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Sapremo se il presidente, che ha governato continuando a presentarsi come un autsider antisistema, riuscirà a spuntarla nonostante i pronostici, oppure sarà la volta di Joe Biden, ombra del naufragato new deal obaniano a prendere le redini. Di un fatto siamo certi: comunque vadano queste elezioni, questi stessi candidati, sono l’emblema di un sistema che fatica ad attraversare una crisi che si sta acuendo.\r\nUna crisi che ha reso ancora più aguzza la piramide sociale, allargando la base degli esclusi.\r\nUna crisi che rivela l’incapacità di gestire le insorgenze sociali La pacificazione sociale dell’era Obama è fallita, Trump ha affrontato con estrema violenza una protesta ampia, duratura e radicale. Partita dagli afroamericani, è andata ben oltre i ghetti dei neri per investire ampi settori della società oltre la linea del colore che segna il confine con le persone razializzate.\r\nTrump, un outsider rispetto all’establishment del suo stesso partito, rappresenta gli umori profondi di un paese spaventato dalla crisi, sempre più consapevole che la linea di demarcazione tra sommersi e salvati non è un muro che mette al riparo il piccolo ceto medio. Il ruolo imperiale degli States si è incrinato in un pianeta multipolare, dove il blocco della pax americana si è sgretolato come già l’impero sovietico, esprime è il frutto della grande paura che sta attraversando il pianeta, dando fiato a istanze reattive e reazionarie radicali.\r\nI democratici non sanno dare risposte realmente diverse. La candidatura di Kamala Harris alla vicepresidenza non promette nulla di nuovo, se non una pennellata di colore per convogliare consensi.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Lorenzo, che a questi temi ha dedicato un articolo.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/2020-11-03-election-day-lollo.mp3\"][/audio]","4 Novembre 2020","2020-11-04 08:46:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"144\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-300x144.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-300x144.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-1024x492.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-768x369.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday.jpg 1500w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Election Day. 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I movimenti, che in quegli anni scelsero di sfidare i potenti del mondo, assediando gli incontri, dove si affinavano le politiche che hanno reso più tagliente e aguzza la piramide sociale, si sono inabissati. Il moltiplicarsi dei fronti di guerra, l'inaridirsi in percorsi istituzionali, l'incapacità di cogliere l'occasione di tessere reti autonome dal quadro politico, ne hanno segnato la fine.\r\nOggi, la scarsa reattività dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, dei senza reddito agli attacchi convergenti di governo e padroni, il moltiplicarsi contestuale di misure di disciplinamento sociale, ci mettono di fronte ad una strada tutta in salita.\r\n\r\nNel contenitore ReSetG7 si sono confrontate, senza però trovare una forte sintesi, diverse anime.\r\n\r\nTra chi ha scelto le periferie della città, lasciando i G7 nella loro residenza di caccia, e chi invece ha puntato sui luoghi e sui simboli, la distanza si è accorciata senza tuttavia mai colmarsi del tutto. Gli uni hanno attraversato le periferie, per dare rappresentazione alle lotte dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, che, sia pure in forme minoritarie, mettono in difficoltà i padroni, gli altri si sono concentrati sulla metafora dell'assedio, del Palazzo, della Reggia, della ghigliottina.\r\nLa Questura, ha messo in campo una militarizzazione imponente, ma discreta, con una gestione di piazza senza particolari eccessi. Sanna ha calato le carte pesanti solo dopo la fine del vertice, arrestando due attivisti No G7. Ad Andrea, uno di loro, dopo l'udienza di convalida, è stato imposto l'obbligo di dimora a Bussoleno.\r\n\r\nVale la pena chiarire subito un fatto. Nella tre giorni contro il G7 sono scese in piazza minoranze agenti, mai grandi folle capaci di dare qualche grattacapo ai potenti chiusi nella Reggia.\r\nLa radicalità degli obiettivi e il radicamento sociale sono condizioni indispensabili ad innescare processi capaci di mutare senso ai tempi che siamo forzati a vivere. Questo G7 è stato però un'occasione di costruire e rafforzare le relazioni sul territorio in vista delle sfide dell'autunno.\r\nPer questa ragione ampi settori di movimento hanno puntato su un corteo di lavoratori e lavoratrici che partisse da Porta Palazzo, inoltrandosi per le strade di Barriera, sostando a lungo per confrontarsi con la gente. Una scommessa vinta. Lo dimostra il suo crescere durante il percorso: tante persone si sono unite alla manifestazione, i negozi sono rimasti aperti e la gente era in strada nonostante la campagna di criminalizzazione degli ultimi giorni e i divieti invocati dai due presidenti della sesta e settima circoscrizione, Carlotta Silvestri e Luca Deri. \r\nIn Barriera hanno manifestato circa 500 lavoratori, precari, disoccupati, le vittime delle politiche dei G7 rinchiusi nella Reggia di Venaria. Tutti insieme dietro allo striscione “Contro i padroni del mondo. La nostra lotta”.\r\nQuest'iniziativa ha rappresentato il tentativo, simbolico e reale, di rimettere al centro le periferie, luoghi dove si può creare la miscela capace di accendere un processo di trasformazione sociale.\r\nQuello stesso giorno un corteo di trecento studenti, cui si è unito un gruppetto di No Tav, ha percorso del vie del centro: un tentativo di avvicinarsi a piazza Carlina è finito con una breve carica. In serata, mentre in Barriera si stava svolgendo l'assemblea finale con cui si è chiuso il corteo dei lavorator*, un centinaio di attivisti si è mosso da Palazzo Nuovo, occupato dagli studenti, verso piazza Carlina. É finita con una carica in via Po per impedire l'avvicinamento all'albergo delle delegazioni. \r\n\r\nLe manifestazioni erano cominciate giovedì 28 con “Reclaim the street”, la parade che ha attraversato le zone della movida con lo slogan “A noi le strade, a voi i privè”.\r\n\r\nSabato mattina volantinaggio al mercato di corso Cincinnato e un corteo per il quartiere, prima della partenza della manifestazione pomeridiana diretta alla Reggia, dove era prevista la conferenza stampa finale del G7.\r\nMille e quattrocento manifestanti, partiti dalle Vallette, hanno attraversato la periferia di Venaria, dove le case dormitorio e la scuola sono accanto ai tralicci dell'alta tensione e alla tangenziale, dirigendosi verso piazza Matteotti, dove comincia la strada pedonale che immette nel piazzale della Reggia.\r\nL'ingresso all'area pedonale era chiuso da grate, camion con idrante e un nugolo di poliziotti dell'antisommossa e digos.\r\nLa testa del corteo, a mani nude e con tre carrelli pieni di enormi brioche di gommapiuma, ha provato a passare. È partita una breve carica, durante la quale la digos è riuscita prendere un manifestante pesarese. Dal corteo sono partiti fuochi d'artificio contro la polizia che ha replicato con un fittissimo lancio di lacrimogeni, che hanno reso l'aria irrespirabile. Il corteo è arretrato in strada. Dopo una mezz'ora nuovo lancio pirotecnico dai manifestanti e nuovo areosol al Cs dalla polizia.\r\n\r\nIn serata la sindaca di Torino si è congratulata con la polizia, il suo vice Montanari, anima “sinistra” del governo della città, schierato con i manifestanti, si è affrettato a dividerli in buoni e cattivi, per mantenere il piede in due scarpe.\r\n\r\nIl G7 è finito. Restano aperte le tante questioni sulle quali si sono articolate le varie piazze. Prima tra tutte la crescita di un movimento radicale e radicato che sappia mettere in difficoltà padroni e governanti.\r\n\r\nAbbiamo chiacchierato di questi temi con un sindacalista di base, Stefano che ha partecipato alla tre giorni di lotta contro il G7.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 10 03 capello g7","3 Ottobre 2017","2017-10-05 19:34:05","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/G7_biscotti1_Adn-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/G7_biscotti1_Adn-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/G7_biscotti1_Adn-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/G7_biscotti1_Adn.jpg 400w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Oltre il G7. 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Dalle cifre emerge un paese dove si allarga significativamente il numero di quelli che non ce la fanno a garantirsi beni essenziali come la casa, la salute, l’accesso ai saperi. Si conferma anche la tendenza ad un lieve aumento dei super ricchi, ed un prosciugarsi delle classi medie, in minima parte sospinte verso l’alto della piramide sociale, in parte decisamente maggiore, spinte in basso.\r\nQuello che le cifre non raccontano è che questi dati, ben lungi dall’essere congiunturali, disegnano un presente ed un futuro ben diverso da quello di epoca fordista.\r\nL’imporsi del capitale finanziario ha, di fatto, modificato in modo difficilmente reversibile la natura stessa del capitalismo.\r\nAbbiamo chiesto un’analisi ed un commento all’economista Francesco Carlizza.\r\nAscolta l'intervista: [audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/2012-12-19-istat-poverta-frcarlizza.mp3\"]\r\n\r\nScarica l'audio","19 Dicembre 2012","2025-09-24 22:00:57","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/povertà-rosso-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"201\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/povertà-rosso-300x201.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/povertà-rosso-300x201.