","Tentativo di incendio al \"Quarto mondo\"","post",1364299132,[45,46,47],"http://radioblackout.org/tag/napoli/","http://radioblackout.org/tag/quarto-mondo/","http://radioblackout.org/tag/spazi-soociali/",[15,17,19],{"post_content":50,"tags":55},{"matched_tokens":51,"snippet":53,"value":54},[52],"spazi","nuove esperienze di riappropriazione di \u003Cmark>spazi\u003C/mark> che percoorono la città di","Nella notte tra domenica e lunedì, ignoti hanno tentato di appiccare le fiamme a una delle nuove esperienze di riappropriazione di \u003Cmark>spazi\u003C/mark> che percoorono la città di Napoli e le sue tante escrescenze metropolitane, come il quartiere-paese di Quarto.\r\n\r\nAscolta la diretta con Alessandro\r\n\r\nAlessandro\r\n\r\nRiportiamo di seguito il comunicato dei ragazzi del laboratorio \"Quarto mondo\".\r\n\r\nStanotte, dopo l'evento della jam che ha trasformato positivamente parte del territorio che viviamo, hanno tentato di dare fuoco alla tensostruttura cenerizzando sedie e poltrone all'interno non riuscendo per fortuna ad innescare una miccia primitiva che avrebbe provocato danni ben più grandi a noi e al nostro spazio.\r\nNon conosciamo l'origine di tali attacchi, ma esprimiamo tutto il nostro odio attraverso questo comunicato, un odio che va contro chi ostacola esperienze belle e legittime come la nostra che cercano di portare saperi, socialità, \u003Cmark>spazi\u003C/mark> e autonomia in realtà difficili come quella di Quarto: uno dei comuni più giovani d'europa schiavo di gruppi di interesse che in vent'anni hanno cementificato il territorio che viviamo, non concedendoci ciò di cui necessitiamo e per causa dei quali abbiamo occupato il “Quarto Mondo”.\r\nNon vogliamo che il nostro spazio sia oggetto di questi attentati vili e codardi, e non permetteremo che questa vicenda sia strumentalizzata da qualsiasi soggetto che vive il nostro territorio proprio in vista delle elezioni di maggio. Esigiamo solidarietà e riconoscimento da parte di tutte le forze politiche di questo paese e pretendiamo chiarezza. Mesi fa anche l'a.s.d quarto antiracket, che si allena nel campo comunale adiacente al nostro spazio, è stata oggetto di attacchi vandalici di origine sconosciuta, e vogliamo che l'importanza data a quegli episodi sia data anche a quest'ultimo accaduto.\r\nNoi viviamo tutti i giorni le strade e le persone che le attraversano, cerchiamo di costruire dei percorsi che ricostruiscano un vero welfare dal basso per migliorare le condizioni di vita del paese e migliorarci. Sono quasi sei mesi che cerchiamo di ricostruire un luogo in abbandono, un luogo nostro e pubblico, e siamo stanchi di essere trattati come un fenomeno effimero.\r\nNoi qui ci stiamo e ci rimarremo sempre. Voi volete incenerirci? Noi rinasceremo dalle stesse ceneri che per la seconda volta provate a portare in questo luogo.\r\nPer questo motivo convochiamo un'assemblea pubblica mercoledì alle 16.00 presso il cantiere sociale “Quarto Mondo” sulla difesa degli \u003Cmark>spazi\u003C/mark> sociali e per analizzare il vile attacco che ci è stato rivolto. Ribadiamo, ora più che mai, la necessità di vivere in uno spazio chiuso.\r\nChiediamo la solidarietà dei compagn@ e della cittadinanza tutta per la ricostruzione del cantiere sia attraverso il codice iban (IT15F0101067684510305453993 – Causale: quarto mondo), che partecipando all'assemblea pubblica di mercoledì alle 16.00 @ cantiere sociale stesso. 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Il problema che si è venuto a verificare con la pandemia è che si sono andate a alimentare tutte le dinamiche malfunzionanti pre esistenti che in una situazione di normalità potevano essere tenute sotto controllo grazie alla buona volontà dei singoli medici, infermieri, oss che hanno sempre dato di più di quanto fosse loro riconosciuto. Con la pandemia la buona volontà si è tradotta in sfruttamento con più ore, più impegno, più turni, più responsabilità di gestione in una situazione di difficoltà estrema.