata, dispersa, illeggibile, se non nel ri-adeguamento ad un ruolo di cura, sostitutivo dei servizi negati e cancellati negli anni.\r\nLo spazio della sperimentazione, della messa in gioco dei percorsi identitari, tanto radicati nella cultura, da parere quasi «naturali», spesso si estingue, polverizzato dalle tante cazzutissime donne in divisa, dalle manager in carriera, dalle femministe che inventano le gerarchie femminili per favorire operazioni di lobbing.\r\nLo scarto femminile non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nContro la normalizzazione delle nostre identità erranti il femminismo libertario si svincola dalla mera rivendicazione paritaria, per mettere in gioco una scommessa dalla posta molto alta.\r\nMiliardi di percorsi individuali, che attraversano i generi, costituiscono l’unico universale che ci contenga tutt*, quello delle differenze.\r\nVogliamo vivere, solcare le nostre strade, con la forza di chi sta intrecciando una rete robusta, capace di combattere la violenza di chi vuole affermare la dominazione patriarcale.\r\nNon abbiamo bisogno di tutele né di tutori, con o senza divisa. La nostra forza è nella solidarietà e nel mutuo appoggio.\r\nIl percorso di autonomia individuale lo costruiamo nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo.\r\nSiamo qui per spezzare l’ordine. Morale, sociale, economico.\r\nSiamo qui per frantumare la gerarchia, per esserci, ciascun* a proprio modo.\r\n\r\nAnarchiche contro la violenza di genere\r\n\r\nCi trovate ogni giovedì alle 19 presso la FAT in corso Palermo 46\r\n******\r\nReferendum. La Carta e le carte truccate\r\nNemmeno il terremoto può fermare la macchina referendaria: il tormentone che ci affligge da mesi continua imperterrito. Anzi il terremoto può fornire un’ottima occasione per dimostrare il valore di questo governo e del suo leader maximo e ridurre la componente politica sulle scelte dei votanti a vantaggio di quella emozionale.\r\nE’ infatti indubbio che la cassa di risonanza mediatica sul protagonismo di Renzi e soci nell’affrontare la tragicità degli effetti del terremoto sulla vita delle popolazioni colpite avrà un impatto sulla valutazione complessiva del governo; fatto questo non indifferente se consideriamo che dai sondaggi (con tutti i distinguo del caso) risulterebbe che se un terzo dell’elettorato è a conoscenza del significato dei quesiti referendari – e quindi voterebbe a ragion veduta – ben due terzi ne è all’oscuro, o per disinteresse, o per rifiuto cosciente, o per la complessità della materia, e quindi voterebbe – sic et simpliciter – su Renzi ed il suo governo. D’altronde è lo stesso Renzi che ha operato in questa direzione mettendo il suo corpo, il suo futuro direttamente in gioco promettendo la sua uscita dalla scena politica in caso di sconfitta.\r\nCon il dilemma ‘o con me o contro di me’ Renzi porta all’apice il ragionamento su cosa sia il meno peggio proponendosi come l’unico possibile salvatore della patria, l’innovatore in grado di fare ripartire il paese. Un film già visto, con Craxi, Berlusconi, e tanti altri attori consumati e ormai consunti.\r\nLa partita, per Renzi, è impegnativa e va giocata su più fronti. Avere la maggioranza del partito con se e registrare che la maggioranza dei deputati del PD è legata al suo oppositore interno Bersani, non rende il gioco facile; così come vedere tutta l’opposizione istituzionale (e non solo) coalizzata contro di se impone a Renzi di doversi inventare quanto più di fantasmagorico ci sia – mance elettorali comprese - per vincere la singolar tenzone.\r\nEppure i giochi sembravano fatti. Con la ristrutturazione del Senato si vuole portare a maturazione il dibattito che ha attraversato il ceto politico di questo paese per decenni - vedi le proposte di presidenzialismo e di monocameralismo avanzate a più riprese – e che puntava, con accelerazioni più o meno variabili, al rafforzamento dell’esecutivo e alla riduzione dei soggetti politici in gioco.\r\nGli sbarramenti elettorali, i premi di maggioranza, le alchimie sui collegi elettorali, eccetera sono stati gli espedienti messi in campo per ottenere questo risultato: costringere all’accorpamento i partiti più piccoli, favorire il sorgere di due schieramenti più o meno contrapposti, assicurare la governabilità sempre e comunque. La decretazione d’urgenza, l’ingerenza del Presidente della Repubblica, il trasformismo eclatante hanno fatto il resto riducendo il Parlamento a semplice comprimario di scelte operate altrove, nei corridoi animati dai lobbisti di ogni specie, oppure a palcoscenico degli spettacolini di un’opposizione in cerca di visibilità.\r\nE’ un progetto questo che ha molti progenitori, addirittura c’è chi ricorda il ‘Piano per la rinascita nazionale’ del venerabile maestro Licio Gelli, animatore di quella Loggia P2, menzionata recentemente per l’impegno profuso nel combatterla da Tina Anselmi, utilizzata opportunisticamente dal ‘premier’ per il suo spessore democratico sociale.