","Turchia. Altri due giornalisti in carcere","post",1455641581,[45,46,47],"http://radioblackout.org/tag/giornalisti-arrestati/","http://radioblackout.org/tag/repressione-della-libera-infoirmazione/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[17,19,15],{"post_content":50,"tags":55},{"matched_tokens":51,"snippet":53,"value":54},[52],"libera","degli Stati che reprimono la \u003Cmark>libera\u003C/mark> espressione. La guerra scatenata dal","La Turchia è da anni ai primi posti nella classifica degli Stati che reprimono la \u003Cmark>libera\u003C/mark> espressione. La guerra scatenata dal governo Erdogan contro le città del Bakur che da luglio hanno proclamato l'autonomia ha moltiplicato gli arresti di giornalisti. Nel mirino sono finiti blogger e free lance come giornalisti dei maggiori quatidiani del paese.\r\n\r\nL'11 Febbraio nella città di Antalya durante un'operazione \u003Cmark>della\u003C/mark> polizia il giornalista Feyyaz Imrak, dell'agenzia di notizie Dicle è stato preso in detenzione cautelare insieme a 28 persone, 11 di queste minorenni.\r\n\r\nDopo il primo interrogatorio presso il commissariato è stato portato al tribunale di Antalya. Dopo di che con altre persone è stato accompagnato davanti al giudice ed in tarda notte insieme ad altre 17 persone è stato accusato di \"far parte di un'organizzazione terroristica\" e quindi sono stati accompagnati in carcere.\r\n\r\nCon questo ultimo arresto in Turchia risultano in carcere 34 giornalisti detenuti.\r\nLo stesso giorno era finito dietro le sbarre in altro giornalista di Dicle, Nazim Dastan. Dastan si era occupato per svelare l'eventuale rapporto tra alcuni soldati e l'ISIS attraverso diverse fotografie e documenti. Faccendo che il governo non gradisce che vengano rivelato ai propri cittadini, cui i massacri, i bombardamenti delle case, le persone bruciate vive,, le torture in Bakur vengono descritti come operazioni antiterrorismo.\r\n\r\nIl silenzio dei media italiani ed europei sull'assedio di Cezir e di Sur dimostra che nel nostro paese l'informazione è in buona parte arruolata.\r\nLa Turchia si è assunta il compito di bloccare i profughi diretti in Europa: in cambio riceve denaro ed appaoggio politico alla politica di genocidio delle città ribelli del Kurdistan.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Murat Cinar, mediattivista, blogger di origine turca che da molti anni vive nella nostra città.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-02-16-murat-repressione-giornalisti",[56,58,64],{"matched_tokens":57,"snippet":17},[],{"matched_tokens":59,"snippet":63},[60,61,52,62],"repressione","della","infoirmazione","\u003Cmark>repressione\u003C/mark> \u003Cmark>della\u003C/mark> \u003Cmark>libera\u003C/mark> \u003Cmark>infoirmazione\u003C/mark>",{"matched_tokens":65,"snippet":15},[],[67,72],{"field":20,"indices":68,"matched_tokens":69,"snippets":71},[14],[70],[60,61,52,62],[63],{"field":73,"matched_tokens":74,"snippet":53,"value":54},"post_content",[52],2314894167593451500,{"best_field_score":77,"best_field_weight":78,"fields_matched":79,"num_tokens_dropped":31,"score":80,"tokens_matched":81,"typo_prefix_score":31},"4419510927616",13,2,"2314894167593451626",4,6646,{"collection_name":42,"first_q":19,"per_page":84,"q":19},6,{"facet_counts":86,"found":23,"hits":111,"out_of":224,"page":14,"request_params":225,"search_cutoff":21,"search_time_ms":226},[87,93],{"counts":88,"field_name":91,"sampled":21,"stats":92},[89],{"count":23,"highlighted":90,"value":90},"anarres","podcastfilter",{"total_values":14},{"counts":94,"field_name":20,"sampled":21,"stats":109},[95,97,99,101,103,105,107],{"count":14,"highlighted":96,"value":96},"foibe",{"count":14,"highlighted":98,"value":98},"vallette",{"count":14,"highlighted":100,"value":100},"fascisti",{"count":14,"highlighted":102,"value":102},"nazionalismo",{"count":14,"highlighted":104,"value":104},"corteo antifascista",{"count":14,"highlighted":106,"value":106},"giorno della memoria",{"count":14,"highlighted":108,"value":108},"villaggio santa