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/12/povertà-rosso.jpg 480w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Sempre più poveri. Oltre le cifre del rapporto Istat",1355943088,[177,178,179,180],"http://radioblackout.org/tag/capitalismo/","http://radioblackout.org/tag/finanziarizzazione-delleconomia/","http://radioblackout.org/tag/istat/","http://radioblackout.org/tag/poverta/",[182,33,17,183],"capitalismo","povertà",{"post_content":185},{"matched_tokens":186,"snippet":187,"value":188},[73,74],"parte sospinte verso l’alto della \u003Cmark>piramide\u003C/mark> \u003Cmark>sociale\u003C/mark>, in parte decisamente maggiore, spinte","In questi giorni l’Istat ha pubblicato il proprio rapporto annuale sulla povertà. Dalle cifre emerge un paese dove si allarga significativamente il numero di quelli che non ce la fanno a garantirsi beni essenziali come la casa, la salute, l’accesso ai saperi. 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Per le elezioni di luglio il registro è cambiato.\r\nIl partito di destra radicale PiS (Law and Justice) ed il suo candidato alle presidenziali Duda hanno puntato buona parte della propria campagna sulla lotta alla cosiddetta \"ideologia LGBT\", \"la piaga arcobaleno\", alimentando lo stigma verso le persone non etero-cis, in un moltiplicarsi di episodi di discriminazione, minacce e violenza.\r\nL’utilizzo della nozione di ideologia LGBTQ+ è un abile paravento per tentare di evitare le sanzioni dell’Unione Europea, con uno slalom lessicale che consente di evitare sanzioni.\r\n\r\nNegli ultimi anni, l’incitamento all’odio omofobico e transfobico è diventato una risorsa politica standard in un paese che ha ottenuto il vergognoso status di stato più omofobo nell’Unione europea. Le/i/* queer sono diventat* il nemico pubblico numero uno in Polonia.\r\nLa chiesa cattolica, già pesantemente omofoba, si è a sua volta lanciata in una campagna contro “l’ideologia LGBTQ+”, per distogliere l’attenzione dall’emergere di numerosi casi di pedofilia tra il clero polacco. Nell’agosto 2018, l’arcivescovo di Cracovia, Marek Jędraszewski, ha pubblicamente denunciato la “peste arcobaleno che affliggebbe il paese.\r\nIn una situazione di pesante crisi sociale le persone fuori dalla norma eteropatriarcale diventano il perfetto capro espiatorio. Questa situazione ci riporta alla campagna promossa da Gomulka nel 1968 contro gli ebrei. Anche Gomulka, per evitare l’accusa di antisemitismo parlò di “ideologia sionista”. Le conseguenze pratiche furono licenziamenti ed esclusioni dalla vita pubblica di numerosi ebrei.\r\nIl PiS ha puntato su “dio, patria, famiglia”, descrivendo la comunità LGBTQ+ come una minaccia imminente e straniera verso i valori familiari tradizionali polacchi. Il pericolo che viene da fuori, non è solo rappresentato dagli immigrati esterni, ma dai nemici interni, che per la loro “ideologia” rischiano di far crollare la piramide patriarcale, nazionalista, cattolica.\r\nLe persone LGBTQ* vengono rappresentate come traditrici della tradizione del paese, gente che si è volontariamente estraniata dal proprio humus. Di qui la negazione di ogni forma di visibilità pubblica, la persecuzione nei posti di lavoro e nelle scuole, l’isolamento di chi è fuori norma.\r\nPrima che il PiS (Law and Justice) salisse al potere, il governo centrista-liberale di Civil Platform si è concentrato sul mantenimento dello status quo per il bene delle riforme neoliberiste, senza contestare l’egemonia della Chiesa cattolica, il tradizionalismo familiare, la misoginia, l’omofobia e la transfobia e fornendo un terreno fertile per la radicalizzazione nazionalista.\r\nNei piccoli centri per una persona non etero-cis vivere liberamente può essere molto difficile e pericoloso.\r\nOltre allo stato #nazionalista e alla Chiesa cattolica, una rete di organizzazioni non governative ultraconservatrici ha un ruolo centrale nell’orchestrare attacchi contro la comunità LGBTQ in Polonia. Le accuse contro Margo sono state presentate dalla Fundacja PRO Prawo do życia (Fondazione PRO per il diritto alla vita), un gruppo attivo nella campagna contro l’aborto. Recentemente, un ente fondamentalista GONGO (organizzazione non governativa organizzata dal governo) si è reso responsabile della redazione di un disegno di legge intitolato “Stop Pedophilia Act” che proponeva di criminalizzare qualsiasi forma di educazione sessuale (una materia praticamente inesistente nelle scuole polacche). Nella loro campagna di raccolta firme per progetto di legge popolare, che non ha nulla a che fare con la lotta alla pedofilia, la Fondazione ha inviato furgoni coperti di slogan omofobi e armati di altoparlanti.\r\nI furgoni percorrono diverse città polacche e diffondono messaggi d’odio e falsi sull’omosessualità. Quest’incitamento all’odio, è passato senza alcuna conseguenza legale per i fascisti che lo hanno promosso.\r\nIl 27 giugno, uno di questi “homopho-bus”, come hanno iniziato a chiamarli gli attivisti, si è fermato di fronte allo squat di Varsavia “Syrena”, con la chiara intenzione di disturbare un raduno che si stava svolgendo lì. In risposta a questa provocazione, diversi attivisti hanno prima cercato di scacciarli, e alla fine hanno verniciato a spruzzo l’auto e tagliato le gomme. Dall’arresto di Margo, i membri della Fondazione si riuniscono regolarmente davanti a “Syrena” con i loro striscioni omofobi e rosari per “pregare via i gay”.\r\nLa Fondazione PRO è uno dei tanti gruppi ultraconservatori attivi nella vita pubblica polacca. Inoltre, fa parte di un più ampio movimento fondamentalista religioso transnazionale riunito sotto l’organizzazione ombrello “Tradition, Family and Property” (TFP) che all’inizio degli anni 2000 ha iniziato a trattare l’Europa orientale come una nuova frontiera per costruire una nuova società civile di destra. Una proliferazione di gruppi locali è dietro la campagna contro la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla violenza di genere in Ungheria, il referendum del 2013 sulla definizione costituzionale del matrimonio in Croazia, un’iniziativa simile per definire la famiglia come unione tra un un uomo e una donna nella costituzione rumena nel 2013, 2016 e 2018, e bloccando la legge sulle unioni civili in Estonia fino al 2016… e sono solo alcuni esempi.\r\nIn Polonia il principale affiliato al TFP è un “gruppo di esperti” legali, “Ordo Iuris”, che fa parte di Agenda Europe, rete di advocacy europea estremista-cattolica che vuole “ripristinare l’ordine naturale” bloccando o smantellando le infrastrutture politiche sui diritti riproduttivi e sessuali. Ordo Iuris è responsabile della stesura della legislazione per vietare completamente l’aborto, che alla fine è stato ritirato dopo le proteste di massa, e della Convenzione sui diritti della famiglia che dovrebbe essere un’alternativa alla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla violenza di genere. Oltre alle campagne legislative e alle pressioni politiche, rappresentano anche individui e gruppi come la Fondazione PRO durante i processi. Una delle loro strategie è quella di appropriarsi del discorso sui diritti umani e mascherare obiettivi omofobici e transfobici con il pretesto di politiche a favore della famiglia. In questo spirito è stata presentata la “Carta dei diritti della famiglia” è stata presentata ai governi locali alla fine del 2019 come modello meno controverso per dichiararsi “LGBT-free zones” (zone libere da LGBT) dopo l’ondata di risoluzioni anti-LGBT avviate dai consiglieri di Law and Justice nel marzo dello stesso anno.\r\n\r\nIl 25 luglio di quest’anno il ministro della giustizia, Zbigniew Ziobro ha annunciato che la Polonia si ritira dalla Convenzione di Istanbul perché il documento contiene “elementi di natura ideologica”, riferendosi alla definizione di genere come socialmente costruito. Allo stesso tempo, il suo ministero sta finanziando un progetto dei fondamentalisti di GONGO intitolato “Combattere i crimini contro la libertà di coscienza sotto l’influenza dell’ideologia LGBT”. 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Secondo i testimoni l’arresto di Margo è sembrato più un rapimento perché agenti di polizia senza uniforme l’hanno ammanettata a forza e l’hanno trascinata fuori dall’appartamento della sua amica.\r\nMargo fa parte di un collettivo queer Stop Bzdurom che utilizza l’azione diretta per contrastare la campagna di disinformazione rispetto alla comunità #LGBTQ, e lotta per l’educazione sessuale e la giustizia riproduttiva.\r\nSembra che l’arresto di questa giovane attivista queer sia stato deliberatamente rinviato dopo i risultati delle elezioni. Grazie all’intervento della Fondazione Helsinki per i diritti umani, Margot è stata rilasciata dopo aver passato la notte in detenzione con l’accusa di teppismo. Il 30 luglio attivist* queer hanno messo bandiere arcobaleno e maschere per il viso rosa su diverse statue iconiche di Varsavia per contrastare la crescente ondata di omofobia e transfobia. Pochi giorni dopo Margot e altr* due attivist* sono stati nuovamente arrestati per questa azione.\r\nMargo è stata condannata a due mesi di reclusione. Gli attivisti che protestavano per la sentenza sono stati pesantemente caricati e pestati.\r\nTra repressione contro attivist* queer, città e province che si dichiarano libere da “ideologia LGBT”, ripetuti attacchi alle sedi principali delle ONG LGBTQ, ai brutali attacchi contro i cortei dei Pride, compreso un fallito attentato a Lublino l’anno scorso, questa non è mai stata una guerra solo sui simboli. Quando gli “omofobi” annunciano dagli altoparlanti che “gli omosessuali vivono vent’anni in meno”, questo non è nemmeno un altro fatto pseudo-scientifico, ma qualcosa che diventa una triste realtà in un paese dove il tasso di suicidio tra i giovani queer sta aumentando.