\r\nLa trasformazione del Senato secondo le linee della riforma Boschi, in accoppiata con la legge elettorale recentemente approvata, l’Italicum, concluderebbe il percorso tracciato, snellendo i tempi e le procedure legislative – anche se oggi la quantità delle leggi approvate ha pochi eguali nei paesi a democrazia parlamentare – e conferendo al governo in carica un gigantesco potere d’indirizzo, dopo aver demolito l’autonomia regionale a favore di una ri-centralizzazione statale.\r\nIn un contesto nel quale la partita politica si giocava in due, come era la situazione fino all’irrompere sulla scena di un terzo incomodo, il Movimento 5 stelle, questo rafforzamento era comunque funzionale ad entrambi, in un contesto nel quale le politiche sostanziali poco differiscono le une dalle altre, condizionate come sono dagli scenari internazionali, dalle burocrazie europee, dal controllo della NATO, dalle dinamiche del capitale.\r\nLa presenza del terzo incomodo ha mescolato le carte in tavola; la possibilità che possa vincere le prossime elezioni e prendere nelle proprie mani le leve del governo inquieta fortemente gli assetti tradizionali del potere, preoccupati dalla natura trasversale del movimento, ancora poco noto ai più, se non per la sua massa critica, il suo portato populista e legalista, il suo antieuropeismo. L’irrompere della variabile pentastellata sulla scena, costringe la casta a riformulare i propri assetti, a riconquistare il palcoscenico dello spettacolo politicista riproponendosi come garante degli interessi settoriali del paese. Lo scontro si fa via via più acceso, tra modernizzatori fedeli esecutori degli interessi delle multinazionali e dei grandi gruppi aziendali che chiedono meno burocrazia, tempi certi della giustizia, snellimento generale delle pratiche e dei controlli, e difensori dello status quo, delle rendite di posizione, delle logiche clientelari e familistiche. In un contesto dove populisti euroscettici cercano di coniugare il consenso territoriale costruito sul tema della ‘piccola patria’ con la difesa della ‘razza’ italica a fronte del processo migratorio in corso. Dove si parla e straparla di un ‘patto per la crescita’ tra governo, imprese e sindacato, condizionato da un SI che aprirebbe le porte agli ambiti investimenti internazionali (e conseguentemente alla svendita del patrimonio italico), e contrastato da un NO che vorrebbe la riapertura del mercato ministeriale delle poltrone conseguente alla prevedibile caduta del governo.\r\nLa natura dello scontro tra le varie frazioni della borghesia e della classe dirigente del paese appare sempre più chiaro, solo a volerlo vedere.\r\nNon c’era alcun disaccordo sostanziale quando si è trattato di modificare lacostituzione introducendo, tra i suoi articoli, l’obbligo della parità di bilancio: tanto, male che vada, i suoi costi vengono scaricati sui lavoratori e sulla povera gente.\r\nIl disaccordo sorge quando un settore vuole imporre un’accelerazione nel cambiamento in corso, spostando decisamente l’asse del potere a favore dello schieramento della modernizzazione ipercapitalista e globalizzatrice. Basta vedere chi sono i sostenitori della riforma: Confindustria, la grande finanza, le Banche, la classe dirigente internazionale da Obama alla Merkel, eccetera che con minacce e lusinghe operano sfacciatamente a favore di Renzi, un presidente del consiglio mai eletto, imposto da un presidente della repubblica che ha travalicato ogni suo limite, sanzionato solamente dal successo del suo partito in una elezione ininfluente come quella per il parlamento europeo.\r\nChe bisogno c’è di cambiare la costituzione, quando la costituzione materiale, quella fatta di cose concrete per la vita delle persone – non quella formale, idealizzata, ‘nata’ dalla Resistenza - ha consentito negli anni lo sviluppo di politiche di impoverimento della popolazione, di aggressione militare ad altri paesi, di attacco al mondo del lavoro, di arricchimento indecente per la classi privilegiate, di progressiva liquidazione del sistema di protezione sociale, dalla sanità all’assistenza?\r\nEvidentemente tutto questo non basta. La crescente competizione per l’accaparramento delle risorse, la continua e accelerata necessità di valorizzazione del capitale spingono verso l’amplificazione dei conflitti, sia aperti in forma di guerra sia sotterranei in forma di condizionamenti e ricatti.\r\nQuesto impone alle classi dirigenti, dominanti nello stesso schieramento borghese, di trovare assetti di potere più confacenti alle loro esigenze. Da qui i cambiamenti strutturali in corso, in Italia come altrove, per adeguare la macchina statale alle nuove incombenze.\r\nLa chiamata alle armi per l’affermazione del SI nel prossimo referendumistituzionale non è solo un passo necessario legato alle procedure di modifica costituzionale, ma è anche il tentativo di legare il più possibile al governo il favore popolare, oggi come oggi, particolarmente necessario in vista delle sfide che ci aspettano.\r\nE’ necessario quindi che anche in questa scadenza ci si mobiliti per mostrare la vera portata della partita in gioco, gli scenari e le ricadute che ci si prospetteranno se non si svilupperà una vera opposizione.