caterina",{"total_values":110},7,[112,146,201],{"document":113,"highlight":126,"highlights":135,"text_match":141,"text_match_info":142},{"comment_count":31,"id":114,"is_sticky":31,"permalink":115,"podcastfilter":116,"post_author":90,"post_content":117,"post_date":118,"post_excerpt":37,"post_id":114,"post_modified":119,"post_thumbnail":120,"post_title":121,"post_type":122,"sort_by_date":123,"tag_links":124,"tags":125},"87301","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-9-febbraio-antifa-in-barriera-repressione-e-controllo-a-scuola-la-favola-del-nucleare/",[90],"ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming. \r\n\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/02/2024-02-09-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nAntifascisti in Barriera di Milano\r\nIl presidente della VI circoscrizione Lomanto si è dovuto accontentare degli assessori comunali e regionali alla sicurezza Pentenero e Ricca. 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Numerosi interventi hanno messo l’accento sull’unica vera sicurezza per tutte e per tutti: una casa decorosa, l’accesso alle cure ed alla prevenzione, l’eliminazione del proibizionismo, la fine della precarietà e dello sfruttamento imposti da un capitalismo sempre più feroce e vorace.\r\nLa narrazione delle destre (ma non solo) ruota intorno ad una falsa immagine di Barriera come quartiere pericoloso, che diviene un laboratorio per le politiche giustizialiste della destra. La parola chiave è “degrado”: usata per esporre – rendendola “indecorosa” – la povertà e la fragilità di coloro che sono all’ultimo gradino della scala sociale, innescando un meccanismo di paura e di disprezzo collettivo. Una logica che risponde alla supposta superiorità degli italiani rispetto agli immigrati, i primi sinonimo di lavoro onesto, i secondi di criminalità e di spaccio. 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Contro la favola del nucleare”\r\nIl nucleare, travestito da energia green, è entrato nell’agenda della Cop 28, svoltasi in Qatar, una delle petromonarchie della penisola arabica, come energia “pulita” che non compromette il clima.\r\nNon bastano i disastri di Cernobyl e Fukushima a far desistere la lobby atomica.\r\nI maghi dell’atomo tentano ancora una volta di legittimare questa tecnologia pericolosa, verniciandola di verde e raccontandoci la storiella del nucleare di quarta generazione “nuovo” e “sicuro”. Una favola, una delle tante che si raccontano sul nucleare, prima tra tutte quella del “nucleare di quarta generazione” venduto come obiettivo realizzato e che, invece, non esiste. \r\nCon Angelo Tartaglia abbiamo anticipato alcune delle tematiche di cui discuteremo venerdì 16 febbraio alle ore 21 alla FAT, in corso Palermo 46\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nVenerdì 16 febbraio\r\nore 21 alla FAT\r\nin corso Palermo 46\r\nSpaccare l’atomo in quattro. 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Contro la favola del nucleare”\r\n\r\nSabato 24 febbraio\r\nA due anni dall’inizio della guerra in Ucraina\r\nGiornata di lotta antimilitarista\r\nore 15 piazza Castello\r\nCon i disertori di tutte le guerre\r\nContro tutti gli eserciti e i nazionalismi, per un mondo senza frontiere\r\nInterventi, musica, azioni performanti\r\nConcerto di Alessio Lega\r\n\r\nSabato 2 marzo\r\nore 14,30 corso Palermo angolo via Sesia\r\nVia i militari da Barriera!\r\nLa vera sicurezza è un mondo senza fascisti, senza polizia, senza sfruttamento. Un mondo di liberi ed uguali.\r\nA chi vive in Barriera serve una sanità gratuita ed efficiente, che garantisca a tutt* prevenzione e cura. 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Questo sarà uno degli striscioni del corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno hanno voluto fosse il culmine di una settimana di informazione e lotta. I fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le armi della retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il 1943 e il 1956.\r\nPer gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e “loro”. Chiunque essi siano.