","Memoria di Stato. Foibe e revisionismi","post",1612889388,[64,65,66,67,68,69],"http://radioblackout.org/tag/10-febbraio/","http://radioblackout.org/tag/foibe/","http://radioblackout.org/tag/frontiere/","http://radioblackout.org/tag/giorno-del-ricordo/","http://radioblackout.org/tag/memoria-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/nazionalismo/",[71,72,73,74,75,15],"10 febbraio","foibe","frontiere","giorno del ricordo","memoria di stato",{"post_content":77,"tags":81},{"matched_tokens":78,"snippet":79,"value":80},[15,15],"come a sinistra, fonda il \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> italiano, un \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> che si","[caption id=\"attachment_66619\" align=\"alignleft\" width=\"300\"] Bambini nel campo di concentramento italiano sull'isola di Rab, in Jugoslavia[/caption]\r\n\r\nL’Italia non ha mai fatto i conti con la propria storia coloniale, con il fascismo, con la guerra in Jugoslavia, in Grecia, in Africa. Il mito degli “italiani brava gente”, assunto in modo trasversale a destra come a sinistra, fonda il \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> italiano, un \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> che si nutre di un’aura di innocenza e bonarietà “naturali”.\r\nIn Italia la memoria è la prima vittima del \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark>, che impone una sorta di memoria di stato, che diviene segno culturale condiviso. Una sorta di marchio di fabbrica. Si sacrificano le virtù eroiche ma si eleva l’antieroismo dei buoni a cifra di un’identità collettiva.\r\nPeccato che sia tutto falso. Falso come i fondali di cartone dei film di qualche anno fa. Eppure, nonostante le ricerche storiche abbiamo mostrato la ferocia della trama sottesa al mito, questo sopravvive e si riproduce negli anni.\r\nLa gestione delle giornate della “memoria” e del “ricordo” assunte in modo bipartisan dalle varie forze politiche ha contribuito ad alimentare questa favola rassicurante, impedendo una riflessione collettiva che individuasse nei nazionalismi la radice culturale del male.\r\nSiamo di fronte ad una “memoria di Stato”. Una Memoria che unifica il ricordo del genocidio di milioni di ebrei nei lager nazisti con quello di una violenza molto più circoscritta e di significato profondamente diverso.\r\nI vertici dello Stato cercano di istituire una assonanza tra due eventi incomparabili per un fine ben preciso: sacralizzare l’identità nazionale.\r\nIl 10 febbraio è stato scelto come rievocazione del Trattato di pace del 1947, quello che ha sancito per l’Italia sconfitta la perdita di qualche fetta di territorio al confine orientale. A questa data sono collegate le uccisioni di un paio di migliaia di abitanti, prevalentemente italiani, delle zone istriane e l’emigrazione forzata dei giuliano-dalmati che sono stimati attorno alle 250.000 unità (dal 1944 alla fine degli anni Cinquanta). Ma soprattutto nell’immaginario collettivo sono ormai entrate, come un incubo, le voragini carsiche delle foibe in cui una parte dei morti vennero gettati. Qui vi è un evidente elemento di psicologia sociale inconscia: queste fosse comuni improvvisate, dove erano stati già gettati cadaveri di soldati tedeschi e animali, rappresentano agli occhi di molti italiani di oggi una cavità infernale e un’ulteriore motivo di rivendicazione nazionalista.\r\nAttorno alle foibe ruotava per decenni la propaganda nazionalista e neofascista a Trieste e dintorni, esagerando a dismisura il numero degli uccisi e degli esuli e presentando l’evento come un atto di “barbarie slavo-comunista”. Ora i termini sono meno esplicitamente razzisti, ma in compenso il tema è stato assunto come proprio da quasi tutte le forze politiche. Anzi buona parte dei politici di sinistra, a cominciare dai vertici istituzionali, recita l’autocritica per la “cecità ideologica” che avrebbe fatto dimenticare questi italiani, e quindi fratelli, povere vittime innocenti. Sempre più spesso si ignorano volutamente le pesanti responsabilità dell’esercito italiano che occupò la regione di Lubiana e che non fu meno feroce dei nazisti. Incendi, impiccagioni, fucilazioni, deportazioni e torture furono praticate su larga scala per domare la resistenza partigiana. Tutto ciò si sommò alla valanga di misure repressive, linguistiche e penali, che aveva caratterizzato, per un ventennio, il dominio dei fascisti italiani sulle popolazioni slave.\r\nOgni storico con un minimo di dignità sa che le violenze rivolte agli italiani sconfitti di queste zone vanno inquadrate nel contesto bellico e postbellico e che si spiegano, in buona parte, come risposta all’oppressione nazionale precedente. Per motivi di opportunismo politico e di consenso elettorale, molti politici confermano però l’immagine degli “italiani brava gente” ingiustamente colpiti solo per motivi di odio e malvagità nazionale. Questo odio certamente esisteva, e procurò anche delle ingiustizie individuali, ma aveva forti radici e ragioni nell’esperienza patita collettivamente da chi, con un enorme costo umano, aveva sostenuto la lotta degli antifascisti.\r\nLa comoda etichetta dell’italiano, militare o civile, buono e umanitario (molto migliore del tedesco cattivo e feroce) si basa sull’esaltazione di pochi casi isolati di non collaborazione con i piani della repressione sanguinaria. Lo scopo inconfessabile di tale propaganda è di oscurare il collaborazionismo di massa con la politica della terra bruciata che, anche in Jugoslavia, fu condotta senza incertezze né pietà dall’esercito italiano di occupazione.