","Libia. Migranti, milizie e servizi segreti","post",1505323140,[61,62,63,64,65,66,67,68],"http://radioblackout.org/tag/libia/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/ong/","http://radioblackout.org/tag/onu/","http://radioblackout.org/tag/sabratha/","http://radioblackout.org/tag/servizi-segreti-italiani/","http://radioblackout.org/tag/tripoli/","http://radioblackout.org/tag/zawiya/",[17,70,15,71,72,25,73,74],"migranti","ONU","sabratha","Tripoli","zawiya",{"post_content":76,"post_title":83,"tags":86},{"matched_tokens":77,"snippet":81,"value":82},[78,79,80],"servizi","segreti","italiani","hanno confermato trattative tra i \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark> \u003Cmark>italiani\u003C/mark> e le milizie. Non solo","Francesca Mannocchi, giornalista free lance, che collabora con numerose testate italiane e internazionali, è stata la prima a scrivere, già il 25 agosto, degli accordi tra governo italiano e milizie libiche per il blocco delle partenze. Il suo reportage, uscito in inglese su Middle East Eye, ha trovato conferma nei giorni successivi negli articoli pubblicati da Reuters e Associated Press.\r\n\r\nAl suo ritorno dalla Libia le abbiamo fatto una lunga intervista per radio Blackout, da cui emerge con chiarezza un quadro complesso sul quale si muovono diversi attori con differenti interessi.\r\n\r\n“Una prima intuizione sull'esistenza di una diplomazia parallela l'ho avuta a fine agosto. Ero in Libia. Per la prima volta a Zawiya e a Sabratha sono arrivati convogli di aiuti umanitari. Mi sono chiesta perché fossero stati inviati in una zona dove non ce n'era particolare bisogno. Sono andata lì ed ho cominciato a fare domande, per capire cosa ci fosse dietro a quei pacchi arrivati a Sabratha”.\r\nÉ noto a tutti che in quella zona una diplomazia parallela esiste da tempo ed è targata ENI.\r\n“Io ho in mano un documento che dimostra che la milizia dei Dabbashi ha un accordo per la protezione del compound di Mellita”.\r\nQuesta volta c'era qualcosa in più in ballo.\r\nLa scomparsa delle partenze di migranti nell'ultimo mese e mezzo doveva avere una ragione. Il traffico di esseri umani è uno dei maggiori business libici: lo stop alle partenze doveva avere una solida base materiale.\r\nIn Italia racconta la favola che i trafficanti sarebbero stati bloccati dalla cosiddetta “guardia costiera libica”, grazie all'addestramento offerto dall'Italia. Una “notizia” che ha il sapore della “barzelletta”. “Chi incassa milioni di euro facendo partire centinaia di migliaia di persone, non si fa certo bloccare da qualche pattuglia in più in mare e tantomeno dalla diplomazia libica.\r\nMi sono perciò chiesta quale prezzo stessimo pagando per l'interruzione delle partenze.\r\nTutte le fonti che ho raccolto, fonti diverse e non in contatto le une con le altre, sia in Italia che in Libia mi hanno confermato trattative tra i \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark> \u003Cmark>italiani\u003C/mark> e le milizie. Non solo quelle di Sabratha, ma anche quelle della zona ovest di Tripoli, di Misurata e di Beni Walid.\r\nIo non ho prove di quanto dico, ma le fonti che ho consultato sono tante, diverse tra loro e alcune mi hanno descritto i nostri \u003Cmark>servizi\u003C/mark> come molto generosi.\r\nCome ai tempi dei trattati stretti tra Berlusconi e Gheddafi nel 2008, ce lo dirà il tempo, ce lo dirà la storia quali saranno le conseguenze di questi accordi verbali e informali.\r\nConosco a fondo la Libia e mi chiedo cosa accadrà quando finiranno i soldi, gli aiuti, l'invio di armi. Ritengo che l'Italia diventerà profondamente ricattabile.\r\nSto lavorando sui nomi delle milizie coinvolte, in primis quella Dabbashi, che non per caso ha scortato gli aiuti umanitari \u003Cmark>italiani\u003C/mark> dal porto di Tripoli a Sabratha. La stessa milizia ha chiesto l'apertura di un proprio ufficio nel compound di Mellita, non accontendosi più dei soli proventi della protezione dell'impianto ENI, ma forse provando a prendere direttamente una stecca sulla produzione. Questa milizia, oltre ad essere una delle più forti per numero di uomini, gestisce da tempo i traffici di petrolio e gas.\r\nNonostante la Libia abbia un'importanza strategica per gli approvigionamenti energetici \u003Cmark>italiani\u003C/mark>, si fa fatica a far emergere informazioni, mentre la propaganda continua a definire “centri di accoglienza” le prigioni libiche.”\r\n\r\nI media main stream hanno ignorato le informazioni diffuse da varie testate in lingua inglese sugli accordi, affiancando la notizia della dipartita dal Mediterrano delle navi delle ONG con quella della secca riduzione delle partenze e degli sbarchi. Contribuendo in tal modo a criminalizzare le ONG, gettando nel contempo polvere sugli accordi con le milizie.\r\nLe stesse ONG, in buona parte dipendenti da finanziamenti statali, non hanno saputo/voluto battere i pugni sul tavolo. L'unica eccezione rilevante è “Medici senza frontiere”, che ormai da due anni rifiuta di prendere sovvenzioni statali, perché non vuole essere complice delle scelte politiche del governo sull'immigrazione. La decisione venne presa dopo la chiusura delle frontiere lungo la rotta balcanica.\r\n“Oggi c'è il rischio che le ONG diventino complici delle politiche governative in Libia”.\r\nLa richiesta alle ONG di partecipare alla gestione delle prigioni per migranti in Libia è molto ambigua, perché in Libia nessuna organizzazione può agire senza l'accordo con le milizie. Qualche mese fa “Sette funzionari e delle Nazioni Unite e dodici uomini della scorta vennero derubati e sequestrati tra Zawiya e Sabratha dalle milizie della zona. Sono stati liberati dopo una lunga trattativa e non hanno mai raggiunto il centro di detenzione dove erano diretti. Mi fa soltanto sorridere l'idea che oggi le ONG e la stessa UNHCR possano lavorare nei centri.\r\nIn Libia, secondo fonti del ministero dell'interno ci sono 24 centri di detenzione ''ufficiali'. Io lavoro in Libia da anni ma sono riuscita a visitarne solo sei. Gli altri non si sa dove siano, quante persone ci siano dentro.\r\nIo sospetto che verranno attrazzati due o tre centri a beneficio di giornalisti e associazioni umanitaria, mentre di tutti gli altri si continuerà a non sapere nulla. Alcuni centri che ho visitato sono stati chiusi, ma nessuno sa dove siano finiti i migranti che ci stavano dentro.\r\nLa domanda che faccio è semplice: 'ci sono le condizioni perché UNU e ONG possano lavorare in Libia?' Io credo di no. Nella sola Tripoli nel solo mese di giugno ci sono stati 281 rapimenti.\r\nFinirà che le ONG e l'ONU apriranno uffici a Tripoli o a Misurata e non faranno uscire i propri funzionari dalle otto del mattino alle due del pomeriggio. Non credo che questo migliorerà la condizione dei migranti nei centri di detenzione in Libia.”\r\n\r\nAscolta l'intervista a Francesca Mannocchi:\r\n\r\n2017 09 12 mannocchi libia",{"matched_tokens":84,"snippet":85,"value":85},[78,79],"Libia. 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In compagnia di potenze regionali e internazionali come Arabia Saudita, Emirati, Cina, Russia e altre, l'Italia ha da parte sua la delega europea alla promozione dell'esternalizzazione del confine sul continente africano: questa volta si tratta del Sudan, porta di accesso alla Libia per i paesi dell'Africa orientale.