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Sbrock della rete Free(k) Pride\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/2020-10-06-polonia-sbrock.mp3\"][/audio]\r\n\r\n2020 10 06 polonia sbrock","7 Ottobre 2020","2020-10-07 12:30:20","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-200x110.png","\u003Cimg width=\"212\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-212x300.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-212x300.png 212w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-724x1024.png 724w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-768x1086.png 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-1086x1536.png 1086w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/FROCIZZIAMO-IL-CONSOLATO-1448x2048.png 1448w\" sizes=\"auto, (max-width: 212px) 100vw, 212px\" />","Polonia. 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I suoi romanzi, i suoi racconti, sono stati per molti di noi una sorta di Bildung Roman, snodi in un percorso dove l’utopia si fa ogni giorno più concreta. Mai facile, sempre all’orizzonte.\r\nQuesta settimana le abbiamo dedicato un breve saluto, nelle prossime puntate vi proporremo un giro più ampio tra “Quelli di Anarres”, i compagni di Ursula, anarchica, femminista, antropologa dell’immaginario…\r\nSui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Dalle 10,45 alle 12,45. Anche in streaming\r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n\r\n2018 01 26 anarres1\r\n2018 01 26 anarres2\r\nIn questa puntata:\r\n\r\nI fascisti del \"secondo millennio\". Genealogia della destra radicale\r\nNe parliamo con Pietro Stara. Pietro questa sera introdurrà la serata alla FAT su questi temi.\r\nNella puntata della scorsa settimana potete ascoltare un primo approfondimento.\r\n\r\nAbbiamo fatto una lunga chiacchierata con Salvo Vaccaro, docente di filosofia politica all’università di Palermo. Siamo partiti dal rapporto dell’Oxfam, nulla di nuovo rispetto all’inizio di questo secolo. Abbiamo ragionato della sostanziale inutilità delle risposte in chiave riformista, neowelfarista che i nostalgici delle socialdemocrazie propongono in un mondo radicalmente diverso da quello in cui si affermò il compromesso tra capitale e lavoro. Abbiamo discusso di guerra e caos sistemico con un occhio alla partita in Siria del nord, dopo l’attacco della Turchia al cantone di Efrin. Infine si è parlato di democrature, sottrazione dall’istituito e tanto altro...\r\n\r\nIl muro invisibile. Il confine è una linea sottile sulle mappe. Tra boschi e valichi, tra le acque del Mare di Mezzo, non ci sono frontiere: solo uomini in armi che le rendono vere. Aggiornamenti dalla lotta contro le frontiere.\r\n\r\nLa scomparsa di Ursula Le Guin, quella di Anarres\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nVenerdì 26 gennaio\r\nore 21\r\nalla Fat in corso Palermo 46\r\nI fascisti del \"secondo millennio\". Genealogia della destra radicale\r\nCon Pietro Stara, autore de \"L’identità escludente, La Nuova Destra tra piccole patrie e Europa nazione\"\r\n\r\nLunedì 29 gennaio\r\nore 17\r\nUna solidarietà senza confini\r\nal negozio Benetton di via Po 8 \r\npresidio\r\nLe maglie Benetton sono macchiate di sangue\r\n\r\nSabato 10 febbraio\r\nore 10\r\nal Balon\r\nDistruggiamo le frontiere!\r\npunto info e raccolta abiti, scarponi, sciarpe, coperte, sacchi a pelo, abiti pesanti, per rendere più facile il viaggio a uomini, donne e bambini che provano a bucare i muri della fortezza Europa.\r\nVin brulé, cibo e altre leccornie benefit lotte contro le frontiere\r\nLa raccolta si fa anche nella sede della FAT, il giovedì dopo le 21 e in occasione delle iniziative.\r\n\r\nPer chi fosse interessato ai percorsi della Federazione Anarchica Torinese \r\nriunioni - aperte agli interessati - ogni giovedì alle 21\r\ncorso Palermo 46 – a destra nel cortile -\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","29 Gennaio 2018","2018-10-17 22:58:41","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/04-corteo2giugno-200x110.jpg","Anarres del 26 gennaio. 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Anche in streaming.\r\n\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/2024-02-23-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nScenari di guerra planetaria\r\nSono passati due anni dall’invasione russa dell’Ucraina e, nonostante l’affievolirsi dell’attenzione mediatica, il conflitto si inasprisce sempre di più.\r\nGuerre insanguinano vaste aree del pianeta in una spirale che sembra non aver fine. Con il riaccendersi della terribile guerra in Medio Oriente, l’aprirsi del conflitto nel Mar Rosso, il moltiplicarsi degli attacchi turchi in Rojava, le tensioni per Taiwan, il perdurare dei conflitti per il controllo delle risorse nel continente africano, il rischio di una guerra, anche nucleare, su scala planetaria è una possibilità reale.\r\nOpporsi concretamente è un’urgenza ineludibile.\r\nProviamo a capire quali siano le faglie lungo le quali si sta giocando un risico mortale per tutto il pianeta\r\nNe abbiamo parlato con Stefano Capello\r\n\r\nAlways on the move?\r\nEra la capitale dell’auto. L’industria automobilistica era indicata tra le eccellenze cittadine nei cartelli di ingresso alla città.\r\nOggi Torino è attraversata da due processi trasformativi paralleli: la città vetrina e la città delle armi. Il primo è ampiamente pubblicizzato, del secondo si parla poco e male.\r\n\r\nIl trionfo della meritocrazia?\r\nSuadente e accattivante, la parola meritocrazia pervade ormai ogni discorso. Ripetuta come un mantra salvifico in ogni contesto sociale e professionale, oggi appare come l'unica opzione che possa affrancarci dal clientelismo e dalle sue disastrose conseguenze. Ma davvero il merito (termine quanto mai ambiguo) e l'ossessione valutativa che comporta ci offrono una via d'uscita? Nient'affatto, risponde Codello, perché la visione meritocratica è non solo irrealizzabile, in quanto basata su premesse false (la parità delle condizioni di partenza), ma anche indesiderabile, in quanto trasforma la disuguaglianza da fatto sociale a dato naturale. L'idea di fondo è infatti che ognuno di noi – chi ce la fa e chi non ce la fa – occupi nella piramide sociale il posto che «si merita»: un riconoscimento inappellabile e interiorizzato che porta i «vincenti» a ritenere giustificato il proprio potere e i «perdenti» ad accettare la propria discriminazione. L'idea meritocratica si configura dunque come il trionfo del «governo dei migliori» da un lato e della «servitù volontaria» dall'altro. 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Manca soprattutto un’elaborazione di questa idea che la separi da nazionalismi, comunitarismi e approcci basati su una prospettiva unica (piuttosto che su intersezioni) che rischiano di farla diventare una concezione escludente quando non lo è. È importante ricordare che, come elaborata originariamente dal collettivo Modernità-Colonialità-Decolonialità (MCD) e poi arricchita dai contributi del femminismo indigeno, degli studi sul pluriverso e delle epistemologie del Sud per non citare che alcuni dei principali ambiti di discussione, la decolonialità mira a superare i limiti di precedenti approcci.\r\nSi tratta in particolare del culturalismo dei Postcolonial Studies, che si sono spesso limitati a critiche della colonialità che restavano limitate a un’analisi del discorso e confinate in ambiti accademici, e dell’economicismo di teorie quali lo sviluppo ineguale o il sistema mondo, incapaci di includere quello che gli approcci decoloniali chiamano la ‘decolonizzazione epistemica’. In questo senso, i punti qualificanti della decolonialità sono la necessità di non limitarsi alla pura teoria per connettersi alle lotte e situazioni reali, di riscoprire modi di pensare al di fuori delle tradizioni intellettuali europee e di costruire ponti di solidarietà militanti attraverso diverse culture e assi di intervento.\r\nSulla base di questo discorso introduttivo, e di alcuni casi empirici sudamericani di interazione tra gruppi anarchici e comunità indigene e afrodiscendenti, si discuteranno le basi di un progetto anarchico di decolonialità, basato sul fatto che la tradizione anarchica e molte delle comunità sopracitate condividono punti chiave quali la prassi organizzativa orizzontale, l’azione diretta e l’idea di territorio come relazione sociale piuttosto che come area delimitata da confini “sovrani”. Esse condividono inoltre critiche delle principali pratiche autoritarie che hanno caratterizzato la Sinistra europea ed eurocentrica, quali il concetto di avanguardia politica, quello di intellettuale organico (di solito maschio e bianco) chiamato a “guidare” le lotte, l’idea della rivoluzione come mera presa del potere politico e quella della decolonizzazione o “liberazione nazionale” come mera costruzione di un nuovo Stato.\r\nIn una singola definizione, anarchismo e “lotta afro-indigena” condividono il principio della coerenza tra la teoria e la prassi, che dovrebbe ispirare il più vasto campo della decolonialità.\r\nInterverrà Federico Ferretti, geografo, docente all'università di Bologna.\r\n\r\nSabato 23 marzo\r\nore 15 giardinetti tra corso Giulio Cesare e via Montanaro\r\nAssemblea di quartiere\r\nIl vero degrado è perdere la casa\r\nCon Filippo Borreani, sociologo e Prendocasa\r\npoi musica, poesia, socialità\r\n(organizza oltredora antifascista)\r\n\r\nVenerdì 12 aprile\r\nEmma Goldman\r\nLa donna più pericolosa d'America\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nNe parliamo con Selva Varengo curatrice della nuova edizione di \"Vivendo la mia vita\", l'autobiografia che Emma Goldman scrisse nel 1934.\r\n\r\nOgni martedì fai un salto da\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro \r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\ndalle 18 alle 20 in corso Palermo 46\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20\r\nContatti:\r\nfai_torino@autistici.org\r\n@senzafrontiere.to/\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","29 Febbraio 2024","2024-02-29 21:16:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/fuori-militari-1080x640-1-200x110.jpg","Anarres del 23 febbraio. 