\r\n\r\nSino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle foibe, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle destre, che liquidavano le ultime convulse fasi della seconda guerra mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle zone.\r\nOggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle popolazioni giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in occasione della “giornata del ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.\r\nIl dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite durante la conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento, Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste “italiana”. Una città poliglotta e vivace stava smarrendo la propria peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.\r\nIl fascismo accentuò la repressione nei confronti delle popolazioni di lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana della Jugoslavia fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.\r\nNelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste. Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità, perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.\r\n\r\nPiù significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate. Città come Pola e Zara persero oltre il 80% della popolazione. Accolti bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga. Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”.\r\n\r\nLa radice del male, oggi come allora, è nel nazionalismo che divide, separa, spezza.\r\n\r\nA ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri, all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.\r\nRicordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che, ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una nazione, di una frontiera fatta di nulla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all'università di Trieste, anarchico e antifascista.\r\n\r\nAscolta la diretta realizzata da Anarres:\r\n\r\n2016-02-05-venza-foibe\r\n\r\nDi seguito una scheda sull'esodo istriano e un'intervista a Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”. Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase della fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni della popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o della lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa della costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, della dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. Alphabeta, 2015.","5 Febbraio 2016","2018-10-17 22:59:24","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/02/esuli_istriani-200x110.jpg","Foibe, esodo, nazionalismi",1454691319,[158,159,160,161,162,163,164],"http://radioblackout.org/tag/corteo-antifascista/","http://radioblackout.org/tag/fascisti/","http://radioblackout.org/tag/foibe/","http://radioblackout.org/tag/giorno-della-memoria/","http://radioblackout.org/tag/nazionalismo/","http://radioblackout.org/tag/vallette/","http://radioblackout.org/tag/villaggio-santa-caterina/",[104,100,96,106,102,98,108],{"post_content":167,"tags":172},{"matched_tokens":168,"snippet":170,"value":171},[169],"informazione","culmine di una settimana di \u003Cmark>informazione\u003C/mark> e lotta. I fascisti hanno","“Nazionalismo: cancro dei popoli”. Questo sarà uno degli striscioni del corteo antifascista di domenica 7 febbraio alle Vallette. Forse basterebbe per dare il senso dell'iniziativa. Ovviamente non basta ma vale la pena ricordare che l'essenziale è tutto lì. Il corteo è promosso dai “Soliti ragazzi del quartiere” e da altri antifascisti torinesi, che quest'anno hanno voluto fosse il culmine di una settimana di \u003Cmark>informazione\u003C/mark> e lotta. I fascisti hanno indetto un corteo presso il villaggio Santa Caterina, la zona di case popolari che dagli anni Cinquanta ospita un folto gruppo di esuli istriani e dalmati. Per i fascisti è un'occasione per lucidare le armi \u003Cmark>della\u003C/mark> retorica nazionalista, facendo leva sulla memoria dolorosa dei profughi e dei loro discendenti, che presero la via dell'esilio tra il 1943 e il 1956.