\r\n\r\n\r\n\r\nIn un'intervista ad agosto del 2022 il generale golpista Dagalo confermava ciò su cui Il Fatto Quotidiano e Africa Express avevano fatto luce: il coinvolgimento iniziato a Gennaio dello stesso anno dell'AISE nell'addestramento dell'RSF (ex Janjaweed), inaugurato da diversi viaggi compiuti dal colonnello dei servizi Antonio Colella specializzato in cyber security e poi dal direttore di allora dell'agenzia Giovanni Caravelli. In perfetta continuità con il memorandum d'intesa firmato nel 2016 tra Franco Gabrielli (allora capo della Polizia e degli affari di pubblica sicurezza, governo Renzi) e le autorità militari sudanesi per la \"prevenzione e contrasto in materia di immigrazione clandestina, terrorismo e traffico di droga\" (un commento di ASGI del memorandum la puoi leggere qui) La solita retorica che l'Italia ha contribuito a rendere realtà inviando istruttori, mezzi e droni. Ne abbiamo parlato con Massimo Alberizzi, direttore di Africa Express che ne ha scritto lungamente in diversi articoli.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/sudan.italia.mp3\"][/audio]","13 Maggio 2023","2023-05-14 12:31:19","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/1000_F_463883305_bhlkdWrNbrzgHqPPNQ1jEbrfKIYyKMcl-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"264\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/1000_F_463883305_bhlkdWrNbrzgHqPPNQ1jEbrfKIYyKMcl-300x264.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/1000_F_463883305_bhlkdWrNbrzgHqPPNQ1jEbrfKIYyKMcl-300x264.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/1000_F_463883305_bhlkdWrNbrzgHqPPNQ1jEbrfKIYyKMcl-768x675.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/1000_F_463883305_bhlkdWrNbrzgHqPPNQ1jEbrfKIYyKMcl.jpg 1000w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Le responsabilità italiane nell'addestramento delle RSF sudanesi",1683982546,[137,66,138],"http://radioblackout.org/tag/interessi-delliitaia-in-sudan/","http://radioblackout.org/tag/sudan/",[140,25,141],"interessi dellìitaia in sudan","Sudan",{"post_content":143,"tags":147},{"matched_tokens":144,"snippet":145,"value":146},[78],"viaggi compiuti dal colonnello dei \u003Cmark>servizi\u003C/mark> Antonio Colella specializzato in cyber","Un conflitto che passa per essere una catastrofica e localizzata prova di forza tra due signori della guerra per il controllo di territorio, popolazione e forza armate nasconde ovviamente trame di interessi stratificati multipolari che vanno ben oltre i netti confini politici dello stato sudanese. 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Uno di loro, Giuseppe Pinelli, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di Pinelli, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark> Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark>, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. 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Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. 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Il lavoro di criminalizzazione è durato mesi, per preparare il terreno all'ultima offensiva. \r\n\r\nAll'inizio dell'estate, in un clima emergenziale suscitato ad arte dai media, è saltato fuori il codice da imporre alle ONG, pena la chiusura dei porti. Un cappio al collo, che rende nei fatti quasi inutile muoversi nel Mediterraneo. Poliziotti a bordo, strumenti che segnalano la propria posizione, divieto di mettersi lungo le rotte della gente in viaggio. La maggior parte delle Ong non ha sottoscritto il codice. Le minacce della guardia costiera libica di impiegare le armi ha portato al ritiro dal Mediterraneo di gran parte delle imbarcazioni delle Ong ribelli. 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La milizia “Martire Abu Anas al Dabbashi” di Sabratha collabora da anni con il governo italiano, perché si occupa della sicurezza dell'impianto ENI di Mellita. \r\n\r\nAssieme alla “Brigata 48” gestiscono tutti i traffici in quel tratto di costa. Entrambe le formazioni armate sono controllate da membri del clan Dabbashi, ossia i “re del traffico di migranti”. Il capo della prima conferma l'intesa con gli italiani. \r\n\r\nIn questi stessi giorni Minniti ha dichiarato alla stampa di essere “preoccupato per le condizioni dei migranti nelle prigioni libiche”. \r\n\r\n \r\n\r\nNegli stessi giorni è stato stipulato un accordo per la realizzazione di campi di concentramento per immigrati in Ciad, in Mali e in Niger. 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Infatti Anan era stato originariamente arrestato per una richiesta di estradizione da parte delle autorità israeliane, la richiesta era stata rifiutata ma l’esule palestinese non è potuto uscire di prigione perché è immediatamente stato raggiunto da un mandato di cattura da parte delle autorità italiane. Questo fatto è già di per se un inequivocabile esempio del servilismo dello stato italiano verso quello israeliano.\nA questo va aggiunto il fatto che la pubblico ministero ha presentato come prove documenti dei servizi segreti israeliani che non sono utilizzabili in un processo penale, ed il fatto che che le memorie dei telefoni di Anan, sequestrate dagli inquirenti italiani, sono state passate ai colleghi israeliani ed utilizzate per individuare ed uccidere persone in Cisgiordania, fornendo una drammatica prova di come le istituzioni italiane sostengano la guerra algoritmica, ovvero la capacità di Israele di utilizzare tecnologie avanzate per identificare, controllare ed uccidere persone. Da tutti questi elementi si deduce il forte intreccio sul piano militare, poliziesco e dei servizi segreti tra Italia e Israele di cui questo processo è un lampante esempio. Siamo di fronte ad un processo per procura, istruito in Italia al fine di compiacere e sostenere gli alleati israeliani.\nPer quanto riguarda le anomalie va aggiunto che nella udienza dell’8 settembre scorso c’è stata una novità, la giudice a latere è stata trasferita ad altra sede. Se Prima di questo fuoriprogramma era stata stabilita la data della sentenza, ora il termine del processo si prolunga a tempi non ancora definiti.\nLa fretta di chiudere questo procedimento è sempre stata evidente tanto che si stava arrivando a sentenza dopo pochi mesi dall’inizio. Per raggiungere questo obiettivo la corte aveva addirittura rifiutato la maggior parte dei testi della difesa e le udienze si susseguivano a tappe forzate, creando difficoltà agli avvocati e limitando il loro diritto a prepararsi adeguatamente. Il giudice si proponeva di concludere il processo entro l’estate, nel momento in cui l’attenzione sul caso e la capacità di mobilitazione dei solidali è più bassa. Ma il processo non è finito nei tempi previsti ed ora rischia di andare a sentenza proprio nel momento in cui c’è la massima attenzione verso la questione palestinese. \nConcludere ora, qualsiasi sia l’esito, sarebbe un danno per i sostenitori di Israele. Infatti, se i tre venissero condannati, questa sarebbe ritenuta, dal movimento di sostegno alla Palestina, una prova della complicità delle istituzioni italiane con il genocidio in corso e quindi un’ulteriore ragione per mobilitarsi. Se invece venissero assolti, il governo italiano si ritroverebbe un simbolo della resistenza palestinese, Anan Yaeesh, al cento dell’attenzione, libero di parlare e di dare il suo contributo, nel pieno di una mobilitazione permanente che si fa di giorno in giorno più diffusa e radicale e che spaventa i nostri governanti.