\r\nIl diffuso vittimismo nazionale nell’Italia di oggi vuole nascondere la verità storica proprio mentre i politici gareggiano nel pentimento per la propria amnesia del passato sul tema delle foibe. Il Ricordo di Stato deve essere unilaterale, aumentare le dimensioni, condire la rievocazione con particolari raccapriccianti e spesso non dimostrati. Gli infoibati sarebbero stati delle persone senza alcun coinvolgimento nell’occupazione fascista, scelti solo come italiani, colpiti in quanto non si piegavano al vincitore slavo e alla dittatura comunista. Anche se è ben vero che il nuovo potere jugoslavo era il risultato di un totalitarismo politico fuso con un esercito particolarmente gerarchico nato in durissimi scontri armati, non va dimenticato quanto gli italiani, quasi tutti, di queste regioni giuliano-dalmate si fossero identificati nel regime fascista che li favoriva in tutti i modi.\r\nPer dovere storico, non va cancellato il fatto che i responsabili italiani, militari e funzionari di polizia, di molti crimini di guerra in Jugoslavia furono protetti dai regimi democratici italiani e che “per carità di patria” i processi a tali imputati non furono mai svolti. L’Italia democratica e formalmente antifascista del 1946, anche con il sostanziale accordo delle sinistre, dapprima promise di consegnare i criminali di guerra italiani agli stati che li richiedevano, poi dichiarò di processarli in patria, infine favorì la loro fuga all’estero. Vi furono anche casi di reintegro nell’apparato statale e di folgorante carriera, fino alla carica di prefetto. È l’ennesima prova della permanenza nelle istituzioni post 1945 di un’intera generazione di funzionari fascisti in grado di difendere il loro passato di “servitori dello stato”.\r\nSe le vicende drammatiche delle foibe e le volontà di non dimenticare non fossero un alibi per rimuovere i lati oscuri dell’Italia fascista e postfascista, tutti gli “armadi della vergogna” delle violenze belliche di parte italiana dovrebbero essere aperti. Essi offrirebbero le informazioni documentate per una vera e non vittimistica storia del ruolo di molti italiani durante e dopo il tragico regime la cui responsabilità non fu certamente solo di un tale nato a Predappio.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, storico triestino\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/02/2021-02-09-foibe-venza.mp3\"][/audio]",[82,84,86,88,90,92],{"matched_tokens":83,"snippet":71},[],{"matched_tokens":85,"snippet":72},[],{"matched_tokens":87,"snippet":73},[],{"matched_tokens":89,"snippet":74},[],{"matched_tokens":91,"snippet":75},[],{"matched_tokens":93,"snippet":94},[15],"\u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark>",[96,101],{"field":38,"indices":97,"matched_tokens":98,"snippets":100},[20],[99],[15],[94],{"field":102,"matched_tokens":103,"snippet":79,"value":80},"post_content",[15,15],578730123365712000,{"best_field_score":106,"best_field_weight":107,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":109,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":50},"1108091339008",13,2,"578730123365711978",1,{"document":112,"highlight":136,"highlights":153,"text_match":104,"text_match_info":162},{"cat_link":113,"category":114,"comment_count":50,"id":115,"is_sticky":50,"permalink":116,"post_author":53,"post_content":117,"post_date":118,"post_excerpt":56,"post_id":115,"post_modified":119,"post_thumbnail":120,"post_thumbnail_html":121,"post_title":122,"post_type":61,"sort_by_date":123,"tag_links":124,"tags":130},[47],[49],"36906","http://radioblackout.org/2016/07/spratly-le-isole-che-non-ci-sono-tranne-per-il-nazionalismo-cinese/","[caption id=\"attachment_36907\" align=\"alignleft\" width=\"289\"] Isole contese del mar cinese meridionale[/caption]\r\n\r\nDa alcuni anni si assiste allo scontro tra nazioni che si affacciano sul Mar cinese meridionale, che cercano di mantenere diritti sui passaggi attraverso rotte che attraversano le isole Spratly, che permettono anche, in base ai criteri adottati per definire aree geografiche come arcipelaghi, isole o semplici lingue di terra, di accedere a zone di pesca molto redditizie; su questi interessi locali si innestano strategie di insinuamento da parte degli Usa nel \"porto personale\" della Repubblica popolare cinese, che in questo caso è schierata con Taiwan, che tende ad ascrivere quel tratto di mare come storicamente e tradizionalmente dipendente dalla Cina, poiché il riconoscimento dell'arcipelago come tale risale alla Cina nazionalista di Chang Kai Shek.\r\n\r\nNegli ultimi giorni la tensione è salita nel Pacifico, perché la Corte permanente di arbitrato dell'Aja non ha riconosciuto questo diritto storico della Cina e quindi il governo di Pechino avrebbe anche violato la sovranità filippina. La sentenza era ampiamente attesa e infatti la Cina aveva già preventivamente inaugurato due piste di atterraggio sulle presunte isole contese con Vietnam, Filippine, Malesia e Brunei, tutti stati appoggiati da Washington nelle loro rivendicazioni.\r\n\r\nLa mobilitazione soprattutto in rete è stata subito molto decisa, con i nazionalisti cinesi scatenati a rivendicare quel lembo di mare con petizioni firmate da migliaia di persone, mentre la reazione del governo è improntata a un basso profilo, volto a negoziare con i singoli stati accordi.\r\n\r\nOra si dischiudono varie soluzioni a questo ingarbugliato intrigo internazionale e per riuscire a sciogliere i dubbi ci siamo rivolti a un esperto di questioni cinesi: Gabriele Battaglia, che ha prontamente risposto a tutte le nostre perplessità:\r\n\r\nStrategie e interessi nel mar cinese meridionale\r\n\r\n ","15 Luglio 2016","2016-07-18 11:57:49","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/07/2016_07_15-spratly-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"289\" height=\"174\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/07/2016_07_15-spratly.