","Guerra in Europa. Verso l’escalation?","post",1711466666,[62,63,64,65,66,67,68,69,70,71,72],"http://radioblackout.org/tag/duda/","http://radioblackout.org/tag/elezioni-europee/","http://radioblackout.org/tag/escalation-bellica/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/macron/","http://radioblackout.org/tag/michel/","http://radioblackout.org/tag/nato/","http://radioblackout.org/tag/presidenziali-statunitensi/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/ucraina/","http://radioblackout.org/tag/von-der-leyden/",[74,75,76,77,78,79,80,22,20,81,82],"duda","elezioni europee","escalation bellica","guerra","macron","michel","nato","Ucraina","von der leyden",{"tags":84},[85,87,89,91,93,95,97,99,104,106,108],{"matched_tokens":86,"snippet":74},[],{"matched_tokens":88,"snippet":75},[],{"matched_tokens":90,"snippet":76},[],{"matched_tokens":92,"snippet":77},[],{"matched_tokens":94,"snippet":78},[],{"matched_tokens":96,"snippet":79},[],{"matched_tokens":98,"snippet":80},[],{"matched_tokens":100,"snippet":103},[101,102],"presidenziali","statunitensi","\u003Cmark>presidenziali\u003C/mark> \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark>",{"matched_tokens":105,"snippet":20},[],{"matched_tokens":107,"snippet":81},[],{"matched_tokens":109,"snippet":82},[],[111],{"field":36,"indices":112,"matched_tokens":114,"snippets":116},[113],7,[115],[101,102],[103],1157451471441625000,{"best_field_score":119,"best_field_weight":120,"fields_matched":24,"num_tokens_dropped":48,"score":121,"tokens_matched":19,"typo_prefix_score":48},"2211897868544",13,"1157451471441625193",{"document":123,"highlight":145,"highlights":159,"text_match":117,"text_match_info":166},{"cat_link":124,"category":125,"comment_count":48,"id":126,"is_sticky":48,"permalink":127,"post_author":51,"post_content":128,"post_date":129,"post_excerpt":54,"post_id":126,"post_modified":130,"post_thumbnail":131,"post_thumbnail_html":132,"post_title":133,"post_type":59,"sort_by_date":134,"tag_links":135,"tags":141},[45],[47],"64287","http://radioblackout.org/2020/11/election-day-la-crisi-dellimpero/","Nei prossimi giorni sapremo chi vincerà la sfida per la Casa Bianca. Sapremo se il presidente, che ha governato continuando a presentarsi come un autsider antisistema, riuscirà a spuntarla nonostante i pronostici, oppure sarà la volta di Joe Biden, ombra del naufragato new deal obaniano a prendere le redini. Di un fatto siamo certi: comunque vadano queste elezioni, questi stessi candidati, sono l’emblema di un sistema che fatica ad attraversare una crisi che si sta acuendo.\r\nUna crisi che ha reso ancora più aguzza la piramide sociale, allargando la base degli esclusi.\r\nUna crisi che rivela l’incapacità di gestire le insorgenze sociali La pacificazione sociale dell’era Obama è fallita, Trump ha affrontato con estrema violenza una protesta ampia, duratura e radicale. Partita dagli afroamericani, è andata ben oltre i ghetti dei neri per investire ampi settori della società oltre la linea del colore che segna il confine con le persone razializzate.\r\nTrump, un outsider rispetto all’establishment del suo stesso partito, rappresenta gli umori profondi di un paese spaventato dalla crisi, sempre più consapevole che la linea di demarcazione tra sommersi e salvati non è un muro che mette al riparo il piccolo ceto medio. Il ruolo imperiale degli States si è incrinato in un pianeta multipolare, dove il blocco della pax americana si è sgretolato come già l’impero sovietico, esprime è il frutto della grande paura che sta attraversando il pianeta, dando fiato a istanze reattive e reazionarie radicali.\r\nI democratici non sanno dare risposte realmente diverse. La candidatura di Kamala Harris alla vicepresidenza non promette nulla di nuovo, se non una pennellata di colore per convogliare consensi.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Lorenzo, che a questi temi ha dedicato un articolo.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/2020-11-03-election-day-lollo.mp3\"][/audio]","4 Novembre 2020","2020-11-04 08:46:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"144\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-300x144.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-300x144.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-1024x492.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday-768x369.