\r\n\r\nOggi ci vuole un riconoscimento sia in termini di retribuzione e di miglioramento delle condizioni lavorative che in termini di riconoscimento sociale. Ciò significa che per farlo ci vuole una trasformazione del sistema sanitario così come lo conosciamo oggi, ci vuole una maggior attenzione ai territori, maggiori risorse e rompere la dinamica dei grandi poli di eccellenza che sono ospedali cattedrali nel deserto come abbiamo visto a milano e che servono soltanto per tamponare un’emergenza e per svolgere ruolo di vetrina per assessori e politici, anche a torino il progetto della città della salute rischia di svolgere lo stesso ruolo. Diventa necessario rompere questi meccanismi di profitto e passerelle elettorali che vediamo come un modus operandi in tutte le infrastrutture del nostro paese, il modello delle “grandi opere inutili” è qualcosa che viene costantemente riproposto ma che non possiamo accettare. soprattutto quando si tratta di giocare sulla pelle delle persone.\r\n\r\n \r\nLe proteste in Francia\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/06/congiunzioni-4-francia.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nSe da prima del covid in francia il movimento dei gilet gialli ha scardinato una serie di pratiche, attraversando spazi e composizioni sociali eterogenee,è da almeno un mese che, in particolare a Parigi, il personale sanitario degli ospedali sta facendo sentire le proprie rivendicazioni. Tutto è inziato con un presidio fuori dall’ospedale robert debré che si è subito riprodotto ogni giovedì vedendo la partecipazione di molte persone. si è costituito poi un collettivo interospedali che ha stilato una carta con dei punti essenziali :\r\n\r\n \tun cambiamento della logica dei finanziamenti relativi all’ospedale pubblico perchè la regola dev’essere la tutela della salute al minor costo e non la ricerca di una tariffa che può essere profitto per l’ospedale\r\n \tl’aumento dei salari del personale sanitario\r\n \taumentare i letti, il materiale, le risorse, il personale\r\n \tintegrare le associazioni composte da personale e utenti nelle decisioni che riguardano i progetti per la salute\r\n\r\n ","6 Giugno 2020","2020-06-06 11:43:03","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/06/ospedali-francia-200x110.png","Congiunzioni #4 - Jediscolère - [3 Giugno]",1591443783,[],[],{"post_content":201},{"matched_tokens":202,"snippet":203,"value":204},[52,153],"una serie di pratiche, attraversando \u003Cmark>spazi\u003C/mark> e composizioni \u003Cmark>sociali\u003C/mark> eterogenee,è da almeno un mese","Ascolta la nuova puntata completa o scopri le precenti.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/06/congiunzioni-4.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\nLe proteste in Italia\r\nIn molte città italiane la scorsa settimana si sono organizzati presidi sotto le regioni per portare le rivendicazioni e le vertenze specifiche del comparto medico ma che in realtà si raggruppano in un solo obiettivo : cambiare il Sistema Sanitario Nazionale che durante la pandemia ha mostrato tutti i suoi limiti e trasformarlo in una reale garanzia per la tutela della salute di tutti e tutte. 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Un momento di condivisione della conoscenza, non per inseguire il sogno della prossima startup destinata a diventare una macchina da soldi, ma per analizzare assieme le tecnologie che utilizziamo quotidianamente: come cambiano e come incidono sulle nostre vite reali e virtuali e quale ruolo possiamo rivestire nell’indirizzare questo cambiamento per liberarlo dal controllo di chi vuole monopolizzarne lo sviluppo, sgretolando i tessuti sociali e relegandoci in spazi virtuali sempre più stretti. Tanti i seminari, da quelli dedicati ai software per aggirare la censura, a quelli per l'organizzazione dei collettivi di attivisti, alle tecnologie per lo smartphone dedicate alle persone sorde o ipovedenti. 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Una recente inchiesta giornalistica ha mostrato come tra le aziende sussidiarie della già nota RCS vi sia la finora sconosciuta Tykelab il cui prodotto di punta è un sistema di sorveglianza illegale che sfrutta le vulnerabilità del protocollo interoperatore SS7 per poter localizzare le SIM in qualsiasi luogo del mondo.