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","Spratly: le isole che non ci sono, tranne per il nazionalismo cinese",1468592462,[125,126,127,69,128,129],"http://radioblackout.org/tag/cina/","http://radioblackout.org/tag/linea-dei-nove-tratti/","http://radioblackout.org/tag/mar-cinese-meridionale/","http://radioblackout.org/tag/spratly/","http://radioblackout.org/tag/zona-economica-esclusiva/",[131,132,133,15,134,135],"cina","linea dei nove tratti","mar cinese meridionale","Spratly","zona economica esclusiva",{"post_title":137,"tags":140},{"matched_tokens":138,"snippet":139,"value":139},[15],"Spratly: le isole che non ci sono, tranne per il \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> cinese",[141,143,145,147,149,151],{"matched_tokens":142,"snippet":131},[],{"matched_tokens":144,"snippet":132},[],{"matched_tokens":146,"snippet":133},[],{"matched_tokens":148,"snippet":94},[15],{"matched_tokens":150,"snippet":134},[],{"matched_tokens":152,"snippet":135},[],[154,159],{"field":38,"indices":155,"matched_tokens":156,"snippets":158},[28],[157],[15],[94],{"field":160,"matched_tokens":161,"snippet":139,"value":139},"post_title",[15],{"best_field_score":106,"best_field_weight":107,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":109,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":50},{"document":164,"highlight":208,"highlights":242,"text_match":104,"text_match_info":248},{"cat_link":165,"category":166,"comment_count":50,"id":167,"is_sticky":50,"permalink":168,"post_author":53,"post_content":169,"post_date":170,"post_excerpt":56,"post_id":167,"post_modified":171,"post_thumbnail":172,"post_thumbnail_html":173,"post_title":174,"post_type":61,"sort_by_date":175,"tag_links":176,"tags":192},[47],[49],"55313","http://radioblackout.org/2019/09/ronchi-dei-partigiani-contro-dannunzio/","A cent'anni dall'impresa fiumana del \"vate\" D'Annunzio le destre, dal PD ai neofascisti, celebrano l'avventura dannunziana presso il monumento edificato tra Monfalcone e Ronchi dei legionari. 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Siamo a Lucento, zona popolare di Torino. Qui c’è il villaggio santa Caterina: i nomi delle vie ricordano quelli dei paesi e delle città da cui arrivavano istriani e dalmati, che presero la via dell’esilio dopo la seconda guerra mondiale. Quelli che arrivarono a Torino finirono alle Casermette di Borgo San Paolo, un campo profughi che ospitava persone fuggite anche dalla Grecia, Francia, Libia, Montenegro, dall’Africa orientale italiana. Le guerre sospingono tanta gente lontana dal posto dove viveva. L’impero del Duce e del Re si dissolse, il confine orientale si spostò nuovamente verso ovest.\r\nI profughi delle Casermette di via Veglia, una zona isolata, priva di trasporti pubblici, vivevano ammassati nelle camerate trasformate in tendopoli: una corda e un telo garantivano una precaria intimità.\r\nIl villaggio Santa Caterina venne ultimato tra il 1956 e il 1959: undici blocchi di palazzine di edilizia popolare furono costruite per le famiglie di profughi dell’Istria e della Dalmazia. Allora quella zona di Torino era ancora campagna: strade, autobus, negozi, scuole sarebbero arrivati nei due decenni successivi.\r\n\r\nNel 2004 venne istituita la giornata del Ricordo dell’esilio istriano e dalmata e delle vittime delle Foibe. Poco dopo il comune di Torino fece apporre su una delle case del villaggio una lapide commemorativa.\r\n\r\nLa giornata del Ricordo, voluta dalle destre per rinfocolare la retorica patriottica, venne fatta propria anche dalla sinistra istituzionale. La memoria della guerra fascista sul fronte orientale, l’invasione della Jugoglavia e della Grecia, la feroce occupazione militare, i campi di concentramento dove la gente moriva di fame e sevizie, gli stupri, le torture è una memoria seppellita dal mito degli italiani brava gente. Un mito falso e consolatorio, che apre la via al revisionismo fascista. La giornata del Ricordo viene cavalcata ogni anno dalla destra xenofoba e razzista.\r\n\r\nQuest’anno sia Forza Nuova che Casa Pound si sono ritrovate due ore l’una dall’altra, al villaggio Santa Caterina.\r\n\r\nGli antifascisti torinesi si sono dati appuntamento nella zona del mercato di corso Cincinnato, all’angolo con via Valdellatorre. Un imponente schieramento di polizia difendeva i fascisti. Il corteo ha tentato più volte di aggirare la polizia, senza tuttavia riuscirvi. In una viuzza laterale la testa del corteo è stata caricata ed un compagno, Fabrizio, è stato preso, buttato a terra, manganellato e portato in questura e, da lì, al carcere delle Vallette.\r\n\r\nIl corteo ha fronteggiato ancora a lungo la polizia prima di avviarsi all’Edera Squat.\r\n\r\nLa fiaccolata di Casa Pound si è snodata per corso Toscana e il villaggio, protetta dalla polizia.\r\n\r\nI quotidiani del giorno successivo hanno tratteggiato un improbabile scenario di guerriglia.\r\n\r\nMartedì mattina si è svolta l’udienza di convalida dell’arresto di Fabrizio. 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I manifestanti, appoggiati sin dalle prime ore dal presidente della repubblica, il conservatore di destra Klaus Iohannis, non si accontentano.\r\nIl decreto revocato per la protesta popolare depenalizzava l'abuso d'ufficio e altri reati di corruzione. Anche ieri c’è stata una manifestazione parallela di sostenitori del governo, radunatisi sotto il palazzo presidenziale.\r\nIn Romania il tema della corruzione è molto sentito: entra tra i temi di tutte le campagne elettorali.\r\n\r\n \r\n\r\nL’attuale compagine governativa, un’alleanza tra socialdemocratici e liberali, ha ottenuto una netta maggioranza alle elezioni politiche tenutesi lo scorso dicembre, tuttavia la gran parte dei rumeni non si sente rappresentata né dal governo nè dall’opposizione. Alle elezioni di dicembre ha partecipato soltanto il 40% degli aventi diritto. La maggioranza ha disertato le urne, segno di una diffusa disaffezione, alle dinamiche istituzionali.\r\n\r\n \r\n\r\nIn questo movimento sono confluite anche istanze ecologiche radicali, come il movimento che lotta contro le miniere d’oro a Rosa Montana. Queste istanze ambientaliste si mescolano a potenti tensioni di carattere nazionalista e protezionista.