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Non ci sono scappatoie.\r\nLa rappresentazione ritualizzata del conflitto che si gioca nei controvertici, anche quando la materialità dell'agire e la violenza istituzionale si incidono nell'immaginario, tanto da divenire passaggio obbligato, bagno sacro per una generazione di attivisti, non riesce tuttavia a oltrepassare la dimensione del simbolico. Poco importa che la narrazione del poi ci consegni qualche girotondo in tuta o k-wey o i fuochi di un luglio genovese.\r\nOggi, a bocce ferme, dopo il rinvio del vertice di Torino, vogliamo provare a ragionare, proponendo anche strumenti di approfondimento.\r\n\r\nDi disoccupazione abbiamo parlato con Francesco, autore dell'articolo \"Disoccupazione e Unione europea\" uscito sul settimanale Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito.\r\n\r\nAscoltate la diretta con Francesco:\r\n\r\n2014 06 19 fricche\r\n\r\nUna premessa è d’obbligo.\r\nI ragionamenti che facciamo sulla disoccupazione non sono esaltazioni del lavoro salariato, sfruttato e sotto padrone.\r\nNon ha alcun senso lamentarsi della disoccupazione aspirando a fare un lavoro di merda, precario e sottopagato, da dove puoi essere cacciato via in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione.\r\nNoi siamo per la liberazione di tutti gli sfruttati. Liberazione dal dominio, liberazione dal comando, liberazione dal capitale.\r\nLe analisi che sviluppiamo sulla disoccupazione, come su altro, servono a ragionare collettivamente su come si stiano modificati i modelli di sfruttamento e come combatterli meglio.\r\nCi sembra si sia usciti dal circuito produci-consuma-crepa. La produzione la fanno altrove e qui ti tengono appeso tra la disoccupazione e il lavoro part time per poterti condizionare meglio. Il consumo è diventato pura sopravvivenza. Solo la morte l’hanno lasciata, accentuandola con la chiusura degli ospedali, il costo delle cure sanitarie e i ricatti di big pharma.\r\nUna parte importante di questo processo di modifica delle condizioni del lavoro e dell’accesso al lavoro ce l’ha l’Unione Europea.\r\nLa tradizione di lotte sociali del proletariato europeo aveva fatto sì che le condizioni di lavoro fossero, in Europa, sensibilmente migliori che non negli USA.\r\nIl processo di unificazione europea ha comportato la perdita progressiva di quelle conquiste, la crisi degli ultimi sei anni ha fornito la scusa per dare il colpo di grazia alle condizioni di vita e lavoro di milioni di persone.\r\nLa disoccupazione in questo gioca un ruolo importante. Ce lo spiega la stessa Commissione Europea nel “Winter forecast” di marzo 2014, dove dice che il\r\ntasso di disoccupazione di equilibrio (NAIRU) per l’Italia – a fini del raggiungimento degli obiettivi di bilancio e di inflazione – non può essere inferiore all’11% nel 2015 ed è meglio se è superiore. Infatti la “disoccupazione sostenibile serve a ridurre le pressioni salariali e a frenare la crescita dei salari. Questo, unito con lieve miglioramento della produttività, comporta solo moderati aumenti del costo unitario del lavoro nominale.”\r\nSenza entrare in tecnicismi economici, è bene sottolineare che un dato del NAIRU così alto serve alla Commissione Europea per sovrastimare il deficit strutturale dell’Italia e chiedere una manovra economica aggiuntiva.\r\nIn ogni caso è perfettamente inutile che il governo e l’Unione Europea sparino tante panzane sulla loro volontà di ridurre la disoccupazione, visto che, proprio loro, si sono dati tanto da fare per crearla e si stanno dando da fare per mantenerla alta.\r\nL’ISTAT ci dice, intanto, che il tasso di disoccupazione”ufficiale” in Italia è al 12,6%. Come tutte le statistiche però il singolo dato non ci dice nulla se non sappiamo cosa c’è dietro.\r\nVengono considerati disoccupati coloro i quali, nel mese precedente alla rilevazione, hanno effettuato una ricerca attiva di lavoro (mandato un curriculum, fatto un colloquio, risposto a un annuncio), non hanno fatto neanche un’ora di lavoro (se uno fa il baby sitter una sera per tre ore non viene considerato disoccupato neanche se si sbatte come un matto per cercare lavoro per tutto il\r\nresto del mese) e sono disponibili a iniziare a lavorare nelle due settimane successive.\r\nI disoccupati calcolati così sono 3.487.000. Se a questi ci aggiungiamo però quelli che il lavoro non l’hanno cercato nel mese precedente, perché “scoraggiati” o perché stanno aspettando la risposta a qualche colloquio fatto prima, ma sono comunque disponibili a lavorare abbiamo altre 3.305.000 persone. Se consideriamo anche quelli che cercano lavoro, ma non possono cominciare nelle due settimane successive (studenti sotto esami, donne in gravidanza) abbiamo altre 261.000 individui.\r\nSe poi consideriamo anche il 1.499.000 di individui impiegati in maniera precaria e a tempo parziale abbiamo un totale di 8.552.000 persone per cui la mancanza o la precarietà di un lavoro rappresentano un problema con cui fare quotidianamente i conti.\r\nQuesta situazione è prevalentemente italiana le “forze lavoro potenziali” (come si chiamano statisticamente) in Italia sono il 14% contro il 4% medio del resto d’Europa.\r\nDa che dipende? Dal fatto che in Italia il lavoro non si trova con i metodi “classici” in uso nel resto d’Europa, ma con conoscenze, rapporti familiari, raccomandazioni, favori.\r\nQuesto serve a far legare a filo doppio una persona al suo “sponsor” lavorativo (a maggior ragione quando è un politico) e lo rende ulteriormente ricattabile quando prova a far valere i propri diritti sul posto di lavoro.\r\nQuesta è anche una delle cause della scarsissima mobilità sociale in Italia. Chi nasce povero, per quanti studi possa aver fatto e per quanta capacità possa dimostrare, rimane povero. Con la crisi questa situazione è anche peggiorata. Adesso chi nasceva in una famiglia di relativo benessere ha molte più probabilità di diventare povero che non di mantenere la propria posizione sociale.\r\nIn Italia, prima della crisi, si ereditava non solo la posizione sociale, ma anche il lavoro del padre: il 44% degli architetti aveva un figlio architetto, il 42% dei padri laureati in giurisprudenza aveva un figlio con medesima laurea, il 41% dei farmacisti e il 39% di medici e ingegneri.\r\nLa crisi ha trasformato la piramide sociale in clessidra: la maggior parte delle persone che erano ai livelli intermedi della piramide sono stati spinti verso il basso. Qualcuno è stato spinto verso l’alto: in Italia il numero delle persone che possiedono più di 30 milioni di euro è aumentato, nell’ultimo anno del 7%, a fronte di un aumento della povertà relativa del 15%.\r\nIl problema della disoccupazione non è nato con l’Euro (all’avvento dell’euro la disoccupazione italiana era al 9.1%), ma è stata la risposta data dal capitalismo italiano alla crisi. Nel 2007 (prima dell’inizio della crisi) la disoccupazione in Italia era al 6.1% ed oggi è al 12,6%.\r\nLa scelta di spostare le produzioni ad alta intensità di lavoro in Cina, Vietnam e negli altri paesi dell’estremo oriente, e le produzioni ad alta intensità di capitale in Germania, ha determinato il crollo di circa il 30% della produzione manifatturiera italiana e la disoccupazione è più che raddoppiata dal 2007 ad oggi. La scelta dello stato e del padronato di puntare sui bassi salari fa sì che l’industria manifatturiera italiana, che è ancora la seconda in Europa, realizzi produzioni a basso valore aggiunto facilmente delocalizzabili. Questo aumento di disoccupazione per l’Italia (e gli altri paesi della “periferia” europea) è, per questi motivi, strutturale.\r\nL’unico motivo per cui l’Italia ha una bilancia commerciale in attivo è perché sono crollati i consumi: non ci sono più soldi, le persone comprano di meno e consumando meno merci, ne vengono importate di meno (- 8.5% negli ultimi tre anni) e pur essendo diminuite anche le esportazioni (-1.7%), sono diminuite di meno delle importazioni, e il saldo è diventato attivo.\r\nRaccontano che ci sono paesi, come la Germania, dove hanno risolto il problema della disoccupazione.\r\nPeccato che abbiano semplicemente sostituito la disoccupazione con la sottoccupazione riducendo contemporaneamente i salari.\r\nIn Germania infatti, nel 2005 la disoccupazione era al 11.2% benché fosse in pieno boom economico. Per evitare una esplosione sociale il governo socialdemocratico di Shoereder si inventò i minijob. Chi voleva usufruire del sussidio di disoccupazione doveva accettare del lavori di 15 ore la settimana retribuiti 450 Euro al mese, senza tasse e con pochi contributi previdenziali (il costo\r\ntotale per l’imprenditore, compresa la cassa malattia è di 585 euro al mese).\r\nIn cambio lo stato tedesco versa per un single un importo pari a 374 € mensili a cui vanno aggiunti circa 300 € per l'affitto; una famiglia invece percepisce un contributo di 337 € per ogni adulto, 219 € per ogni bambino e 550 € per l'affitto.\r\nIn Germania i lavoratori impegnati con i minijob sono più di otto milioni, circa il 20% del totale degli occupati.\r\nOltretutto, siccome i minijob non consentono di ricevere il permesso di soggiorno hanno avvantaggiato la manodopera autoctona nei lavori meno qualificati (quelli abitualmente pagati di meno e dove c’è il maggior utilizzo di questi contratti).\r\nIl problema è che contemporaneamente tutti i contratti esistenti per i lavori meno qualificati sono stati trasformati in contratti a minijobs con il risultato che la massa salariale complessiva percepita in Germania è rimasta sostanzialmente la stessa nonostante l’aumento dell’occupazione.\r\nQuesto ha determinato due effetti: un bassissimo costo del lavoro per le industrie, che hanno potuto produrre a prezzi considerevolmente più bassi aumentando conseguentemente le esportazioni e una diminuzione dei consumi interni con diminuzione delle importazioni.