\r\n\r\nMusica\r\n\r\nFanga – Crache La Douleur \r\nKaleta & Super Yamba Band - Jibiti (Bosq Remix)\r\n\r\nKenobit - Nightmare\r\nKenobit - Giorgio\r\nP38 - Il Diavolo non legge Repubblica\r\n\r\n\r\n[ Scarica podcast ]","11 Settembre 2022","2022-09-11 19:41:47","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/09/locandina_web-200x110.jpg","stakkastakka 7/9/2022 - hackmeeting ed eccellenze italiane",1662925084,[],[],{"post_content":227},{"matched_tokens":228,"snippet":229,"value":230},[153,52],"lo sviluppo, sgretolando i tessuti \u003Cmark>sociali\u003C/mark> e relegandoci in \u003Cmark>spazi\u003C/mark> virtuali sempre più stretti. 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Tanti i seminari, da quelli dedicati ai software per aggirare la censura, a quelli per l'organizzazione dei collettivi di attivisti, alle tecnologie per lo smartphone dedicate alle persone sorde o ipovedenti. E ancora: la sessualità e il suo rapporto con la rete, l'installazione di Linux su computer e telefonini, le insidie dell'intelligenza artificiale (con il rischio di consolidare pratiche discriminatorie dietro l'apparente oggettività delle macchine), le strategie della propaganda sui social, il futuro del software libero. Seminari aperti a tutte le persone e gratuiti, per mettere insieme idee e competenze. Una formula ormai molto consolidata, giunta alla 25esima edizione (sul manifesto indicato tradizionalmente in notazione esadecimale: 0x19).\r\n\r\nLa prima volta fu a Firenze. Era il 1998. In questo quarto di secolo l'hackmeeting ha accompagnato tutte le fasi della rete. Lanciando l'allarme con anni di anticipo su quello che sarebbe successo in Italia e nel mondo. La voracità di Google sui dati delle persone, la pervasività dei social e le dipendenze che hanno provocato, il controllo sociale attraverso i dispositivi, le bolle digitali fatte di propaganda personalizzata, la trasformazione delle criptovalute da strumenti di libertà in mezzi speculativi, la fine della neutralità della rete, le insidie del telefonino nei rapporti di lavoro o come strumento di sorveglianza. Proprio perché aiuta a capire ciò che avviene, l'hackmeeting è uno strumento di libertà e a questo si riferisce il manifesto: una slot machine the si ferma sul 777. Il comando \"chmod -R 777\" in Linux (e in ambiente MacOs) offre all'utente tutti i diritti di accesso ai file. Negli anni sono nate anche diverse iniziative analoghe nel mondo, grazie alla collaborazione internazionale tra attivisti. A novembre scorso si è tenuto nella città di Yacuiba, in Bolivia, un hackmeeting sudamericano giunto già alla decima edizione. Cinque hackmeeting si sono svolti invece in Spagna, altri due in Messico. Mentre diverse edizioni transeuropee si sono svolte nel continente, una di queste in Norvegia.\r\n\r\n\r\n\r\nDurante la puntata parleremo inoltre della recente acquisizione che ha coinvolto aziende leader nel settore della sorveglianza (Cy4gate e Remote Control Systems e indica la volontà di creare un conglomerato specializzato nel settore, capace di imporsi internazionalmente. Una recente inchiesta giornalistica ha mostrato come tra le aziende sussidiarie della già nota RCS vi sia la finora sconosciuta Tykelab il cui prodotto di punta è un sistema di sorveglianza illegale che sfrutta le vulnerabilità del protocollo interoperatore SS7 per poter localizzare le SIM in qualsiasi luogo del mondo.\r\n\r\nMusica\r\n\r\nFanga – Crache La Douleur \r\nKaleta & Super Yamba Band - Jibiti (Bosq Remix)\r\n\r\nKenobit - Nightmare\r\nKenobit - Giorgio\r\nP38 - Il Diavolo non legge Repubblica\r\n\r\n\r\n[ Scarica podcast ]",[232],{"field":72,"matched_tokens":233,"snippet":229,"value":230},[153,52],1157451402318971000,{"best_field_score":236,"best_field_weight":162,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":31,"score":237,"tokens_matched":67,"typo_prefix_score":67},"2211864117248","1157451402318970993",{"document":239,"highlight":263,"highlights":268,"text_match":234,"text_match_info":271},{"comment_count":31,"id":240,"is_sticky":31,"permalink":241,"podcastfilter":242,"post_author":243,"post_content":244,"post_date":245,"post_excerpt":37,"post_id":240,"post_modified":246,"post_thumbnail":247,"post_title":248,"post_type":146,"sort_by_date":249,"tag_links":250,"tags":259},"23101","http://radioblackout.org/podcast/hackit-0x11/",[],"dj","Trasmissione andata in onda in diretta sulle frequenze di radioblackout per parlare di hackmeeting 2014, che si farà a Bologna il 27-28-29 Giugno ad xm24 e sugli eventi precedenti chiamati warmup. Una parentesi sui passati e su alcuni dei prossimi\r\n\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/05/warmup-trasmissione-blackout0.