\r\n\r\n \r\n\r\nNegli ultimi anni, anche grazie ai massicci investimenti di numerosi imprenditori italiani, il paese ha avuto una forte crescita, che tuttavia non ha prodotto maggiore benessere, tanto che l’emigrazione è ancora molto forte.\r\n\r\n \r\n\r\nNe abbiamo parlato con Ionut, un compagno rumeno.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta con Ionut:\r\n\r\n2017 02 07 ionut romania\r\n\r\n ","7 Febbraio 2017","2017-02-08 11:59:12","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/romania-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/romania-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/romania-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/romania.jpg 700w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Romania. 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Seppure ai margini della cd. \"rotta balcanica\", sviluppatasi lungo l'asse Grecia-Macedonia-Serbia-Ungheria- Croazia, la Bulgaria – che svolge anche la funzione di confine esterno dell'Unione Europea – negli ultimi anni ha rappresentato un importante paese di transito per migliaia di persone in fuga da guerra e povertà. 27mila persone nel solo 2015, principalmente provenienti da Siria, Iraq ed Afghanistan e desiderose di raggiungere l'Austria, la Germania o la Svezia.\r\n\r\nIl 25 febbraio di quest'anno il parlamento bulgaro aveva già approvato la possibilità di schierare l'esercito al confine turco-bulgaro per reprimere i migranti, con pratiche di maltrattamenti, violenze, rapine e respingimenti arbitrari più volte denunciate anche da organizzazioni non certo radicali, quali il Belgrade Centre for Human Rights e lo Human Rights Watch. Episodio emblematico quello del 15 ottobre 2015, quando un migrante afgano fu ucciso da un colpo di pistola esploso da un poliziotto di frontiera.\r\n\r\nIn un contesto di proliferazione di muri anti-immigrati fisici e simbolici all'interno dello spazio europeo - dall'Ungheria, alla Grecia, alla Spagna, alla Francia, all'Italia - il progetto di costruzione del muro al confine tra Bulgaria e Turchia, dal costo stimato di circa 50 milioni di euro, si inserisce in Bulgaria in un quadro di paura ed ostilità sociale diffusa nei confronti dello \"straniero\", fomentata da retoriche mediatiche e politiche istituzionali di stampo nazionalista. Sul territorio dello Stato si aggirano mercenari a caccia di teste migranti, come Dinko, presentato dai media come nuovo \"super-eroe\" nazionale, in quanto \"combina la guida estrema di quad con la caccia ai rifugiati” e nel giro di qualche mese ha catturato “almeno venti persone, e a mani nude”. Dinko, intervistato da una tv locale, si è espresso in favore della caccia al migrante, sostenendo la sua regolamentazione e retribuzione nella forma di “un premio in denaro, che so, 50 leva (25 euro), per ogni 'capo' catturato”.\r\n\r\nDi questo scenario agghiacciante, che rimanda in maniera lampante a pratiche coloniali, abbiamo parlato questa mattina con Francesco Martino, dell'Osservatorio Balcani e Caucaso:\r\n\r\nmartino","27 Maggio 2016","2016-05-30 12:33:27","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/140419161-99250e50-4e8f-4741-ba6c-56b8739bd19d-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"199\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/140419161-99250e50-4e8f-4741-ba6c-56b8739bd19d-300x199.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/140419161-99250e50-4e8f-4741-ba6c-56b8739bd19d-300x199.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/140419161-99250e50-4e8f-4741-ba6c-56b8739bd19d.jpg 480w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","L'Europa dei muri: 146 km di filo spinato tra Bulgaria e Turchia",1464373086,[359,360,361,362,69],"http://radioblackout.org/tag/bulgaria/","http://radioblackout.org/tag/dinko/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/muro/",[364,365,366,367,15],"Bulgaria","Dinko","migranti","muro",{"tags":369},[370,372,374,376,378],{"matched_tokens":371,"snippet":364},[],{"matched_tokens":373,"snippet":365},[],{"matched_tokens":375,"snippet":366},[],{"matched_tokens":377,"snippet":367},[],{"matched_tokens":379,"snippet":94},[15],[381],{"field":38,"indices":382,"matched_tokens":383,"snippets":385},[23],[384],[15],[94],{"best_field_score":106,"best_field_weight":107,"fields_matched":110,"num_tokens_dropped":50,"score":249,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":50},6645,{"collection_name":61,"first_q":15,"per_page":17,"q":15},{"facet_counts":390,"found":429,"hits":430,"out_of":688,"page":110,"request_params":689,"search_cutoff":39,"search_time_ms":17},[391,407],{"counts":392,"field_name":405,"sampled":39,"stats":406},[393,396,399,401,403],{"count":394,"highlighted":395,"value":395},37,"anarres",{"count":397,"highlighted":398,"value":398},15,"I Bastioni di Orione",{"count":108,"highlighted":400,"value":400},"cattivi pensieri",{"count":110,"highlighted":402,"value":402},"arsider",{"count":110,"highlighted":404,"value":404},"Macerie su macerie","podcastfilter",{"total_values":20},{"counts":408,"field_name":38,"sampled":39,"stats":427},[409,412,414,415,417,419,420,421,423,425],{"count":410,"highlighted":411,"value":411},14,"Bastioni di Orione",{"count":23,"highlighted":413,"value":413},"guerra",{"count":23,"highlighted":15,"value":15},{"count":28,"highlighted":416,"value":416},"Ucraina",{"count":108,"highlighted":418,"value":418},"crisi",{"count":108,"highlighted":24,"value":24},{"count":108,"highlighted":275,"value":275},{"count":108,"highlighted":422,"value":422},"militarismo",{"count":108,"highlighted":424,"value":424},"capitalismo",{"count":108,"highlighted":426,"value":426},"BastioniOrione",{"total_values":428},55,61,[431,482,543,590,627,661],{"document":432,"highlight":451,"highlights":472,"text_match":104,"text_match_info":481},{"comment_count":50,"id":433,"is_sticky":50,"permalink":434,"podcastfilter":435,"post_author":395,"post_content":436,"post_date":437,"post_excerpt":56,"post_id":433,"post_modified":438,"post_thumbnail":439,"post_title":440,"post_type":441,"sort_by_date":442,"tag_links":443,"tags":447},"33894","http://radioblackout.org/podcast/foibe-esodo-nazionalismi/",[395],"“Nazionalismo: cancro dei popoli”. Questo sarà uno degli striscioni del corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno hanno voluto fosse il culmine di una settimana di informazione e lotta. I fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le armi della retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il 1943 e il 1956.