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/electionday.jpg 1500w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Election Day. La crisi dell’impero",1604479608,[136,137,138,139,69,140],"http://radioblackout.org/tag/biden/","http://radioblackout.org/tag/election-day/","http://radioblackout.org/tag/harris/","http://radioblackout.org/tag/obama/","http://radioblackout.org/tag/trump/",[142,143,144,25,22,15],"biden","election day","harris",{"tags":146},[147,149,151,153,155,157],{"matched_tokens":148,"snippet":142},[],{"matched_tokens":150,"snippet":143},[],{"matched_tokens":152,"snippet":144},[],{"matched_tokens":154,"snippet":25},[],{"matched_tokens":156,"snippet":103},[101,102],{"matched_tokens":158,"snippet":15},[],[160],{"field":36,"indices":161,"matched_tokens":163,"snippets":165},[162],4,[164],[101,102],[103],{"best_field_score":119,"best_field_weight":120,"fields_matched":24,"num_tokens_dropped":48,"score":121,"tokens_matched":19,"typo_prefix_score":48},{"document":168,"highlight":187,"highlights":192,"text_match":196,"text_match_info":197},{"cat_link":169,"category":170,"comment_count":48,"id":171,"is_sticky":48,"permalink":172,"post_author":51,"post_content":173,"post_date":174,"post_excerpt":54,"post_id":171,"post_modified":175,"post_thumbnail":176,"post_thumbnail_html":177,"post_title":178,"post_type":59,"sort_by_date":179,"tag_links":180,"tags":185},[45],[47],"63952","http://radioblackout.org/2020/10/stati-uniti-la-sacra-alleanza-che-sostiene-trump/","Si infiamma la campagna elettorale in vista delle presidenziali del prossimo novembre, tra pandemia e minacce di guerra civile.\r\nLa galassia di gruppi di estrema destra statunitensi, divisi e rissosi, si sono uniti nella crociata per la rielezione di Trump.\r\nSi tratta di gruppi armati, che stanno rinforzando i loro arsenali nell’eventualità di una sconfitta di Trump.\r\nIl contesto politico e sociale non è favorevole a presidente in carica. Il bilancio della pandemia colloca gli Stati Uniti in cima alla classifica dei morti di covid sia in termini assoluto - 220.000 morti - che in rapporto alla popolazione.\r\nL'impossibilità di avere cure adeguate, tipica di un sistema sanitario, che le garantisce solo a chi è in grado di pagarsi un'assicurazione sanitaria. Anche chi ne ha una rischia la pelle, perché il tipo di cure dipende dal genere di assicurazione che si è stati in grado di sottoscrivere.\r\nLa crisi economica è più profonda di quella europea dove il Pil perde una media di 10/12 punti percentuali: quello statunitense si attesta tra il 30 e il 35%.\r\nLa politica di finanziamento alle imprese senza alcuna contropartita sociale - blocco dei licenziamenti o altri ammortizzatori - ha precipitato nella miseria altre fette della popolazione.\r\n\r\nL'alleanza di estrema destra non istituzionale che sostiene Trump ha due tratti comuni: il suprematismo bianco, che vede neri, ispanici, ebrei, asiatici come intrusi; il complottismo, che vede nella possibile mancata rielezione il segnale di brogli.\r\n\r\nSul piano istituzionale Trump ha una solita base tra gli esponenti delle polizie locali, che in questi anni ha fortemente finanziato con fondi federali. In molte contee i soldi ricevuti sono stati spesi per rinforzare gli equipaggiamenti militari, che sono stati ampiamente impiegati durante le proteste dell'estate e di questo primo scorcio d'autunno contro le violenze razziste della polizia nei confronti degli afroamericani.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/2020-10-20-states-rob.mp3\"][/audio]\r\n\r\n2020 1020 states rob\r\n\r\n ","20 Ottobre 2020","2020-10-20 12:56:32","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/proud-boys-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/proud-boys-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/proud-boys-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/proud-boys-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/proud-boys-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/proud-boys.jpg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Stati Uniti. 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Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. Ora sì che i due possono tornare amici.”","29 Ottobre 2019","2019-10-29 12:53:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/trump-al-baghdadi-1.jpg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","ll trofeo di Trump nel Grande Gioco mediorientale",1572353591,[215,216,217,70,218,183,140],"http://radioblackout.org/tag/al-baghdadi/","http://radioblackout.org/tag/grande-gioco/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/siria/",[27,220,221,20,222,17,15],"grande gioco","iraq","Siria",{"post_content":224},{"matched_tokens":225,"snippet":226,"value":227},[102],"nei programmi delle truppe speciali \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> di farlo prigioniero. Baghdadi era","Il grande gioco per il controllo dei territori e delle risorse tra Russia, Turchia e Stati Uniti a cavallo tra Siria e Iraq in queste settimane ha avuto un’accelerazione dopo l’attacco turco all’area del confederalismo democratico nel nord della Siria.\r\nLa morte di Baghdadi, celebrata con grande enfasi e plastica inventiva da “The Donald”, mette in mano al presidente statunitense una carta importante in vista delle elezioni negli States.\r\nSia il New York Times sia il Guardian hanno dato messo in dubbio la versione del Paperone della Casa Bianca.\r\nCome già Osama bin Laden, anche Al Baghdadi, non è stato catturato vivo. Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le \u003Cmark>presidenziali\u003C/mark> oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. Ora sì che i due possono tornare amici.”",[229],{"field":194,"matched_tokens":230,"snippet":226,"value":227},[102],{"best_field_score":198,"best_field_weight":199,"fields_matched":24,"num_tokens_dropped":48,"score":200,"tokens_matched":19,"typo_prefix_score":48},{"document":233,"highlight":256,"highlights":261,"text_match":196,"text_match_info":264},{"cat_link":234,"category":235,"comment_count":48,"id":236,"is_sticky":48,"permalink":237,"post_author":238,"post_content":239,"post_date":240,"post_excerpt":54,"post_id":236,"post_modified":241,"post_thumbnail":242,"post_thumbnail_html":243,"post_title":244,"post_type":59,"sort_by_date":245,"tag_links":246,"tags":252},[45],[47],"54207","http://radioblackout.org/2019/05/la-guerra-dei-dazi-il-caso-huawei/","info2","I dazi degli Stati Uniti, la guerra commerciale con la Cina e la globalizzazione. Con un occhio al caso Huawei.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Francesco Fricche, economista, autore di un artciolo uscito sull’ultimo numero di Umanità Nova\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/2019-05-21-guerra-dazi-fricche.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\nDi seguito l’articolo:\r\n\r\nDall'inizio del 2019 va di moda, sui giornali economici, una nuova parola: \"slowbalization\". E' una crasi (per le persone che non mangiano pane e vocabolario, vuol dire unione tra due parole) tra i termini inglesi \"slow\", che significa \"lento\" e \"globalization\" che significa \"globalizzazione\". Si può tradurre con \"rallentamento della globalizzazione\".\r\nLa parola è stata inventata da un olandese, Adjiedj Bakas, ma è diventata famosa con una mossa (a Roma diremmo \"paracula\") dell'Economist, che ha dedicato all'argomento la copertina del giornale pochi giorni prima del \"World Economic Forum\" di Davos del gennaio scorso dove tutti i presenti, per darsi il tono di chi sta sul pezzo e conosce le ultime notizie, hanno dissertato sul neologismo. Da allora i giornalisti economici hanno cominciato ad usarla quando parlano di come sta andando l'economia nel mondo.\r\nIn realtà la parola descrive un fenomeno, il rallentamento della globalizzazione, che non si riesce ancora a capire se indichi il suo crepuscolo o un assestamento.\r\nSono diminuiti, dopo la crisi economica del 2007, i flussi finanziari nel mondo: si tratta dei soldi che vengono investiti (per diversi motivi: prestiti, acquisto di azioni e obbligazioni, investimenti, acquisto di titoli di stato, ecc.) da un paese all'altro. In una decina d'anni si sono ridotti a un terzo: nel 2007 erano 12,4 trilioni di dollari, nel 2016 erano 4,3 trilioni (per chi fosse troppo povero per saperlo: i trilioni sono miliardi di miliardi). Calcolati come percentuale del PIL mondiale, danno un valore che c'era negli anni '90, prima dell'esplosione della globalizzazione. All'interno di questo dato ci sono però tendenze diverse. Il peso degli investimenti diretti esteri (si tratta degli investimenti \"durevoli\" come l'acquisizione del controllo di una società estera o la creazione di una filiale in un altro paese) è aumentato rispetto al 2007, mentre tutte le altre componenti finanziarie sono diminuite moltissimo.\r\nIl commercio estero complessivo dal 2007 è rimasto costante (anche se, nel 2017, ha avuto un incremento inatteso e non ci sono ancora i dati del 2018), ma è aumentato molto quello all'interno di aree omogenee di scambio (come l'Unione Europea o il Mercosur), il che significa che è diminuito quello tra aree diverse. E' anche cambiato il modo di produzione. La maggior parte delle esportazioni è costituita da semilavorati, non più da prodotti finiti. La componente dei \"servizi\", soprattutto quelli legati al digitale, è invece aumentata.\r\nLa globalizzazione ha comportato un problema sociale gigantesco, di cui la maggior parte delle persone si sta rendendo conto sulla propria pelle: alcuni si sono arricchiti tantissimo e la maggior parte delle persone si è impoverita. Cinque anni fa 62 persone possedevano quanto la metà degli abitanti del pianeta (3.7 miliardi di persone), oggi solo 26 persone possiedono quanto la metà degli abitanti della terra (3,8 miliardi di persone). La risposta politica apparentemente prevalente all'interno dei vari paesi è il populismo con venature nazionaliste, sessiste, razziste, discriminatorie, omologatrici.\r\nE' un problema non soltanto europeo: Trump, Putin, Xi Jinping (ma anche Erdogan, Balsonaro, Duterte, Narendra Modi e tutti gli altri aspiranti dittatoruncoli) usano la concezione dell'uomo forte, dello stato nazione e della prevalenza degli abitanti purosangue (wasp, russi, han, turchi, brasiliani, filippini, hindù che siano) naturalmente \"superiori\" agli altri per giustificare la repressione del \"diverso\" (comunque si manifesti e qualsiasi cosa significhi).