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nL'hackmeeting è l'incontro annuale delle controculture digitali italiane, di quelle comunità che si pongono in maniera critica rispetto ai meccanismi di sviluppo delle tecnologie all'interno della nostra società. Ma non solo, molto di più. Lo sussuriamo nel tuo orecchio e soltanto nel tuo, non devi dirlo a nessuno: l'hackit è solo per veri hackers, ovvero per chi vuole gestirsi la vita come preferisce e sa s/battersi per farlo. Anche se non ha mai visto un computer in vita sua.\r\n\r\nTre giorni di seminari, giochi, feste, dibattiti, scambi di idee e apprendimento collettivo, per analizzare assieme le tecnologie che utilizziamo quotidianamente, come cambiano e che stravolgimenti inducono sulle nostre vite reali e virtuali, quale ruolo possiamo rivestire nell'indirizzare questo cambiamento per liberarlo dal controllo di chi vuole monopolizzarne lo sviluppo, sgretolando i tessuti sociali e relegandoci in spazi virtuali sempre più stretti.\r\n\r\nL'evento è totalmente autogestito: non ci sono organizzatori e fruitori, ma solo partecipanti.","14 Maggio 2014","2018-10-17 22:10:03","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/05/logo-200x110.png","Hackit 0x11",1400073194,[251,252,253,254,255,256,257,258],"http://radioblackout.org/tag/autogestione/","http://radioblackout.org/tag/bologna/","http://radioblackout.org/tag/hack/","http://radioblackout.org/tag/hacking/","http://radioblackout.org/tag/hackit/","http://radioblackout.org/tag/hackmeeting/","http://radioblackout.org/tag/warmup/","http://radioblackout.org/tag/xm24/",[115,260,261,262,119,123,127,125],"Bologna","hack","hacking",{"post_content":264},{"matched_tokens":265,"snippet":266,"value":267},[153,52],"lo sviluppo, sgretolando i tessuti \u003Cmark>sociali\u003C/mark> e relegandoci in \u003Cmark>spazi\u003C/mark> virtuali sempre più stretti.\r\n\r\nL'evento","Trasmissione andata in onda in diretta sulle frequenze di radioblackout per parlare di hackmeeting 2014, che si farà a Bologna il 27-28-29 Giugno ad xm24 e sugli eventi precedenti chiamati warmup. 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Specie se lo si fa con lo sguardo interessato di chi sceglie un punto di vista di classe, di chi ha l’attitudine alla partecipazione diretta, di chi mira alla costruzione di esperienze di autogoverno territoriale fuori tutela statale, definendo uno spazio e un tempo capaci di attraversare l’immaginario sociale, facendosi pratica concreta.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Pietro e con Stefano, uno di Genova, l'altro di Torino per cercare di capire quello che stava succedendo nelle piazze ed il dibattito che ne era scaturito in città, tra fascinazioni e ripulse.\r\nNe è scaturito un dibatto intenso, sovente intervallato dagli sms dei nostri ascoltatori.\r\nVe lo proponiamo nella sua interezza, auspicando che possa innervare un ulteriore riflessione.\r\nDi seguito anche una nostra valutazione.\r\nBuon ascolto e buona lettura.\r\n\r\nAscolta la diretta con Pietro:\r\n\r\n2013 12 13 pietro 9 dic\r\n\r\ne i commenti arrivati:\r\n\r\n2013 12 13 pietro 9 dic commenti\r\n\r\nAscolta la lunga chiacchierata con Stefano e i commenti arrivati.\r\nPrima parte:\r\n\r\n2013 12 13 stafano parte prima\r\n\r\nSeconda parte:\r\n\r\n2013 12 13 stefano parte seconda\r\n\r\nNella sinistra civilizzata e di governo c’è da decenni un netto disprezzo per l’Italia a cavallo tra Drive in e il presidente operaio e puttaniere. L’Italia che si è affidata per vent’anni ad un partito capace di attuare politiche ultraliberiste, garantendo altresì la sopravvivenza di figure sociali che altrove la globalizzazione ha spazzato via: commercianti, artigiani, padroncini, agricoltori su scala familiare o con pochi dipendenti.