\nNel frattempo, il 21 settembre scorso si è svolto presso il carcere di Terni un presidio molto partecipato in solidarietà ad Anan. Nei giorni seguenti il partigiano palestinese è stato trasferito nel penitenziario di Melfi. Si tratta di un’ennesima vigliacca ritorsione contro un prigioniero che è già in una sezione di Alta Sicurezza da due anni in seguito ad un processo farsa.\n\n\n\nNe parliamo con un compagno dell' UDAP .","26 Settembre 2025","Il processo ad Anan, Alì, e Mansour si è contraddistinto per numerose anomalie, a partire dal fatto che non si comprende né di quali fatti specifici siano accusati né se il loro presunto reato, cioè sostenere la legittima resistenza contro l’occupazione coloniale, sia perseguibile da un tribunale Italiano, a meno che la corte di assise […]","2025-09-26 14:34:30","https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"167\" src=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH-300x167.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH-300x167.jpg 300w, https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH-1024x570.jpg 1024w, https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH-768x427.jpg 768w, https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH-200x110.jpg 200w, https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/09/ANAN-YAEESH.jpg 1082w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Aggiornamento sul processo contro la resistenza palestinese all’Aquila.",1758896951,[284,285,286,287,288,289],"https://radioblackout.org/tag/anan-yaeshh/","https://radioblackout.org/tag/carcere/","https://radioblackout.org/tag/palestina/","https://radioblackout.org/tag/processo/","https://radioblackout.org/tag/repressione/","https://radioblackout.org/tag/resistenza-palestinese/",[32,291,292,293,21,23],"carcere","palestina","processo",{"post_content":295},{"matched_tokens":296,"snippet":297,"value":298},[78,79],"presentato come prove documenti dei \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark> israeliani che non sono utilizzabili","Il processo ad Anan, Alì, e Mansour si è contraddistinto per numerose anomalie, a partire dal fatto che non si comprende né di quali fatti specifici siano accusati né se il loro presunto reato, cioè sostenere la legittima resistenza contro l’occupazione coloniale, sia perseguibile da un tribunale Italiano, a meno che la corte di assise dell’Aquila non pretenda di sostenere che difendersi da un genocidio, che è sotto gli occhi del mondo, sia un reato.\nQueste anomalie accompagnano il processo dal suo inizio. 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E’ per arrivare al numero minimo di tre persone con cui si giustifica l’accusa di “associazione con finalità di terrorismo” che la magistratura tira in mezzo Alì e Mansour, pur estranei alla lotta armata. Il PM offre come probatorie le testimonianze ottenute tramite interrogatori dello Shin Bet (servizi segreti) nelle carceri israeliane, dove le persone palestinesi sono soggette alla legge marziale e a sistematiche torture. Anan ne è testimonianza vivente: nel suo corpo ci sono undici proiettili e quaranta schegge, non gli è stata risparmiata la frantumazione di alcun osso. A molte persone è servito il genocidio per rendersi conto degli orrori messi in atto da Israele, ma nei tribunali italiani i partigiani palestinesi restano in ogni caso \"terroristi”, rafforzando così l'ideologia sionista volta a farne un nemico da sterminare con qualunque mezzo, senza alcuna inibizione morale.\r\n\r\nAnan è oggi torturato non in Israele, ma dentro al carcere di Terni, in regime di 41-bis, su richiesta dalla DNAA. E’ nel 2015 che la Direzione Nazionale Antimafia amplia il proprio campo d’intervento verso l’antiterrorismo rivelandosi un organismo di coordinamento tra tutte le Procure. Attraverso la creazione di un ambiente culturale prima ancora che giuridico, la DNAA - che influenza pesantemente il discorso pubblico e giornalistico, il governo e il parlamento, la magistratura - opera una strategia contro-insurrezionale preventiva. 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È il frutto di un recentissimo accordo – senza precedenti in Italia – tra il ministero dell’Istruzione e del merito e il dipartimento delle Informazioni per la sicurezza (DIS), l’organo della presidenza del Consiglio a capo dei servizi segreti. “I come Intelligence è rivolto agli studenti del primo biennio delle scuole superiori. “Esso è volto ad accompagnare i giovani alla scoperta di funzioni, compiti, organizzazione e protagonisti degli Organismi informativi, così come dei principali fenomeni di minaccia”, spiegano i firmatari..\r\nNello specifico, l’intesa Istruzione-DIS prevede l’organizzazione di “iniziative di divulgazione e formazione” rivolte alle nuove generazioni per “favorire la consapevolezza sulle funzioni assegnate all’Intelligence italiana” ed “esplorare la storia, il linguaggio, i protagonisti e l’organizzazione dei Servizi Segreti italiani”.\r\nCon quest’ultima iniziativa il governo punta sia al reclutamento sia all’indottrinamento. A ragazzi e ragazze verranno anche spiegate le “principali minacce del mondo contemporaneo”. Quelle “interne” e quelle “esterne”. Una buona occasione per puntare il dito contro chi lotta contro un ordine del mondo ingiusto, predatorio, questo sì una vera minaccia per le vite di miliardi di persone.\r\nNe abbiamo parlato con Antonio Mazzeo\r\n\r\nFranco Serantini. Gli anarchici non dimenticano\r\nAnarchico del Gruppo “Giuseppe Pinelli” di Pisa, Franco era sceso in piazza il 5 maggio 1972 per opporsi al comizio elettorale del fascista Giuseppe Niccolai del MSI. Viene preso sul Lungarno Gambacorti dalla celere, che lo massacra di colpi con i manganelli, gli stivali e i calci dei fucili. 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Ventuno membri degli equipaggi di Jugend Rettet, Save the Children e Medici Senza Frontiere sono stati prosciolti dal giudice dell’udienza preliminare di Trapani, perché “il fatto non sussiste“.\r\nQuesta sentenza arriva dopo sette anni e il deterioramento dell’imbarcazione Iuventa, sequestrata e lasciata in stato di abbandono nel porto di Trapani dal 2017.\r\nMa come è nata la criminalizzazione delle Ong e della solidarietà in mare? Perché salvare vite in mare è una pratica così osteggiata dalle autorità italiane ed europee?\r\nPrendendo le mosse da un articolo uscito su Monitor Italia abbiamo ricostruito i passaggi fondamentali del processo di criminalizzazione delle ONG impegnate in operazioni di Sar – Ricerca e salvataggio nel Mediterraneo.\r\n\r\nNoi disertiamo!\r\nOgni 2 giugno la Repubblica celebra sé stessa con esibizioni militari, parate e commemorazioni.\r\nUna “festa” nazionalista e militarista.\r\nIl governo di estrema destra alimenta la retorica identitaria, i “sacri” confini, l’esaltazione della guerra.\r\nCome ogni anno le cerimonie militari del due giugno servono a giustificare enormi spese militari, l’invio delle armi e l’impegno diretto dell’Italia nelle missioni militari all’estero, dall’Ucraina all’Africa. Guerre, stupri, occupazioni di terre, bombardamenti, torture, l’intero campionario degli orrori umani, se compiuto da uomini e donne inquadrati in un esercito, diventa legittimo, necessario, opportuno, eroico. Le divise da parata, le bandiere, le medaglie, la triade “dio, patria, famiglia” non sono il mero retaggio di un passato più retorico e magniloquente del nostro presente, ma la rappresentazione sempre attuale dell'attitudine imperialista e neocoloniale dello stato italiano.