\r\nIl risultato è che, lo scorso anno, la Germania ha avuto il saldo attivo della bilancia dei pagamenti più alto al mondo, maggiore anche della Cina che sui bassi salari e l’estrema flessibilità ha fondato il proprio successo economico.\r\nDi fatto questa forma di sostegno alla disoccupazione rappresenta un finanziamento all’impresa, che automatizza al massimo per poter usare i minijob nella produzione e, in futuro, porterà all’esplosione del sistema previdenziale tedesco, visto che oggi, chi lavora con i minijob ha diritto solo a 3,11 euro di pensione mensile per ogni anno di lavoro. Il che significa che un lavoratore che avesse lavorato per 40 anni solo con i minijob avrebbe diritto ad appena 124 euro di pensione al mese.\r\nL’altra favola che stanno raccontando è che il problema della disoccupazione è legato alla “rigidità” del mercato del lavoro.\r\nRenzi ha proclamato che con il “jobs act” e l’introduzione selvaggia del contratto a tempo determinato si contribuirà alla soluzione del problema della disoccupazione.\r\nIn Spagna i contratti a tempo determinato li hanno liberalizzati dal 1984, rendendo ammissibili ripetute proroghe dello stesso contratto che ha smesso di essere legato ad esigenze temporanee di produzione.\r\nDopo 30 anni tutti gli studi che hanno analizzato gli effetti di questo provvedimento sono concordi nel sostenere che il risultato è: meno giorni di lavoro complessivi (si lavora – a parità di ferie - mediamente 21 giorni di meno all’anno persi a cercare un altro lavoro), salari più bassi (a parità di condizioni e indipendentemente dai giorni lavorati in meno, fin da prima della crisi erano diminuiti mediamente del 12%), precarizzazione delle scelte di vita (tutti quelli che, dopo qualche contratto, sarebbero stati assunti a tempo indeterminato, sono rimasti precari molto più a lungo) penalizzazione dei soggetti più deboli (chi ha avuto inabilità, donne incinte o con bambini piccoli non hanno il rinnovo dei contratti).\r\nL’inutilità dell’effetto complessivo sulla disoccupazione è conclamato dal fatto che la Spagna ha oggi la disoccupazione al 25%, superiore anche a quella della Grecia.\r\nLa sublimazione di tutti queste situazioni è data dalla disoccupazione giovanile.\r\nIn Italia risultano disoccupate tra i 15 e i 24 anni 656.000 persone per un tasso di disoccupazione giovanile pari al 41.9%.\r\nIl dato va completato: tra i 15 e i 24 anni 650.000 persone cercano lavoro e non lo trovano, meno di un milione lavora, tre milioni e mezzo studiano o fanno formazione e 850.000 sono NEET (Not in Education, Employment or Training), non studiano, non lavorano né lo cercano e non fanno alcun tipo di tirocinio.\r\nIl numero dei neet sale vertiginosamente ampliando la fascia d’età tra i 15 e i 29 anni a circa 2.300.000 persone che, sebbene le persone di età tra i 25 e i 29 anni non rientrino statisticamente nella disoccupazione giovanile, il dato numerico segnala che le prospettive per i giovani sono inesistenti anche quando sono un po’ più “vecchi”.\r\nQualcuno di questi brillanti “tecnici” ed “economisti” al servizio dei potenti ha suggerito di modificare la rappresentazione del tasso di disoccupazione giovanile modificando l’indice mettendolo in rapporto con l’insieme dei giovani e non solo con i giovani componenti la forza lavoro, per abbassarlo dal 41.9% al 10.5%.\r\nInvece di preoccuparsi del motivo per cui in sei anni il tasso è più che raddoppiato (era al 20% nel 2008) si preoccupano di falsificarlo.\r\nEd il motivo dell’aumento della disoccupazione giovanile è banale quanto ovvio. La riforma delle pensioni, con una accentuazione con quella della Fornero, oltre ad aver obbligato i lavoratori ad essere inchiodati al posto di lavoro fino a 67 anni, ha determinato la mancata assunzione dei più giovani.\r\nDall’inizio della crisi, nel 2008 (ma la tendenza si è solo accentuata rispetto a prima), ci sono un milione di posti di lavoro in meno (da 23,4 milioni a 22.4 milioni), però il numero degli ultracinquantenni che lavorano è aumentato di un milione di unità (da 5.6 milioni a 6.6 milioni).\r\nNon si tratta, con tutta evidenza, di un atteggiamento caritatevole dei padroni, che hanno assunto gli “esodati” dalla Fornero o i cinquantenni espulsi dal ciclo produttivo dalle ristrutturazioni aziendali che hanno portato miliardi di profitti ai padroni e licenziamenti, cassa integrazione e fame agli operai. Sono i lavoratori che non sono potuti andare in pensione, che seguitano a lavorare e che, per ragioni anagrafiche, invecchiano.\r\nI giovani hanno fatto da cavie a tutte le nuove tipologie di contratto di lavoro, con la truffa degli stage alcuni lavorano addirittura gratis, sono praticamente tutti precari, molti sono spesso sottoccupati, costretti ad accettare un lavoro a tempo parziale per l’impossibilità di trovare un lavoro a tempo pieno.\r\nNonostante questo si seguita a spingere l’accento sulla necessità della precarietà per ridurre il numero dei disoccupati.\r\nSe fosse vero che con la precarietà si diminuisse il numero dei disoccupati, dovremmo avere, per le ragioni dette sopra, la disoccupazione giovanile molto più bassa di quella complessiva, invece di essere enormemente maggiore.\r\nInvece, proprio perché precari, i giovani pagano un prezzo più alto alle ristrutturazioni aziendali: sono i primi a vedere i propri contratti non rinnovati quando c’è un accenno di crisi.\r\nQuesto rende evidente anche la balla con cui i padroni giustificano i propri profitti: sono loro che rischiano il proprio capitale ed è giusto che venga remunerato. I primi (e quasi sempre i soli) che rischiano qualcosa sono i lavoratori, per i padroni ci pensa lo stato a coprire le perdite!\r\nE adesso, Renzi, con il jobs act, vorrebbe estendere questa situazione a tutti i lavoratori.\r\nNoi non ci siamo mai illusi che, modificando qualche legge o votando qualcuno piuttosto che un altro, possa modificarsi la situazione.\r\nLa situazione attuale conferma le nostre idee.\r\nL’unico modo per non trascorrere la propria vita tra precariato e disoccupazione, sognando un lavoro sfruttato, è di cambiare radicalmente il modello di produzione.\r\nSolo con la lotta è possibile riappropriarsi della propria vita, del proprio tempo, dei propri desideri.","27 Giugno 2014","2018-10-17 22:10:02","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/06/dinamismoDellaTestaDiUnUomo-200x110.jpg","Renzi scappa, la disoccupazione no",1403882521,[338,339,340,341],"http://radioblackout.org/tag/civediamopoi/","http://radioblackout.org/tag/disoccupazione/","http://radioblackout.org/tag/fiscal-compact/","http://radioblackout.org/tag/renzi/",[257,343,259,249],"disoccupazione",{"post_content":345},{"matched_tokens":346,"snippet":347,"value":348},[73,74],"La crisi ha trasformato la \u003Cmark>piramide\u003C/mark> \u003Cmark>sociale\u003C/mark> in clessidra: la maggior parte","La fuga di Renzi, che ha posticipato a novembre e probabilmente spostato a Bruxelles il vertice sull'occupazione giovanile previsto a Torino l'11 luglio, non muta la situazione dei tantissimi giovani che non hanno un lavoro, o vivono di precarietà quotidiane, che ne segnano le vite in modo irreversibile.\r\nSe i vertici - e con loro la variabile dipendente dei controvertici - sono la rappresentazione politica che si gioca nello spazio di una giornata, la questione della liberazione dal lavoro salariato come scommessa dei movimenti che mirano a spezzare l'ordine \u003Cmark>sociale\u003C/mark>, resta sul piatto ed impone un ragionare - ed un agire - più radicalmente volto ad una prospettiva di esodo conflittuale.\r\nUn percorso difficile, ma - a nostro avviso - non eludibile. Non ci sono scappatoie.\r\nLa rappresentazione ritualizzata del conflitto che si gioca nei controvertici, anche quando la materialità dell'agire e la violenza istituzionale si incidono nell'immaginario, tanto da divenire passaggio obbligato, bagno sacro per una generazione di attivisti, non riesce tuttavia a oltrepassare la dimensione del simbolico. Poco importa che la narrazione del poi ci consegni qualche girotondo in tuta o k-wey o i fuochi di un luglio genovese.\r\nOggi, a bocce ferme, dopo il rinvio del vertice di Torino, vogliamo provare a ragionare, proponendo anche strumenti di approfondimento.\r\n\r\nDi disoccupazione abbiamo parlato con Francesco, autore dell'articolo \"Disoccupazione e Unione europea\" uscito sul settimanale Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito.\r\n\r\nAscoltate la diretta con Francesco:\r\n\r\n2014 06 19 fricche\r\n\r\nUna premessa è d’obbligo.\r\nI ragionamenti che facciamo sulla disoccupazione non sono esaltazioni del lavoro salariato, sfruttato e sotto padrone.\r\nNon ha alcun senso lamentarsi della disoccupazione aspirando a fare un lavoro di merda, precario e sottopagato, da dove puoi essere cacciato via in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione.\r\nNoi siamo per la liberazione di tutti gli sfruttati. Liberazione dal dominio, liberazione dal comando, liberazione dal capitale.\r\nLe analisi che sviluppiamo sulla disoccupazione, come su altro, servono a ragionare collettivamente su come si stiano modificati i modelli di sfruttamento e come combatterli meglio.\r\nCi sembra si sia usciti dal circuito produci-consuma-crepa. La produzione la fanno altrove e qui ti tengono appeso tra la disoccupazione e il lavoro part time per poterti condizionare meglio. Il consumo è diventato pura sopravvivenza. Solo la morte l’hanno lasciata, accentuandola con la chiusura degli ospedali, il costo delle cure sanitarie e i ricatti di big pharma.\r\nUna parte importante di questo processo di modifica delle condizioni del lavoro e dell’accesso al lavoro ce l’ha l’Unione Europea.\r\nLa tradizione di lotte sociali del proletariato europeo aveva fatto sì che le condizioni di lavoro fossero, in Europa, sensibilmente migliori che non negli USA.