\r\nPer gli antifascisti e per i libertari è invece un'opportunità per mettere al centro una memoria che, nel rispetto di chi allora dovette lasciare le proprie case, prendendo la via dell'esilio, sappia cogliere tutto il male profondo che si radica e cresce di fronte ad ogni linea di frontiera, ad ogni spazio diviso da filo spinato, ad ogni bandiera che divida “noi” e “loro”. Chiunque essi siano.\r\n\r\nSino a poco tempo fa le fucilazioni e successivo seppellimento nelle foibe, le cavità tipiche del Carso, era un cavallo di battaglia delle destre, che liquidavano le ultime convulse fasi \u003Cmark>della\u003C/mark> seconda guerra mondiale tra Trieste, l'Istria e la costa Dalmata, come pulizia etnica nei confronti delle popolazioni di lingua italiana che vivevano in quelle zone.\r\nOggi gli argomenti dei fascisti li usano tutti. Il dramma delle popolazioni giuliano-dalmata fu scatenato «da un moto di odio e furia sanguinaria e un disegno annessionistico slavo che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del 1947, e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica». Queste parole le ha pronunciate nel 2007 il presidente \u003Cmark>della\u003C/mark> Repubblica Giorgio Napolitano in occasione \u003Cmark>della\u003C/mark> “giornata del ricordo”, ma, non per caso, vennero condivise in modo bipartisan dalla destra e dalla sinistra parlamentari. Queste frasi vennero pronunciate alla foiba di Bazovizza, chiusa da una colata di cemento, sì che le richieste degli storici di potervi accedere per verificare quanti morti vi fossero dentro, è stata seppellita dalla retorica nazionalista.\r\nIl dramma del “confine orientale” ha radici lontane. Dopo la prima guerra mondiale, l'Italia si sedette da vincitrice al tavolo delle trattative. Il trattato di Rapallo, che perfezionò le condizioni stabilite durante la conferenza di Versailles, sancì l'annessione all'Italia di Trento, Trieste, Istria, e Dalmazia. Luoghi dove almeno un milione di persone parlavano lingue diverse dall'italiano, ma vennero obbligate a parlarlo in tutte le situazioni pubbliche e, soprattutto, a scuola. Oltre cinquantamila persone lasciarono Trieste dopo l'annessione: funzionari dell'impero austroungarico o semplici cittadini di lingua austriaca o slovena, per i quali non c'erano prospettive di vita nella Trieste “italiana”. Una città poliglotta e vivace stava smarrendo la propria peculiarità di luogo di incontro e intreccio di culture diverse.\r\nIl fascismo accentuò la \u003Cmark>repressione\u003C/mark> nei confronti delle popolazioni di lingua slovena e croata, l'occupazione tedesca e italiana \u003Cmark>della\u003C/mark> Jugoslavia fu accompagnata da atrocità indelebili. Questa non è una giustificazione di quanto accadde, ma più banalmente la restituzione di un contesto di guerra durissimo. Nella seconda guerra mondiale in Jugoslavia morirono un milione di persone, altrettante persero la vita nell'Italia del Nord.\r\nNelle fucilazioni dei partigiani titoisti caddero molti fascisti, anche se i gerarchi più importanti fecero in tempo a trovare scampo a Trieste. Caddero anche molte persone le cui collusioni dirette con il fascismo erano molto più impalpabili. L'equiparazione tra fascismo e italianità, perseguita con forza dal regime mussoliniano, costerà molto cara a chi, in quanto italiano, venne considerato tout court fascista. Oggi gli storici concordano sul fatto che le cifre reali sugli infoibati sono molto lontane da quelle proposte dalla retorica nazionalista, ma per noi anche uno solo sarebbe troppo. Sloveno, italiano, croato che sia.\r\n\r\nPiù significativo fu invece l'esodo dall'Istria e dalle coste dalmate. Città come Pola e Zara persero oltre il 80% \u003Cmark>della\u003C/mark> popolazione. Accolti bene dalle popolazioni più vicine, vennero trattati con disprezzo ed odio altrove. Ad Ancona vennero accolti a sputi e trattati da fascisti in fuga. Qui a Torino erano guardati con diffidenza. Per la gente comune, con involontaria, ma non meno feroce ironia, erano “gli slavi”.\r\n\r\nLa radice del male, oggi come allora, è nel nazionalismo che divide, separa, spezza.