\r\n\r\nAppuntamenti: \r\n\r\nVenerdì 17 maggio\r\nCena dei senzastato\r\nmenù vegan\r\nore 20\r\ncorso Palermo 46\r\nBenefit lotte\r\nQuanto costa? Quanto puoi, più che puoi!\r\nPrenotazioni a antimilitarista.to@gmail.com\r\n\r\nDall'ordine americano al grande caos\r\nScenari di guerra globale: dall'Ucraina a Gaza, dal Sudan all'Armenia, dal mar Rosso a Taiwan\r\nVenerdì 24 maggio\r\nore 21\r\ncorso Palermo 46\r\nincontro con Stefano Capello\r\n\r\nGuerre di portata planetaria ci stanno portando sull'orlo della terza guerra mondiale. La spirale pare inarrestabile: il conflitto Russia Ucraina rischia di deflagrare in tutta Europa.\r\nL'Italia è direttamente coinvolta con le proprie truppe e con il proprio apparato militare industriale. È in prima fila in conflitti in cui gioca in proprio e in varie alleanze a geografia variabile.\r\nLa crisi mondiale, le pericolose convulsioni dell'impero statunitense e della Russia in un pianeta multipolare, le aspirazioni imperialiste concorrenti di potenze regionali come la Turchia, il grande saccheggio dell'Africa, l'imporsi inarrestabile della Cina rendono la china verso il peggio sempre più scivolosa.\r\nL'intersecarsi di pulsioni nazionaliste, guerre di religione e di interesse mira a rendere complici dei massacri le popolazioni più direttamente colpite.\r\nNon solo. Nel nostro paese il governo sta facendo una campagna di arruolamento permanente. Di fronte all'escalation bellica vogliono gente assuefatta e disponibile alla concreta possibilità di un coinvolgimento diretto sempre maggiore.\r\nNon per caso il processo di militarizzazione investe le nostre città, le nostre scuole, i principali mezzi di comunicazione e le istituzioni culturali.\r\nGuerra interna e guerra esterna sono le due facce della stessa medaglia, quella della guerra ai poveri per il controllo delle risorse, delle coscienze, delle vie di approvvigionamento e dei flussi informativi.\r\nComprendere le dinamiche della guerra globale, cogliere gli elementi di resistenza, disfattismo, diserzione è necessario per rinforzare le reti antimilitariste ed internazionaliste di opposizione alla guerra.\r\n\r\nIn occasione della serata verrà fatta una raccolta fondi per sostenere gli anarchici sudanesi. In un anno di guerra civile quest* compagn*, oppositor* del passato regime e dei due signori della guerra che si contendono il paese, hanno attuato numerose iniziative di lotta e di solidarietà con la popolazione stremata dalla guerra. Oggi stanno subendo una durissima repressione. Alcuni sono stati arrestat* e torturat*. La compagna Sarah è stata violentata e uccisa.\r\n\r\nSabato 1 e domenica 2 giugno\r\nSenzapatria \r\nGiornate di lotta al militarismo\r\nContro la guerra, l’occupazione militare delle periferie, la produzione bellica, il nazionalismo!\r\nContro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!\r\nCon i disertori di tutte le guerre!\r\n\r\nSabato 1 giugno\r\nVia i militari dalle strade!\r\nore 15,30 corso Palermo angolo via Sesia\r\n\r\nDomenica 2 giugno\r\nAntimilitaristi per i quartieri di Torino.\r\nSmilitarizziamo la città!\r\n\r\nOgni martedì fai un salto da\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro \r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\ndalle 18 alle 20 in corso Palermo 46\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46 \r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20\r\n\r\nContatti:\r\nfai_torino@autistici.org\r\n@senzafrontiere.to/\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","14 Maggio 2024","2024-05-14 16:59:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/guerre-globali-2-bis-200x110.jpg","Anarres del 10 maggio. 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Di fronte all'escalation bellica vogliono gente assuefatta e disponibile alla concreta possibilità di un coinvolgimento diretto sempre maggiore.\r\nNon per caso il processo di militarizzazione investe le nostre città, le nostre scuole, i principali mezzi di comunicazione e le istituzioni culturali.\r\nGuerra interna e guerra esterna sono le due facce della stessa medaglia, quella della guerra ai poveri per il controllo delle risorse, delle coscienze, delle vie di approvvigionamento e dei flussi informativi.\r\nComprendere le dinamiche della guerra globale, cogliere gli elementi di resistenza, disfattismo, diserzione è necessario per rinforzare le reti antimilitariste ed internazionaliste di opposizione alla guerra.\r\n\r\nIn occasione della serata verrà fatta una raccolta fondi per sostenere gli anarchici sudanesi. 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La compagna Sarah è stata violentata e uccisa.\r\n\r\nSabato 1 e domenica 2 giugno\r\nSenzapatria \r\nGiornate di lotta al militarismo\r\nContro la guerra, l’occupazione militare delle periferie, la produzione bellica, il nazionalismo!\r\nContro tutte le patrie per un mondo senza frontiere!\r\nCon i disertori di tutte le guerre!\r\n\r\nSabato 1 giugno\r\nVia i militari dalle strade!\r\nore 15,30 corso Palermo angolo via Sesia\r\n\r\nDomenica 2 giugno\r\nAntimilitaristi per i quartieri di Torino.\r\nSmilitarizziamo la città!\r\n\r\nOgni martedì fai un salto da\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro \r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\ndalle 18 alle 20 in corso Palermo 46\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46 \r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20\r\n\r\nContatti:\r\nfai_torino@autistici.org\r\n@senzafrontiere.to/\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org",{"matched_tokens":398,"snippet":399,"value":399},[78,79],"Anarres del 10 maggio. Nucleare: le favole di Pichetto-Fratin. Studenti a lezione dai \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark>. Franco Serantini. ONG: genealogia della criminalizzazione. 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In un intenso dibattito, con testimonianze e analisi , si è discusso dei vari aspetti che alimentano questa spirale nella regione latinoamericana, utilizzando una prospettiva ampia che ingloba la geopolitica, le migrazioni, i femminicidi e la protezione dell’ambiente. Il punto di partenza lo offre InSight Crime, che nel suo report regionale riferito all’anno scorso spiega che “nel 2023 in America Latina e nei Caraibi sono state uccise almeno 117.492 persone, con un tasso di omicidi di 20 ogni 100.000 abitanti.\r\n\r\nLa violenza nel continente latinoamericano è agita da molti attori fra i quali anche le forze repressive degli stati al soldo degli interessi dominanti , dai narcotrafficanti che ampliano i loro interessi anche nel traffico degli esseri umani gestendo i processi di migrazione e colpendo i soggetti vulnerabili, aumentano i casi di femminicidio e di violenza contro le donne conseguenza di una organizzazione della società biecamente maschilista ,si colpiscono i difensori dei diritti umani e coloro che tra le comunità native difendono i territori dalle politiche estrattiviste.\r\n\r\nNon sono mancate le riflessioni sulla “Bukelizzazione” della regione e su quanto si stia vivendo nel Salvador , dove il presidente Bukele mantiene da due anni il paese in stato di eccezione. Anche in Ecuador si registra il risultato della consultazione del 21 aprile scorso, voluta dal presidente ecuadoriano Daniel Noboa , dove la maggioranza dei votanti ha deciso di autorizzare le forze armate ad ampliare il loro raggio d’azione per pacificare con le armi il paese diventato snodo continentale del traffico di cocaina nel continente.