\r\nNella sua declinazione statunitense questo significa riaffermare il primato, militare ed economico, degli USA sul resto del mondo. Gli USA sono ancora il primo paese al mondo per il Prodotto Interno Lordo: il valore dei beni e servizi prodotti in un anno negli USA è superiore a quello di qualsiasi altro stato. Gli USA producono per 20.500 miliardi di dollari l'anno, la Cina per 13.100 miliardi. Il terzo, il Giappone per poco più di 5.000 miliardi. L'Italia è ottava con poco più di 2.000 miliardi.\r\nC’è però un problema. Il Prodotto Interno Lordo viene calcolato in base al valore di mercato dei beni. Per cui, se un chilo di riso costa 1 dollaro negli USA e 5 centesimi in Cina, questo contribuirà al PIL per 1 dollaro negli USA e per 5 centesimi in Cina. Se invece, visto che sempre un chilo di riso è, gli si dà lo stesso valore, cioè si calcola il PIL a parità di potere d'acquisto, la Cina ha sorpassato gli USA. Il PIL cinese varrebbe 17.600 miliardi, quello degli USA solo 17.400 miliardi. L'India sarebbe terza con 7.350 miliardi e l'Italia decima con 2.121 miliardi.\r\nGli USA hanno un deficit commerciale strutturale con la Cina: importano dalla Cina molti più beni di quanti ne esportino. La Cina con i dollari che guadagna ci compra i \"bond\", i titoli del tesoro USA (e mantiene in questo modo sottovalutato lo yuan) e, fino ad adesso, questa modalità andava bene a tutti e due gli stati. Sennonché la Cina, che comunque sta sorpassando gli USA anche nel PIL nominale, si sta proponendo come paese imperialista, esportando capitali oltre che merci e sta ampliando la propria sfera d’azione anche al campo militare.\r\nAll’inizio del 2018, il 22 gennaio, Trump ha deciso, per questo motivo, di aprire una guerra commerciale con la Cina. Ha deciso di utilizzare un’arma che, in tempi di globalizzazione, è stata fortemente combattuta proprio dagli USA: ha messo dei dazi. Si tratta di imposte che devono essere pagate, in percentuale, sul valore sulle merci importate. All’inizio ha colpito solo i pannelli solari e lavatrici cinesi per un valore di totale di 10 miliardi di importazioni.\r\nA marzo 2018 Trump ha rilanciato, ricorrendo a una legge utilizzata in tempo di guerra (fredda o calda che fosse) per salvaguardare la produzione bellica nazionale, e si è appellato alla “sicurezza nazionale” per imporre dei dazi alle importazioni di acciaio e alluminio. Che fosse una scusa è stato chiaro da subito: uno può anche dire \"io devo salvaguardare la produzione di acciaio USA perché, se devo produrre i carri armati, non posso doverlo comprare dalla Cina a cui magari devo fare guerra\", ma quando poi la maggior parte dell'acciaio lo compri dal Canada e dall'Europa, è evidente la pretestuosità della scelta.\r\nA settembre 2018 ha imposto nuovi dazi ai prodotti cinesi (per un valore di 200 miliardi di dollari) prima al 10% e, da qualche settimana, al 25%.\r\nAdesso ci sono dazi al 25% su 250 miliardi di merci cinesi importate negli Stati Uniti (su 500 miliardi di importazioni totali). La Cina ha tassato, per ritorsione, 50 miliardi di merci americane al 25% ed altri 60 miliardi all’8% (su 130 miliardi di merci statunitensi importate in Cina nel 2017).\r\nNonostante i dazi, la bilancia commerciale degli USA ha continuato a peggiorare. Il saldo negativo è aumentato del 12% rispetto al 2017. Sono aumentate le esportazioni, anche se in molti casi si tratta di acquisti fatti per aumentare le scorte in previsione dei dazi che gli altri paesi avrebbero messo per ritorsione sulle merci americane. Sono aumentate però di più le importazioni. Si è arrivati al record assoluto di importazioni di beni (gli USA hanno da sempre un saldo attivo nel commercio dei servizi).\r\nIl deficit commerciale con la Cina è arrivato nel 2018 al massimo storico di 323 miliardi di dollari, il 17% in più dell’anno prima.\r\nTutto questo nonostante gli USA avessero già messo i dazi sulle importazioni (non solo cinesi ma anche di altri paesi) e gli altri paesi, Cina compresa, li avessero solo annunciati. Che era successo? Una delle regole base in economia è che i dazi hanno successo se tu sei in grado di produrti da solo, allo stesso prezzo, quello che importi. Altrimenti, se quello che importi ti serve per fabbricare qualcosa, poi, quello che hai realizzato, lo devi vendere a un prezzo più alto. Bisogna anche sapere che la FED (la banca centrale statunitense) ha aumentato i tassi di interesse, con una conseguente rivalutazione del dollaro. Recentemente ha annunciato che non li avrebbe aumentati più, ma questo non ha fermato la corsa del dollaro su tutte le altre monete.\r\nInsomma gli USA si sono trovati a vendere al resto del mondo cose che costavano di più, sia per l'aumento dei costi di produzione sia per la rivalutazione del dollaro. La cosa strana è perciò che siano aumentate le esportazioni, non che sia aumentato il disavanzo commerciale.\r\nNell’ultimo anno, lo Yuan cinese si è svalutato del 7% rispetto al dollaro. Questo ha comportato che i cinesi potessero quasi annullare la differenza di prezzo con dazi USA al 10%: gli Yuan che guadagnavano con le vendite negli USA erano poco meno di prima dei dazi.