\r\n\r\nA ciascuno di noi il compito di combattere il fascismo oggi. I profughi di altre guerre, di altri luoghi sono lo spauracchio con il quale i fascisti del nuovo millennio, provano a dar gambe alla guerra tra i poveri, all'odio verso i diversi, alla chiusura identitaria.\r\nRicordare oggi le vicende del confine orientale, un confine spostato tante volte nel sangue, significa confrontarsi con la pratica di una verità, che riconoscendo le vittime e il contesto di quelle vicende, ci insegna che solo un'umanità senza frontiere può mettere la parola fine ad orrori che, ogni giorno si ripetono ad ogni latitudine. In nome di un dio, di una nazione, di una frontiera fatta di nulla.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia all'università di Trieste, anarchico e antifascista.\r\n\r\nAscolta la diretta realizzata da Anarres:\r\n\r\n2016-02-05-venza-foibe\r\n\r\nDi seguito una scheda sull'esodo istriano e un'intervista a Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”. Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase \u003Cmark>della\u003C/mark> fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni \u003Cmark>della\u003C/mark> popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o \u003Cmark>della\u003C/mark> lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la \u003Cmark>libera\u003C/mark> scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una \u003Cmark>repressione\u003C/mark> fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa \u003Cmark>della\u003C/mark> costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, \u003Cmark>della\u003C/mark> dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso \u003Cmark>della\u003C/mark> supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale \u003Cmark>della\u003C/mark> realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e \u003Cmark>della\u003C/mark> semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico \u003Cmark>della\u003C/mark> memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. 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Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/2025-02-28-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nStati Uniti e Cina. La guerra fredda della supremazia tecnologica\r\nLa nuova intelligenza artificiale cinese DeepSeek ha dato una bella botta alle borse statunitensi. A differenza del 2008 questa volta la crisi viene non dall’esplodere di una bolla interna ma dal nemico/competitor cinese.\r\nDeepSeek ha inflitto un duro colpo a Chat GPT e a Palantir, specializzata nel servizio di controllo e fornitura dati, uno dei pilastria di quel “capitalismo della sorveglianza” di cui la Cina è maestra da un paio di decenni.\r\nIl gigante statunitense e quello cinese hanno tuttavia entrambi un grosso problema: l’estrema dipendenza reciproca dei due sistemi, specie in campo tecnologico.\r\nNe abbiamo parlato con Francesco Fricche\r\n\r\nNon può esserci anarchismo senza femminismo\r\nCon Julissa del Gruppo anarchico Germinal di Trieste presentiamo un documento che offre un panorama critico molto interessante, partendo dalla decostruzione di alcuni concetti chiave nei movimenti di questi anni.\r\nNell’introduzione al loro testo le compagne e i compagni scrivono: “Con questo testo vogliamo offrire delle riflessioni sul movimento transfemminista contemporaneo, partendo da dinamiche locali che ci hanno visto partecipi negli ultimi anni, nella speranza di poter offrire una critica costruttiva ed utile anche ad altrə, al di là delle vicende specifiche.\r\nDa un lato ci siamo chiestə cosa intendiamo quando utilizziamo il termine \"intersezionalità\" di cui tanto si parla nei movimenti (spesso, dal nostro punto di vista, a sproposito). Dall'altro vogliamo proporre una riflessione sui concetti di privilegio e decolonialità. Anche questi due termini attraversano gli spazi e i discorsi femministi, ma a volte, ci sembra, in maniera quasi meccanica, con degli automatismi che possono generare cortocircuiti logico/politici. Questi concetti hanno delle storie \"militanti\", così come delle formulazioni teoriche interessanti, e sono a nostro parere strumenti potenzialmente validi. Ma sono appunto strumenti, non dogmi o etichette da appiccicare acriticamente.”