\r\n\r\nLa settimana precedente quella del 9 dicembre, il governo, intuendo la miscela esplosiva che si stava preparando, ha concesso tutto quello che volevano alle organizzazioni degli autotrasportatori, mentre la moderatissima Coldiretti ha organizzato la manifestazione al Brennero, dove venivano bloccati e perquisiti i camion con la benedizione del ministro. Dopo i blocchi e le “perquisizioni” sulla A32 durante l’estate No Tav, Alfano ordinò cariche, arresti e l’invio di altri 250 militari in Clarea. Evidentemente questo governo, soprattutto nella sua componente di destra, mira a evitare lo strappo con alcuni dei propri settori sociali di riferimento, concedendo spazi di manovra negati ad altri.\r\nLa sinistra civilizzata, nei brevi periodi in cui è riuscita a saltare in sella al destriero governativo ha garantito la vita facile alla grande industria, facilitando la demolizione mattone su mattone di ogni forma di tutela per il lavoratori dipendenti e collaborando attivamente nella trasformazione di tanti di loro in lavoratori indipendenti ma di fatto subordinati. In tempi di crisi il popolo delle partite IVA si ritrova nella stessa condizione dei mercatari torinesi cui il comune chiede 500 euro al mese per la pulizia dei mercati. A tutti questi si aggiungono i tanti giovani – uno su quattro dicono le statistiche - che non hanno né un lavoro né un percorso formativo. Per non dire dei ragazzi degli istituti professionali che sanno di essere parcheggiati in attesa di disoccupazione.\r\n\r\nNelle piazze torinesi animate dal popolo delle periferie, quello cresciuto tra facebook e il bar sport, si sono ritrovati quelli dei banchi dei mercati, qualche disoccupato, i ragazzi degli istituti professionali.\r\n\r\n Nella sinistra intorno alle giornate di lotta indette dal “coordinamento 9 dicembre” si è sviluppato un dibattito molto ampio, spesso anche aspro.\r\n\r\nDi fronte all’ampiezza della partecipazione, alcuni hanno osservato che era difficile che il mestolo stesse in mano alla destra cittadina. A Torino sia la Destra istituzionale – Fratelli d’Italia – sia chi – come Forza Nuova e Casa Pound - vive nel limbo tra istituzioni e velleità rivoluzionarie – non avrebbero un peso ed una capacità organizzativa tali da poterlo fare.\r\n\r\nUn fatto è certo: nelle piazze di Torino e dintorni i rappresentanti di queste formazioni si sono fatti vedere più volte accolti dagli applausi della gente. Come è certo che buona parte delle tifoserie torinesi, ben presenti nei giorni più caldi, siano ormai da lunghi anni egemonizzate dall’estrema destra. In almeno un caso un esponente di “Alba Dorata” è stato cacciato dal blocco di piazza Derna grazie alla presenza di esponenti di sinistra, che avevano deciso di partecipare all’iniziativa. È tuttavia un caso isolato che non cambia il quadro. Anche la favola dei profughi africani, accolti con un applauso da quelli del “coordinamento 9 dicembre” è stata è stata ampiamente sfatata da resoconti circolati successivamente.\r\nLa questione è comunque mal posta. Qualunque sia stato il peso della destra, nelle sue varie componenti, la domanda vera è un’altra. Il movimento che si è espresso nelle piazze in un garrir di tricolori, inviti alla polizia a fraternizzare, richiami all’unità della nazione contro la casta corrotta e asservita ai diktat dell’Europa delle banche è un movimento di destra o no?\r\nNoi pensiamo di si.\r\n\r\nI resoconti fatti girare dalla sinistra radicale torinese hanno privilegiato l’immagine di piazze ambiguamente acefale: prive di capi, prive di organizzazione, prive di reale comprensione delle ragioni che li avevano condotti lì. Una sorta di creta che chiunque avrebbe potuto plasmare e dirigere. Una descrizione a mio avviso inconsapevolmente intrisa di orgoglio intellettuale e del mai sopito sogno di poter governare o alimentarsi delle jacquerie. Alcuni ne hanno assunto il mero contenuto antisistema, nella vecchia convinzione che il nemico del tuo nemico è un tuo amico. Una mostruosità ideologica che abbiamo visto annegare nel sangue tra Baghdad e Kabul ma sinora non ci aveva toccato da vicino.\r\n\r\nBisogna guardare in faccia la realtà. Una realtà che certo non ci piace, ma il mero desiderio di vederla diversa non si concreta, se non la si sa vedere per quello che è. I protagonisti di questi giorni di blocchi e serrate sono i figli del deserto sociale degli ultimi trent'anni. Gente che credeva di avere ancoraggi e certezze e oggi si trova sospesa sul nulla. \r\nL’analisi della composizione di classe di questo movimento, della sua natura popolare, periferica,perché avvertivamo forte la necessità di capire ed intervenire per poter fermare l’onda lunga di destra che ha messo a loro disposizione un lessico comune, una chiave di lettura ed un orizzonte progettuale.