\r\nIl processo di unificazione europea ha comportato la perdita progressiva di quelle conquiste, la crisi degli ultimi sei anni ha fornito la scusa per dare il colpo di grazia alle condizioni di vita e lavoro di milioni di persone.\r\nLa disoccupazione in questo gioca un ruolo importante. Ce lo spiega la stessa Commissione Europea nel “Winter forecast” di marzo 2014, dove dice che il\r\ntasso di disoccupazione di equilibrio (NAIRU) per l’Italia – a fini del raggiungimento degli obiettivi di bilancio e di inflazione – non può essere inferiore all’11% nel 2015 ed è meglio se è superiore. Infatti la “disoccupazione sostenibile serve a ridurre le pressioni salariali e a frenare la crescita dei salari. Questo, unito con lieve miglioramento della produttività, comporta solo moderati aumenti del costo unitario del lavoro nominale.”\r\nSenza entrare in tecnicismi economici, è bene sottolineare che un dato del NAIRU così alto serve alla Commissione Europea per sovrastimare il deficit strutturale dell’Italia e chiedere una manovra economica aggiuntiva.\r\nIn ogni caso è perfettamente inutile che il governo e l’Unione Europea sparino tante panzane sulla loro volontà di ridurre la disoccupazione, visto che, proprio loro, si sono dati tanto da fare per crearla e si stanno dando da fare per mantenerla alta.\r\nL’ISTAT ci dice, intanto, che il tasso di disoccupazione”ufficiale” in Italia è al 12,6%. Come tutte le statistiche però il singolo dato non ci dice nulla se non sappiamo cosa c’è dietro.\r\nVengono considerati disoccupati coloro i quali, nel mese precedente alla rilevazione, hanno effettuato una ricerca attiva di lavoro (mandato un curriculum, fatto un colloquio, risposto a un annuncio), non hanno fatto neanche un’ora di lavoro (se uno fa il baby sitter una sera per tre ore non viene considerato disoccupato neanche se si sbatte come un matto per cercare lavoro per tutto il\r\nresto del mese) e sono disponibili a iniziare a lavorare nelle due settimane successive.\r\nI disoccupati calcolati così sono 3.487.000. Se a questi ci aggiungiamo però quelli che il lavoro non l’hanno cercato nel mese precedente, perché “scoraggiati” o perché stanno aspettando la risposta a qualche colloquio fatto prima, ma sono comunque disponibili a lavorare abbiamo altre 3.305.000 persone. Se consideriamo anche quelli che cercano lavoro, ma non possono cominciare nelle due settimane successive (studenti sotto esami, donne in gravidanza) abbiamo altre 261.000 individui.\r\nSe poi consideriamo anche il 1.499.000 di individui impiegati in maniera precaria e a tempo parziale abbiamo un totale di 8.552.000 persone per cui la mancanza o la precarietà di un lavoro rappresentano un problema con cui fare quotidianamente i conti.\r\nQuesta situazione è prevalentemente italiana le “forze lavoro potenziali” (come si chiamano statisticamente) in Italia sono il 14% contro il 4% medio del resto d’Europa.\r\nDa che dipende? Dal fatto che in Italia il lavoro non si trova con i metodi “classici” in uso nel resto d’Europa, ma con conoscenze, rapporti familiari, raccomandazioni, favori.\r\nQuesto serve a far legare a filo doppio una persona al suo “sponsor” lavorativo (a maggior ragione quando è un politico) e lo rende ulteriormente ricattabile quando prova a far valere i propri diritti sul posto di lavoro.\r\nQuesta è anche una delle cause della scarsissima mobilità \u003Cmark>sociale\u003C/mark> in Italia. Chi nasce povero, per quanti studi possa aver fatto e per quanta capacità possa dimostrare, rimane povero. Con la crisi questa situazione è anche peggiorata. Adesso chi nasceva in una famiglia di relativo benessere ha molte più probabilità di diventare povero che non di mantenere la propria posizione \u003Cmark>sociale\u003C/mark>.\r\nIn Italia, prima della crisi, si ereditava non solo la posizione \u003Cmark>sociale\u003C/mark>, ma anche il lavoro del padre: il 44% degli architetti aveva un figlio architetto, il 42% dei padri laureati in giurisprudenza aveva un figlio con medesima laurea, il 41% dei farmacisti e il 39% di medici e ingegneri.\r\nLa crisi ha trasformato la \u003Cmark>piramide\u003C/mark> \u003Cmark>sociale\u003C/mark> in clessidra: la maggior parte delle persone che erano ai livelli intermedi della \u003Cmark>piramide\u003C/mark> sono stati spinti verso il basso. Qualcuno è stato spinto verso l’alto: in Italia il numero delle persone che possiedono più di 30 milioni di euro è aumentato, nell’ultimo anno del 7%, a fronte di un aumento della povertà relativa del 15%.\r\nIl problema della disoccupazione non è nato con l’Euro (all’avvento dell’euro la disoccupazione italiana era al 9.1%), ma è stata la risposta data dal capitalismo italiano alla crisi. Nel 2007 (prima dell’inizio della crisi) la disoccupazione in Italia era al 6.1% ed oggi è al 12,6%.\r\nLa scelta di spostare le produzioni ad alta intensità di lavoro in Cina, Vietnam e negli altri paesi dell’estremo oriente, e le produzioni ad alta intensità di capitale in Germania, ha determinato il crollo di circa il 30% della produzione manifatturiera italiana e la disoccupazione è più che raddoppiata dal 2007 ad oggi. La scelta dello stato e del padronato di puntare sui bassi salari fa sì che l’industria manifatturiera italiana, che è ancora la seconda in Europa, realizzi produzioni a basso valore aggiunto facilmente delocalizzabili. Questo aumento di disoccupazione per l’Italia (e gli altri paesi della “periferia” europea) è, per questi motivi, strutturale.\r\nL’unico motivo per cui l’Italia ha una bilancia commerciale in attivo è perché sono crollati i consumi: non ci sono più soldi, le persone comprano di meno e consumando meno merci, ne vengono importate di meno (- 8.5% negli ultimi tre anni) e pur essendo diminuite anche le esportazioni (-1.7%), sono diminuite di meno delle importazioni, e il saldo è diventato attivo.\r\nRaccontano che ci sono paesi, come la Germania, dove hanno risolto il problema della disoccupazione.\r\nPeccato che abbiano semplicemente sostituito la disoccupazione con la sottoccupazione riducendo contemporaneamente i salari.\r\nIn Germania infatti, nel 2005 la disoccupazione era al 11.2% benché fosse in pieno boom economico. Per evitare una esplosione \u003Cmark>sociale\u003C/mark> il governo socialdemocratico di Shoereder si inventò i minijob. Chi voleva usufruire del sussidio di disoccupazione doveva accettare del lavori di 15 ore la settimana retribuiti 450 Euro al mese, senza tasse e con pochi contributi previdenziali (il costo\r\ntotale per l’imprenditore, compresa la cassa malattia è di 585 euro al mese).\r\nIn cambio lo stato tedesco versa per un single un importo pari a 374 € mensili a cui vanno aggiunti circa 300 € per l'affitto; una famiglia invece percepisce un contributo di 337 € per ogni adulto, 219 € per ogni bambino e 550 € per l'affitto.\r\nIn Germania i lavoratori impegnati con i minijob sono più di otto milioni, circa il 20% del totale degli occupati.\r\nOltretutto, siccome i minijob non consentono di ricevere il permesso di soggiorno hanno avvantaggiato la manodopera autoctona nei lavori meno qualificati (quelli abitualmente pagati di meno e dove c’è il maggior utilizzo di questi contratti).\r\nIl problema è che contemporaneamente tutti i contratti esistenti per i lavori meno qualificati sono stati trasformati in contratti a minijobs con il risultato che la massa salariale complessiva percepita in Germania è rimasta sostanzialmente la stessa nonostante l’aumento dell’occupazione.\r\nQuesto ha determinato due effetti: un bassissimo costo del lavoro per le industrie, che hanno potuto produrre a prezzi considerevolmente più bassi aumentando conseguentemente le esportazioni e una diminuzione dei consumi interni con diminuzione delle importazioni.\r\nIl risultato è che, lo scorso anno, la Germania ha avuto il saldo attivo della bilancia dei pagamenti più alto al mondo, maggiore anche della Cina che sui bassi salari e l’estrema flessibilità ha fondato il proprio successo economico.\r\nDi fatto questa forma di sostegno alla disoccupazione rappresenta un finanziamento all’impresa, che automatizza al massimo per poter usare i minijob nella produzione e, in futuro, porterà all’esplosione del sistema previdenziale tedesco, visto che oggi, chi lavora con i minijob ha diritto solo a 3,11 euro di pensione mensile per ogni anno di lavoro. Il che significa che un lavoratore che avesse lavorato per 40 anni solo con i minijob avrebbe diritto ad appena 124 euro di pensione al mese.\r\nL’altra favola che stanno raccontando è che il problema della disoccupazione è legato alla “rigidità” del mercato del lavoro.\r\nRenzi ha proclamato che con il “jobs act” e l’introduzione selvaggia del contratto a tempo determinato si contribuirà alla soluzione del problema della disoccupazione.\r\nIn Spagna i contratti a tempo determinato li hanno liberalizzati dal 1984, rendendo ammissibili ripetute proroghe dello stesso contratto che ha smesso di essere legato ad esigenze temporanee di produzione.\r\nDopo 30 anni tutti gli studi che hanno analizzato gli effetti di questo provvedimento sono concordi nel sostenere che il risultato è: meno giorni di lavoro complessivi (si lavora – a parità di ferie - mediamente 21 giorni di meno all’anno persi a cercare un altro lavoro), salari più bassi (a parità di condizioni e indipendentemente dai giorni lavorati in meno, fin da prima della crisi erano diminuiti mediamente del 12%), precarizzazione delle scelte di vita (tutti quelli che, dopo qualche contratto, sarebbero stati assunti a tempo indeterminato, sono rimasti precari molto più a lungo) penalizzazione dei soggetti più deboli (chi ha avuto inabilità, donne incinte o con bambini piccoli non hanno il rinnovo dei contratti).\r\nL’inutilità dell’effetto complessivo sulla disoccupazione è conclamato dal fatto che la Spagna ha oggi la disoccupazione al 25%, superiore anche a quella della Grecia.