\r\nC’è poi un altro aspetto di cui tenere conto quando si ragiona di dazi su specifiche tipologie di merci. Siccome le categorie merceologiche negli USA sono 18.927 diventa difficile distinguere due categorie simili tra loro quando una è colpita da dazi e l’altra no. Siccome, anche se sono parecchi, non tutti i furbi del mondo guidano la macchina in mezzo al traffico di Roma e qualcuno c’è anche in Cina, ecco che le lastre d’alluminio, colpite da dazi, sono magicamente diventate “componenti per turbine” con il risultato che l’importazione negli USA di lastre di alluminio è diminuita dell’11% e l’importazione di componenti per turbine è aumentata del 121%. Il “compensato di legno duro” è stato colpito da sanzioni e l’importazione è diminuita del 20%, nello stesso periodo il “compensato di legno tenero” ha visto aumentare le importazioni del 549%. Quando gli USA hanno aumentato ulteriormente il dazio sul compensato di legno duro, l’importazione di quello di legno tenero è aumentata ancora al 983%.\r\nBisogna infine considerare che alcuni paesi sono stati esentati dai dazi ed hanno operato importando merci dai paesi soggetti a restrizioni, facendo lavorazioni di facciata e rivendendo le merci come se fossero prodotte da loro.\r\nNonostante lo scompenso della bilancia commerciale il PIL USA nel 2018 è cresciuto molto: in termini reali del 2.9%, la percentuale più alta degli ultimi 13 anni. La crescita è stata finanziata dall’aumento del deficit di bilancio (-17% nel 2018). I soldi sono stati usati per la riduzione delle tasse (con un aumento dei consumi della classe media) e per l’incremento delle spese militari (aumentate del 3.4%, il massimo da 9 anni).\r\nLa disoccupazione USA, per questo motivo, è ai minimi storici e seguita a scendere: adesso è al 3.6%. Negli USA si fatica a trovare un disoccupato: le aziende stanno assumendo anche ex detenuti e persone fuori dal mercato del lavoro da più di due anni, categorie che prima avevano molte poche possibilità di trovare un lavoro.\r\nLa Cina ha reagito anche in un altro modo: ha disertato le aste dei titoli di stato statunitensi ed ha rivenduto una parte di quelli in suo possesso. La Cina è infatti il maggior detentore mondiale di titoli di stato USA: a marzo 2019 ne possedeva 1.120 miliardi pur non avendo partecipato a nessuna delle ultime aste. Va tenuto presente però che alla Cina non conviene che i Bond USA divengano carta straccia, perché altrimenti perderebbero valore anche quelli in suo possesso. Per questo motivo alcune di queste manovre sono di facciata. Spesso si tratta di vendite che vengono compensate dagli acquisti fatti da fondi sovrani cinesi localizzati all’estero. Tra il 2013 e il 2015 il debito americano controllato dal Belgio è aumentato del 300% a fronte della vendita, nello stesso periodo, da parte dei cinesi, di titoli per pari ammontare di quelli acquistati in Belgio. Anche nel 2018 il Belgio ha acquistato 60 miliardi di Bond a fronte della vendita cinese di 67 miliardi. Nei bar del Prenestino dicono che c’è un fondo cinese che opera dal Belgio e mi sa che hanno ragione.\r\nCon questa strategia di politica economica e commerciale Trump sta riscuotendo consenso ed è difficile che modifichi la propria strategia prima delle elezioni presidenziali del prossimo anno. Probabilmente metterà dei dazi anche sui prodotti cinesi che non sono stati ancora colpiti, ma non si può dire se sia una strategia solo elettorale o sia cambiato il modello di commercio che gli USA vogliono imporre al mondo.\r\nInsomma, ancora non si sa come andrà a finire e se si passerà dal mondo unipolare controllato dagli USA ad un mondo bipolare con gli USA e la Cina a combattere per il primato.\r\nProprio perché non è possibile fare previsioni certe si usa la parola “slowbalization”: dire “nonlosobalization” era troppo lungo.","21 Maggio 2019","2019-05-21 16:13:15","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/o.468298-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/o.468298-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/o.468298-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/o.468298-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/o.468298-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/o.468298.jpg 1920w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La guerra dei dazi. 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Con un occhio al caso Huawei.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Francesco Fricche, economista, autore di un artciolo uscito sull’ultimo numero di Umanità Nova\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/05/2019-05-21-guerra-dazi-fricche.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\nDi seguito l’articolo:\r\n\r\nDall'inizio del 2019 va di moda, sui giornali economici, una nuova parola: \"slowbalization\". E' una crasi (per le persone che non mangiano pane e vocabolario, vuol dire unione tra due parole) tra i termini inglesi \"slow\", che significa \"lento\" e \"globalization\" che significa \"globalizzazione\". Si può tradurre con \"rallentamento della globalizzazione\".