\r\n\r\nSiamo andati nelle piazze e nei bar ad ascoltare e capire il vento che stava cambiando, perché in periferia, tra i mercati e le strade attraversate dai cortei per l'ordine e la legalità, tra la gente che fatica a campare e non vede prospettive, ci siamo da anni. Da anni sappiamo che l'incapacità di parlare con gli italiani poveri, quelli che guardano con simpatia alla destra xenofoba e razzista, quelli che avevano qualcosa e ora hanno solo paura, avrebbe aperto la strada a chi predica il governo forte, la polizia ovunque, la nazione contro la globalizzazione, l'unione degli italiani, sfruttati e sfruttatori contro il grande complotto internazionale delle banche. Oggi lo chiamano signoraggio: non puntano il dito sugli ebrei ma la melodia della canzone è la stessa dagli anni Trenta del secolo scorso. Gli stranieri di seconda generazione che sventolavano il tricolore con i loro colleghi del mercato, sebbene in realtà pochini rispetto la realtà dei banchi, non ci stupiscono: li abbiamo visti inveire contro altri stranieri, ultimi arrivati che “delinquono”. Molti di loro assumono giovani connazionali poveri e li sfruttano senza pietà così come gli italiani doc. Il gioco del capitalismo piace ad ogni latitudine.\r\n\r\nI protagonisti di questi tre/quattro giorni di blocchi e iniziative sono ceti impoveriti e rancorosi: l’Italia delle clientele prima democristiane e socialiste, poi forza italiote, oggi piegata dalla crisi, dalla pressione fiscale, dall’indebolirsi della compagine berlusconiana e della Lega, partiti politici di riferimento per oltre vent’anni.\r\n\r\nIl loro programma – esplicitamente delineato nei volantini tricolori distribuiti in ogni dove – è chiaro: far cadere il governo, sostituirlo con un esecutivo forte e onesto, capace di traghettare l’Italia fuori dall’euro, fuori dall’Europa delle banche, garantendo significative misure protezioniste.\r\nIl tutto all’insegna di una deriva identitaria di segno nazionalista dove la nazione è descritta e vissuta come un corpo sano attaccato da agenti esterni che si ricompone intorno all’alleanza interclassista dei produttori.\r\nQuesto è un programma di destra. Di destra radicale.\r\n\r\nNon sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”. La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.\r\n\r\nÈ ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c'è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.\r\n\r\nIn questo “tutti a casa” c'è chi ha sentito l'eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell'istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.\r\n\r\nSappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.\r\nL’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all'eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. \r\n\r\nNell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.\r\n\r\nL’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.\r\n\r\nVedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.\r\n\r\nArticolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà e lotta con gli altri settori popolari.\r\n\r\n Se poi l'immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l'orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.\r\n\r\nA Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.\r\n\r\n Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell'andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.\r\nQuando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da calcio ma all'eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.\r\nChi a sinistra sottovaluta l'importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l'autunno ed il più gelido degli inverni.\r\nChi frequenta i bar di periferia sa che sesso, calcio, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l'idea che “così va il mondo”. 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Evidentemente questo governo, soprattutto nella sua componente di destra, mira a evitare lo strappo con alcuni dei propri settori \u003Cmark>sociali\u003C/mark> di riferimento, concedendo \u003Cmark>spazi\u003C/mark> di manovra negati ad altri.