\r\n\r\nTorino. Contro la guerra e il militarismo: cronache di una giornata di lotta\r\nA tre anni dall’inizio della guerra in Ucraina il 22 febbraio è stata una lunga giornata di informazione e lotta promossa dal Coordinamento contro la guerra e chi la arma.\r\nIn mattinata c’è stato un presidio informativo al Balon, con interventi, musica volantini, banchetti.\r\nNel pomeriggio ci si è mossi per dare un segnale concreto della volontà di smilitarizzare la città.\r\n\r\nAppuntamenti: \r\n\r\nAnarcofemminist* al Balon\r\nSabato 8 marzo\r\npunto info\r\nore 10,30 \r\nI nostri corpi spezzano e annullano i confini tra i generi, le frontiere tra gli Stati,\r\nle divisioni imposte dalla nazione e dalle tante leggi del padre, del padrone, degli dei e dei loro preti. \r\nSarà in distribuzione l’opuscolo Anarchia e transfemminismo\r\nQui potete leggere e scaricare liberamente i testi:\r\nhttps://www.anarresinfo.org/transfemminismo-percorsi-e-prospettive/\r\n\r\nhttps://germinalts.noblogs.org/post/2025/02/19/non-ci-puo-essere-anarchismo-senza-femminismo/\r\n\r\nTrump e la marea nera globale \r\nVenerdì 14 marzo\r\nore 21 \r\ncorso Palermo 46\r\nNe parliamo con Stefano Capello e Lorenzo Coniglione\r\n\r\nGuerra, repressione, identitarismi, nazionalismi sono la cifra di un ordine del mondo che per salvare se stesso, affonda noi tutt. \r\nIl ciclone Trump negli States è solo l’ultimo potente segno di un vento di destra globale in un orizzonte di guerra permanente. \r\nA popolazioni spaventate dagli effetti devastanti dell’affermarsi inarrestabile della logica capitalista, le destre di ogni latitudine offrono la speranza che qualcuno possa essere al sicuro. In ogni dove si affermano leadership che individuano nella libertà delle donne e delle identità non conformi un nemico. In ogni dove le proteste di piazza vengono represse, i servizi essenziali negati, la propaganda militarista e patriottica disegna un orizzonte di normalità bellica. \r\nL’affermarsi di dinamiche pesantemente autoritarie su scala mondiale segna un’epoca dove chi governa e chi sfrutta non intende più piegarsi ad alcuna mediazione sociale.\r\nSarebbe però banale ridurre tutto al fascismo, anche se da quel mondo e dalla sua storia la marea nera trae ampia ispirazione e gli attrezzi necessari alla propria narrazione.\r\nPrendendo le mosse da quanto sta avvenendo negli Stati Uniti e dalle dinamiche che si sono innescate sul piano internazionale proveremo a ragionare sulle enormi accelerazioni in atto e sulle prospettive dei movimenti di opposizione politica e sociale. Negli States ma non solo.\r\n\r\nA-Distro e SeriRiot\r\nogni mercoledì\r\ndalle 18 alle 20\r\nin corso Palermo 46\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro\r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20,30\r\nper info scrivete a fai_torino@autistici.org\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFB\r\n@senzafrontiere.to/\r\n\r\nTelegram\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter mandando una mail ad: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","5 Marzo 2025","2025-03-05 17:30:00","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/marco-novak-840x480-bis-200x110.jpeg","Anarres del 28 febbraio. Tecnologia: la guerra tra Stati Uniti e Cina. 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Dall'altro vogliamo proporre una riflessione sui concetti di privilegio e decolonialità. Anche questi due termini attraversano gli spazi e i discorsi femministi, ma a volte, ci sembra, in maniera quasi meccanica, con degli automatismi che possono generare cortocircuiti logico/politici. Questi concetti hanno delle storie \"militanti\", così come delle formulazioni teoriche interessanti, e sono a nostro parere strumenti potenzialmente validi. Ma sono appunto strumenti, non dogmi o etichette da appiccicare acriticamente.”\r\n\r\nTorino. 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