\r\n\r\nSi parla anche del processo colombiano dove il presidente Petro incontra difficoltà nello sviluppo del suoi piano di pace totale , venendo meno le riforme strutturali promesse in campagna elettorale.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/bastioni-020524-battistessa.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nCon Edoardo Baldaro analista e conoscitore della regione parliamo del Sahel e in paritcolare del Niger dove la giunta al potere ha invitato i militari americani ad andarsene da una delle basi piu' importante della regione , dopo la partenza dei francesi rimane quale unica forza militare occidentale , il contingente italiano della missione \"Misin \" composta da circa 450 militari che al momento dopo la visita del capo dei servizi segreti italiani rimarrà sul posto in coabitazione con il contigente russo che è arrivato in Niger.\r\n\r\nApprofondiamo la natura del posizionamento delle giunte militari arrivate al potere in Sahel rispetto alla ridefinizione globale degli schieramenti in corso ,constatando un attitudine disincantata che riposiziona questi paesi come soggetti attivi e non più condizionati dai governi dei paesi ex coloniali . Dove l'aspirazione all'indipendenza dai condizionamenti delle potenze coloniali ha la possibilità di esprimersi attraverso percorsi elettorali come in Senegal ,si manifesta una forte volontà di cambiamento da parte della società civile ,senza necessariamente passare attraverso putsch militari .\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-020524-EDOARDO-BALDARO.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nInfine con Fabiana Triburgo avvocato e operatore legale in merito alla protezione internazionale ci occupiamo della richiesta che la Corte Penale Internazionale starebbe valutando riguardo l' incriminazione del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per crimini di guerra contro l’umanità commessi dallo Stato ebraico nella Striscia di Gaza . A differenza della Corte internazionale di giustizia che opera nei confronti degli stati ,la Corte penale internazionale puo' incriminare solo persone fisiche e nel caso specifico si è mossa \"motu proprio\" attraverso il procuratore generale Karim Khan .\r\n\r\nLa Palestina dal 2021 fa parte della Corte penale internazionale mentre nè Israele nè gli U.S.A. hanno sotoscritto la convenzione di Roma che nel 1998 istituiti' questo organismo , l'accusa di crimini di guerra si basa su evidenze rilevate dallo stesso procuratore Khan sul posto e da una precedente denuncia della Palestina che risale alle violenze israeliane nella Striscia di Gaza nel 2014 .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-020524-FABIANA.mp3\"][/audio]","7 Maggio 2024","2024-05-07 19:24:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 05/05/2024- AMERICA LATINA VIOLENZA STRUTTURALE -SAHEL IL NIGER SFRATTA GLI AMERICANI ,GLI ITALIANI RIMANGONO-LA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE DI FRONTE AI CRIMINI DI ISRAELE.",1715109847,[419],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/",[354],{"post_content":422,"post_title":426},{"matched_tokens":423,"snippet":424,"value":425},[78,79,80],"la visita del capo dei \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark> \u003Cmark>italiani\u003C/mark> rimarrà sul posto in coabitazione","Bastioni di Orione con Diego Battistessa approfondisce il tema della violenza in America Latina prendendo spunto da un incontro internazionale tenutosi a Madrid il 23 aprile scorso . 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Affrontiamo il caso \"Equalize\" , la società accusata di aver fatto accessi illegali agli archivi delle forze dell’ordine per ottenere informazioni riservate su persone e società, perchè emergono relazioni con elementi del Mossad ,i servizi segreti israeliani ,che ci rimandano ad una \"Israel connection\" e alle relazioni di lunga data tra il Mossad e i servizi segreti italiani. L'interesse israeliano è per l'ENI che ha ottenuto dal governo israeliano le concessioni per lo sfruttamento del gas al largo delle coste di Gaza , in violazione delle norme del diritto internazionali in quanto questi giacimenti off shore apparterrebero in gran parte ai palestinesi . Inoltre la controversa decisione del governo Meloni di appaltare la gestione della cybersecurity italiana ad Israele ,decisione che ha portato alle dimissioni del direttore dell'Agenzia per la cybersicurezza nazionale (Acn), fa suppore una sottovalutazione dei rischi di affidare un campo così delicato ad un paese straniero impegnato in attività belliche a dir poco controverse i cui interessi nell'area del Mediterraneo orientale non sempre coincindono con quelli italiani . Esiste un partito trasversale che vede questi accordi con molto favore e privilegia gli interessi di Eni e Leonardo che giudica sovrapponibili con quelli nazionali e intrecciati con quelli dello stato sionista.\r\n\r\n- Parliamo con Alberto Negri anche dei mutamenti del Medio Oriente negli ultimi dieci anni e del Libano dove gli equilibri imposti dagli Accordi di Taif che fanno riferimento alla composizione della popolazione libanese risalente al censimento del 1932 – l’ultimo mai realizzato – non rispecchiano più la situazione sul terreno. Il tentativo sionista è di destrutturare l'intera società libanese in cui la componente sciita è maggioritaria ed Hezbollah è una parte rilevante dello stato sociale libanese e oltre ad essere una milizia è un partito radicato nella società e nelle istituzioni libanesi. Un Libano forte costituisce per Israele un concorrente per il suo progetto di egemonia regionale .\r\n\r\n- Ci si chiede se la politica americana da apprendisti stregoni in Medio Oriente sia il frutto di ignoranza delle dinamiche storiche e della cultura di quelle popolazioni o faccia parte di una strategia mirata alla destabilizzazione permanente di quella regione. Optiamo per questa ipotesi considerando che il \"deep state\" americano conosce perfettamente la regione e il suo obiettivo è quello della destabilizzazione che consente ad una potenza come gli Stati Uniti di esercitare il condizionamento sui vari attori, acuendo le divisioni etniche e settarie per favorire l'emergere di Israele come unica potenza regionale, espressione degli interessi americani in Medio Oriente. C'è un criminale disegno premeditato di distruzione del Medio Oriente che va avanti da anni, perseguito con la frantumazione degli stati arabi potenzialmente nemici di Israele e con la sottomissione delle monarchie arabe alla potenza egemone, disegno che prevede il sacrificio del popolo palestinese.\r\n\r\n- Si ragiona anche sulle conseguenze del 7 ottobre e sulla mancata proiezione strategica di Hamas che sta esponendo la popolazione di Gaza alla bestiale vendetta israeliana. Secondo Negri l'investimento dell'Iran su Hamas è stato fallimentare perchè ha portato all'indebolimento di Hezbollah e alla distruzione di Gaza ,Hamas non si sarebbe assunto la responsabilità politica delle conseguenze dell'operazione \"alluvione di Al Aqsa\" ,operazione che ha sicuramente interrotto l'avvicinamento tra Arabia Saudita ed Israele e riportato alla ribalta la questione palestinese ma ha avuto conseguenze devastanti per i gazawi senza proporre una strategia diversa dal sacrificio allo scopo di perpetuare una classe dirigente che si nutre del conflitto .