\r\nPer gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e “loro”. Chiunque essi siano.\r\n\r\nSino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle foibe, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle destre, che liquidavano le ultime convulse fasi della seconda guerra mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle zone.\r\nOggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle popolazioni giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della “giornata del ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.\r\nIl dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite durante la conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento, Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste “italiana”. Una città poliglotta e vivace stava smarrendo la propria peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.\r\nIl fascismo accentuò la repressione nei confronti delle popolazioni di lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.\r\nNelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste. Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità, perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.\r\n\r\nPiù significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate. Città come Pola e Zara persero oltre il 80% della popolazione. Accolti bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga. Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”.\r\n\r\nLa radice del male, oggi come allora, è nel nazionalismo che divide, separa, spezza.\r\n\r\nA ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri, all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.\r\nRicordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che, ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una nazione, di una frontiera fatta di nulla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all'università di Trieste, anarchico e antifascista.\r\n\r\nAscolta la diretta realizzata da Anarres:\r\n\r\n2016-02-05-venza-foibe\r\n\r\nDi seguito una scheda sull'esodo istriano e un'intervista a Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”. Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase della fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni della popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o della lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa della costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, della dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. Alphabeta, 2015.","5 Febbraio 2016","2018-10-17 22:59:24","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/esuli_istriani-200x110.jpg","Foibe, esodo, nazionalismi","podcast",1454691319,[265,267,65,444,69,445,446],"http://radioblackout.org/tag/giorno-della-memoria/","http://radioblackout.org/tag/vallette/","http://radioblackout.org/tag/villaggio-santa-caterina/",[273,275,72,448,15,449,450],"giorno della memoria","vallette","villaggio santa caterina",{"post_content":452,"tags":457},{"matched_tokens":453,"snippet":455,"value":456},[454],"Nazionalismo","\u003Cmark>Nazionalismo\u003C/mark>: cancro dei popoli”. Questo sarà","“\u003Cmark>Nazionalismo\u003C/mark>: cancro dei popoli”. Questo sarà uno degli striscioni del corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno hanno voluto fosse il culmine di una settimana di informazione e lotta. I fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le armi della retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il 1943 e il 1956.\r\nPer gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e “loro”. Chiunque essi siano.\r\n\r\nSino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle foibe, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle destre, che liquidavano le ultime convulse fasi della seconda guerra mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle zone.\r\nOggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle popolazioni giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della “giornata del ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.\r\nIl dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite durante la conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento, Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste “italiana”. Una città poliglotta e vivace stava smarrendo la propria peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.\r\nIl fascismo accentuò la repressione nei confronti delle popolazioni di lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.\r\nNelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste. Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità, perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.\r\n\r\nPiù significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate. Città come Pola e Zara persero oltre il 80% della popolazione. Accolti bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga. Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”.\r\n\r\nLa radice del male, oggi come allora, è nel \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> che divide, separa, spezza.\r\n\r\nA ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri, all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.\r\nRicordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che, ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una nazione, di una frontiera fatta di nulla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all'università di Trieste, anarchico e antifascista.