\r\nLa parola è stata inventata da un olandese, Adjiedj Bakas, ma è diventata famosa con una mossa (a Roma diremmo \"paracula\") dell'Economist, che ha dedicato all'argomento la copertina del giornale pochi giorni prima del \"World Economic Forum\" di Davos del gennaio scorso dove tutti i presenti, per darsi il tono di chi sta sul pezzo e conosce le ultime notizie, hanno dissertato sul neologismo. Da allora i giornalisti economici hanno cominciato ad usarla quando parlano di come sta andando l'economia nel mondo.\r\nIn realtà la parola descrive un fenomeno, il rallentamento della globalizzazione, che non si riesce ancora a capire se indichi il suo crepuscolo o un assestamento.\r\nSono diminuiti, dopo la crisi economica del 2007, i flussi finanziari nel mondo: si tratta dei soldi che vengono investiti (per diversi motivi: prestiti, acquisto di azioni e obbligazioni, investimenti, acquisto di titoli di stato, ecc.) da un paese all'altro. In una decina d'anni si sono ridotti a un terzo: nel 2007 erano 12,4 trilioni di dollari, nel 2016 erano 4,3 trilioni (per chi fosse troppo povero per saperlo: i trilioni sono miliardi di miliardi). Calcolati come percentuale del PIL mondiale, danno un valore che c'era negli anni '90, prima dell'esplosione della globalizzazione. All'interno di questo dato ci sono però tendenze diverse. Il peso degli investimenti diretti esteri (si tratta degli investimenti \"durevoli\" come l'acquisizione del controllo di una società estera o la creazione di una filiale in un altro paese) è aumentato rispetto al 2007, mentre tutte le altre componenti finanziarie sono diminuite moltissimo.\r\nIl commercio estero complessivo dal 2007 è rimasto costante (anche se, nel 2017, ha avuto un incremento inatteso e non ci sono ancora i dati del 2018), ma è aumentato molto quello all'interno di aree omogenee di scambio (come l'Unione Europea o il Mercosur), il che significa che è diminuito quello tra aree diverse. E' anche cambiato il modo di produzione. La maggior parte delle esportazioni è costituita da semilavorati, non più da prodotti finiti. La componente dei \"servizi\", soprattutto quelli legati al digitale, è invece aumentata.\r\nLa globalizzazione ha comportato un problema sociale gigantesco, di cui la maggior parte delle persone si sta rendendo conto sulla propria pelle: alcuni si sono arricchiti tantissimo e la maggior parte delle persone si è impoverita. Cinque anni fa 62 persone possedevano quanto la metà degli abitanti del pianeta (3.7 miliardi di persone), oggi solo 26 persone possiedono quanto la metà degli abitanti della terra (3,8 miliardi di persone). La risposta politica apparentemente prevalente all'interno dei vari paesi è il populismo con venature nazionaliste, sessiste, razziste, discriminatorie, omologatrici.\r\nE' un problema non soltanto europeo: Trump, Putin, Xi Jinping (ma anche Erdogan, Balsonaro, Duterte, Narendra Modi e tutti gli altri aspiranti dittatoruncoli) usano la concezione dell'uomo forte, dello stato nazione e della prevalenza degli abitanti purosangue (wasp, russi, han, turchi, brasiliani, filippini, hindù che siano) naturalmente \"superiori\" agli altri per giustificare la repressione del \"diverso\" (comunque si manifesti e qualsiasi cosa significhi).\r\nNella sua declinazione statunitense questo significa riaffermare il primato, militare ed economico, degli USA sul resto del mondo. Gli USA sono ancora il primo paese al mondo per il Prodotto Interno Lordo: il valore dei beni e servizi prodotti in un anno negli USA è superiore a quello di qualsiasi altro stato. Gli USA producono per 20.500 miliardi di dollari l'anno, la Cina per 13.100 miliardi. Il terzo, il Giappone per poco più di 5.000 miliardi. L'Italia è ottava con poco più di 2.000 miliardi.\r\nC’è però un problema. Il Prodotto Interno Lordo viene calcolato in base al valore di mercato dei beni. Per cui, se un chilo di riso costa 1 dollaro negli USA e 5 centesimi in Cina, questo contribuirà al PIL per 1 dollaro negli USA e per 5 centesimi in Cina. Se invece, visto che sempre un chilo di riso è, gli si dà lo stesso valore, cioè si calcola il PIL a parità di potere d'acquisto, la Cina ha sorpassato gli USA. Il PIL cinese varrebbe 17.600 miliardi, quello degli USA solo 17.400 miliardi. L'India sarebbe terza con 7.350 miliardi e l'Italia decima con 2.121 miliardi.\r\nGli USA hanno un deficit commerciale strutturale con la Cina: importano dalla Cina molti più beni di quanti ne esportino. La Cina con i dollari che guadagna ci compra i \"bond\", i titoli del tesoro USA (e mantiene in questo modo sottovalutato lo yuan) e, fino ad adesso, questa modalità andava bene a tutti e due gli stati. Sennonché la Cina, che comunque sta sorpassando gli USA anche nel PIL nominale, si sta proponendo come paese imperialista, esportando capitali oltre che merci e sta ampliando la propria sfera d’azione anche al campo militare.