\r\nVera opposizione, dunque, che significa ripresa del conflitto sociale su larga scala, azione diretta di massa, mobilitazione del mondo del lavoro, riappropriazione e controllo territoriale, rilancio della solidarietà internazionalista, superamento dei confini, pratiche di accoglienza reale dei profughi, antimilitarismo.\r\nAl di fuori di questo quale potrebbe essere un’opposizione in grado di mettere i bastoni tra le ruote dei manovratori? Non certo quella che si muove su un piano formale come quello della difesa della Costituzione nata dalla Resistenza. Al di la della retorica - che in realtà offende il partigianato, soprattutto nella sua componente sovversiva e rivoluzionaria – occorre ricordare che la Costituzione è nata dalla mediazione tra Democratici Cristiani, Comunisti, Socialisti e Liberali i quali ben si guardarono di fissare norme chiare e nette che potessero essere utilizzate dagli uni contro gli altri. Risultato: le più alte aspirazioni contenute nella Carta – che la rendono per alcuni la più bella del mondo – sono sempre risultate disattese, foglie di fico di un potere sempre arrogante e accaparratore. Solo ampi movimenti popolari, espressione di bisogni e volontà collettive, sono riusciti a modificare, nel tempo, gli assetti di potere, le strutture giuridiche e politiche del paese, non certo una mobilitazione di carta giocata sulla Carta.\r\nRicordando le frustrazioni seguite ai referendum vinti sull’onda di mobilitazioni significative e importanti, come quello contro la privatizzazione dell’acqua, o di battaglie di opinione come quello sul finanziamento pubblico ai partiti, ma vanificati dalle furberie della casta, i sinceri oppositori della riforma dovrebbero attenersi ad una visione realistica delle cose.\r\nLa vittoria del NO rappresenterebbe semplicemente un rallentamento dei processi in corso e probabilmente una rimessa in discussione degli equilibri governativi, ma a vantaggio di chi? Qualcuno sosteneva un tempo ‘grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente’. Ma oggi è così? Esiste un movimento reale in grado di essere protagonista nella crisi governativa e di imporre la propria agenda di trasformazione sulle cose che contano: salario, lavoro, casa, salute, scuola, guerra, immigrazione, ambiente, libertà individuali e collettive?\r\nOppure prevarrà la politica politicante, fatta sempre di deleghe, di capetti ambiziosi, di prevaricazioni e di corruttele?\r\nLa partecipazione alla campagna per il NO in realtà continua a rimanere nel solco della politica delegata, della fiducia nei meccanismi della democrazia parlamentare, sperando di rosicchiare margini di manovra all’interno della più generale crisi di sistema.\r\nIl ‘NO Sociale’ non sfugge a questa condizione, anche se le sue parole d’ordine puntano sulla possibilità di sviluppare una stagione di lotta a partire proprio dalla vittoria del NO. Non è la prima volta che si è opera per costruire un fronte di tutte le opposizioni sociali che metta insieme le espressioni più varie della conflittualità sociale, da quelle dell’autorganizzazione a quelle che hanno nelle pratiche delegate la loro sostanza, per farle convergere sul piano di una lotta che di fatto è tutta interna ai meccanismi istituzionali, avendo tra l’altro come ‘cobelligeranti’ le espressioni più becere della destra che ne annacquano la portata. I risultati nel passato si sono visti e credo che si ripeteranno, contribuendo ad un’ulteriore frustrazione complessiva dei soggetti coinvolti, i quali credendo di conseguire un obiettivo significativo in realtà fanno un favore alla nuova casta montante, quella che si ritrova nel Movimento 5 stelle.\r\nQuesto non vuol dire indifferentismo politico; non vuol dire che tutte le forme del potere sono eguali; sappiamo ben distinguere tra democrazia rappresentativa e dittatura; ma una vera battaglia contro le riforme in atto non può oggi assolutamente prescindere dall’assoluta necessità della ripresa del conflitto sociale che non può farsi condizionare da un dibattito che è centrale solo per un ceto politico preoccupato per la propria esistenza. Il contrapporsi tra ‘riforma’ e ‘conservazione’ vuole occultare la realtà delle forme di sfruttamento attuali, per favorire un loro ‘rinnovamento’ in funzione delle esigenze di ristrutturazione e di riorganizzazione dell’apparato statale alle prese con le emergenze dell’attuale sistema geopolitico mondiale.\r\nBisogna scegliere: o porsi a difesa di quel che resta della democrazia parlamentare, individuando in essa una residua barriera all’incalzare dell’autoritarismo montante, o imboccare decisamente la strada della lotta, interna ai corpi sociali con tutte le loro potenzialità e contraddizioni, in funzione di un progetto di società altra, da costruire giorno per giorno, fuori da ogni opportunismo politicista.\r\nA fronte di una politica che fa del parlamento e della governabilità il suo centro di interesse occorre contrapporre un pensiero ed un’azione che abbiano il loro punto di riferimento nella capacità di autoorganizzazione popolare; occorre contrapporre la proposta e la pratica del comunalismo, libertario e federativo, articolato sul territorio, dal semplice al complesso.