\r\n\r\nAscolta la diretta realizzata da Anarres:\r\n\r\n2016-02-05-venza-foibe\r\n\r\nDi seguito una scheda sull'esodo istriano e un'intervista a Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”. Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase della fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni della popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o della lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa della costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, della dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. 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Tornano le patrie, le bandiere, la voglia di serrare le porte.\r\nQuando l'internazionalismo degli sfruttati e degli oppressi non è più lessico comune, aspirazione capace di liberare, utopia concreta, tornano i fantasmi della nazione, dell'identità che si alimenta dell'esclusione, della fantasia del capitalismo “buono” perché produttivo che sconfigge i parassiti della finanza.\r\nIl sogno del paradiso perduto coincide con quello dello Stato che tutela, dei padroni buoni contro i banchieri cattivi, dei politici onesti contro la casta dei corrotti.\r\nLa destra, quella istituzionale non meno dei quella più estrema trae linfa vitale da questa diffusa seduzione tricolore. 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Dai Forconi alle celebrazioni della Grande Guerra",1392989759,[602,603,604,69],"http://radioblackout.org/tag/21-febbraio/","http://radioblackout.org/tag/forconi/","http://radioblackout.org/tag/grande-guerra/",[606,607,608,15],"21 febbraio","forconi","grande guerra",{"tags":610},[611,613,615,617],{"matched_tokens":612,"snippet":606,"value":606},[],{"matched_tokens":614,"snippet":607,"value":607},[],{"matched_tokens":616,"snippet":608,"value":608},[],{"matched_tokens":618,"snippet":94,"value":94},[15],[620],{"field":38,"indices":621,"matched_tokens":622,"snippets":624,"values":625},[28],[623],[15],[94],[94],{"best_field_score":106,"best_field_weight":107,"fields_matched":110,"num_tokens_dropped":50,"score":249,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":50},{"document":628,"highlight":642,"highlights":652,"text_match":657,"text_match_info":658},{"comment_count":50,"id":629,"is_sticky":50,"permalink":630,"podcastfilter":631,"post_author":632,"post_content":633,"post_date":634,"post_excerpt":56,"post_id":629,"post_modified":635,"post_thumbnail":636,"post_title":637,"post_type":441,"sort_by_date":638,"tag_links":639,"tags":641},"90759","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-27-06-2024-kenya-la-rivolta-contro-la-legge-finanziaria-imposta-dal-fmi-mobilita-i-giovani-scenari-della-guerra-russo-ucrainatramonto-dellunipolarismo-egemonico-il-liberali/",[398],"radiokalakuta","Ultima puntata della stagione per Bastioni di Orione , raccontiamo delle proteste in Kenya contro la legge finanziaria imposta dal FMI con Freddie Del Curatolo ,giornalista residente in Kenya . La rivolta delle giovani generazioni contro il tentativo del presidente Ruto d'imporre una legge di bilancio che prevede nuove e pesanti tasse sui beni di prima necessità ,ha scosso la società kenyana imponendo al governo il ritiro della legge nonostante la brutale repressione poliziesca che ha provocato decine di vittime .\r\n\r\nIl contenuto della Finance Bill ha da subito sollevato lo scontento della popolazione, dando luogo ad un partecipato movimento di protesta che ha colto alla sprovvista l’esecutivo di Ruto e condotto per la maggior parte dai giovani della cosiddetta “Generazione Z” (ovvero nati tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000). Nonostante le proteste siano state per lo più di natura pacifica, hanno immediatamente incontrato una reazione spropositata da parte delle forze dell’ordine, intervenute utilizzando anche proiettili veri, oltre a manganelli, idranti e granate lacrimogene.\r\n\r\nLe proposte di legge della Finance Bill 2024 prevedono, tra l’altro, nuovi prelievi sull’assicurazione medica, tasse sull’olio vegetale e un ulteriore accisa sui carburanti. Ciò che la gente sta contestando maggiormente è l’imposta sul valore aggiunto sul pane e un’altra di tipo ecologico che influenzerà i prezzi di assorbenti e pannolini.\r\n\r\nLe proteste, organizzate e condotte attraverso i social da giovani per la maggior parte sotto i 30 anni, sono identificate dall’hashtag #OccupyParliament (“occupare il parlamento”) e #RejectFinanceBill2024 e mirano ad esercitare una pressione sull’esecutivo affinchè il nuovo disegno di legge sia abbandonato.\r\n\r\nQuesto movimento declina in maniera moderna un nuovo panafricanismo che supera le divisioni etniche ,spesso utilizzate strumentalmente dalle élite al potere ,e si collega con la volontà di cambiamento espressa dai giovani africani anche in altri contesti (vedi le manifestazioni in Senegal e il sostegno ai cambiamenti di regime nell'Africa sub sahariana ) ,imponendo i temi del superamento della struttura di potere neocoloniale emersa dai processi d'indipendenza degli anni 60.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/06/BASTIONI-27062024-KENYA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Salvatore Minolfi ,studioso di storia contemporanea e autore di un interessante libro sulla genesi della guerra russo ucraina, ricostruiamo la crisi dell'unipolarismo che fa da sfondo alle vicende della guerra europea . Il confronto fra le due grandi potenze al tempo della guerra fredda erano frequenti ,ma si svolgevano nelle aree periferiche dei rispettivi imperi ,mentre l'elemento di discontinuità è ora una \"major war\" ai confini dei due blocchi e sul terreno europeo. Il sistema unipolare è stato sperimentato in modo fallimentare in Medio Oriente con le guerre asimmetriche di Bush ,ma ad errori strategici si sono aggiunti rimedi peggiori con altre guerre disastrose e instabilità diffusa . Ora il declino della leadership e della capacità di proiezione della potenza militare americana hanno condotto all'evaporazione del sogno unipolare accarezzato dai circoli neocon ,contrastato dall'emergere della Cina come sfidante dell'egemone unico.