\r\nLa sinistra civilizzata, nei brevi periodi in cui è riuscita a saltare in sella al destriero governativo ha garantito la vita facile alla grande industria, facilitando la demolizione mattone su mattone di ogni forma di tutela per il lavoratori dipendenti e collaborando attivamente nella trasformazione di tanti di loro in lavoratori indipendenti ma di fatto subordinati. In tempi di crisi il popolo delle partite IVA si ritrova nella stessa condizione dei mercatari torinesi cui il comune chiede 500 euro al mese per la pulizia dei mercati. A tutti questi si aggiungono i tanti giovani – uno su quattro dicono le statistiche - che non hanno né un lavoro né un percorso formativo. Per non dire dei ragazzi degli istituti professionali che sanno di essere parcheggiati in attesa di disoccupazione.\r\n\r\nNelle piazze torinesi animate dal popolo delle periferie, quello cresciuto tra facebook e il bar sport, si sono ritrovati quelli dei banchi dei mercati, qualche disoccupato, i ragazzi degli istituti professionali.\r\n\r\n Nella sinistra intorno alle giornate di lotta indette dal “coordinamento 9 dicembre” si è sviluppato un dibattito molto ampio, spesso anche aspro.\r\n\r\nDi fronte all’ampiezza della partecipazione, alcuni hanno osservato che era difficile che il mestolo stesse in mano alla destra cittadina. A Torino sia la Destra istituzionale – Fratelli d’Italia – sia chi – come Forza Nuova e Casa Pound - vive nel limbo tra istituzioni e velleità rivoluzionarie – non avrebbero un peso ed una capacità organizzativa tali da poterlo fare.\r\n\r\nUn fatto è certo: nelle piazze di Torino e dintorni i rappresentanti di queste formazioni si sono fatti vedere più volte accolti dagli applausi della gente. Come è certo che buona parte delle tifoserie torinesi, ben presenti nei giorni più caldi, siano ormai da lunghi anni egemonizzate dall’estrema destra. In almeno un caso un esponente di “Alba Dorata” è stato cacciato dal blocco di piazza Derna grazie alla presenza di esponenti di sinistra, che avevano deciso di partecipare all’iniziativa. È tuttavia un caso isolato che non cambia il quadro. Anche la favola dei profughi africani, accolti con un applauso da quelli del “coordinamento 9 dicembre” è stata è stata ampiamente sfatata da resoconti circolati successivamente.\r\nLa questione è comunque mal posta. Qualunque sia stato il peso della destra, nelle sue varie componenti, la domanda vera è un’altra. Il movimento che si è espresso nelle piazze in un garrir di tricolori, inviti alla polizia a fraternizzare, richiami all’unità della nazione contro la casta corrotta e asservita ai diktat dell’Europa delle banche è un movimento di destra o no?\r\nNoi pensiamo di si.\r\n\r\nI resoconti fatti girare dalla sinistra radicale torinese hanno privilegiato l’immagine di piazze ambiguamente acefale: prive di capi, prive di organizzazione, prive di reale comprensione delle ragioni che li avevano condotti lì. Una sorta di creta che chiunque avrebbe potuto plasmare e dirigere. Una descrizione a mio avviso inconsapevolmente intrisa di orgoglio intellettuale e del mai sopito sogno di poter governare o alimentarsi delle jacquerie. Alcuni ne hanno assunto il mero contenuto antisistema, nella vecchia convinzione che il nemico del tuo nemico è un tuo amico. Una mostruosità ideologica che abbiamo visto annegare nel sangue tra Baghdad e Kabul ma sinora non ci aveva toccato da vicino.\r\n\r\nBisogna guardare in faccia la realtà. Una realtà che certo non ci piace, ma il mero desiderio di vederla diversa non si concreta, se non la si sa vedere per quello che è. I protagonisti di questi giorni di blocchi e serrate sono i figli del deserto sociale degli ultimi trent'anni. Gente che credeva di avere ancoraggi e certezze e oggi si trova sospesa sul nulla. \r\nL’analisi della composizione di classe di questo movimento, della sua natura popolare, periferica,perché avvertivamo forte la necessità di capire ed intervenire per poter fermare l’onda lunga di destra che ha messo a loro disposizione un lessico comune, una chiave di lettura ed un orizzonte progettuale.