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/11/BASTIONI-31102024-NEGRI.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Murat Cynar giornalista ed attivistita politico turco parliamo dei mutamenti in corso in Turchia con le sospette aperture di ambienti governativi verso Ocalan e l'attentato di Ankara alla fabbrica di armi Tusa con la conseguente ritorsione turca che ha portato al bombardamento delle infrastrutture civili del Kurdistan .\r\n\r\nIl 22 ottobre, Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionale (Mhp) e alleato del partito al governo, ha invitato Abdullah Öcalan, storico leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), a dichiarare la fine della lotta armata e lo scioglimento del Pkk direttamente dal gruppo parlamentare del Partito dell’uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem), partito d’opposizione. Bahçeli ha enfatizzato che l’unico interlocutore per porre fine alla guerra sarebbe stato Öcalan, escludendo il Pkk e l’ex leader del Dem, Selahattin Demirtas, incarcerato dal 2016. il presidente Erdogan ha espresso sostegno alla proposta del suo alleato Devlet Bahçeli .\r\n\r\nLa fabbrica militare Tusas ad Ankara ha subito un attentato in pieno giorno, con la morte di cinque dipendenti e dei due attentatori, oltre al ferimento di 22 persone. Poco dopo, le immagini delle telecamere di sicurezza, che mostrano gli attentatori a volto scoperto e facilmente identificabili, erano già in circolazione. Il giorno dopo, il Pkk ha dichiarato che l’attacco, organizzato un mese prima da una formazione affiliata, «non è legato ai nuovi sviluppi». Ha destato perplessità che un’azione di tale portata avvenisse proprio all’indomani dell’appello a Öcalan. Poche ore dopo, le forze armate turche hanno colpito il nord-est della Siria, nella regione di Rojava.\r\n\r\nAbdullah Öcalan, leader del Pkk condannato all’ergastolo e in isolamento dal 1999 sull’isola di Imrali, ha ricevuto una visita dopo quasi quattro anni. Suo nipote, il parlamentare Omer Öcalan del partito Dem, ha dichiarato di averlo incontrato il giorno precedente, quello dell’attentato di Ankara. Il messaggio di Öcalan è stato questo: «L’isolamento continua. Se si verificano le condizioni, ho il potere teorico e pratico di spostare questo processo dal conflitto e dalla violenza al terreno legale e politico».\r\n\r\nQuesti gli avvenimenti riassunti da Murat nel suo articolo per il \"Manifesto \", sembra quindi che si sia avviato un nuovo percorso con quali scopi è ancora tutto da determinare .Erdogan vorrebe cambiare la costituzione per potersi presentare per un quarto mandato, ma non ha la maggioranza quindi spera nella benevolenza del DEM ,partito di opposizione ,potrebbe anche perseguire la divisione all'interno dello schieramento filo curdo ,oppure tentare una manovra di dialogo indiretto con i curdi siriani nel tentativo di riannodare il rapporto con Assad,ma alle sue condizioni .\r\n\r\nE' ancora presto per dirlo, i vari attori stanno prendendo posizione in vista di un cambiamento nel contesto di profondi scossoni che pervadono tutta la regione.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/11/BASTIONI-31102024-MURAT.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nInfine con Davide Matrone docente di analisi politica e giornalista che vive a Quito ,parliamo della situazione in Ecuador ,dei continui black out elettrici che si prolungano anche per 14 ore al giorno ,della situazione sociale estremamente tesa ,del dilagare del narcotraffico ,delle promesse mancate del presidente Noboa e delle prospettive per le prossime elezioni con un campo progressista diviso ,il correismo in crisi e la mancanza di un alternativa radicale che abbia una connessione forte con le esigenze popolari.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/11/BASTIONI-31102024-ECUADOR-MATRONE.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ","3 Novembre 2024","2024-11-03 15:37:25","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/blade-1-3-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 31/10/2024-IL CRIMINE PREMEDITATO DELLA DISTRUZIONE DEL MEDIO ORIENTE -TURCHIA ERDOGAN TENTA DI DIVIDERE IL FRONTE CURDO -ECUADOR \"APAGONES\" E CRISI POLITICA",1730648245,[419],[354],{"post_content":450},{"matched_tokens":451,"snippet":454,"value":455},[452,453,80],"servizi ","segreti ","tra il Mossad e i \u003Cmark>servizi \u003C/mark> \u003Cmark>segreti \u003C/mark> \u003Cmark>italiani\u003C/mark>. 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C'è un criminale disegno premeditato di distruzione del Medio Oriente che va avanti da anni, perseguito con la frantumazione degli stati arabi potenzialmente nemici di Israele e con la sottomissione delle monarchie arabe alla potenza egemone, disegno che prevede il sacrificio del popolo palestinese.\r\n\r\n- Si ragiona anche sulle conseguenze del 7 ottobre e sulla mancata proiezione strategica di Hamas che sta esponendo la popolazione di Gaza alla bestiale vendetta israeliana. Secondo Negri l'investimento dell'Iran su Hamas è stato fallimentare perchè ha portato all'indebolimento di Hezbollah e alla distruzione di Gaza ,Hamas non si sarebbe assunto la responsabilità politica delle conseguenze dell'operazione \"alluvione di Al Aqsa\" ,operazione che ha sicuramente interrotto l'avvicinamento tra Arabia Saudita ed Israele e riportato alla ribalta la questione palestinese ma ha avuto conseguenze devastanti per i gazawi senza proporre una strategia diversa dal sacrificio allo scopo di perpetuare una classe dirigente che si nutre del conflitto .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/11/BASTIONI-31102024-NEGRI.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nCon Murat Cynar giornalista ed attivistita politico turco parliamo dei mutamenti in corso in Turchia con le sospette aperture di ambienti governativi verso Ocalan e l'attentato di Ankara alla fabbrica di armi Tusa con la conseguente ritorsione turca che ha portato al bombardamento delle infrastrutture civili del Kurdistan .\r\n\r\nIl 22 ottobre, Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionale (Mhp) e alleato del partito al governo, ha invitato Abdullah Öcalan, storico leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), a dichiarare la fine della lotta armata e lo scioglimento del Pkk direttamente dal gruppo parlamentare del Partito dell’uguaglianza e della democrazia dei popoli (Dem), partito d’opposizione. Bahçeli ha enfatizzato che l’unico interlocutore per porre fine alla guerra sarebbe stato Öcalan, escludendo il Pkk e l’ex leader del Dem, Selahattin Demirtas, incarcerato dal 2016. il presidente Erdogan ha espresso sostegno alla proposta del suo alleato Devlet Bahçeli .\r\n\r\nLa fabbrica militare Tusas ad Ankara ha subito un attentato in pieno giorno, con la morte di cinque dipendenti e dei due attentatori, oltre al ferimento di 22 persone. Poco dopo, le immagini delle telecamere di sicurezza, che mostrano gli attentatori a volto scoperto e facilmente identificabili, erano già in circolazione. Il giorno dopo, il Pkk ha dichiarato che l’attacco, organizzato un mese prima da una formazione affiliata, «non è legato ai nuovi sviluppi». Ha destato perplessità che un’azione di tale portata avvenisse proprio all’indomani dell’appello a Öcalan. Poche ore dopo, le forze armate turche hanno colpito il nord-est della Siria, nella regione di Rojava.