\r\nLa sublimazione di tutti queste situazioni è data dalla disoccupazione giovanile.\r\nIn Italia risultano disoccupate tra i 15 e i 24 anni 656.000 persone per un tasso di disoccupazione giovanile pari al 41.9%.\r\nIl dato va completato: tra i 15 e i 24 anni 650.000 persone cercano lavoro e non lo trovano, meno di un milione lavora, tre milioni e mezzo studiano o fanno formazione e 850.000 sono NEET (Not in Education, Employment or Training), non studiano, non lavorano né lo cercano e non fanno alcun tipo di tirocinio.\r\nIl numero dei neet sale vertiginosamente ampliando la fascia d’età tra i 15 e i 29 anni a circa 2.300.000 persone che, sebbene le persone di età tra i 25 e i 29 anni non rientrino statisticamente nella disoccupazione giovanile, il dato numerico segnala che le prospettive per i giovani sono inesistenti anche quando sono un po’ più “vecchi”.\r\nQualcuno di questi brillanti “tecnici” ed “economisti” al servizio dei potenti ha suggerito di modificare la rappresentazione del tasso di disoccupazione giovanile modificando l’indice mettendolo in rapporto con l’insieme dei giovani e non solo con i giovani componenti la forza lavoro, per abbassarlo dal 41.9% al 10.5%.\r\nInvece di preoccuparsi del motivo per cui in sei anni il tasso è più che raddoppiato (era al 20% nel 2008) si preoccupano di falsificarlo.\r\nEd il motivo dell’aumento della disoccupazione giovanile è banale quanto ovvio. La riforma delle pensioni, con una accentuazione con quella della Fornero, oltre ad aver obbligato i lavoratori ad essere inchiodati al posto di lavoro fino a 67 anni, ha determinato la mancata assunzione dei più giovani.\r\nDall’inizio della crisi, nel 2008 (ma la tendenza si è solo accentuata rispetto a prima), ci sono un milione di posti di lavoro in meno (da 23,4 milioni a 22.4 milioni), però il numero degli ultracinquantenni che lavorano è aumentato di un milione di unità (da 5.6 milioni a 6.6 milioni).\r\nNon si tratta, con tutta evidenza, di un atteggiamento caritatevole dei padroni, che hanno assunto gli “esodati” dalla Fornero o i cinquantenni espulsi dal ciclo produttivo dalle ristrutturazioni aziendali che hanno portato miliardi di profitti ai padroni e licenziamenti, cassa integrazione e fame agli operai. Sono i lavoratori che non sono potuti andare in pensione, che seguitano a lavorare e che, per ragioni anagrafiche, invecchiano.\r\nI giovani hanno fatto da cavie a tutte le nuove tipologie di contratto di lavoro, con la truffa degli stage alcuni lavorano addirittura gratis, sono praticamente tutti precari, molti sono spesso sottoccupati, costretti ad accettare un lavoro a tempo parziale per l’impossibilità di trovare un lavoro a tempo pieno.\r\nNonostante questo si seguita a spingere l’accento sulla necessità della precarietà per ridurre il numero dei disoccupati.\r\nSe fosse vero che con la precarietà si diminuisse il numero dei disoccupati, dovremmo avere, per le ragioni dette sopra, la disoccupazione giovanile molto più bassa di quella complessiva, invece di essere enormemente maggiore.\r\nInvece, proprio perché precari, i giovani pagano un prezzo più alto alle ristrutturazioni aziendali: sono i primi a vedere i propri contratti non rinnovati quando c’è un accenno di crisi.\r\nQuesto rende evidente anche la balla con cui i padroni giustificano i propri profitti: sono loro che rischiano il proprio capitale ed è giusto che venga remunerato. 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Lo sanno tutti quelli che partecipano attivamente a cortei che eccedono i limiti imposti dalle Questure.\r\n Eccezionale è la decisione dei media di accendere i propri riflettori su queste violenze.\r\n Quando accade si sprecano le parole di rammarico, la retorica delle mele marce, dei poliziotti malpagati e stressati, sempre in bilico tra la condanna e la giustificazione firmata dal Prefetto.\r\n I democratici più irriducibili vorrebbero che i poliziotti avessero il numero identificativo sul modello delle medagliette per i cani.\r\n Se per qualche caso un'immagine \"buca\" gli schermi, la norma del silenzio si rompe per qualche giorno. La vicenda dei due giovani viareggini finiti in terra durante le cariche al corteo romano del 12 aprile è una di queste. Il ragazzo con testa sanguinante che protegge il volto della ragazza, l'uomo in divisa che li blocca con la gamba, il poliziotto in borghese che sale di prepotenza sulla pancia di lei ecco gli ingredienti per una storia latte, miele e indignazione.\r\n Il responsabile viene redarguito, poi la notizia perde di mordente e si torna alla normalità.\r\n Le violenze, i soprusi, gli insulti, le molestie sono la colonna sonora di ogni giorno nel \"lavoro\" degli uomini e le donne in divisa.\r\n La sorte peggiore tocca ai migranti, ai senza carte, a chi non soldi né conoscenze, a chi non conosce le regole del gioco.\r\n Raramente le storie di pestaggi fuori e dentro le caserme vengono intercettate e narrate dai media. Il tam tam delle strade, le narrazioni al bar, le nostre stesse vite ricompongono un puzzle che resta la trama sottesa delle relazioni sociali nel nostro paese.\r\n La fine di ogni residuo sistema di ammortizzazione del conflitto sociale, l'affermarsi del neoliberismo hanno eliminato ogni margine di mediazione, rendendo sempre più sottile e aguzza la piramide sociale.\r\n La guerra è diventata permanente dall'Africa al Sudamerica. Guerra civile in cui la distanza tra guerra e ordine pubblico si assottiglia sino a divenire impalpabile.\r\n Una prospettiva sempre meno lontana dall'Europa, dove le regole di un gioco feroce, stanno facendo evaporare le illusioni di chi credeva di essere al riparo, protetto da frontiere amiche, nel nord ricco del mondo.\r\n Non ci sono salvagenti.\r\n L'unica possibilità è la sottrazione conflittuale, la fuoriuscita da un ordine che macina le vite, mantenendole quel tanto che serve a mentenere il ciclo del lavora/consuma/crepa. Un gioco duro, che bisognerà imparare a giocare, facendone saltare la logica resistenziale, per praticare l'autogestione sin da ora, nel magma sociale dove la gente fatica a vivere e vive sempre peggio.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Salvo Vaccaro, docente di filosofia politica all'Università di Palermo.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 04 17 vaccaro violenza polizia","18 Aprile 2014","2018-11-01 22:03:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/04/marcia-caramba-mauve-200x110.png","Polizia. Sangue, divise e silenzio",1397843669,[365,366],"http://radioblackout.org/tag/guerra-civile/","http://radioblackout.org/tag/polizia-violenta/",[368,263],"guerra civile",{"post_content":370},{"matched_tokens":371,"snippet":372,"value":373},[73,74],"più sottile e aguzza la \u003Cmark>piramide\u003C/mark> \u003Cmark>sociale\u003C/mark>.\r\n La guerra è diventata permanente","Calci, pugni, manganellate contro manifestanti non sono l'eccezione ma la norma. 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L'ultimo ad allinearsi alla canea è stato il portavoce del M5S Giuseppe Grillo, che ha invocato un referendum.\r\nL'uguaglianza tra esseri umani è sempre stata un'astrazione rispetto alle altisonanti dichiarazioni di principio liberali: solo lotte durissime hanno allargato progressivamente il diritto formale di cittadinanza, pur mantenendo la terrificante materialità della piramide sociale.\r\nIn questi anni l'elaborazione del concetto di clandestinità ha spezzato nell'immaginario non meno che nell'apparato legislativo l'idea dell'uguaglianza, foss'anche meramente formale, tra esseri umani.\r\nIn questo modo il pregiudizio contro i figli degli immigrati, considerati \"estranei\" anche se nati nel nostro paese, si è radicato profondamente. La legislazione italiana è basata sullo jus sanguinis: solo i figli degli italiani acquisiscono la cittadinanza alla nascita. Lo stesso principio è applicato in tutti i paesi europei, esclusa la Francia, ma in modo molto meno rigido che nel nostro paese. Diversa è la legislazione in paesi la cui popolazione è prevalentemente costituita da immigrati come quelli del nord e del sud america, dove invece prevale lo jus soli. Lo jus soli peraltro non impedisce a chi lo applica di avere una legislazione durissima contro gli immigrati «illegali». Le frontiere insanguinate tra gli Stati Uniti e il Messico ne sono un buon esempio.\r\nGrillo ha sostenuto che lo jus soli nel nostro paese c'è già, perché i bambini nati in Italia da genitori stranieri, possono, al compimento dei 18 anni, acquisire la cittadinanza. In realtà questa sorta di automatismo è una mera illusione, perché se i genitori non sono sempre stati regolari, se il ragazzo non ha sempre vissuto in Italia, se è incappato nelle maglie della legge la cittadinanza non viene concessa. Come sappiamo la vita di ogni immigrato è una roulette russa disegnata da leggi fatte apposta per imbrigliarlo: ben pochi ragazzi, al compimento dei 18 anni, riescono a continuare la propria vita, senza dover rincorrere un permesso di soggiorno legato ad un lavoro regolare che ben pochi trovano.\r\nOccorre peraltro rilevare che la proposta sostenuta da Cecile Kyenge è molto moderata. Il testo di legge, è stato presentato alla Camera il 21 marzo con il titolo “Disposizioni in tema di acquisto della cittadinanza italiana”. Il sintesi propone che “è italiano chi nasce in Italia da genitori regolarmente residenti da almeno cinque anni, oppure chi arriva qui entro i dieci anni e conclude un ciclo scolastico (scuole elementari, medie o superiori) o un percorso di formazione professionale”.\r\nNulla di particolarmente rivoluzionario. Sempre troppo per i razzisti di ogni colore politico.\r\nPer capirne di più Anarres ne ha parlato con Gianluca Vitale, avvocato da sempre in prima fila sul fronte dell'immigrazione.