\r\nAll’inizio del 2018, il 22 gennaio, Trump ha deciso, per questo motivo, di aprire una guerra commerciale con la Cina. Ha deciso di utilizzare un’arma che, in tempi di globalizzazione, è stata fortemente combattuta proprio dagli USA: ha messo dei dazi. Si tratta di imposte che devono essere pagate, in percentuale, sul valore sulle merci importate. All’inizio ha colpito solo i pannelli solari e lavatrici cinesi per un valore di totale di 10 miliardi di importazioni.\r\nA marzo 2018 Trump ha rilanciato, ricorrendo a una legge utilizzata in tempo di guerra (fredda o calda che fosse) per salvaguardare la produzione bellica nazionale, e si è appellato alla “sicurezza nazionale” per imporre dei dazi alle importazioni di acciaio e alluminio. Che fosse una scusa è stato chiaro da subito: uno può anche dire \"io devo salvaguardare la produzione di acciaio USA perché, se devo produrre i carri armati, non posso doverlo comprare dalla Cina a cui magari devo fare guerra\", ma quando poi la maggior parte dell'acciaio lo compri dal Canada e dall'Europa, è evidente la pretestuosità della scelta.\r\nA settembre 2018 ha imposto nuovi dazi ai prodotti cinesi (per un valore di 200 miliardi di dollari) prima al 10% e, da qualche settimana, al 25%.\r\nAdesso ci sono dazi al 25% su 250 miliardi di merci cinesi importate negli Stati Uniti (su 500 miliardi di importazioni totali). La Cina ha tassato, per ritorsione, 50 miliardi di merci americane al 25% ed altri 60 miliardi all’8% (su 130 miliardi di merci \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> importate in Cina nel 2017).\r\nNonostante i dazi, la bilancia commerciale degli USA ha continuato a peggiorare. Il saldo negativo è aumentato del 12% rispetto al 2017. Sono aumentate le esportazioni, anche se in molti casi si tratta di acquisti fatti per aumentare le scorte in previsione dei dazi che gli altri paesi avrebbero messo per ritorsione sulle merci americane. Sono aumentate però di più le importazioni. Si è arrivati al record assoluto di importazioni di beni (gli USA hanno da sempre un saldo attivo nel commercio dei servizi).\r\nIl deficit commerciale con la Cina è arrivato nel 2018 al massimo storico di 323 miliardi di dollari, il 17% in più dell’anno prima.\r\nTutto questo nonostante gli USA avessero già messo i dazi sulle importazioni (non solo cinesi ma anche di altri paesi) e gli altri paesi, Cina compresa, li avessero solo annunciati. Che era successo? Una delle regole base in economia è che i dazi hanno successo se tu sei in grado di produrti da solo, allo stesso prezzo, quello che importi. Altrimenti, se quello che importi ti serve per fabbricare qualcosa, poi, quello che hai realizzato, lo devi vendere a un prezzo più alto. Bisogna anche sapere che la FED (la banca centrale statunitense) ha aumentato i tassi di interesse, con una conseguente rivalutazione del dollaro. Recentemente ha annunciato che non li avrebbe aumentati più, ma questo non ha fermato la corsa del dollaro su tutte le altre monete.\r\nInsomma gli USA si sono trovati a vendere al resto del mondo cose che costavano di più, sia per l'aumento dei costi di produzione sia per la rivalutazione del dollaro. La cosa strana è perciò che siano aumentate le esportazioni, non che sia aumentato il disavanzo commerciale.\r\nNell’ultimo anno, lo Yuan cinese si è svalutato del 7% rispetto al dollaro. Questo ha comportato che i cinesi potessero quasi annullare la differenza di prezzo con dazi USA al 10%: gli Yuan che guadagnavano con le vendite negli USA erano poco meno di prima dei dazi.\r\nC’è poi un altro aspetto di cui tenere conto quando si ragiona di dazi su specifiche tipologie di merci. Siccome le categorie merceologiche negli USA sono 18.927 diventa difficile distinguere due categorie simili tra loro quando una è colpita da dazi e l’altra no. Siccome, anche se sono parecchi, non tutti i furbi del mondo guidano la macchina in mezzo al traffico di Roma e qualcuno c’è anche in Cina, ecco che le lastre d’alluminio, colpite da dazi, sono magicamente diventate “componenti per turbine” con il risultato che l’importazione negli USA di lastre di alluminio è diminuita dell’11% e l’importazione di componenti per turbine è aumentata del 121%. Il “compensato di legno duro” è stato colpito da sanzioni e l’importazione è diminuita del 20%, nello stesso periodo il “compensato di legno tenero” ha visto aumentare le importazioni del 549%. Quando gli USA hanno aumentato ulteriormente il dazio sul compensato di legno duro, l’importazione di quello di legno tenero è aumentata ancora al 983%.\r\nBisogna infine considerare che alcuni paesi sono stati esentati dai dazi ed hanno operato importando merci dai paesi soggetti a restrizioni, facendo lavorazioni di facciata e rivendendo le merci come se fossero prodotte da loro.