\r\n\r\nAbdullah Öcalan, leader del Pkk condannato all’ergastolo e in isolamento dal 1999 sull’isola di Imrali, ha ricevuto una visita dopo quasi quattro anni. Suo nipote, il parlamentare Omer Öcalan del partito Dem, ha dichiarato di averlo incontrato il giorno precedente, quello dell’attentato di Ankara. Il messaggio di Öcalan è stato questo: «L’isolamento continua. Se si verificano le condizioni, ho il potere teorico e pratico di spostare questo processo dal conflitto e dalla violenza al terreno legale e politico».\r\n\r\nQuesti gli avvenimenti riassunti da Murat nel suo articolo per il \"Manifesto \", sembra quindi che si sia avviato un nuovo percorso con quali scopi è ancora tutto da determinare .Erdogan vorrebe cambiare la costituzione per potersi presentare per un quarto mandato, ma non ha la maggioranza quindi spera nella benevolenza del DEM ,partito di opposizione ,potrebbe anche perseguire la divisione all'interno dello schieramento filo curdo ,oppure tentare una manovra di dialogo indiretto con i curdi siriani nel tentativo di riannodare il rapporto con Assad,ma alle sue condizioni .\r\n\r\nE' ancora presto per dirlo, i vari attori stanno prendendo posizione in vista di un cambiamento nel contesto di profondi scossoni che pervadono tutta la regione.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/11/BASTIONI-31102024-MURAT.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nInfine con Davide Matrone docente di analisi politica e giornalista che vive a Quito ,parliamo della situazione in Ecuador ,dei continui black out elettrici che si prolungano anche per 14 ore al giorno ,della situazione sociale estremamente tesa ,del dilagare del narcotraffico ,delle promesse mancate del presidente Noboa e delle prospettive per le prossime elezioni con un campo progressista diviso ,il correismo in crisi e la mancanza di un alternativa radicale che abbia una connessione forte con le esigenze popolari.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/11/BASTIONI-31102024-ECUADOR-MATRONE.mp3\"][/audio]\r\n\r\n ",[457],{"field":112,"matched_tokens":458,"snippet":454,"value":455},[452,453,80],{"best_field_score":233,"best_field_weight":234,"fields_matched":27,"num_tokens_dropped":47,"score":266,"tokens_matched":121,"typo_prefix_score":47},{"document":461,"highlight":474,"highlights":479,"text_match":231,"text_match_info":482},{"comment_count":47,"id":462,"is_sticky":47,"permalink":463,"podcastfilter":464,"post_author":465,"post_content":466,"post_date":467,"post_excerpt":53,"post_id":462,"post_modified":468,"post_thumbnail":469,"post_title":470,"post_type":384,"sort_by_date":471,"tag_links":472,"tags":473},"69882","http://radioblackout.org/podcast/i-sei-giorni-del-condor-la-perla-di-labuan-18-6-2021/",[348],"Riccardino","\"Qui é Condor. C'é stata un'incursione. - Perdite? - Totali.\" Condor é il nome in codice di Ronald Malcolm, un impiegato civile della Cia. Il suo compito è leggere tutti i romanzi d'azione, un incarico di tutto riposo che svolge in un anonimo ufficio. Fino al giorno in cui tutti i suoi colleghi sono uccisi da un misterioso killer e lui scopre di essere braccato. Malcolm si rifugia in casa di Wendy, ma la sua storia é troppo inverosimile. \"Non credo a una sola parola di quello che dice!\" James Grady scrisse \"I sei giorni del condor\" nel 1974 in piena guerra del Vietnam e rese popolare il tema dei servizi segreti deviati. Da allora la realtà é andata molto oltre. I capi di stato e di governo prendono le decisioni sulla base delle informazioni che i servizi gli mettono sotto gli occhi. In altri casi sono i capi di stato e di governo che ordinano ai servizi quali divulgare o nascondere delle informazioni che hanno acquisito, secondo il loro interesse politico del momento. Chi e come ha inventato le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. I servizi segreti in Italia. Malcolm si trova faccia a faccia con il misterioso assassino, che è un indipendente al servizio del miglior offerente. Nella realtà le società private di spionaggio, addestramento, consulenza e scorta fatturano centinaia di milioni di dollari all'anno, sono quotate in borsa, operano a tutte le latitudini, di esse si servono sia le grandi aziende che i governi. Dal romanzo di Grady fu realizzato nel 1975 il film \"I tre giorni del condor\" di Sidney Pollack con Robert Redford, Faye Dunaway e Max von Sydow. \"Addio, Condor. Un ultimo consiglio. Torna a fare il lettore. La tua fortuna si é esaurita.\" Buon ascolto.\r\n\r\nPer i più curiosi:\r\n\r\nPiero Messina \"Il cuore nero dei servizi - La struttura, le azioni segrete, i successi mai raccontati e gli sprechi senza fondo. Da documenti e testimonianze esclusive, la verità sull'intelligence italiana. \" Rizzoli, Milano 2012;\r\n\r\nAldo Giannuli \"Come funzionano i servizi segreti - Dalla tradizione dello spionaggio alle guerre non convenzionali del prossimo futuro\" Ponte delle Grazie, Milano 2013;\r\n\r\nGiuseppe De Lutiis \"\"I servizi segreti italiani - Dal fascismo all'intelligence del XXI secolo.\" Sperling & Kupfer, Milano 2010;","20 Giugno 2021","2021-06-20 08:39:26","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/06/CONDOR2-179x110.jpg","I SEI GIORNI DEL CONDOR - LA PERLA DI LABUAN 18/6/2021",1624178366,[],[],{"post_content":475},{"matched_tokens":476,"snippet":477,"value":478},[78,79,80],"2013;\r\n\r\nGiuseppe De Lutiis \"\"I \u003Cmark>servizi\u003C/mark> \u003Cmark>segreti\u003C/mark> \u003Cmark>italiani\u003C/mark> - Dal fascismo all'intelligence del XXI","\"Qui é Condor. 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La vigilia, sul tardi, era stata diffusa la notizia della resa: l’esercito tedesco aveva ufficialmente depositato le armi, ovunque. Al mattino scoppiarono festeggiamenti in tutta l’Europa occidentale e negli Stati Uniti. In Unione Sovietica quando giunse la notizia della resa dei tedeschi era già l’8 e quindi i festeggiamenti della fine della guerra furono organizzati il 9 maggio. L’incubo era finito per l’Europa. Ma non era così per tutto il mondo.\r\nL’Algeria era a quell’epoca «territorio francese d’oltremare» come si dice ancora per la Nuova Caledonia o per la Guiana. L’amministrazione coloniale di Algeri prese subito la parte del governo collaborazionista di Vichy. Durante il regno del generale Pétain l’ordine coloniale già molto ingiusto divenne ferreo. Gli indigeni erano merce a disposizione del colono. Ogni voce di dissenso era soffocata. Quando nel 1942 sbarcarono in Algeria gli statunitensi, l’amministrazione coloniale salì subito sul carro del più forte e rientrò sotto l’ala protettrice dell’alleanza. Ma la morsa sulla popolazione indigena non si alleggerì, anzi. Centinaia di migliaia di ragazzi furono mobilitati per andare a combattere. De Gaulle non avendo truppe di «veri» francesi al seguito, si inventò un esercito francese fatto principalmente di marocchini, senegalesi e algerini. Carne da macello da mandare allo sbaraglio senza troppi rimorsi. I suoi pochi soldati bianchi se li teneva stretti per l’ingresso trionfale in ogni città liberata dai combattenti africani.\r\nOltre alla partenza di molti uomini per il mattatoio europeo, le popolazioni algerine subirono tutto il peso dello sforzo bellico francese. I magri raccolti (ricavati grazie al lavoro di vecchi, donne e bambini) e gli animali erano requisiti e mandati verso la metropoli per sfamare la popolazione stremata dal 4 anni di conflitto ad altissima intensità.