\r\nSfuggire dai meccanismi della democrazia rappresentativa significa entrare nel concreto della critica del concetto stesso di maggioranza e minoranza, significa rifiutare la riproduzione, pura e semplice, dei rituali parlamentari negli stessi organismi rappresentativi dei lavoratori per dare invece prevalenza all’autoorganizzazione, alla lotta, al libero confronto delle idee.\r\nI rapporti di forza si sono sempre modificati con la lotta diretta e la via politica ha sempre rappresentato il disarmo della conflittualità sociale. Con questa consapevolezza ci tiriamo fuori dai ricatti agitati da quanti, a sinistra, sono alle prese con le pulsioni egemoniche di ceti politici trasformisti ed opportunisti, incapaci di produrre politiche realmente alternative, sul terreno economico, dell’occupazione, della riduzione d’orario, del degrado urbano e ambientale, della sanità, della scuola, ecc.\r\nAstenersi, non cadere nella trappola delle false alternative e del recupero elettorale, rafforzare le armi della critica intransigente, dell’organizzazione, del protagonismo sociale, dell’azione tra le classi sfruttate ed oppresse, vuol dire porre le basi per un’incisiva azione rivoluzionaria che colpisce, nel parlamentarismo, un sistema di governo che impone leggi e tasse, decise da una cerchia ristretta di privilegiati, indipendentemente dalla volontà degli elettori.\r\nAstenersi, per gli anarchici, vuol dire manifestare la volontà di non essere governati, vuol dire non rendersi corresponsabili dello sfruttamento e dell’oppressione, vuol dire volontà di una società di libere associazioni federate.\r\nMassimo Varengo in Umanità Nova\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","13 Novembre 2016","2018-10-17 22:58:55","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/fuoco-al-tricolore-200x110.jpg","Anarres dell’11 novembre. Appendino alla guerra contro i rom, la vittoria del Jocker, femminismi, antimilitarismo, referendum, un gioco a carte truccate",1479042494,[362,363,364,365,366,367],"http://radioblackout.org/tag/antimilitarismo/","http://radioblackout.org/tag/appendino/","http://radioblackout.org/tag/cacerolata/","http://radioblackout.org/tag/femminismi/","http://radioblackout.org/tag/rom/","http://radioblackout.org/tag/trump/",[219,213,217,215,209,211],{"post_content":370},{"matched_tokens":371,"snippet":372,"value":373},[68],"femminile non è iscritto nella \u003Cmark>natura\u003C/mark> ma nemmeno nella cultura, è","Ogni venerdì vi invitiamo a sbarcare su Anarres, il pianeta delle utopie concrete, dalle 10,45 alle 12,45 sui 105.250 delle libere frequenze di Blackout\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n2016-11-11-anarres1\r\n\r\n2016-11-11-anarres2\r\n\r\n2016-11-11-anarres3\r\nIn questa puntata:\r\nAppendino e Padalino dichiarano guerra ai rom di via Germagnano. Sgomberi, retate, fogli di via e deportazioni\r\nThe president is a Trump. Sessista, razzista, volgare. Un miliardario outsider approda alla Casa Bianca, dopo una campagna elettorale con toni da bar Sport. Ne abbiamo parlato con Lorcon, redattore di Umanità Nova\r\n\r\nCacerolata femminista a San Salvario \r\nReferendum. La Carta e le carte truccate\r\nFuoco al Tricolore! Una settimana contro il militarismo\r\n\r\nPer approfondimenti:\r\nFuoco al Tricolore! Una settimana contro il militarismo\r\nUna bandiera tricolore è stata data alle fiamme di fronte alla polizia in assetto antisommossa e alla polizia politica in gran forze per difendere le forze armate, che, anche quest'anno, erano in piazza Castello per la cerimonia dell'ammainabandiera, che conclude la festa delle forze armate il 4 novembre. \r\nGli antimilitaristi puntuali all'appuntamento, si sono mossi in corteo con striscioni, bici da trasporto con carro armato e Samba Band dalla piazza del Comune fino al blocco di polizia in via Garibaldi, cento metri prima dei soldati in alta uniforme. \r\nUn applauso ha accolto l'azione antipatriottica. \r\nNumerosi gli interventi dal megafono per un'iniziativa di comunicazione e lotta, che, dopo un lungo fronteggiamento e l'intervento dell'automobilina kamicazza, si sono mossi per via Garibaldi, sino a guadagnare piazza Castello, dove i militari avevano chiuso alla svelta il loro rituale bellico. \r\nLa giornata di lotta del 4 novembre era l'ultima di una settimana di iniziative. Sabato 29 ottobre al Balon, un presidio itinerante, con performance contro eserciti e fabbriche d'armi, interventi e musica, aveva aperto le iniziative promosse dall'assemblea antimilitarista. \r\n\r\nIl mercoledì successivo si era svolta un'iniziativa di approfondimento “Bombe, muri e frontiere. Giochi di potenza dal Mediterraneo all’Eufrate. Dal nuovo secolo americano al tutti contro tutti”. La serata, introdotta da Stefano Capello, è stata occasione per capirne di più sugli equilibri geopolitici, in un pianeta sempre più multipolare, ad alleanze variabili, dove prevale la logica terrificante del caos sistemico. \r\n\r\nQui il testo dell’appello per la settimana antimilitarista\r\n\r\n*********\r\nCacerolata femminista a San Salvario \r\n\r\nQui il testo del volantino distribuito in piazza:\r\n\r\nSentieri di libertà\r\nLibertà, uguaglianza, solidarietà. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo con la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza.\r\nTanta parte dell’umanità resta(va) fuori dal loro ombrello protettivo: poveri, donne, omosessuali, bambini. L’universalità di questi principi, formalmente neutra, era modellata sul maschio adulto, benestante, eterosessuale. Il resto era margine. Chi non era pienamente umano non poteva certo aspirare alle libertà degli uomini.\r\nUna libertà soggetta a norma, regolata, imbrigliata, incasellata. La cultura dominante ne determina le possibilità, le leggi dello Stato ne fissano limiti e condizioni.\r\nLe nonne delle ragazze di oggi passavano dalla potestà paterna a quella maritale: le regole del matrimonio le mantenevano minorenni a vita.\r\nLe donne stuprate, sino al 5 settembre del 1981, potevano sottrarsi alla vergogna ed essere riammesse nel consesso sociale, se accettavano di sposare il proprio stupratore. Una violenza più feroce di quella già subita. Se una donna era uccisa per motivi di “onore”, questa era una potente attenuante. Uccidere per punire le donne infedeli era considerato giusto.\r\n\r\nSono passati 34 anni da quando quelle norme vennero cancellate dal codice penale. Poco prima era stato legalizzato il divorzio e depenalizzato l’aborto.\r\nSulla strada della libertà femminile e – con essa – quella di tutt* sono stati fatti tanti passi. Purtroppo non tutti in avanti.\r\n\r\nLe lotte delle donne hanno cancellato tante servitù. Ma ne paghiamo, ogni giorno, il prezzo.\r\n\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. La casa, il “privato”, è il luogo dove si consumano la maggior parte delle violenze e delle uccisioni. Le donne libere vengono picchiate, stuprate e ammazzate per affermare il potere maschile, per riprendere con la forza il controllo sui loro corpi e sulle loro menti.\r\n\r\nLa narrazione prevalente sui media è falsa, perché nasconde la realtà cruda della violenza maschile sulle donne. Non solo. Trasforma le donne in vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale ma non tanto, di rinforzare l’opinione che le donne siano intrinsecamente deboli.\r\nLa violenza esplicita è solo la punta dell’iceberg. Il patriarcato, sconfitto ma non in rotta, riemerge in maniere più subdole.\r\n\r\nIl prezzo dell’emancipazione femminile è stato anche l’adeguamento all’universale, che resta saldamente maschile ed eterosessuale. Lo scarto, la differenza femminile, in tutta l’ambiguità di un percorso identitario segnato da una schiavitù anche volontaria, finisce frantumata, dispersa, illeggibile, se non nel ri-adeguamento ad un ruolo di cura, sostitutivo dei servizi negati e cancellati negli anni.\r\nLo spazio della sperimentazione, della messa in gioco dei percorsi identitari, tanto radicati nella cultura, da parere quasi «naturali», spesso si estingue, polverizzato dalle tante cazzutissime donne in divisa, dalle manager in carriera, dalle femministe che inventano le gerarchie femminili per favorire operazioni di lobbing.\r\nLo scarto femminile non è iscritto nella \u003Cmark>natura\u003C/mark> ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nContro la normalizzazione delle nostre identità erranti il femminismo libertario si svincola dalla mera rivendicazione paritaria, per mettere in gioco una scommessa dalla posta molto alta.\r\nMiliardi di percorsi individuali, che attraversano i generi, costituiscono l’unico universale che ci contenga tutt*, quello delle differenze.\r\nVogliamo vivere, solcare le nostre strade, con la forza di chi sta intrecciando una rete robusta, capace di combattere la violenza di chi vuole affermare la dominazione patriarcale.\r\nNon abbiamo bisogno di tutele né di tutori, con o senza divisa. La nostra forza è nella solidarietà e nel mutuo appoggio.\r\nIl percorso di autonomia individuale lo costruiamo nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo.\r\nSiamo qui per spezzare l’ordine. Morale, sociale, economico.\r\nSiamo qui per frantumare la gerarchia, per esserci, ciascun* a proprio modo.\r\n\r\nAnarchiche contro la violenza di genere\r\n\r\nCi trovate ogni giovedì alle 19 presso la FAT in corso Palermo 46\r\n******\r\nReferendum. La Carta e le carte truccate\r\nNemmeno il terremoto può fermare la macchina referendaria: il tormentone che ci affligge da mesi continua imperterrito. Anzi il terremoto può fornire un’ottima occasione per dimostrare il valore di questo governo e del suo leader maximo e ridurre la componente politica sulle scelte dei votanti a vantaggio di quella emozionale.