\r\n\r\nAscolta il suo intervento\r\n2013 05 10 jus soli vitale","12 Maggio 2013","2018-10-17 22:59:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/05/discriminazion-200x110.jpg","Sangue, terra e razzisti",1368391931,[],[],{"post_content":392},{"matched_tokens":393,"snippet":394,"value":395},[73,74],"mantenendo la terrificante materialità della \u003Cmark>piramide\u003C/mark> \u003Cmark>sociale\u003C/mark>.\r\nIn questi anni l'elaborazione del","La proposta della ministro Kyenge di applicare, sia pure a certe condizioni, lo jus soli ai bambini nati in Italia da genitori stranieri, ha scatenato ampie e prevedibili polemiche che hanno avuto tra i protagonisti fascisti e leghisti. 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Così scriveva Carl Schmitt – controverso giurista tedesco prima riverito, poi messo ai margini dal regime nazionalsocialista – in un libercolo del 1942 : Land und Meer, ovvero: Terra e mare. […] Ma l’opposizione fondamentale fra potenze terrestri e potenze marittime cominciò ad essere teorizzata già alla fine del XIX secolo, da un certo Alfred Mahan, un americano, professore di storia all’Accademia militare di West Point. Secondo Mahan, il primo scontro moderno a rientrare in quest’opposizione si svolse fra la Inghilterra da un lato, potenza marittima per eccellenza, e la Francia dall’altro, in una serie di guerre che scandiscono il periodo che va dal 1660 al gli anni ’80 del secolo successivo.”\r\n\r\n[…]”Con la guerra navale del 1778-1783, la Francia sembrava aver infine ottenuto la sua tanto agognata vittoria sull’Inghilterra, e aver abbandonato lo statuto di potenza terrestre in favore di quello di potenza marittima, suggellato dal consolidamento dei suoi possedimenti coloniali. Ma lo sforzo militare francese per ottenere quella vittoria, e ad una distanza così grande dall’Esagono, era costato carissimo. Ne seguì una crisi politica e delle finanze pubbliche che sboccò, nel giro di qualche anno, nella Grande Rivoluzione del 1789. Non senza ironia, la svolta della rivoluzione borghese rinvia con forza la Francia al suo statuto di potenza terrestre. 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I savoia hanno dato seguito ad un’azione violenta nei confronti della comunità valdese, ancora una volta viene usata la religione per giustificare la sete di sangue e la passione per la repressione , ancora presente nella nostra società, ora le alabarde son diventate laser e a dio è subentrato lo stato.\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/BlackHoles.pasquepiemontesi.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nSabato 8 ore 20 - Magma Vol.1 56 minuti [Radio Blackout]: Dall'hard rock, al protometal, al doom sporcato di punk... dagli anni Sessanta in poi, da tutto il mondo!\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/01/MAGMA-puntata1_46.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nSabato 8 ore 23:30 - La Piramide Di Sangue - Tebe 38 minuti [La Piramide Di Sangue, Radio Blackout]: La Piramide di Sangue is a mosaic of meditative and restless sounds with no sonic boundaries which embrace spores of psychedelic rock of all ages, mediterranean cultures and wah-wah explosions.\r\nThe record has been recorded live at Blue Record Studio in Turin in one take.\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/10/La-Piramide-Di-Sangue-Tebe_38.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nDomenica 9 ore 10 - Presentazione Libro In Cammino Con Gli Ultimi 66 minuti [Radio Blackout]: Durante questa puntata speciale presentiamo il libro: “In cammino con gli ultimi. Dino Frisullo, storia di un militante avido di conoscenza e d’amore, vissuto e morto povero e curioso.”(curato da Senzaconfine. Edizioni Red Star Press, 2023 – 358 pagine). Con in studio: Alessia Montuori (dell’associazione Senzaconfine) e Aldo Canestrari. Con in diretta telefonica: Ashraf Haj Yahya (della comunità Palestinese che ha conosciuto Dino) e Yilmaz Orkan dell’associazione Uiki (della comunità Curda che ha conosciuto Dino). Curato e condotto da: Lo staff della trasmissione in onda su Radio Blackout Frittura Mista alias Radio Fabbrica.\r\n\r\nhttps://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/Speciale-presentazione-del-libro-In-cammino-con-gli-ultimi.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nDomenica 3 ore 13,30 - Fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson. 13 minuti [Porfido] : Alcuni estratti dal libro “Fratelli di Soledad, lettere dal carcere di George Jackson”. Pubblicato nel 1970, contiene l’autobiografia e lettere dal raggio O, e lettere 1964-70. L’autore, George Jackson, è stato un rivoluzionario statunitense. Fra i principali militanti del Black Panther Party (BPP), movimento rivoluzionario afroamericano, fu ucciso da un secondino di San Quentin il 21 agosto del 1971, una settimana dopo che il suo pamphlet intitolato “Col sangue agli occhi” riuscì a varcare clandestinamente le porte del penitenziario.\r\n\r\nhttps://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/09/Fratelli-di-Soledad_14.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","7 Novembre 2024","2024-11-10 20:02:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/Immagine-social-BH-200x110.jpg","Black holes dal 4 al 10 Novembre 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termine della notte\" di Louis-Ferdinand Cèline.\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/Proiezioni-di-Sizigia-Bardamu_5.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\nMercoledì 6 ore 8,30 - Perno Originario #5 16 minuti [Porfido]: La storia del mondo è storia di lotta di potenze marinare contro potenze di terra e di potenze di terra contro potenze marinare». Così scriveva Carl Schmitt – controverso giurista tedesco prima riverito, poi messo ai margini dal regime nazionalsocialista – in un libercolo del 1942 : Land und Meer, ovvero: Terra e mare. […] Ma l’opposizione fondamentale fra potenze terrestri e potenze marittime cominciò ad essere teorizzata già alla fine del XIX secolo, da un certo Alfred Mahan, un americano, professore di storia all’Accademia militare di West Point. Secondo Mahan, il primo scontro moderno a rientrare in quest’opposizione si svolse fra la Inghilterra da un lato, potenza marittima per eccellenza, e la Francia dall’altro, in una serie di guerre che scandiscono il periodo che va dal 1660 al gli anni ’80 del secolo successivo.”\r\n\r\n[…]”Con la guerra navale del 1778-1783, la Francia sembrava aver infine ottenuto la sua tanto agognata vittoria sull’Inghilterra, e aver abbandonato lo statuto di potenza terrestre in favore di quello di potenza marittima, suggellato dal consolidamento dei suoi possedimenti coloniali. Ma lo sforzo militare francese per ottenere quella vittoria, e ad una distanza così grande dall’Esagono, era costato carissimo. Ne seguì una crisi politica e delle finanze pubbliche che sboccò, nel giro di qualche anno, nella Grande Rivoluzione del 1789. Non senza ironia, la svolta della rivoluzione borghese rinvia con forza la Francia al suo statuto di potenza terrestre. La coalizione delle monarchie europee contro la neonata Repubblica francese spingerà al centro della scena un giovane capitano dell’esercito nato in Corsica, tale Napoleone Bonaparte, che non si limiterà a fare della Francia un impero, ma sconvolgerà l’arte militare, rivoluzionando la guerra di manovra e inaugurando quella che Clausewitz chiamerà la «forma assoluta di guerra», la cosiddetta guerra totale\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/08/Perno-originario-n.5_16.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nMercoledì 6 ore 16 - Quaresima in quarantena 48 minuti [Nessun rimborso]: QUARESIMA IN QUARANTENA ripercorre le sacre scritture per riportare la storia di Gesù ai nostri drammatici giorni di pandemia e isolamento. Questo radiodramma è la storia di come il figlio di Dio ha affrontato la quarantena.\r\n\r\nhttps://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/08/QUARESIMA-IN-QUARANTENA-AUDIO-sigla.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nGiovedì 7 ore 8,30 - Vogliamo tutto 30 minuti [Radio Blackout]: Presentazione e letture dal romanzo di Nanni Balestrini “Vogliamo tutto”. Correva l’anno 1969 nei giorni 3 e 4 luglio, cinquantaquattro anni fa, e a Torino andava in scena la rivolta di corso Traiano. Il “Vogliamo Tutto” del libro è la piattaforma di uomini e donne che iniziano, insieme alle prime forme dell’Autonomia, a parlare di rifuto del lavoro, fabbrica \u003Cmark>sociale\u003C/mark>, di qualità della vita di bisogni sociali. La lotta alla Fiat diviene la scuola per tutti i compagni e le compagne che mirano ad una trasformazione radicale dell’esistente. 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Dino Frisullo, storia di un militante avido di conoscenza e d’amore, vissuto e morto povero e curioso.”(curato da Senzaconfine. Edizioni Red Star Press, 2023 – 358 pagine). Con in studio: Alessia Montuori (dell’associazione Senzaconfine) e Aldo Canestrari. Con in diretta telefonica: Ashraf Haj Yahya (della comunità Palestinese che ha conosciuto Dino) e Yilmaz Orkan dell’associazione Uiki (della comunità Curda che ha conosciuto Dino). Curato e condotto da: Lo staff della trasmissione in onda su Radio Blackout Frittura Mista alias Radio Fabbrica.\r\n\r\nhttps://cdn.radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/Speciale-presentazione-del-libro-In-cammino-con-gli-ultimi.mp3\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nDomenica 3 ore 13,30 - Fratelli di Soledad. Lettere dal carcere di George Jackson. 13 minuti [Porfido] : Alcuni estratti dal libro “Fratelli di Soledad, lettere dal carcere di George Jackson”. Pubblicato nel 1970, contiene l’autobiografia e lettere dal raggio O, e lettere 1964-70. L’autore, George Jackson, è stato un rivoluzionario statunitense. 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