\r\n\r\nSiamo andati nelle piazze e nei bar ad ascoltare e capire il vento che stava cambiando, perché in periferia, tra i mercati e le strade attraversate dai cortei per l'ordine e la legalità, tra la gente che fatica a campare e non vede prospettive, ci siamo da anni. Da anni sappiamo che l'incapacità di parlare con gli italiani poveri, quelli che guardano con simpatia alla destra xenofoba e razzista, quelli che avevano qualcosa e ora hanno solo paura, avrebbe aperto la strada a chi predica il governo forte, la polizia ovunque, la nazione contro la globalizzazione, l'unione degli italiani, sfruttati e sfruttatori contro il grande complotto internazionale delle banche. Oggi lo chiamano signoraggio: non puntano il dito sugli ebrei ma la melodia della canzone è la stessa dagli anni Trenta del secolo scorso. Gli stranieri di seconda generazione che sventolavano il tricolore con i loro colleghi del mercato, sebbene in realtà pochini rispetto la realtà dei banchi, non ci stupiscono: li abbiamo visti inveire contro altri stranieri, ultimi arrivati che “delinquono”. Molti di loro assumono giovani connazionali poveri e li sfruttano senza pietà così come gli italiani doc. Il gioco del capitalismo piace ad ogni latitudine.\r\n\r\nI protagonisti di questi tre/quattro giorni di blocchi e iniziative sono ceti impoveriti e rancorosi: l’Italia delle clientele prima democristiane e socialiste, poi forza italiote, oggi piegata dalla crisi, dalla pressione fiscale, dall’indebolirsi della compagine berlusconiana e della Lega, partiti politici di riferimento per oltre vent’anni.\r\n\r\nIl loro programma – esplicitamente delineato nei volantini tricolori distribuiti in ogni dove – è chiaro: far cadere il governo, sostituirlo con un esecutivo forte e onesto, capace di traghettare l’Italia fuori dall’euro, fuori dall’Europa delle banche, garantendo significative misure protezioniste.\r\nIl tutto all’insegna di una deriva identitaria di segno nazionalista dove la nazione è descritta e vissuta come un corpo sano attaccato da agenti esterni che si ricompone intorno all’alleanza interclassista dei produttori.\r\nQuesto è un programma di destra. Di destra radicale.\r\n\r\nNon sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”. La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.\r\n\r\nÈ ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c'è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.\r\n\r\nIn questo “tutti a casa” c'è chi ha sentito l'eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell'istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.\r\n\r\nSappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.\r\nL’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all'eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. \r\n\r\nNell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.\r\n\r\nL’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.\r\n\r\nVedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.\r\n\r\nArticolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà e lotta con gli altri settori popolari.\r\n\r\n Se poi l'immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l'orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.\r\n\r\nA Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.\r\n\r\n Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell'andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.\r\nQuando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da calcio ma all'eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.\r\nChi a sinistra sottovaluta l'importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l'autunno ed il più gelido degli inverni.\r\nChi frequenta i bar di periferia sa che sesso, calcio, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l'idea che “così va il mondo”. Talora capita che qualcuno si lasci andare a dichiarazioni roboanti, all'insegna del fuoco e dello spaccar tutto. Poi il bar chiude e la rivoluzione dei rivoluzionari dell'aperitivo viene rimandata al giorno successivo.\r\n\r\nSe capita che quelli del bar sport escano davvero in strada è un segnale che sarebbe miope non vedere. Ma sarebbe ancora più miope leggere la realtà con gli occhi tristi degli orfani del soggetto sociale.\r\n\r\nQualcuno a Torino ha scritto che bisogna affondare le mani nella merda perché dai diamanti dell'ideologia non nasce nulla. Siamo d'accordo. 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