\r\n\r\nTornando alla guerra europea il nocciolo del confronto è ancora una volta la questione tedesca e il tentativo della Germania con l'operazione del gasdotto con la Russia \"North stream \" di disintermediare la relazione con Mosca aggirando le pipelines che passano per la Polonia e l'Ucraina . Usando la metafora della matrioska (le bambole russe che contengono al loro interno altre bambole più piccole) Minolfi prova a spiegare le stratificazioni della guerra russo ucraina fino a riportale al confronto globale incombente .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/06/BASTIONI-DI-ORIONE-27062024-MINOLFI.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nInfine con Stefano Capello , cerchiamo di capire il senso dell'emergere dell'opzione nazionalista e reazionaria in Europa che sta disarticolando le istituzioni liberali apparentemente disfunzionali alla fase di preparazione bellica che si sta dispiegando.\r\n\r\nIl capitale distrugge nella sua crescita caotica, la società nel suo insieme rendendola anomica ed esponendo i cittadini ,ormai sudditi, all'incertezza e negandogli ogni tutela. In questo quadro di riaffermazione di una società castale e gerarchica ,il nazionalismo ,il ricorso ai valori tradizionali di patria e famiglia costistuiscono un collante ,sia pur effimero,per le comunità allo sbando.\r\n\r\nLa naturalizzazione del darwinismo sociale inscritto nel paradigma ordoliberale e la centralità della guerra come strumento per la risoluzione della crisi strutturale di accumulazione del capitale , producono il proliferare di un \" caos feudale\" e di continui conflitti di dissolvenza . Non emerge un modello alternativo in grado di sostuire l'ordine declinante e la tendenza alla guerra non trova nè un opposizione di massa nè un contrasto all'interno delle élite economiche tale da interrompere questo processo.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/06/BASTIONI-DI-ORIONE-27062024-CAPELLO.mp3\"][/audio]","29 Giugno 2024","2024-06-29 17:06:01","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 27/06/2024- KENYA : LA RIVOLTA CONTRO LA LEGGE FINANZIARIA IMPOSTA DAL FMI MOBILITA I GIOVANI - SCENARI DELLA GUERRA RUSSO UCRAINA,TRAMONTO DELL'UNIPOLARISMO EGEMONICO- IL LIBERALISMO EUROPEO LASCIA IL PASSO AL NAZIONALISMO REAZIONARIO PIU' FUNZIONALE ALLE STRATEGIE BELLICHE.",1719680761,[640],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[411],{"post_content":643,"post_title":647},{"matched_tokens":644,"snippet":645,"value":646},[15],"società castale e gerarchica ,il \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> ,il ricorso ai valori tradizionali","Ultima puntata della stagione per Bastioni di Orione , raccontiamo delle proteste in Kenya contro la legge finanziaria imposta dal FMI con Freddie Del Curatolo ,giornalista residente in Kenya . 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Nonostante le proteste siano state per lo più di natura pacifica, hanno immediatamente incontrato una reazione spropositata da parte delle forze dell’ordine, intervenute utilizzando anche proiettili veri, oltre a manganelli, idranti e granate lacrimogene.\r\n\r\nLe proposte di legge della Finance Bill 2024 prevedono, tra l’altro, nuovi prelievi sull’assicurazione medica, tasse sull’olio vegetale e un ulteriore accisa sui carburanti. 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Le operazioni di voto ,alquanto complesse considerando la demografia e le distanze, sono iniziate il 19 aprile per il rinnovo della Lok Sabha (Camera del popolo) che è la camera bassa del parlamento indiano che, insieme alla camera alta , il Rajya Sabha , compone l’organo legislativo indiano. Di fronte la coalizione della Alleanza Democratica Nazionale guidata dal BJP ,il partito al potere espressione del nazionalismo hindu guidato da Narendra Modi al potere da quasi 10 anni, e il partito del Congresso guidato dall'ennesimo discendente della dinastia politica dei Ghandi, Rahul.\r\n\r\nModi durante il suo governo ha implementato una politica di comunitarizzazione del paese emarginando la minoranza islamica (il 15% della popolazione quasi 200 milioni di persone ) e rinfocolando il nazionalismo hindu con atteggiamenti e dichiarazioni anche in campagna elettorali estremamente divisive e discriminatorie verso i musulmani definiti \"gli intrusi \". La modifica della legge sulla cittadinanza, l'abrogazione dell'articolo della costituzione che riconosceva l'autonomia del Kashmir con la conseguente repressione delle proteste hanno confermato la volontà di Modi di affemare come unica identità indiana quella hindu. Sul piano economica nonostante la crescita del PIl indiano permangono disuguaglianze enormi con la minoranza del 1% della popolazione che possiede il 40 % della ricchezza ,la gran parte dei lavoratori indiani è impiegato nel settore informale senza diritti e con bassi salari ,le riforme in agricoltrura hanno colpito i piccoli produttori sempre piu' impoveriti. Questi temi non hanno alcun riflesso sulla campagna elettorale del BJP che alimenta solo le pulsioni identitarie anti musulmane che evidentemente pagano di più dal punto di vista elettorale.