\r\nE’ infatti indubbio che la cassa di risonanza mediatica sul protagonismo di Renzi e soci nell’affrontare la tragicità degli effetti del terremoto sulla vita delle popolazioni colpite avrà un impatto sulla valutazione complessiva del governo; fatto questo non indifferente se consideriamo che dai sondaggi (con tutti i distinguo del caso) risulterebbe che se un terzo dell’elettorato è a conoscenza del significato dei quesiti referendari – e quindi voterebbe a ragion veduta – ben due terzi ne è all’oscuro, o per disinteresse, o per rifiuto cosciente, o per la complessità della materia, e quindi voterebbe – sic et simpliciter – su Renzi ed il suo governo. D’altronde è lo stesso Renzi che ha operato in questa direzione mettendo il suo corpo, il suo futuro direttamente in gioco promettendo la sua uscita dalla scena politica in caso di sconfitta.\r\nCon il dilemma ‘o con me o contro di me’ Renzi porta all’apice il ragionamento su cosa sia il meno peggio proponendosi come l’unico possibile salvatore della patria, l’innovatore in grado di fare ripartire il paese. Un film già visto, con Craxi, Berlusconi, e tanti altri attori consumati e ormai consunti.\r\nLa partita, per Renzi, è impegnativa e va giocata su più fronti. Avere la maggioranza del partito con se e registrare che la maggioranza dei deputati del PD è legata al suo oppositore interno Bersani, non rende il gioco facile; così come vedere tutta l’opposizione istituzionale (e non solo) coalizzata contro di se impone a Renzi di doversi inventare quanto più di fantasmagorico ci sia – mance elettorali comprese - per vincere la singolar tenzone.\r\nEppure i giochi sembravano fatti. Con la ristrutturazione del Senato si vuole portare a maturazione il dibattito che ha attraversato il ceto politico di questo paese per decenni - vedi le proposte di presidenzialismo e di monocameralismo avanzate a più riprese – e che puntava, con accelerazioni più o meno variabili, al rafforzamento dell’esecutivo e alla riduzione dei soggetti politici in gioco.\r\nGli sbarramenti elettorali, i premi di maggioranza, le alchimie sui collegi elettorali, eccetera sono stati gli espedienti messi in campo per ottenere questo risultato: costringere all’accorpamento i partiti più piccoli, favorire il sorgere di due schieramenti più o meno contrapposti, assicurare la governabilità sempre e comunque. La decretazione d’urgenza, l’ingerenza del Presidente della Repubblica, il trasformismo eclatante hanno fatto il resto riducendo il Parlamento a semplice comprimario di scelte operate altrove, nei corridoi animati dai lobbisti di ogni specie, oppure a palcoscenico degli spettacolini di un’opposizione in cerca di visibilità.\r\nE’ un progetto questo che ha molti progenitori, addirittura c’è chi ricorda il ‘Piano per la rinascita nazionale’ del venerabile maestro Licio Gelli, animatore di quella Loggia P2, menzionata recentemente per l’impegno profuso nel combatterla da Tina Anselmi, utilizzata opportunisticamente dal ‘premier’ per il suo spessore democratico sociale.\r\nLa trasformazione del Senato secondo le linee della riforma Boschi, in accoppiata con la legge elettorale recentemente approvata, l’Italicum, concluderebbe il percorso tracciato, snellendo i tempi e le procedure legislative – anche se oggi la quantità delle leggi approvate ha pochi eguali nei paesi a democrazia parlamentare – e conferendo al governo in carica un gigantesco potere d’indirizzo, dopo aver demolito l’autonomia regionale a favore di una ri-centralizzazione statale.\r\nIn un contesto nel quale la partita politica si giocava in due, come era la situazione fino all’irrompere sulla scena di un terzo incomodo, il Movimento 5 stelle, questo rafforzamento era comunque funzionale ad entrambi, in un contesto nel quale le politiche sostanziali poco differiscono le une dalle altre, condizionate come sono dagli scenari internazionali, dalle burocrazie europee, dal controllo della NATO, dalle dinamiche del capitale.\r\nLa presenza del terzo incomodo ha mescolato le carte in tavola; la possibilità che possa vincere le prossime elezioni e prendere nelle proprie mani le leve del governo inquieta fortemente gli assetti tradizionali del potere, preoccupati dalla \u003Cmark>natura\u003C/mark> trasversale del movimento, ancora poco noto ai più, se non per la sua massa critica, il suo portato populista e legalista, il suo antieuropeismo. L’irrompere della variabile pentastellata sulla scena, costringe la casta a riformulare i propri assetti, a riconquistare il palcoscenico dello spettacolo politicista riproponendosi come garante degli interessi settoriali del paese. Lo scontro si fa via via più acceso, tra modernizzatori fedeli esecutori degli interessi delle multinazionali e dei grandi gruppi aziendali che chiedono meno burocrazia, tempi certi della giustizia, snellimento generale delle pratiche e dei controlli, e difensori dello status quo, delle rendite di posizione, delle logiche clientelari e familistiche. In un contesto dove populisti euroscettici cercano di coniugare il consenso territoriale costruito sul tema della ‘piccola patria’ con la difesa della ‘razza’ italica a fronte del processo migratorio in corso. Dove si parla e straparla di un ‘patto per la crescita’ tra governo, imprese e sindacato, condizionato da un SI che aprirebbe le porte agli ambiti investimenti internazionali (e conseguentemente alla svendita del patrimonio italico), e contrastato da un NO che vorrebbe la riapertura del mercato ministeriale delle poltrone conseguente alla prevedibile caduta del governo.