\r\nNonostante lo scompenso della bilancia commerciale il PIL USA nel 2018 è cresciuto molto: in termini reali del 2.9%, la percentuale più alta degli ultimi 13 anni. La crescita è stata finanziata dall’aumento del deficit di bilancio (-17% nel 2018). I soldi sono stati usati per la riduzione delle tasse (con un aumento dei consumi della classe media) e per l’incremento delle spese militari (aumentate del 3.4%, il massimo da 9 anni).\r\nLa disoccupazione USA, per questo motivo, è ai minimi storici e seguita a scendere: adesso è al 3.6%. Negli USA si fatica a trovare un disoccupato: le aziende stanno assumendo anche ex detenuti e persone fuori dal mercato del lavoro da più di due anni, categorie che prima avevano molte poche possibilità di trovare un lavoro.\r\nLa Cina ha reagito anche in un altro modo: ha disertato le aste dei titoli di stato \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> ed ha rivenduto una parte di quelli in suo possesso. La Cina è infatti il maggior detentore mondiale di titoli di stato USA: a marzo 2019 ne possedeva 1.120 miliardi pur non avendo partecipato a nessuna delle ultime aste. Va tenuto presente però che alla Cina non conviene che i Bond USA divengano carta straccia, perché altrimenti perderebbero valore anche quelli in suo possesso. Per questo motivo alcune di queste manovre sono di facciata. Spesso si tratta di vendite che vengono compensate dagli acquisti fatti da fondi sovrani cinesi localizzati all’estero. Tra il 2013 e il 2015 il debito americano controllato dal Belgio è aumentato del 300% a fronte della vendita, nello stesso periodo, da parte dei cinesi, di titoli per pari ammontare di quelli acquistati in Belgio. Anche nel 2018 il Belgio ha acquistato 60 miliardi di Bond a fronte della vendita cinese di 67 miliardi. Nei bar del Prenestino dicono che c’è un fondo cinese che opera dal Belgio e mi sa che hanno ragione.\r\nCon questa strategia di politica economica e commerciale Trump sta riscuotendo consenso ed è difficile che modifichi la propria strategia prima delle elezioni \u003Cmark>presidenziali\u003C/mark> del prossimo anno. Probabilmente metterà dei dazi anche sui prodotti cinesi che non sono stati ancora colpiti, ma non si può dire se sia una strategia solo elettorale o sia cambiato il modello di commercio che gli USA vogliono imporre al mondo.\r\nInsomma, ancora non si sa come andrà a finire e se si passerà dal mondo unipolare controllato dagli USA ad un mondo bipolare con gli USA e la Cina a combattere per il primato.\r\nProprio perché non è possibile fare previsioni certe si usa la parola “slowbalization”: dire “nonlosobalization” era troppo lungo.",[262],{"field":194,"matched_tokens":263,"snippet":259,"value":260},[102],{"best_field_score":198,"best_field_weight":199,"fields_matched":24,"num_tokens_dropped":48,"score":200,"tokens_matched":19,"typo_prefix_score":48},6646,{"collection_name":59,"first_q":22,"per_page":267,"q":22},6,8,{"facet_counts":270,"found":24,"hits":280,"out_of":305,"page":24,"request_params":306,"search_cutoff":37,"search_time_ms":24},[271,277],{"counts":272,"field_name":275,"sampled":37,"stats":276},[273],{"count":24,"highlighted":274,"value":274},"Bello come una prigione che brucia","podcastfilter",{"total_values":24},{"counts":278,"field_name":36,"sampled":37,"stats":279},[],{"total_values":48},[281],{"document":282,"highlight":296,"highlights":301,"text_match":196,"text_match_info":304},{"comment_count":48,"id":283,"is_sticky":48,"permalink":284,"podcastfilter":285,"post_author":286,"post_content":287,"post_date":288,"post_excerpt":54,"post_id":283,"post_modified":289,"post_thumbnail":290,"post_title":291,"post_type":292,"sort_by_date":293,"tag_links":294,"tags":295},"54985","http://radioblackout.org/podcast/bello-come-una-prigione-che-brucia-15-luglio-2019/",[274],"bellocome","Mentre Donald Trump ordina la cattura di almeno 2000 “immigrati illegali” come sacrificio umano sull’altare del consenso in vista delle presidenziali 2020, forme eterogenee di resistenza si sviluppano per fornire solidarietà e protezione alle vittime di queste misure, ma anche per colpire le strutture dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement) e chi fornisce il supporto di tecnico indispensabile per i rastrellamenti. Partendo dalla cronaca di due azioni messe in atto alla vigilia di questa operazione, l’attacco a un centro di detenzione per migranti che ha portato alla morte dell’anarchico Will Van Spronsen e la contestazione di una convention di Amazon a Manhattan, approfondiamo i legami tra il colosso del retail digitale e le forze repressive statunitensi.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/07/BCUPCB-ice-amazon-will.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nA Roma, nel quartiere di Primavalle, è in corso lo sgombero di un’occupazione abitativa che da anni è diventata la casa per centinaia di individui e famiglie. La palazzina di via Cardinal Capranica diventa il centro di una “zona rossa” impermeabile a solidali e cronisti, per lasciare mano libera alle forze dell’ordine. 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