\r\nDurante l’incredibile inverno del 1945, l’isolamento a causa delle nevicate eccezionali, la fame, il freddo e le malattie spazzarono via migliaia di persone nelle zone montuose del Nord Est del Paese. Mentre nelle pianure ricche, i coloni europei non sembravano soffrire di nessuna mancanza. Appena tornata la primavera, molte città manifestarono pacificamente contro la fame e le ingiustizie. L’amministrazione coloniale rispose arrestando i leader nazionali. È in queste condizioni che giunse la fine della guerra.\r\nCome tutti i popoli toccati dalla guerra, gli algerini escono a festeggiare l’8 maggio 1945. Gli indigeni ancora più degli europei. I partiti nazionalisti, in modo particolare il Ppa (Partito del popolo algerino) di Messali El Hadj, ne approfitta per ricordare all’amministrazione coloniale le promesse fatte per facilitare l’arruolamento dei giovani algerini nell’esercito: la vittoria alleata avrebbe portato uguaglianza e giustizia per tutti. Bisogna sapere che in Algeria all’epoca c’erano due categorie di persone: i cittadini, tutti quelli di origine europea, e i sudditi, cioè tutti gli indigeni (meno gli algerini di religione ebraica che furono ammessi come cittadini dopo il decreto Crémieux del 1870). Davanti alle leggi, ai tribunali e alle urne elettorali della Repubblica Francese, culla dello Stato di diritto, un cittadino valeva 10 sudditi. Gli striscioni e gli slogan per lo più inneggiano all’uguaglianza e alla giustizia ma in mano ad alcuni gruppi di militanti si leggono anche alcune rivendicazioni di autonomia. A Setif, in testa allo spezzone degli scout algerini svolazza addirittura la bandiera algerina, il simbolo degli indipendentisti. Il commissario della città, un certo Olivieri, figlio di migranti italiani, interviene di persona per confiscare il simbolo. Ma gli scout rifiutano di consegnarlo. Un giovane militante del Ppa, Bouzid Saad, difende la bandiera con il proprio corpo ed è abbattuto a freddo da un poliziotto. Altri spari partono contro la folla che si raduna minacciosa. I manifestanti corrono in tutte le direzioni. In tutta la città scoppiano scontri fra coloni e indigeni, cadono decine di morti da entrambe le parti. La popolazione indigena è più numerosa ma i coloni sono ben armati.\r\nIn tutto il dipartimento di Costantina (Nord Est) la notizia dei morti di Setif si sparge come una scia di fuoco e scoppiano scontri in molte città. In modo particolare a Guelma e a Kherata. Nelle campagne molte proprietà di coloni isolati sono prese d’assalto. Le più piccole vengono espugnate ed è un massacro. Le più grosse e quelle che riescono a radunarsi sono assediate ma resistono. Centinaia di morti. La situazione rischia di degenerare in tutto il Paese.\r\nL’11 maggio, De Gaulle chiede l’intervento militare. Gli statunitensi lo appoggiano e offrono i loro mezzi aerei per trasportare truppe provenienti da tutto il nord Africa verso l’est algerino.\r\nIl giorno dopo comincia il massacro vero e proprio. Interi villaggi sono fatti fuori. Esecuzioni sistematiche, bombardamenti con l’artiglieria pesante, due corazzate in stanza nella baia di Bejaia sparano centinaia di missili sui paesi dell’entroterra: è un vero e proprio scempio commesso da un esercito in assetto di guerra contro civili disarmati.\r\nLe stime ufficiali francesi parlano di un migliaio di morti. Un rapporto dei servizi segreti Usa parla di circa 17mila-20mila morti. La versione del movimento nazionalista algerino porterà questo numero a 45.000.\r\nNon si avrà mai una certezza sui numeri di morti. Anche perché se l’amministrazione coloniale ha stabilito un elenco preciso del centinaio di morti europei, non fece nessun censimento degli indigeni sepolti nelle fosse comuni o gettati nei fiumi, nei burroni e nel mare.\r\nQuel che si sa è che quando i combattenti algerini tornano dalla guerra trovano villaggi vuoti e famiglie devastate. Molti di loro salgono in montagna con armi e bagagli e formano i primi nuclei di quello che diventerà, 7 anni dopo, l’Esercito di Liberazione Nazionale.","8 Maggio 2015","2018-10-17 22:09:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/05/8-mai-200x110.jpeg","8 maggio 1945. Guerra finita, nazi-fascisti sconfitti. 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E' l'ultimo esito delle privatizzazioni all'italiana, che prevedono lo spolpamento e poi la dismissione dei gioielli di famiglia.\r\nTelecom venne privatizzata ai tempi di Prodi, ricomprata ai tempi di D'Alema, da quelli che l'allora presidente del consiglio definì \"capitani coraggiosi\", tanto coraggiosi che la acquisirono con i suoi stessi soldi. Le ovvie conseguenze furono che Telecom si caricò di un debito miliardario dal quale non è mai riuscita a liberarsi.\r\nTelecom, a differenza delle altre public company privatizzate, non è stata sottoposta allo scorporo delle reti, consentendo di mantenere in mani pubbliche la parte \"strategica\", pur privatizzando i servizi. E' il caso del gas, dove la rete è gestita da Snam, dell'elettricità dove è gestita da Terna, delle ferrovie, dove RFI controlla le linee.\r\nIl rapporto tra la politica e la gestione di Telecom è sempre stato molto stretto, perché le telecomunicazioni sono un settore nevralgico sul quale gli occhi e le mani dei governi di turno sono sempre stati saldamente piantati. Va da se che sia Letta sia l'AD di Telecom Bernabé hanno mentito affermando di non aver saputo niente dell'operazione che ha portato al controllo di Telco da parte di Telefonica. Telco è la società che venne costituita quando a Pirelli mancarono i fondi per mantenere Telecom. Nelle public company, ossia le società ad azionariato diffuso non è necessario avere la maggioranza assoluta per governare la società. A Telco basta il 23% per essere socio di maggioranza. In Telco avevano quote Generali, Mediobanca e Banca Intesa. Queste società erano in crisi di liquidità ed hanno venduto le loro quote a Telefonica, la società spagnola leader della telefonia iberica. E' probabile che l'interesse di Telefonica per Telecom non sia tanto per le reti e gli utenti italiani quanto per le consociate di Telecom in America latina, Telecom Brasile e Telecom Argentina che sono leader in quei paesi, dove la società spagnola ha grandi interessi che vorrebbe rafforzare.\r\nUna possibile conseguenza di questa acquisizione potrebbe essere un minore investimento in campo tecnologico e quindi un peggioramento del servizio in Italia, dove difficilmente verrà dato impulso alla fibra ottica e alla banda larga.\r\nNon solo. In questo tipico inghippo all'italiana si sono già levate le proteste dei servizi segreti che considerano il controllo delle reti di telefonia fissa una questione di sicurezza nazionale. Non è difficile prevedere che prima del prossimo anno, quando Telefonica potrà assumere realmente il comando, qualcuno proporrà di ricomperare da Telefonica le reti fisse, pagandole a carissimo prezzo. Con soldi pubblici, ovviamente. In questo modo le spie di Stato potranno continuare a intercettare chi vogliono.\r\nNe abbiamo parlato con Francesco, un economista che ci ha aiutato a districarci tra le maglie dei tecnicismi, per andare alla polpèa della questione.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2013 09 27 fricche telecom","2 Ottobre 2013","2018-10-17 22:10:37","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/10/2347774-telecom3-200x110.jpg","Telecom. 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