\r\nLa \u003Cmark>natura\u003C/mark> dello scontro tra le varie frazioni della borghesia e della classe dirigente del paese appare sempre più chiaro, solo a volerlo vedere.\r\nNon c’era alcun disaccordo sostanziale quando si è trattato di modificare lacostituzione introducendo, tra i suoi articoli, l’obbligo della parità di bilancio: tanto, male che vada, i suoi costi vengono scaricati sui lavoratori e sulla povera gente.\r\nIl disaccordo sorge quando un settore vuole imporre un’accelerazione nel cambiamento in corso, spostando decisamente l’asse del potere a favore dello schieramento della modernizzazione ipercapitalista e globalizzatrice. Basta vedere chi sono i sostenitori della riforma: Confindustria, la grande finanza, le Banche, la classe dirigente internazionale da Obama alla Merkel, eccetera che con minacce e lusinghe operano sfacciatamente a favore di Renzi, un presidente del consiglio mai eletto, imposto da un presidente della repubblica che ha travalicato ogni suo limite, sanzionato solamente dal successo del suo partito in una elezione ininfluente come quella per il parlamento europeo.\r\nChe bisogno c’è di cambiare la costituzione, quando la costituzione materiale, quella fatta di cose concrete per la vita delle persone – non quella formale, idealizzata, ‘nata’ dalla Resistenza - ha consentito negli anni lo sviluppo di politiche di impoverimento della popolazione, di aggressione militare ad altri paesi, di attacco al mondo del lavoro, di arricchimento indecente per la classi privilegiate, di progressiva liquidazione del sistema di protezione sociale, dalla sanità all’assistenza?\r\nEvidentemente tutto questo non basta. La crescente competizione per l’accaparramento delle risorse, la continua e accelerata necessità di valorizzazione del capitale spingono verso l’amplificazione dei conflitti, sia aperti in forma di guerra sia sotterranei in forma di condizionamenti e ricatti.\r\nQuesto impone alle classi dirigenti, dominanti nello stesso schieramento borghese, di trovare assetti di potere più confacenti alle loro esigenze. Da qui i cambiamenti strutturali in corso, in Italia come altrove, per adeguare la macchina statale alle nuove incombenze.\r\nLa chiamata alle armi per l’affermazione del SI nel prossimo referendumistituzionale non è solo un passo necessario legato alle procedure di modifica costituzionale, ma è anche il tentativo di legare il più possibile al governo il favore popolare, oggi come oggi, particolarmente necessario in vista delle sfide che ci aspettano.\r\nE’ necessario quindi che anche in questa scadenza ci si mobiliti per mostrare la vera portata della partita in gioco, gli scenari e le ricadute che ci si prospetteranno se non si svilupperà una vera opposizione.\r\nVera opposizione, dunque, che significa ripresa del conflitto sociale su larga scala, azione diretta di massa, mobilitazione del mondo del lavoro, riappropriazione e controllo territoriale, rilancio della solidarietà internazionalista, superamento dei confini, pratiche di accoglienza reale dei profughi, antimilitarismo.\r\nAl di fuori di questo quale potrebbe essere un’opposizione in grado di mettere i bastoni tra le ruote dei manovratori? Non certo quella che si muove su un piano formale come quello della difesa della Costituzione nata dalla Resistenza. Al di la della retorica - che in realtà offende il partigianato, soprattutto nella sua componente sovversiva e rivoluzionaria – occorre ricordare che la Costituzione è nata dalla mediazione tra Democratici Cristiani, Comunisti, Socialisti e Liberali i quali ben si guardarono di fissare norme chiare e nette che potessero essere utilizzate dagli uni contro gli altri. Risultato: le più alte aspirazioni contenute nella Carta – che la rendono per alcuni la più bella del mondo – sono sempre risultate disattese, foglie di fico di un potere sempre arrogante e accaparratore. Solo ampi movimenti popolari, espressione di bisogni e volontà collettive, sono riusciti a modificare, nel tempo, gli assetti di potere, le strutture giuridiche e politiche del paese, non certo una mobilitazione di carta giocata sulla Carta.\r\nRicordando le frustrazioni seguite ai referendum vinti sull’onda di mobilitazioni significative e importanti, come quello contro la privatizzazione dell’acqua, o di battaglie di opinione come quello sul finanziamento pubblico ai partiti, ma vanificati dalle furberie della casta, i sinceri oppositori della riforma dovrebbero attenersi ad una visione realistica delle cose.\r\nLa vittoria del NO rappresenterebbe semplicemente un rallentamento dei processi in corso e probabilmente una rimessa in discussione degli equilibri governativi, ma a vantaggio di chi? Qualcuno sosteneva un tempo ‘grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente’. Ma oggi è così? Esiste un movimento reale in grado di essere protagonista nella crisi governativa e di imporre la propria agenda di trasformazione sulle cose che contano: salario, lavoro, casa, salute, scuola, guerra, immigrazione, ambiente, libertà individuali e collettive?