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-160524-INDIA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Simone Zoppellaro ,giornalista freelance conoscitore del Caucaso, parliamo dell situazione in Georgia dove continuano le proteste contro la legge che prevede che i media e le ong che ricevono almeno il 20 per cento dei propri fondi dall’estero debbano registrarsi come entità che «perseguono gli interessi di una potenza straniera». Indubbiamente questa legge taglierebbe le gambe a tutta una serie di attività anche di natuta culturale che coinvolgono una scena artistica e musicale estremamente vivace nella capitale georgiana ,ma al comtempo anche ad alcuni enti come USAID ,agenzia governativa statunitense spesso al centro di manovre di \"regime change\" nello spazio post-sovietico. La legge è definita legge russa ed è difesa dal partito al governo \"sogno georgiano\" che fa riferimento all'oligarca Bidzina Ivanishivili ,dominus del partito che si è arricchito a dismisura in Russia ai tempi di Eltsin. Le manifestazioni esprimono anche il genuino desiderio delle nuove generazioni per una diversa prospettiva di vita futura ,ma la presenza di cartelli scritti in inglese e le bandiere europee e americane sventolate in piazza ,l'ingerenza palese delle cancellerie euro atlantiche , fanno presupporre un tentativo di rafforzamento in funzione filo europeista dell'area caucasica strumentalizzando le proteste contro la legge e il sentimento antirusso dopo l'invasione del 2008 dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud da parte di Mosca .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-160524-ZOPPELLARO.mp3\"][/audio]","18 Maggio 2024","2024-05-18 14:16:36","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 16/05/2024-ELEZIONI IN INDIA ,MODI ATTIZZA IL FUOCO DEL NAZIONALISMO HINDU-GEORGIA RIFLESSI CAUCASICI TRA OLIGARCHI MILIARDARI, ASPIRAZIONI DELLE NUOVE GENERAZIONI E INGERENZE EURO ATLANTICHE.",1716041796,[640],[411],{"post_content":675,"post_title":679},{"matched_tokens":676,"snippet":677,"value":678},[15],"partito al potere espressione del \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> hindu guidato da Narendra Modi","Bastioni di Orione con Matteo Miavaldi esperto di Asia e autore presso China Files nonchè gran conoscitore del continente indiano,parliamo delle prospettive relative alle elezioni indiane che si concluderanno il 4 giugno . 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Di fronte la coalizione della Alleanza Democratica Nazionale guidata dal BJP ,il partito al potere espressione del \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> hindu guidato da Narendra Modi al potere da quasi 10 anni, e il partito del Congresso guidato dall'ennesimo discendente della dinastia politica dei Ghandi, Rahul.\r\n\r\nModi durante il suo governo ha implementato una politica di comunitarizzazione del paese emarginando la minoranza islamica (il 15% della popolazione quasi 200 milioni di persone ) e rinfocolando il \u003Cmark>nazionalismo\u003C/mark> hindu con atteggiamenti e dichiarazioni anche in campagna elettorali estremamente divisive e discriminatorie verso i musulmani definiti \"gli intrusi \". La modifica della legge sulla cittadinanza, l'abrogazione dell'articolo della costituzione che riconosceva l'autonomia del Kashmir con la conseguente repressione delle proteste hanno confermato la volontà di Modi di affemare come unica identità indiana quella hindu. Sul piano economica nonostante la crescita del PIl indiano permangono disuguaglianze enormi con la minoranza del 1% della popolazione che possiede il 40 % della ricchezza ,la gran parte dei lavoratori indiani è impiegato nel settore informale senza diritti e con bassi salari ,le riforme in agricoltrura hanno colpito i piccoli produttori sempre piu' impoveriti. Questi temi non hanno alcun riflesso sulla campagna elettorale del BJP che alimenta solo le pulsioni identitarie anti musulmane che evidentemente pagano di più dal punto di vista elettorale.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-160524-INDIA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Simone Zoppellaro ,giornalista freelance conoscitore del Caucaso, parliamo dell situazione in Georgia dove continuano le proteste contro la legge che prevede che i media e le ong che ricevono almeno il 20 per cento dei propri fondi dall’estero debbano registrarsi come entità che «perseguono gli interessi di una potenza straniera». Indubbiamente questa legge taglierebbe le gambe a tutta una serie di attività anche di natuta culturale che coinvolgono una scena artistica e musicale estremamente vivace nella capitale georgiana ,ma al comtempo anche ad alcuni enti come USAID ,agenzia governativa statunitense spesso al centro di manovre di \"regime change\" nello spazio post-sovietico. La legge è definita legge russa ed è difesa dal partito al governo \"sogno georgiano\" che fa riferimento all'oligarca Bidzina Ivanishivili ,dominus del partito che si è arricchito a dismisura in Russia ai tempi di Eltsin. Le manifestazioni esprimono anche il genuino desiderio delle nuove generazioni per una diversa prospettiva di vita futura ,ma la presenza di cartelli scritti in inglese e le bandiere europee e americane sventolate in piazza ,l'ingerenza palese delle cancellerie euro atlantiche , fanno presupporre un tentativo di rafforzamento in funzione filo europeista dell'area caucasica strumentalizzando le proteste contro la legge e il sentimento antirusso dopo l'invasione del 2008 dell'Abkhazia e dell'Ossezia del Sud da parte di Mosca .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-160524-ZOPPELLARO.mp3\"][/audio]",{"matched_tokens":680,"snippet":681,"value":681},[649],"BASTIONI DI ORIONE 16/05/2024-ELEZIONI IN INDIA ,MODI ATTIZZA IL FUOCO DEL \u003Cmark>NAZIONALISMO\u003C/mark> HINDU-GEORGIA RIFLESSI CAUCASICI TRA OLIGARCHI MILIARDARI, ASPIRAZIONI DELLE NUOVE GENERAZIONI E INGERENZE EURO ATLANTICHE.",[683,685],{"field":160,"matched_tokens":684,"snippet":681,"value":681},[649],{"field":102,"matched_tokens":686,"snippet":677,"value":678},[15],{"best_field_score":659,"best_field_weight":397,"fields_matched":108,"num_tokens_dropped":50,"score":660,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":50},6636,{"collection_name":441,"first_q":15,"per_page":17,"q":15},["Reactive",691],{},["Set"],["ShallowReactive",694],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fYnT-Bgn1WHcEcYf9HdpFy3DwrunTIMEjV0nZd13Sal0":-1},true,"/search?query=nazionalismo"]