\r\nOppure prevarrà la politica politicante, fatta sempre di deleghe, di capetti ambiziosi, di prevaricazioni e di corruttele?\r\nLa partecipazione alla campagna per il NO in realtà continua a rimanere nel solco della politica delegata, della fiducia nei meccanismi della democrazia parlamentare, sperando di rosicchiare margini di manovra all’interno della più generale crisi di sistema.\r\nIl ‘NO Sociale’ non sfugge a questa condizione, anche se le sue parole d’ordine puntano sulla possibilità di sviluppare una stagione di lotta a partire proprio dalla vittoria del NO. Non è la prima volta che si è opera per costruire un fronte di tutte le opposizioni sociali che metta insieme le espressioni più varie della conflittualità sociale, da quelle dell’autorganizzazione a quelle che hanno nelle pratiche delegate la loro sostanza, per farle convergere sul piano di una lotta che di fatto è tutta interna ai meccanismi istituzionali, avendo tra l’altro come ‘cobelligeranti’ le espressioni più becere della destra che ne annacquano la portata. I risultati nel passato si sono visti e credo che si ripeteranno, contribuendo ad un’ulteriore frustrazione complessiva dei soggetti coinvolti, i quali credendo di conseguire un obiettivo significativo in realtà fanno un favore alla nuova casta montante, quella che si ritrova nel Movimento 5 stelle.\r\nQuesto non vuol dire indifferentismo politico; non vuol dire che tutte le forme del potere sono eguali; sappiamo ben distinguere tra democrazia rappresentativa e dittatura; ma una vera battaglia contro le riforme in atto non può oggi assolutamente prescindere dall’assoluta necessità della ripresa del conflitto sociale che non può farsi condizionare da un dibattito che è centrale solo per un ceto politico preoccupato per la propria esistenza. Il contrapporsi tra ‘riforma’ e ‘conservazione’ vuole occultare la realtà delle forme di sfruttamento attuali, per favorire un loro ‘rinnovamento’ in funzione delle esigenze di ristrutturazione e di riorganizzazione dell’apparato statale alle prese con le emergenze dell’attuale sistema geopolitico mondiale.\r\nBisogna scegliere: o porsi a difesa di quel che resta della democrazia parlamentare, individuando in essa una residua barriera all’incalzare dell’autoritarismo montante, o imboccare decisamente la strada della lotta, interna ai corpi sociali con tutte le loro potenzialità e contraddizioni, in funzione di un progetto di società altra, da costruire giorno per giorno, fuori da ogni opportunismo politicista.\r\nA fronte di una politica che fa del parlamento e della governabilità il suo centro di interesse occorre contrapporre un pensiero ed un’azione che abbiano il loro punto di riferimento nella capacità di autoorganizzazione popolare; occorre contrapporre la proposta e la pratica del comunalismo, libertario e federativo, articolato sul territorio, dal semplice al complesso.\r\nSfuggire dai meccanismi della democrazia rappresentativa significa entrare nel concreto della critica del concetto stesso di maggioranza e minoranza, significa rifiutare la riproduzione, pura e semplice, dei rituali parlamentari negli stessi organismi rappresentativi dei lavoratori per dare invece prevalenza all’autoorganizzazione, alla lotta, al libero confronto delle idee.\r\nI rapporti di forza si sono sempre modificati con la lotta diretta e la via politica ha sempre rappresentato il disarmo della conflittualità sociale. Con questa \u003Cmark>consapevole\u003C/mark>zza ci tiriamo fuori dai ricatti agitati da quanti, a sinistra, sono alle prese con le pulsioni egemoniche di ceti politici trasformisti ed opportunisti, incapaci di produrre politiche realmente alternative, sul terreno economico, dell’occupazione, della riduzione d’orario, del degrado urbano e ambientale, della sanità, della scuola, ecc.\r\nAstenersi, non cadere nella trappola delle false alternative e del recupero elettorale, rafforzare le armi della critica intransigente, dell’organizzazione, del protagonismo sociale, dell’azione tra le classi sfruttate ed oppresse, vuol dire porre le basi per un’incisiva azione rivoluzionaria che colpisce, nel parlamentarismo, un sistema di governo che impone leggi e tasse, decise da una cerchia ristretta di privilegiati, indipendentemente dalla volontà degli elettori.\r\nAstenersi, per gli anarchici, vuol dire manifestare la volontà di non essere governati, vuol dire non rendersi corresponsabili dello sfruttamento e dell’oppressione, vuol dire volontà di una società di libere associazioni federate.\r\nMassimo Varengo in Umanità Nova\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org",[375],{"field":118,"matched_tokens":376,"snippet":372,"value":373},[68],{"best_field_score":152,"best_field_weight":38,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":153,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":17},6637,{"collection_name":235,"first_q":32,"per_page":189,"q":32},["Reactive",381],{},["Set"],["ShallowReactive",384],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fOrlYwQ64ZVRGPLr77vi7t6DL2psjI4CQ1aVsmM3nmbw":-1},true,"/search?query=natura+consapevole"]